App IO: l’Italia si apre alla digitalizzazione

App IO: l’Italia si apre alla digitalizzazione

ITALIA – I servizi della pubblica amministrazione a portata di click per effettuare pagamenti e ricevere comunicazioni dagli enti pubblici. La maggior parte delle PA in Italia sono “cluster b”.

La pubblica amministrazione e i cittadini adesso sono più vicini grazie alla nuovissima app IO, che permette di accedere ai servizi della PA. Disponibile da poche settimane, l’applicazione permette di svolgere alcune transazioni con un click, come il pagamento di servizi e tributi e di ricevere comunicazioni da qualsiasi ente pubblico. All’app IO si accede con le proprie credenziali SPID o, in alternativa, con la carta d’identità elettronica (CIE). Ancora in fase beta, il progetto era iniziato nel 2016 con Diego Piacentini, numero due di  Amazon, che aveva lanciato l’idea di un’anagrafe digitale. Un’impresa difficile ma piena di aspettative che però non aveva portato a nessun risultato iniziale, tanto che un solo comune (quello di Bagnacavallo nel ravennate) risultava iscritto.

L’impresa ardua di Piacentini è stata ripresa dal Team per la trasformazione digitale, formato da sole due persone, che è riuscito ad aumentare il numero dei comuni iscritti da 1 a 3315, portando così a termine il progetto iniziale. Un passo in avanti che renderà la vita dei cittadini più facile, economica e senza stress. Su tutto il territorio nazionale i comuni hanno risposto a questo processo di digitalizzazione nonostante i loro sistemi risultino altamente vetusti. L’agenzia per l’Italia Digitale (Agid), con tempi piuttosto lunghi, a dicembre 2019 aveva comunicato di voler classificare le 22.800 PA in tra categorie secondo il loro grado di digitalizzazione nella registrazione dei dati. La prima, ispirata al modello inglese delle “g-cloud”, per creare poli strategici nazionali; la seconda categoria per i data center più evoluti, ma in cui è vietato investire perché potrebbero essere sostituiti; la terza per i data center ormai vecchi che avrebbero dovuto trasferire tutti i dati su cloud eliminando i propri. Al censimento hanno risposto solo 990 su 22800 amministrazioni pubbliche che sono risultate tutte appartenenti alla terza categoria denominata “cluster b”. Nonostante l’intervento dell’ente però, alcuni comuni hanno continuato a lavorare sui propri data center investendo ulteriori fondi europei destinati all’agenda digitale. E’ il caso del comune di Messina che ha lanciato il progetto “Mesmart” da 5,4 milioni di euro per l’installazione di sensori in giro per la città. I primi risultati potrebbero arrivare tra qualche tempo quando magari i data center saranno già chiusi e tutto il lavoro potrebbe essere svanito e milioni di fondi bruciati.

 

Federica Virgillito

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