Mary Shelley: un’autrice femminista

Mary Shelley: un’autrice femminista

MONDO – Oggi 8 marzo celebriamo la giornata internazionale della donna. Lo facciamo raccontando la vita di una delle più grandi autrici dell’Ottocento. Una madre in carriera che ha sempre lottato perché le sue opere portassero il suo nome: Mary Shelley. 

Mary Shelley, nata a Londra nel 1797, è forse una delle prime donne simbolo dell’emancipazione femminile, oltre che una delle più importanti scrittrici dell’Ottocento. Figlia della filosofa e femminista Mary Wollstonecraft e del politico William Godwin, Mary ebbe un’infanzia difficile: sua madre morì pochi giorni dopo averla data alla luce. Suo padre tentò di placare la sua tristezza fondando un circolo di intellettuali, di cui faceva parte Percy Bysshe Shelley. Shelley era un giovane poeta che affascinò subito Mary con la sua galanteria ed il suo spirito libertino. Lui aveva 22 anni e lei 17 quando fuggirono insieme per vivere il loro amore lontano dal signor Godwin e dalla moglie di Percy.  

L’amore con un uomo sposato, coronato anche dalla nascita di una figlia, attirò su Mary profonde critiche sia dai circoli borghesi che usava frequentare in gioventù che dal suo stesso padre. La Shelley, spinta dai principi e dai valori della madre, si dedicò a una delle forme più liberatorie dell’arte: la scrittura.  

La mia vita è nella luce dei suoi occhi e la mia intera anima è completamente assorbita da lui.” Questo scriveva Mary di Percy, e questo amore li portò a sposarsi pochi anni dopo, evento favorito dal tragico suicidio della moglie di Lord Shelley. La caratteristica principale dell’animo di Mary era la sua sconfinata curiosità. Era poco istruita, come tutte le ragazze della sua epoca. La sua voglia di sapere la portava ad ascoltare rapita ogni dibattito culturale del marito con i più importanti intellettuali romantici.  

Nel 1818, ad appena vent’anni, Mary Shelley pubblicò il suo romanzo di maggiore successo: “Frankenstein, ovvero il moderno Prometeo”. Ad ispirarla furono le lunghe chiacchierate sulle sponde del lago di Ginevra con un caro amico, il poeta Lord Byron, durante un’estate definita da Mary stessa “piovosa e poco clemente”. In una notte di fulmini alla Shelley venne l’idea per quel romanzo che sarebbe poi diventato un capolavoro di scrittura gotica e pilastro della letteratura femminile. 

La pubblicazione fu in anonimo, con una prefazione di Percy, che portò i critici dell’epoca ad attribuire ad egli l’opera. Sono nella seconda edizione del 1823 Mary si firmerà col suo nome. Rivelando così al mondo che quel romanzo innovativo era stato scritto in realtà da una donna. 

La scrittura accompagnò Mary per tutta la sua vita e fu il suo conforto soprattutto dopo la prematura perdita dei suoi primi tre figli. Infatti, l’unico figlio della coppia che sopravvisse ai genitori fu Percy Florence Shelley. Il marito Percy Bysshe, durante una delle sue avventure in barca vicino le coste di Viareggio, morì in una bufera improvvisa nel 1822. Dopo la morte di Percy, l’addolorata Mary dedicò il resto della sua vita all’unico figlio rimasto in vita e alla sua grande passione.  

Fu grazie alla sua carriera da scrittrice che riuscì a sostentare sé stessa e suo figlio. Mary ha incarnato il moderno esempio di madre in carriera forse tra le prime volte nella storia. Arrivò persino a rifiutare l’aiuto economico del suocero, che le aveva proposto una rendita mensile se avesse in cambio cessato di pubblicare altri manoscritti del defunto marito. Mary non solo si occupò della revisione delle opere inedite dello Shelley, ma ne completò anche parti mancanti, continuando parallelamente a pubblicare propri romanzi. Non smise mai di scrivere, fino alla sua morte a 52 anni a causa di un tumore cerebrale. 

Forse non è possibile definire Mary Shelley propriamente come un’autrice femminista, questo perché in “Frankenstein” non sono presenti figure femminili di rilievo o concetti di filosofia libertina. Non avrebbe avuto senso trattare questi argomenti nel primo Ottocento, non erano nemmeno lontanamente concepiti nel pubblico a cui il romanzo era destinato. Dal punto di vista della critica moderna però l’assenza di donne forti nell’intera trama ha lo scopo di evidenziare come i temi forti dell’opera cioè la perdizione, il grottesco e gli istinti primitivi e più spaventosi dell’umanità siano appannaggio di una società a prevalenza maschile. La donna dell’Ottocento è come la creatura di Frankenstein: sola, non compresa, manipolata e controllata, forgiata in laboratorio per svolgere i compiti che le competono.  

Gli ideali della madre Mary Wollstonecraft, autrice del manifesto “La rivendicazione dei diritti delle donne’’, vivono non solo nel sottotesto dell’intero romanzo della Shelley ma sopravvivono in lei. Mary Shelley ha lottato per tutta la sua vita per essere riconosciuta come autrice delle proprie opere, per poter scegliere un amore che la rendesse felice e per ottenere un’indipendenza economica ed emotiva dalla sua famiglia e dalla sua stessa società. La sua più grande opera è la sua stessa vita.  Ogni autrice o aspirante tale non può che riconoscere il coraggio e l’arte di questa grande donna. 

Testo di Eva Forti

Eva Forti

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