Intervista Dark a Stefano Bessoni: “Io, Darwin, la Stop-Motion e Mario Scarpati”

Intervista Dark a Stefano Bessoni: “Io, Darwin, la Stop-Motion e Mario Scarpati”

ROMA – Nel mese in cui MyWhere si tinge di dark non potevamo non rivolgerci al grande Stefano Bessoni, regista, illustratore, animatore e scrittore a tinte horror e macabre che con il suo stile ha fatto semplicemente scuola. Con lui parliamo del suo nuovo libro dedicato a Darwin, passando per l’arte della stop-motion fino ad arrivare naturalmente al cinema.

“La paura della morte, dell’ignoto e dell’oscurità si annida in ognuno di noi, anche se molti faticano ad ammetterlo o non vogliono palesarlo. Fantasticarci sopra o anche ironizzarci e un modo per esorcizzare queste fobie profonde. È un’illusione che aiuta ad andare avanti, a vivere”. Stefano Bessoni.

Qualche settimana fa è uscito in libreria il nuovo lavoro di Stefano Bessoni dedicato alla figura di Charles Darwin. È un capolavoro, l’ennesimo di un autore che ha fatto della contaminazione un vero e proprio stile. Bessoni è un regista, un illustratore, un animatore tra i più rinomati in Italia nel campo della Stop-Motion e naturalmente uno scrittore.

La sua formazione in campo artistico avviene sotto la guida dell’incisore napoletano Mario Scarpati, che gli tramanda le antiche tecniche calcografiche e gli spalanca la porta della grafica magica dei paesi dell’est, facendogli conoscere autori come Dusan Kallay, Roland Topor, Jiri Anderle, Félicien Rops, che diverranno la base del suo immaginario visivo assieme ad artisti come Dave McKean, Elizabeth McGrath, Mark Ryden e gli esponenti del Pop Surrealism.

Il magico mondo dark di Stefano Bessoni

Meravigliose le sue tavole, capaci di coniugare una profonda conoscenza del mondo delle fiabe con lo sguardo di un naturalista vittoriano. Molti sono infatti i riferimenti all’anatomia, alla fotografia degli albori, alle wunderkammer (i tedeschi chiamavano così le collezioni di oggetti straordinari e fiabeschi)

Durante tutto il corso della sua carriera, Bessoni si è posto l’obiettivo contaminare i vari generi intrapresi con le fonti più inaspettate, dall’alchimia alle pseudoscienze, dalle antiche leggende, all’entomologia.

Oggi, per esaltare il nostro fil rouge di novembre, siamo riusciti a fare una chiacchierata con lui.

STEFANO BESSONI E DARWIN

Stefano, è un piacere averla di nuovo tra le righe di MyWhere. Partiamo subito con una notizia interessantissima. Dopo aver dedicato un libro alla figura controversa di Lombroso, da qualche giorno è in libreria il suo ritratto di Darwin. Ce ne parla?

Ognuno ha i suoi eroi e Darwin è sempre stato il mio, fin da bambino. Erano gli anni in cui sognavo di diventare un becchino e fare il naturalista rappresentava per me un’ottima alternativa. Quasi tutti mi chiedevano chi fosse Darwin, oppure lo additavano come una figura troppo seriosa, certo importante, ma non adatta a impersonare un modello infantile. Io dissentivo, rassicurando sul fatto che Batman o Spiderman fossero figure di tutto rilievo, ma che il buon Darwin lo fosse molto di più. Rammento lo sgomento della mia maestra alle elementari, quando, pensando a una recita, azzardai l’idea di creare un canovaccio su di lui. Per cercare di scoraggiarmi mi disse “Ma come facciamo con la barba?” Io risposi con logica disarmante “Con l’ovatta!” Non venni minimamente preso in considerazione e alla fine si optò per una mesta esecuzione canterina, durante la quale venni scoperto a fingere di cantare e punito severamente. La mia maestra era una suora, la scuola un istituto religioso e solo molti anni più tardi feci ragionamenti logici sulla faccenda, arrivando forse a una spiegazione.

Ho voluto raccontare la sua storia partendo dall’ infanzia, da Bobby, un bimbo dal naso troppo grande per il suo volto delicato, che faticava a pronunciare la lettera W, che aveva una passione sfrenata per gli insetti e gli piaceva inventare linguaggi segreti con il fratello Erasmus. Quando la mamma Susanna morì, Bobby divenne Charles. Venne rinchiuso in un terribile collegio dove non si imparava nulla, si era costretti a subire soprusi e la disciplina era imposta con punizioni degne di un carcere. Dopo provò a studiare medicina a Edimburgo, ma senza aver considerato la fobia per il sangue e il terrore dei ladri di cadaveri. Valutò allora l’idea più tranquilla di studiare teologia a Cambridge e farsi prete, però si rese conto che non riusciva a credere in tutto quello che non si può spiegare.Proprio come me, era pigro, pauroso, problematico, ma un giorno il destino volle metterlo alla prova. Così, il giovane Charles si imbarcò su una piccola nave, insieme a un caparbio capitano che voleva dimostrare la fondatezza delle storie della Bibbia.

Partì per un lungo viaggio intorno al mondo, nonostante la salute cagionevole e il continuo mal di mare. Durante i lunghi anni di navigazione, Charles si fece uomo e divenne Darwin. Vide le foreste dell’Amazonia, le coste del Brasile, la Terra del Fuoco e la Patagonia, il Cile e la cordigliera delle Ande, le isole Galápagos, Tahiti, la Nuova Zelanda e l’Australia.  Da scrupoloso naturalista di bordo, raccolse tante osservazioni scientifiche e stipò casse di esemplari d’ogni genere, cominciando a rimuginare su una teoria che fece poi vacillare le certezze religiosedel suo capitano e non solo.Tornato a casa in Inghilterra, Darwin si trovò immerso nella meravigliosa fiaba vittoriana. Divenne parte indelebile della cultura, della scienza e dell’immaginario collettivo, assieme ad Alice, Peter Rabbit, i dipinti dei Preraffaeliti, o le immagini dei pionieri della fotografia.  Si sposò con Emma, ebbe tanti figli e dopo anni e anni di travagliati, quanto meditati studi, pubblicò la sua teoria sull’evoluzione e sull’origine della specie, dimostrando con prove inconfutabili il lungo cammino della vita sulla terra.Fu allora che molti si scagliarono contro di lui e gridarono che voleva assassinare Dio. Ma Bobby Charles Darwin non se ne curò troppo e si dedicò allo studio dei lombrichi in compagnia dell’amata Emma e della sua cagnetta Polly.

Scrivere e disegnare questo libro è stato per me l’inizio di un viaggio, che spero possa continuare nel tempo, arricchendosi di tante immagini e contenuti e mi possa portare a vedere con i miei occhi gli straordinari luoghi toccati dal Beagle. Durante questa scorribanda insieme a Darwin sono riaffiorati tanti ricordi, ragionamenti che avevo sepolto nel fondo di un cassetto della mia memoria e anche passioni lontane, come la zoologia e l’entomologia. Allora ho voluto cogliere il messaggio più spontaneo di Darwin e, infischiandomene delle tante difficoltà, delle paure, delle persone stolte e di quelle moleste, ho cominciato ad allevare larve giganti, che un giorno diverranno rutilanti coleotteri tropicali, ridestando lo stupore di quando ero bambino.

LA FORMAZIONE COL MAESTRO MARIO SCARPATI

Stefano Bessoni Mywhere

Una delle figure chiavi per il suo percorso è stato sicuramente il grande incisore napoletano Mario Scarpati. Cosa le ha insegnato e com’era il suo rapporto con lui?

È stato il classico rapporto di formazione maestro-allievo, ovvero l’incontrare in giovane età quella figura di mentore che getta le fondamenta della tua vita futura. Mario Scarpati era un mio professore al liceo artistico, mi insegnò l’incisione e le tecniche di calcografia, facendomi conoscere autori antichi e contemporanei che indirizzarono la mia formazione espressiva. È stato grazie a lui che ho avvicinato James Ensor, Alfred Kubin, Félicien Ropse una miriade di artisti misconosciuti e oscuri che non figurano nei basici manuali di storia dell’arte, compreso il poderoso compendio di Giulio Carlo Argan che in quegli anni era il testo adottato nel mio liceo.

Scarpati era ed è un folle, un temperamento incontenibile e istrionico. Ai tempi della scuola mi intrigava e mi divertiva, non mi ponevo troppe domande e assecondavo le sue pantomime con una venerazione incosciente che non mi permetteva di scorgere tutta la sua frustrazione nell’essere incompreso. Rimane una figura fondamentale per me, che mi ha insegnato tanto e che continua a guidarmi in molte delle mie scelte, ma che mi ha condotto a guardare con sospetto una certa figura di artista pazzo, sconclusionato, che diviene un corpo unico con la sua opera.

Ho focalizzato in maniera lucida il mio modo di vedere il concetto di espressione grazie a Peter Greenaway, che ritengo il mio maggiore punto di riferimento. Grazie a lui ho capito che bisogna fidarsi dell’opera e non dell’autore.

Io credo fermamente nell’arte, ma aborro chi da solo si definisce artista. Non sopporto chi usa a sproposito il termine arte per definire il proprio lavoro o per incensare ciò che ricade sotto il suo gusto, spesso confutabile e soggettivo.

BESSONI E IL CINEMA

Come è nata in lei la passione cinematografica? Cosa l’ha spinta ad intraprendere questo percorso artistico?

Al cinema sono arrivato di riflesso, perché la mia formazione è indubbiamente legata alla pittura e al mondo dell’illustrazione. Però sono ossessionato dalla morte, dalla decomposizione, dallo scorrere inesorabile del tempo e penso che la fotografia ed il cinema siano un modo, seppure effimero, per vincerla. Fermare degli istanti di realtà catturando le immagini significa congelarli per sempre. Oltretutto far vivere sullo schermo quello che galleggia nella mia immaginazione e che catturo al volo con un semplice schizzo su un pezzo di carta mi fa sentire l’ebbrezza del creatore. La macchina da presa per me è come una sorta di matita, che mi permette di manipolare la realtà per inventarne una completamente mia.

Penso che il mondo dei registi si divida tra quelli che sanno disegnare e quelli che non sanno disegnare. Il filmmaker che, oltre ad un mondo su pellicola, possiede anche un mondo su carta, ha senza dubbio una marcia in più. Penso a registi come Peter Greenaway,Terry Gilliam, Tim Burton, Guillermo Del Toro, Federico Fellini… e potrei fare un elenco lunghissimo.

La mia folgorazione per il mezzo cinematografico è avvenuta vedendo proprio un film di Peter Greenaway: “Giochi nell’acqua”. Una vera illuminazione! E ricordo che negli stessi giorni vidi anche “Il cielo sopra Berlino” di Wim Wenders. Da quel momento in poi ho capito che il mio futuro, in un modo o nell’altro, sarebbe stato nel cinema, a costo di qualsiasi sacrificio.

Il mio lavoro con le immagini è accomunabile concettualmente alle wunderkammer, le camere delle meraviglie. Ho sempre raccolto oggetti, conservato animali rinsecchiti, teschi, cose che destano in me stupore e meraviglia per conservarle ed esibirle in un mio personale museo del mondo. In fondo poi, credo che anche il cinema sia esattamente questo. Il cinema è per me una camera delle meraviglie. E trovo peculiare che la macchina da presa venga spesso chiamata “camera”.

Nel mese di novembre noi di MyWhere stiamo raccontando tutto ciò che riguarda i defunti in chiave ironica, culturale, grottesca e divertente. Le viene in mente qualche film da consigliarci che ripercorra questo filone?

Sono veramente tantissimi, ma consigliere assolutamente: “Per favore non mordermi sul collo” di Roman Polanski e i più recenti “Shau of the Dead” di Edgar Wright e sia il film che la serie TV di TaikaWaititi “WhatWe Do in the Shadows”. E aggiungerei “Mortacci” e “Il minestrone” di Sergio Citti, un modo tutto italiano di ridere sui defunti, con l’aggiunta di tanta poesia.

L’ARTE DELL’AMAZIONE STOP-MOTION

 Dimenticate i colori sgargianti dei cartoni animati per bambini, gli animaletti canterini dei film della Disney e le storie tranquillizzanti per famigliole felici con lieto fine assicurato, perché la stop-motion è la parte nascosta dell’animazione, quella più misteriosa, oscura, perturbante, quella che le persone ‘normali’ generalmente cercano di evitare e che spesso frettolosamente tendono a etichettare come inquietante”. Così introduce lo spettatore nel suo manuale – Stop Motion: la fabbrica delle meraviglie – dedicato all’animazione stop-motion. Ci parla di questa arte meravigliosa?

 Tanti anni fa, quando cominciai a voler fare cinema ero concentrato su film con attori in carne ed ossa, con un grande dispiego di effetti speciali e di post-produzione digitale, ma poi andando avanti negli anni e portando avanti anche l’attività d’illustratoreho cominciato ad appassionarmi all’animazione stop-motion, tecnica che consiste nel riprendere dei burattini muovendoli fotogramma dopo fotogramma davanti alla macchina da presa.

Spesso i materiali prediletti degli autori che fanno stop-motion sono le ossa, gli stracci, i vecchi balocchi e gli oggetti dimenticati in soffitte polverose e i temi affrontati sconfinano spesso nel gotico e nel macabro. Quindi tutto questo mi ha fatto capire che è in assoluto la tecnica migliore per raccontare le mie storie e assecondare le mie inclinazioni espressive. Vorrei realizzare dei film che trovino un punto d’incontro tra i film Laika (Coraline, Paranorman, ecc.) e quelli di Svankmajer e dei Quay, utilizzando burattini fabbricati seguendo le mie illustrazioni, ma calati anche in una scenografia fatta di oggetti reali, scheletri veri, insetti, giocando creativamente con la scala ridotta e inventando soluzioni visive con un sapore artigianale.

IL DARK E IL FUTURO

Tornando al macabro e al dark. Secondo lei perché queste tematiche mantengono il loro grande fascino?

La paura della morte, dell’ignoto e dell’oscurità si annida in ognuno di noi, anche se molti faticano ad ammetterlo o non vogliono palesarlo. Fantasticarci sopra o anche ironizzarci è un modo per esorcizzare queste fobie profonde. È un’illusione che aiuta ad andare avanti, a vivere.

Quali sono i progetti futuri di Stefano Bessoni?

Meglio non parlarne, perché ogni volta che ne discuto poi puntualmente non decollano, falliscono, o hanno ritardi incommensurabili… Sono tanti.

COME SEGUIRE STEFANO BESSONI 

Facebook

Instagram

Le foto delle opere di Bessoni sono prese dalla Pagina Facebook ufficiale dell’artista.

Paolo Riggio

Leave a Reply

Your email address will not be published.