Quanto amavamo andare allo stadio!

Quanto amavamo andare allo stadio!

MONDO – In tempo di Covid-19 niente è più come prima. Dal poter prendere un caffè all’andare a far visita ai propri cari. Abbiamo dovuto rinunciare a molte cose a cui eravamo abituati. Tra tutte ricordatevi anche di quanto amavamo andare allo stadio!

Già, proprio così, quanto amavamo andare allo stadio!

Tra i vari amori che nascono nella vita di una persona, ce n’è uno, quello per lo sport, che unisce milioni e milioni di persone in tutto il mondo. Per suggellare questo grande amore, quale miglior gesto di andare allo stadio, sedersi su una fredda panchina di plastica per urlare a squarciagola?

Purtroppo, nell’ultimo anno, questa relazione ha avuto una brusca e inaspettata interruzione. Il medesimo discorso si può fare per il cinema o il teatro, luoghi in cui vivere appieno l’emozione di uno spettacolo. Tuttavia in questa sede parlerò dello sport.

Sì, perché al tempo del Covid-19 è tutto il mondo dello sport a essere colpito, non solo il calcio. Ammettiamolo, siamo abituati ad associare la parola stadio alla parola calcio, ma questa crisi amorosa ha colpito anche il rugby e, sebbene all’interno di palazzetti, basket, pallavolo e chi più ne ha più ne metta.

Non è stata una crisi solo per il tifoso, ma anche per tutte quelle persone che lavorano nel mondo dello sport. Ricordiamoci che ogni Federazione è un’impresa e ha alle sue dipendenze migliaia di dipendenti. Dipendenti che magari sono finiti in cassa integrazione o licenziati. Certamente c’è di peggio che non potere andare a tifare per i propri beniamini in questo periodo, tutti lo sappiamo e ogni giorno siamo costretti a farci i conti (letteralmente!). Ma è anche giusto potersi staccare ogni tanto, tornare con il pensiero alla normalità.

Da tifoso, in particolare di calcio, mi sale la tristezza nel seguire una partita dal divano senza sentire i cori, le urla e l’amore che trasuda da ogni singola persona. Vedere la foga dopo un gol o l’emozione per l’addio di un campione. Immaginate l’ultima partita di Del Piero, o quella di Zanetti, Maldini, Totti (per citare i più recenti)… Riuscite a immaginarlo fosse capitato senza pubblico? Io sinceramente no, e non mi sarei di certo goduto quelle emozioni come, invece, riuscii a fare.

Molte persone, molte famiglie vivevano quei momenti come attimi fuggenti da condividere con chiunque fosse lì vicino, piccoli frammenti di quotidianità domenicale da ricordare magari con il proprio figlio, il proprio partner o l’amico di una vita. C’è chi vive quei novanta minuti calcistici come amore morboso, quasi insano, del tipo peggiore forse, ma che comunque finisce per stimolare.

Per far capire cosa significhi essere tifoso, amare e desiderare più di tutto aspettare ogni maledetta domenica per sedersi là, con ogni condizione meteorologica (dal gelo invernale al caldo asfissiante estivo) e fisica, voglio prendere spunto da un libro. Parlo di Febbre a 90°.

Abbiamo già consigliato il libro (qui) e il film con Colin Firth (qui), ma è molto interessante soffermarsi brevemente su alcuni passi di Nick Hornby.

A pagina 230 scrive:

Quello che fai, in realtà, acquistando un abbonamento per i posti a sedere, è accrescere di una tacca il tuo senso di appartenenza. […]. Adesso ho veramente la mia casa allo stadio, corredata di compagni di appartamento, di vicini coi quali sono in buoni rapporti e coi quali discorro su argomenti di interesse comune, […]

Ciò che Hornby esprime nel libro è da rapportare all’epoca in cui si svolgono le vicende (dal ’68 al ’92). Ma notate che parla di casa. Una seconda casa acquistata con l’abbonamento, un ambiente familiare dove si può far amicizia, fino ad appartenere sempre di più a quel posto. E per molti di noi, sia  bambini che adulti, in fondo è proprio così che vediamo lo stadio.

Andare allo stadio non era più solo un rito sociale, ma si ricercavano emozioni intense e gratificanti, in grado di donarci esperienze uniche. Non si guardava semplicemente una partita, si commentava, si fotografava, si partecipava, si consumava. Tutto questo non c’è più.

Il Covid-19 ha sparigliato le carte in gioco. Adesso c’è il digitale e il nostro rapporto con lo stadio è cambiato totalmente e, forse, lo sarà per sempre. Le partite, di qualsiasi sport, stanno sbarcando sulle varie piattaforme streaming come Amazon (qui un interessante articolo de IlSole24Ore) che è riuscita ad accaparrarsi i diritti della Champions League. Questo potrebbe portare a una perdita del tifoso sugli spalti, in favore di un comodo servizio streaming, magari meno costoso di un abbonamento a Sky. Ma sarà davvero così?

Questa pandemia sta segnando il mondo dello sport, indubbiamente. Ma lo stadio, quella seconda casa che ci appartiene quasi di diritto, sarà sempre lì ad aspettarci, pronta ad accoglierci e coccolarci. Perché in fondo, uno stadio senza pubblico è come la vita senza amore. Sarebbe vuoto e inutile.

Quindi voi, amanti dello sport (che sia calcio, basket, hockey, …), resistete un altro po’ e quando tutto sarà passato (o almeno migliorato) potrete tornare a gridare, gioire e piangere.

Francesco Frosini
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