Il Giardino delle Ciliegie: quando Cechov è in chiave drag

Incontro con l'attore Lorenzo Piccolo della Compagnia Nina's Drag Queen

Il Giardino delle Ciliegie: quando Cechov  è in chiave drag

Nina’s Drag Queens sono qualcosa che prima  non c’era, una Compagnia di soli uomini a interpretare ruoli di sole donne secondo sì una tradizione secolare, che affonda  le sue origini nel teatro greco, elisabettiano  e mai sopita, ma rimettendo le carte in tavola secondo schemi tutti loro. Sono attori bravissimi con il valore aggiunto che  essendo uomini sanno comunque  ben calarsi  in ruoli femminili.  A tal riguardo  dicono di loro stessi  “non rappresentiamo tanto il femminile, quanto la forma del femminile, l’immagine della donna prima che la donna, cercando di afferrarne le piccole e grandi frenesie, gli eccessi, il sentimento nascosto”.
Ciò che li rende davvero straordinari è il fatto che riescano a entrare in sintonia con personaggi così opposti a loro con la caparbia bravura degli attori consumati ma non esauriti, incontenibili nella loro fantasia, sono davvero un’allegra scorribanda persino nelle pagine più  seriose del teatro russo senza che però  lo spirito dell’opera venga tradito, se pensiamo proprio al “Giardino delle Ciliegie” ultima loro creazione, un vaudeville en travestì, dove non si fanno mancare proprio niente e che dal 13 al 15 maggio sarà presentato al Teatro della Tosse a Genova, dove  le Nina’s Drag Queen  rivestiranno i panni di Ania, Vanja e delle altre  calcando il palcoscenico senza però rinunciare ai tacchi,  un’opportunità che andrebbe colta, una ciliegia a cui non si può rinunciare.
Avevamo già visto la rappresentazione al Teatro Duse di Bologna, ci erano piaciuti e ci avevano convinti al punto da decidere di volere approfondire il discorso  e per saperne di più su di loro ho modo di incontrare  Lorenzo Piccolo, uno degli attori principali della Compagnia.
Nate nel 2007 di loro stesse le Nina’s dicono di essere “imitatrici prima che attrici, ammiratrici sfegatate, collezioniste in erba, manipoliamo il già esistente. Lavoriamo per associazione di idee, per costruzioni di immagini che dialogano con altre immagini”  il fatto di essere così esplicite le rende già di per sé simpatiche in grado di riciclare e ricostruire ciò che già esiste, hanno utilizzato il ready made anche nel teatro dove   “il playback e il citazionismo si trasformano così nel nostro mezzo espressivo, la voce di altri artisti nella nostra voce, fatta di frammenti. È un procedimento ironico, che nega sé stesso, che è sempre, anche, portatore di un punto di vista su quello che rappresenta”, esplicitando con molta chiarezza che  “se prendiamo in giro la purezza di quel sentimento, è per renderlo ancora più visibile sulla scena, per renderlo vero”.

Quanto segue è la trascrizione fedele della nostra conversazione:

Quando uno pensa ad uno spettacolo di drag queens pensa sempre all’eccesso, a qualcosa anche  di carnevalesco…come mai vi siete dati un nome che in un certo senso un po’ cozzerebbe con la vostra attitudine? D’accordo:   il teatro è finzione,  ma io ho visto degli attori molto bravi, degli uomini  ancora più bravi perché siete riusciti ad essere femminili, dopo un po’  uno si scorda che sotto piume e paillette  (forse non proprio così) ci sono dei maschi.

Certo. Guarda, ogni spettacolo è diverso. In Dragpennyopera, ad esempio (spettacolo successivo al “Giardino delle ciliegie”) sottolineiamo moltissimo il fatto che siamo degli uomini travestiti: passiamo lo spettacolo a mettere e togliere parrucche appariscenti, e diamo peso all’apparato scenico. In questo caso, invece, entrando nel mondo di Cechov, si è trovata una drag più “normale” o “realistica”. Chiaramente lo spettacolo è sopra le righe: femminilità sì, ma assolutamente eccessiva. Fare le drag queen per noi è un’amplificazione dello spettro espressivo, anche senza senza il tacco 12 o le piume di struzzo, che usiamo magari in altri contesti.

Siete diversificati nella vostra produzione, c’è un gioco speculare che rimbalza come una eco a seconda della vostra proposta teatrale.  Siete una, nessuna o centomila?

Abbiamo varie anime: una più prettamente teatrale, legata alla struttura, al testo; una più legata al cabaret e al personaggio drag queen in sé. Per noi la drag queen è una specie di clown o di fool shakespeariano che può dire tutto e può agire anche come cabarettista o stand-up-comedian (alla maniera classica, della drag queen americana, per intendersi). Noi siamo partiti da spettacoli di rivista e varietà, avendo in mente modelli disparati, dal nostro sabato sera televisivo al teatro d’opera, e man mano abbiamo capito che questi personaggi avrebbero potuto essere perfetti per articolare una poetica teatrale vera e propria.

Se andassimo  invece un po’ alle origini della vostra storia, anche se è dolorosa per via della scomparsa prematura di uno dei vostri fondatori, come è nata la vostra compagnia?

E’ nata da un’idea di Fabio Chiesa (attore venuto a mancare prematuramente in un incidente nel 2010 ndr) per animare i festival del Teatro di Ringhiera, un teatro “di confine”, in una zona decentrata di Milano, passato in mano alla Compagnia Atir nel 2007. Fabio propose di chiudere i festival con momenti spettacolari, per richiamare il pubblico con qualcosa di nuovo e insolito. Così, in modo naturale, spontaneo direi, nel dicembre 2007 abbiamo iniziato a fare brevi happening, e un po’ alla volta ci siamo accorti che erano divertenti e che avevano nel pubblico una risposta superiore a ogni aspettativa. Nel 2008 Francesco Micheli, regista del “Giardino” e nostro direttore artistico, ha iniziato a curare la regia di queste riviste, che si legavano ai temi volta volta proposti dai festival del Teatro Ringhiera. Piano piano, uno spettacolo dopo l’altro, è nata la voglia di strutturare un po’ di più il tutto.

Quali sono gli  spazi che normalmente vi riguardano? Chi di solito vi chiama? Quali tipologie sia di teatro o altro spazio  si rivolge a voi?

Siamo stati sia in teatri molto tradizionali come il Duse di Bologna o il Lauro Rossi di Macerata, sia in teatri decisamente “off” o comunque con una programmazione piccola. Siamo una compagnia indipendente, cerchiamo di portare il nostro lavoro in tutta Italia ma non sempre è possibile. Per quanto riguarda le serate di varietà, dipende dalla situazione: ci sono locali più alternativi dove andiamo a fare performance e dj set, altri dove si propone qualcosa di più teatrale. Inoltre abbiamo avviato una piccola ma fruttuosa collaborazione con lo Zelig di Milano, lo storico locale di cabaret.

Questa trasposizione del “Giardino” di Cechov   quanto vi ha impegnati dal punto di vista della confezione   il prodotto, dato che   non sarà stato sufficiente solo cambiare “genere”? (L’avete costruito e in parte de costruito pur lasciando integro lo spirito dell’opera direi) Quanto lavoro ha comportato questo? I vostri spettacoli hanno un’unica mente o siete tutti chiamati in causa e condividete idee e possibilità?

Assolutamente la seconda, siamo tutti autori. Il “Giardino” è stato costruito così, lavorando insieme e proponendo materiale, stavolta avendo un testo con cui fare i conti e sotto la direzione attenta di Francesco Micheli. Francesco è riuscito a coinvolgere anche l’Accademia di Brera per realizzare scene e costumi, un progetto composito dove noi abbiamo collaborato attivamente e i ragazzi hanno potuto fare un’esperienza formativa. La creazione del “Giardino” è stata quindi condivisa da tutta la compagnia. Lo studio de “Il Giardino dei Ciliegi” è stato centrale: abbiamo riflettuto su quale fosse l’essenza delle parole di Cechov. Ciò che nello spettacolo sopravvive del testo originario (sfrondato, rimontato, traslato) è, dal nostro punto di vista, un distillato, un precipitato di alcune cose che noi ritrovavamo in quei personaggi, una specie di struggimento, qualcosa legato a un mondo che si sgretola. Questo sentimento non è legato solo all’infanzia dei personaggi, ma anche a una nostra “infanzia teatrale”: Francesco, bambino, ha fatto in tempo a vedere il “Giardino” con la regia di Strehler, e per lui questa memoria è stata un forte punto di partenza. Io nel frattempo avevo lavorato scenicamente sul monologo di Valentina Cortese, quel frammento esisteva prima dello spettacolo; quindi un po’ di cose sono andate insieme. Il nostro “Giardino” è anche un omaggio alle grandi attrici, a degli spettacoli che si basavano tantissimo sull’estetica, sul bello.

Mi conforta quanto mi stai dicendo sono impressioni che su alcune cose ho avuto anch’io. Come siete arrivati a proporre “Per una Bambola” di Patty Pravo piuttosto che l’Opera?

Per noi le canzoni – come le arie nell’opera lirica – sono dei momenti solisti dove le parole non sono sufficienti a esprimere il personaggio, che non può che cantare: quindi abbiamo sostituito alcuni monologhi e passaggi testuali con le canzoni. La ricerca musicale per noi è legata o al testo delle canzoni, o alla ricerca di un corrispettivo musicale di un’azione o una situazione. In “Per una Bambola”, ad esempio, non è tanto il testo, quanto l’atmosfera sospesa che si crea, che andava bene per evocare il fantasma della madre. Invece “Alle Porte del Sole” era perfetta per il testo: raccontava esattamente quello che era necessario in quel punto. Fausto Malcovati – uno dei nostri massimi studiosi di letteratura russa – dice che con questo brano di Gigliola Cinquetti siamo riusciti a spostare l’azione da una sperduta provincia russa a un corrispettivo italiano, rievocando tutt’altro immaginario. L’utilizzo della musica aiuta a creare un ponte, un linguaggio, un riconoscimento da parte del pubblico che crea un’empatia molto forte: la musica a volte ti permette di arrivare più vicino allo spettatore.

INFO

Le Nina’s Drag Queens  presenteranno “Il Giardino delle Ciliegie” a Genova dal 13 al 15 maggio 2016, ore 20.30 (dom. ore 16) – Life Festival – Teatro della Tosse – GENOVA – Piazza Renato Negri, 6

Daniela Ferro

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