Coniglio bianco su sfondo nero: il ritorno di Maurizio Sarri

Coniglio bianco su sfondo nero: il ritorno di Maurizio Sarri

ROMA – Dopo un anno, lontano dai campi da calcio, e dopo la fine dell’esperienza agrodolce in quel di Torino sponda Juventus, Maurizio Sarri torna a sedere su una panchina di serie A e lo fa firmando un contratto biennale con la Lazio del presidente Lotito. Tra un passato da sconfitto, ma glorioso, soprattutto in quel di Napoli, e un presente di vittorie ma meste con Chelsea e Juve, riannodiamo il filo della sua carriera e facciamone un ritratto autentico.

La Lazio, dopo l’abbandono sulla panchina biancoceleste del tecnico Simone Inzaghi, approdato a sua volta in quel di Milano sulla sponda neroazzurra del naviglio sedotto dalla ritrovata mondanità sportiva del capoluogo meneghino, e dopo il coup de théatre dei cugini giallorossi con la folle scelta di Mourinho, doveva calare giù un asso che andasse a controbilanciare la duplice mortificazione patita. Il presidente Lotito, ultima vera icona tragicomica delle presidenze all’italiana, in una trattativa lampo ma estenuante per chi ha a cuore le sorti della compagine laziale, ha così scelto Maurizio Sarri. Il tecnico toscano, 62 anni compiuti il 10 gennaio, sarà l’allenatore della Lazio per le prossime due stagioni con un contratto da tre milioni netti a stagione più eventuali bonus. Poteva ambire ad altro? Ma tant’è.

IL SARRISMO APPRODA A FORMELLO

Maurizio Sarri arriverà a Roma, e più specificamente a Formello, col suo carico di sigarette, macchinette di caffè caricate fino a farle tracimare, filtri masticati e consumati con la stessa voracità con la quale appunta sul suo, ormai, mitologico taccuino tutte le fasi principali di gioco e la sua inseparabile tuta. Se Sarri è diventato quello che è diventato, a tal punto da occupare una posizione sul vocabolario Treccani sotto la voce sarrismo, lo deve principalmente a quei tre anni trascorsi sulla panchina del Napoli, in cui la squadra, pur non alzando materialmente alcun trofeo, ma anzi patendo la più cocente delle delusioni in quel 3 – 0 allo stadio Franchi di Firenze, si è imposta in Italia e a livello continentale per un gioco propositivo, organizzato, coinvolgente, travolgente, rivoluzionario nelle trame di gioco e tatticamente perfetto; l’utilizzo ossessivo delle catene laterali per poi sfondare centralmente era da manuale del calcio.

Ma non può essere secondario il fatto che ciò è avvenuto a Napoli, e non altrove. Il radicamento fortissimo instauratosi tra squadra, tifo curvaiolo e città tutta aveva bisogno di un collante comune, doveva cementarsi in un passato mitico che poteva trovare realizzazione in un presente futuribile. Spendibile. Credibile. Quello che il tecnico toscano ha subito, e scaltramente cavalcato, è stato un processo di mitizzazione primaria, velocissimo nelle forme e nei contenuti in perfetta coerenza con le logiche consumistiche dei turbamenti sportivi e socioculturali che, il prof. Maffesoli, ha riscontrato in forme “neo-tribalizzanti”.

PERCHE’ SARRI HA BISOGNO DELLA LAZIO PER ESPRIMERE TUTTO SE’ STESSO

Maurizio Sarri alla Lazio

I lacci identitari di questa mitizzazione sono scolpiti nella mente e nel cuore di tutti gli sportivi perché appartenenti ad un vissuto comune, fatto di normalità e “irrealtà quotidiana”, e riscontrabili in peculiari attitudini dell’uomo di ogni giorno: l’esasperato tabagismo per nulla celato, un passato irrisolto e tutto sommato infelice da impiegato di banca, i passi stanchi e polverosi sui campi della provincia toscana, un carattere trinariciuto e burbero tipico di quella toscanità sfrontata e dissacrante, un passato (e forse un presente?) da comunista intransigente, l’avversione al potere, all’establishment calcistico italiano, agli arbitri, il radicamento territoriale, quella fottuta paura di alzarsi in volo, l’identificazione con la parte più esagitata e irrazionale del tifo, l’incontinenza linguistica (ricordiamo il “frocio” detto al composto Mancini), un certo aspetto trasandato da avanzo di bohème e un simbolismo vestiario che si ancora al campo nella sua dimensione più maschia. Tutti questi elementi, sostenuti anche da una campagna mediatica partenopea non indifferente, hanno contribuito a edificare un disegno oracolare di Maurizio Sarri, un’energia coagulante diventata centro di gravità permanente per un’intera comunità.

La vicenda umana e sportiva del tecnico toscano, che dopo Napoli ha abbracciato l’esperienza londinese del Chelsea (con la vittoria dell’Europa League) e quella scandalosa di Torino con la Juventus (vittoria del Campionato), non è stata però poi più la stessa a livello di narrazione calcistica. Epica sportiva. Il Sarri risucchiato dai paletti comunicativi e semantici delle grandi potenze sportive, e stretto nella morsa asfittica del galateo del “calcio che conta”, perde forza propulsiva. Si depotenzia la sua immagine prototipica, e tanto cara ai sociologi dello sport, di condottiero, pirata che sbeffeggia il potere, lo desacralizza, ne mette in luce tutte le miserie nascoste, guitto aretino che al potere finanziario precostituito (il mantra del fatturato!) antepone la virtù dei valori comunitari, di solidarietà, di perfetta sovrapposizione tra popolo adorante e condottiero adorato.

IL RUMORE DEI NEMICI E L’EPICA DEL SARRISMO

Maurizio Sarri alla Lazio

Il tecnico toscano ha bisogno di nemici per far progredire il suo storytelling intriso di retorica, populismo “buono”, e ciò viene meno quando il nemico diventi tu, quando l’oggetto del contendere non è più “l’altro da te” ma “quell’altro” diventi tu. Ed è per questo che ha scelto l’avventura biancoceleste, il palcoscenico perfetto per riesumare la sua condizione di vinto. L’epica del sarrismo si rinfocola con la sconfitta, con l’impresa quasi raggiunta ma vinta dal fato, dal potere, dalle trame di palazzo.

L’epica del sarrismo è tale perché incompleta, irrisolta, incompiuta, troppo bella per essere vera a tal punto che a Londra e Torino il tecnico toscano è riuscito a vincere ma snaturando completamente la sua idea di gioco, anestetizzando la sua indole, scendendo a patti con le sabbie mobili del pensiero comune.

Se facciamo nostro l’assunto sartriano secondo cui “l’esistenza precede l’essenza”, capiamo che la biografia di Maurizio Sarri non è un nihil absolutum. Se l’essenza è la dimensione dell’essere eterno, l’esistenza è l’ente che avrebbe potuto non essere. Che esiste come ciò che sarebbe potuto rimanere niente. Ecco, Maurizio Sarri è dapprima esistito e poi ha iniziato ad essere. Per tornare ad essere, riapproda lontano dal “potere”. Laddove il sole batte con più difficoltà, ma maggiore libertà. Bentornato, Comandante.

 

Claudio Troilo

Leave a Reply

Your email address will not be published.