Dopo numerose performance e riprese video concepisce Non sei più tu, una scultura dinamica, un’urna sinuosa in cui l’artista ripone se stessa, metaforizzando la sparizione del proprio corpo attraverso la grafite. Nonostante il corpo scompaia la dimensione performativa non viene abbandonata, in quest’ultimo lavoro una macchina è stata incaricata di eseguire l’azione.
Non sei più tu verrà esposto per la prima volta nella mostra GR | Giovanna Ricotta, curata da Silvia Grandi e Guido Bartorelli, aperta dal 6 giugno a Palazzo Pretorio di Cittadella (PD), in cui verranno proposte alcune delle tappe che hanno portato Giovanna Ricotta alla realizzazione di quest’ultimo lavoro.
Tutte le tue performance hanno una certa autonomia, ma per comprendere a fondo la tua ricerca sul corpo possiamo dire che tutte hanno un comune filo conduttore?
-Si, la mostra si intitola GR|Giovanna Ricotta, è un percorso, un riassunto di tutto quello che è un pensiero. Abbiamo selezionato tre lavori precedenti Toilette (2008), Fai la cosa giusta (2010) e Falene (2012); in tutti e tre abbiamo a che fare con dei tappeti performativi su cui si svolgono delle azioni in cui il mio corpo vuole diventare un oggetto. Per la loro realizzazione parto sempre da una dimensione performativa live. Il live nasce da un processo progettuale che trasforma il mio corpo in una scultura o meglio in un oggetto.
Nei tuoi primi lavori dominava il colore bianco, andando avanti, per esempio in Toelette, hai introdotto il rosa, il quale sembra quasi umanizzare il tuo oggetto corpo.
Sì, è vero. Nei miei primi video tutto si perdeva nel bianco, il mio corpo si sovrapponeva ad uno spazio totalmente bianco, indefinito; nel corso dell’azione il mio corpo diventava un’installazione, un oggetto bianco che deve perdersi, scomparire. Già in no sense ed in no sense II aggiunsi delle sfumature azzurre e rosa. Nel caso di Toilette il rosa restituisce carnalità, una certa vitalità all’oggetto corpo che in questo caso è una metafora del sistema dell’arte contemporanea.
In Fai la cosa giusta invece, che segue Toelette, raggiungi invece la piena spersonalizzazione, il tuo volto si vede solo inizialmente, una volta scesa la visiera del casco diventi quasi automatica.
Si, io sono l’installazione: l’installazione di per se compie la vera performance. In questo caso divento una moto geisha samurai. In qualche modo la mia identità si divide in tre, una sorta di schizofrenia che però conduce verso il solito risultato.
Sempre in Fai la cosa giusta introduci per la prima volta il nero, colore molto importante se vogliamo comprendere il nuovo lavoro che presenti in questa mostra.
Per comprendere bene Non sei più tu è molto importante anche Falene. Quest’ultimo è una sorta di cesura. È il mio penultimo lavoro in cui ripongo il mio corpo in delle teche. Un lavoro durissimo dal punto di vista progettuale e pratico, ma anche dal punto di vista umano. Infatti dopo di questo mi sono fermata per quasi due anni. A dir la verità in questi due anni ho presentato Lucido, un’esperienza esclusivamente live svolta al Museo Remo Brindisi. Diciamo che però non ero realmente lucida, è stato un po’ un elettroshock.
Tornando a Falene, nel video, ripongo il mio corpo in delle teche di vetro, c’è un passaggio, un’attesa. Io mi tolgo questo corpo perché sapevo che per un po’ non sarebbe stato utilizzato nel senso canonico della performance.
Questo è stato quindi lo stacco che ti ha portato ad abbandonare la dimensione fisica della performance, in favore dell’azione meccanica che ha dato vita a Non sei più tu.
Esatto. Volevo eliminare il corpo, spostarlo in qualche modo. Non potevo però esimermi dal fare una ricerca performativa. Dovevo comunque creare un oggetto organico e fisico attraverso una specie di sintesi. La stampa 3D in questo caso mi ha chiamato; appena mi sono confrontata con chi lavora in questo campo, mi sono resa sempre più conto che questo processo è una performance. Mi hanno detto che servivano giornate ininterrotte per la realizzazione del lavoro, e che se il processo di stampa fosse stato per qualche motivo interrotto sarebbe stato necessario iniziare nuovamente la stampa. Ho subito pensato alla performance.
Allo stesso tempo sei anche tornata alle tue origini, negli anni Novanta il cyberpunk stimolava molto il tuo lavoro, penso a Scheda madre + unità 1. In modo molto diverso questa venatura sembra ancora ben radicata nel tuo lavoro.
Non sei più tu lascia molta liberà di visione, contiene una serie di rimandi molto liberi, è giusto pensare al cyber, all’azione della macchina. Con questo lavoro compio anche un passaggio netto, al contrario delle precedenti performance l’oggetto diventa completamente nero: la mia pelle è cambiata. La superficie, la texture dell’urna rappresenta la mia pelle. L’oggetto in qualche modo contiene il mio corpo. All’interno dell’urna è presente della grafite, il suo colore è lo stesso della cenere, ma è comunque un materiale organico che rappresenta il mio corpo.
Questa mostra testimonia un punto di svolta importante per la tua carriera.
La sensazione è quella di voler guardare indietro, di attingere al mio passato come un bagaglio acquisito per arrivare a qualcosa di nuovo.
di Davide da Pieve
Giovanna Ricotta
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