3 Marzo – Teatro Duse. Un sold out annunciato, come avviene ogni volta che uno spettacolo lo colloca protagonista sul palco, lui che è una delle più interessanti pagine viventi del teatro contemporaneo: Dario Fo.
Questa è la seconda replica che lo vede impegnato e questa volta con Piero Sciotto e Jacopo Zerbo, entrambi già suoi collaboratori. Nonostante siano tantissimi i presenti qui riusciti a saturare ogni poltrona, un numero molto alto, purtroppo, ne è stato escluso malgrado la paziente attesa in fila verso il botteghino. Complice la novità qui presentata, in prima nazionale assoluta, o l’interesse che tuttora solleva un uomo di teatro par suo, che a quest’ultimo ha dedicato tutta un’esistenza, fatto sta che “Ciulla il grande malfattore” – questo è il titolo dell’ultimo romanzo uscito per Guanda – presentato qui in forma di dramma concentrato, ha davvero fatto uscire una moltitudine di spettatori da casa, per venire ad assistervi.
Dario Fo lo apprezza e rivolgendosi al pubblico dice: “Grazie della partecipazione, il teatro non è mai stato così pieno!”. La scena è sobria, solo tre grandi riproduzioni fanno da sfondo: il ”Trionfo di Cesare” del Mantegna; tre sedie, un paio di leggii e un tavolino. Scene minimaliste che non hanno bisogno di orpelli per richiamare l’attenzione dei presenti, essendo questa concentrata sul verbo.
La storia prende l’avvio dalla Storia – complici i racconti di Pietro Nicolosi e Maria Attanasio – attraverso una sorta di “ripescaggio” dalle carte processuali e i documenti del primo processo mediatico avvenuto nel nostro paese, tramite un attento lavoro di documentazione, supportata da fonti autorevoli, imbastita poi con un gusto estetico e confezionata ad hoc, in ossequio al prodotto finale che è tanto d’arte quanto da teatro documentario, nel contempo.
Se – come recita un vecchio adagio francese – “plus ça changeplus c’est la même chose”, si farà di questo concetto, una parola chiave che aprirà continuamente porte sia per indicare il secolo passato, un periodo lontano ma anche un periodo più vicino: il nostro.
Secondo quanto Piero Sciotto riferisce, durante la conferenza stampa dell’opera poi, non si vuole dare “un giudizio morale”, quanto trovare “le radici, il DNA della società di oggi, in quella di 133 anni fa”; insomma “il lungo ventesimo secolo, l’Ottocento che non è ancora finito”.
Sarà interessante valutare come certe brutte abitudini italiane, eredità di ieri – “E’ inutile, gli antichi sono un sacco di delinquenti, ci copiano sempre!” – continuino a perpetrarsi oggi, visti i tanti parallelismi fra le due epoche, supportati da avvenimenti, fatti e ragionamenti a chiosa: “Siamo come su di un tapis-roulant, crediamo di andare avanti e invece stiamo tornando indietro”, dice Fo in apertura; oppure restiamo fermi, dice chi scrive: disoccupazione, licenziamenti, bolla immobiliare, scandali finanziari, bancari (Banca Romana in primis, a seguire l’intero sistema bancario italiano). “In Italia lo Stato anziché proteggere il pubblico dalle banche fa tutto il contrario”, corruzione, tangenti e mazzette, inchieste che vengono insabbiate.
Dove l’avevamo già sentito? Il bilancio statale di ieri come quello di oggi, pativa enormemente, si arrivò quindi all’assurdo di produrre un numero altissimo di banconote semi-vere (59.000.000 di lire di allora!) visto che avevano la numerazione di quelle uscite 20 anni prima, ma recavano la firma del governatore dell’epoca posteriore: quando parliamo di “finanza creativa”, evitiamo di sentirci “moderni” perché i nostri nonni ci avevano già preceduti!
L’avvio si dà a Roma, allora capitale di fresca nomina, negli ultimi decenni dell’Ottocento, dove l’Urbe subisce un intervento di massiccio restyling, dove fiumi di denaro vengono spesi o piuttosto mal spesi, certamente troppi e non se lo potevano permettere, dove il Nostro personaggio eclettico ma atipico, inizia a muovere i primi passi.
Paolo Ciulla era però nato a Caltagirone, dove dopo la parentesi romana, era rientrato; ma la Sicilia, e la provincia soprattutto, gli stavano strette per un insieme di fattori: lui è un artista, un grande artista però non ancora riconosciuto tale. È anarchico e omosessuale, troppe cose per l’ambiente provinciale in cui vive, così nel 1906, decide di cercar fortuna altrove; con gli spostamenti avviene insieme il suo noviziato itinerante, il contatto con i diversi ambienti arricchisce le sue cognizioni e gli darà modo di “fare pratica”. In seguito, complici le circostanze o un destino beffardo, si ritrova a divenire falsario: l’abilità manuale non gli manca, la tecnica pittorica e la perizia dell’illustratore neppure, unisce quindi l’utile al dilettevole, i risultati non si faranno attendere, merito o meno anche della sua stella bizzarra che lo aveva condotto a Parigi, San Paolo, Buenos Aires. In manicomio dove presta servizio come inserviente, iniziano i primi guai con la giustizia argentina, alcuni anni obbligati in quello stesso manicomio dove già lavorava e poi di nuovo in Italia, viaggio offerto e “pagato” da sé stesso, ovvio!
Si ristabilisce in Sicilia e inizia con serietà e scrupolo il mestiere per il quale sembra sia nato. Visto il livello di altissima perfezione dimostrato (siamo nella regione, non dimentichiamolo dove alcuni esponenti del Verismo hanno avuto i natali!) smerciando banconote e sostituendosi anche ai servizi sociali, poiché inizia ad elargir denari ai più bisognosi, diventando in sostanza una sorta di patrono degli indigenti o un Robin Hood dei tempi moderni, o meglio di “quei tempi”. Forse solo Paolo Ciulla è l’unica figura – fra tutti quelli che si muovono sulla scena di allora – così circoscritta al passato. Come aveva commentato ancora Piero Sciotto, “lui (Ciulla N.d.R.) svolge questa sua vita per cercare di affermare il suo valore di uomo e di artista, in questo ci sta il bene e ci sta il male, ci sta la truffa e ci sta la generosità, è una contraddizione vivente, com’è una contraddizione tutto, poi, alla fine”.
Lo spettacolo pur nella sua durata di oltre le 2 ore, è fruibile, i fatti sono allineati con un linguaggio chiarissimo, gli attori intrattengono il pubblico tutto mentre informano abolendo la noia. Non sono proprio capaci di trasmetterla, quella sconosciuta!
Dario Fo è nato per il palco, si muove, canta, anzi, tutti e tre a dire il vero lo fanno con l’accompagnamento alla chitarra di Piero Sciotto; accenna anche in più momenti a passi di danza, in quei momenti lui è davvero Paolo Ciulla il grande malfattore, ma per il pubblico lui rimane Dario Fo, il grande affabulatore.
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