Richard Avedon, la necessità dello stile.

Richard Avedon, la necessità dello stile.

A portrait is not a likeness The moment an emotion or fact is transformed into a photograph it is no longer a fact but an opinion. There is no such thing as inaccuracy in a photograpgh. All photographs are accurate.

None of them is the truth

 (dichiarazione di Avedon quando uscì il suo famoso libro In the American West)

 

 

Richard Avedon nacque a New York nel 1923. E’ morto all’età di 81 anni a San Antonio nel Texas l’ultimo giorno di settembre del 2004. Gravi complicazioni dovute a un’emorragia cerebrale lo stroncarono mentre lavorava per un servizio commissionato dal The New Yorker magazine, per il quale era divenuto un prestigioso testimone oculare dal 1992. Stava preparando un portfolio che aveva intenzione di intitolare “Democracy”, che ci avrebbe raccontato il suo punto di vista sulle elezioni che furono vinte da Bush.

Come tutti i più grandi fotografi del novecento viaggiò in molte parti del mondo ma non è inutile ricordare che gran parte della sua vita la trascorse a New York e soprattutto nel suo studio.

Forma, Centro Internazionale di fotografia (Milano), organizzò dal 14 febbraio all’8 giugno 2008 la prima grande mostra italiana del fotografo dalla sua morte ad oggi. Si trattava di un progetto creato da Helle Crenzien in collaborazione con il Luoisiana Museum of Modern Art Istitute e con The Avedon Fondation. Le 250 fotografie esposte, coprivano l’arco di tutta la sua carriera, dagli scatti che fece in Italia nel 1946 fino al ritratto alla cantante Bjork, ultima fotografia ufficiale prima della sua improvvisa scomparsa. In quell’occasione fu pubblicato come catalogo della mostra, un grande libro in verità, ricco di interventi critici, dedicato alla sua lunghissima e in parte controversa carriera.

Anche se ho sempre pensato che una fotografia di moda dovesse essere studiata soprattutto a partire dal suo contesto, ovvero le pagine di una rivista, valutando l’impatto di grafica, lettering, tagli, sequenzialità, vedere meravigliosamente stampate in grande formato una generosa scelta di scatti esemplari, ha rappresentato un momento di godimento e riflessione di rara intensità, qualitativamente diverso dalla ordinaria esperienza cognitiva offerta dalle monografie o libri di fotografia che normalmente acquistiamo.

La curatrice della mostra citata scelse di concentrare l’attenzione sui grandi ritratti ai quali Avedon per altro si dedicò per quasi tutta la sua vita fotografica, presentando una serie limitata di foto di moda, perlopiù circoscritte al lavoro che il fotografo fece per Harper’s Bazar negli anni cinquanta. Forse, se il fotografo fosse stato ancora in vita non avrebbe condiviso il percorso narrativo concepito da Helle Crenzien. Tuttavia è pur vero che bastarono i pochi scatti per la moda esibiti, alcuni dei quali mai pubblicati su riviste e per la prima volta mostrati al pubblico, per confermarmi la misura della grandezza di Avedon nell’interpretazione di un genere fotografico i cui valori furono molto discussi, soprattutto quando grazie alla moda il fotografo verso la metà degli anni cinquanta era divenuto una celebrità in tutto il mondo. Naturalmente non potevano mancare alcuni capolavori assoluti come Dovima e gli elefanti (1955), Suzy Parker  e Robin Tattersall fotografati in Place de la Concorde (1956) e l’Omaggio a Munkacsi del 1957, con una Carmen impeccabile colta in un “momento decisivo” che mi rimandava alla famosa foto di Cartier Bresson intitolata Dietro la stazione di Saint-Lazare(1932).

Della successiva prodigiosa produzione di immagini moda di Avedon comparivano solamente tre foto straordinarie di Veruska, Jane Shirpton e Twiggy (le top model anni sessanta). Alle famose campagne realizzate per Versace negli anni ottanta, veniva riservata una presenza marginale, un atto dovuto per via della sponsorizzazione della mostra da parte della celebre griffe. Era dunque evidente l’intenzione dei curatori di concentrare l’attenzione del pubblico sull’attività ritrattistica di Avedon, immaginando in tal modo di rafforzare la visione/vocazione artistica del fotografo, liberandolo finalmente dall’abbraccio soffocante della moda.

Sulla scorta di quella selezione di foto, Helle Crenzien scriveva in un saggio sul catalogo della mostra: “Avedon crea comunque dei ritratti; non reportage, istantanee o fotografie di moda, ma ritratti… l’intera opera sfaccettata può essere ricondotta a un’unica linea artistica propria della tradizione dei ritratti… Insieme a Irving Penn, Avedon ha trasformato la fotografia di ritratto del ventesimo secolo. Penn è l’ultimo esponente del concetto aristocratico nella fotografia ed è tanto delicato e attento nelle sue immagini, quanto Avedon appare radicale e brutale”.

Un modo di rileggerne l’esperienza e l’attività professionale certo plausibile, nei confronti del quale non mi trovo completamente d’accordo. Se la teoria dei due Avedon, propugnata fino a quel momento dalla maggioranza dei critici, non mi convinceva (il fotografio di moda nobilitato dal ritrattista), fare di un intrusivo faccia-a-faccia col soggetto il principale fattore portante del suo atto fotografico mi lasciava dubbioso. Ho sempre pensato che l’esperienza della moda, della particolare messa in scena che è necessario ideare per fare scatti che meritino di essere ricordati, fosse fondamentale per capire la fattura dei ritratti di Avedon (soprattutto per capire l’illusione cognitiva che li rende così intriganti: la possibilità di una foto di cogliere i pensieri rimossi dell’identità pubblica del soggetto e di rivelarne quindi aspetti nuovi).

A dire il vero la mostra citata ci aveva mostrato un terzo Avedon. Le immagini del reportage della festa di capodanno alle Porte di Brandeburgo, interpretavano in modo sorprendente il particolare sconvolgimento storico della Germania del periodo. E’ come se Avedon avesse fotografato il futuro, trasformando l’aria di festa in un disincantato “racconto breve e triste” delle ombre che la grande storia proietta sulle persone. Lo scrisse e motivò benissimo sul catalogo della mostra milanese,  Christoph Ribbat: “… nelle fotografie di Avedon scattate a Berlino la riunificazione della Germania si dissolve in una depressione post-comunista. I protagonisti sono isolati. L’estetica è febbrile e cruda…”.

Con il senno di poi, è certo possibile, dopo aver analizzato il vastissimo repertorio di immagini  lasciatoci dal fotografo, sostenere l’esistenza di uno, due, tre…Avedon. Dipende soprattutto dai tratti distintivi che il critico sceglie di pertinentizzare, per spingere le significazioni dell’analisi da una parte piuttosto che dall’altra. Per quanto mi riguarda preferisco pensare che con artisti strabilianti, dotati di un immenso talento come Avedon ci troviamo di fronte al paradosso del Grande Stile. Fa parte del gioco che di volta in volta il soggetto, la messa in scena, il senso dell’atto fotografico debbano cambiare. Ma il grande fotografo, non può che imprigionare nella foto il suo stile.  A questo punto non si può forse sostenere che il cambiamento (di genere o semplicemente di soggetto) sia una illusione? Infatti, se siamo in grado di afferrare uno stile ben determinato, l’impronta della differenza diviene sfumata.  Ecco perchè i ritratti possono evocare le foto di moda e viceversa. Tuttavia il grande stile a mio avviso non coincide con una delle tante forme che può prendere il manierismo. Il grande stile ci fa percepire e credere alla giustezza di un bilanciamento tra qualcosa che si ripete e la sensazione di una immagine che trasuda freschezza, originalità garantendo una sua autonomia al soggetto della foto. Si tratta di una illusione percettiva? Oppure siamo in presenza di una induzione culturale? Io preferisco pensare che il grande stile costringa l’occhio e lo sguardo a indugiare un po’ di più sull’immagine, creando lo spazio della visione, il timing dai quali discende la possibilità del bilanciamento che fa convivere in noi la percezione di qualcosa che mette ordine al disordine delle immagini (riconoscimento di uno stile) e al tempo stesso ci fa fare esperienza di un particolare punto di vista sul reale fotografico e sull’oggetto che ne porta e trasmette l’impronta.

Richard Avedon insieme ad uno dei suoi ritratti
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Beekeeper dal libro “In The American West” di Richard Avedon

Avedon e la moda

 Chi ama la fotografia d’autore sa benissimo che definire Avedon fotografo di moda è oltremodo riduttivo. Come dimenticare i suoi penetranti e celebri ritratti di star, di familiari, di amici, di gente comune? Anche se ho detto che l’esperienza del set fotografico della moda a mio avviso ha influito sul modo di concepire i ritratti di Avedon, non posso negare la durezza, l’anti-abbellimento, l’implacabile crudezza dello sguardo fotografico dell’autore nei confronti dei suoi simili. I puristi della fotografia da sempre criticano il perfetto controllo delle foto di documentazione sociale che Avedon cominciò a fare negli anni sessanta, tuttavia si può tranquillamente sostenere che questi reportage si fanno ammirare soprattutto per l’eccezionale valore visivo delle immagini.

Avedon fotografa Dovima con Diana Vreeland che controlla
Avedon fotografa Dovima con Diana Vreeland che controlla

In breve, Avedon era magistrale in qualsiasi fotografia che decidesse di scattare.

Riconoscere il suo virtuosismo non cancella però l’evidente maggiore impatto che il fotografo ebbe sulla foto di moda e il valore storico della particolare formula della bellezza che inventò. Non c’è nulla di strano se il grande pubblico lo ricorda soprattutto per le foto che per decenni pubblicò su Harper’s Bazaar e su Vogue.

Richard Avedon è stato il fotografo che a mio avviso, meglio di altri pur dotati colleghi, ha creato l’immaginario spensierato della moda nel tempo in cui, grazie alla fotografia e alle riviste, questo modo di regolare il gusto delle persone divenne immensamente popolare.

avedon-twiggy anni 60
Avedon. Twiggy Anni 60′

Il suo talento per la bellezza e il suo controverso stile fanno dei suoi scatti un documentario insostituibile del new look nella Parigi del dopoguerra, del nuovo pret à porter americano, della moda-contro anni sessanta, della crescita di Milano come nuova capitale della moda negli anni ottanta.

Ma in quanti conoscono veramente l’evoluzione creativa del suo lavoro? La carriera di Avedon nella moda non ha eguali per durata e prestigio. All’inizio degli anni cinquanta era già una celebrità. Secondo molti critici il suo stile, fin dall’inizio, sarebbe talmente marcato e dominante da risultare riconoscibilissimo in tutte le sue fotografie. Penso siano solo sciocchezze. Il suo grande stile non è nato di colpo. E la grandezza di Avedon risiede nella strabiliante varietà dei modi con i quali cercava di catturare ciò che la moda non può raccontare solo con tessuti e abiti. Avedon è stato un infaticabile sperimentatore. Insomma, il ricordo di Avedon corre il rischio di essere vittima del travolgente successo che ha caratterizzato la sua carriera: se diamo retta alla maggioranza dei commenti critici, tutte le sue foto di moda marchiate dal suo inconfondibile stile si assomiglierebbero; e tutte le fotografie che ha scattato in fuga dalla moda, anche le più ruvide, in realtà, pagando dazio all’ingombrante invariante creativa rappresentata dal suo talento, in definitiva si porterebbero addosso l’impronta glamour tipica del mondo fashion.

Questo punto di vista, usato per mitizzare Avedon quanto per sminuirne l’impatto, sottovaluta la grande cultura visiva del fotografo, non si confronta con il suo strabiliante talento nel sperimentare nuove tecniche, non coglie la sua capacità di indovinare le qualità visuali che in qualche modo hanno convinto generazioni di lettori a considerarle contemporanee e al tempo stesso classiche, dure e glaciali ma anche attraversate da un ineffabile flusso di energia.

La prima foto di moda scattata da Avedon apparve su Harper’s Bazaar nel 1944. Il giovane fotografo aveva appena finito il servizio militare e fu assunto da Carmel Snow per far parte dello staff che aveva il compito di illustrare le pagine della rivista dedicate ai lettori più giovani, raccolte nella sezione chiamata Junior Bazaar. Il quel periodo la couture francese era ancora narcotizzata dalla guerra e quindi i primi abiti che Avedon fotografò erano di stilisti americani impegnati nello sport wear.

Durante i primi anni di Harper’s Bazaar si rafforzò il rapporto con Alexey Brodovich, geniale Art Director della rivista e già da qualche anno suo insegnante alla New School for Social Reserch a New York. Un po’ più avanti negli anni, quando era già un fotografo famoso, in una intervista Avedon dichiarò: “Brodovich fu il mio unico maestro…Imparai tantissimo dalla sua impazienza, dalla sua arroganza, dalla sua insoddisfazione” (Popular Photography 71, Novembre 1972, pag.190). Brodovich insieme a Lieberman (Vogue) cambiarono radicalmente l’impostazione grafica delle riviste di moda, trasformandole in prodotti editoriali di grande presa sul pubblico femminile colto. Come insegnante non indulgeva in alcun romanticismo didattico. Seguendo l’impostazione maturata negli anni in cui era professore al Bauhaus fondato da Gropius, amava incoraggiare i suoi allievi a esplorare nuove dimensioni tecniche e stilistiche. Rivisitando i suoi primi anni in Harper’s Bazaar, in un articolo pubblicato sul The New Yorker nel 1958, Brodovich descrisse la collaborazione con Avedon sottolineando che le sue fotografie all’inizio non si potevano considerare perfette per gli standard della rivista. Ma tuttavia in esse traspariva che non c’era nulla di improvvisato…” It has always been the shock surprise element in his work that makes it something special. He has an amazing capacity for spotting the unusual and exciting qualities in each subject he photographs. Those first pictures of his had freshness and individuality, and they showed enthusiasm and a willingness to take chanches”.

In breve tempo Avedon seppe conquistare la fiducia dei personaggi che circondavano Carmel Snow. La sua sensibilità verso la moda si affinò grazie al costante confronto con una fashion editor del calibro di Diana Vreeland, destinata a divenire una delle opinion leader più importanti della fase di mezzo del novecento della moda.

Nel 1947 Avedon riuscì a convincere Carmel Snow e Brodovich a inviarlo in modo ufficioso a Parigi durante le sfilate di presentazione della couture francese alla disperata ricerca di un rilancio internazionale. Un incarico da inviato speciale era da escludere dal momento che Louise Dahl-Wolfe, una delle prime straordinarie interpreti femminili della foto di moda insieme a Toni Frissel, aveva avuto fino a quel momento l’esclusiva dei grandi eventi, e avrebbe certamente opposto una fiera resistenza alle ingerenze del giovane in carriera, creando polemiche e imbarazzi in redazione. C’è da aggiungere che la Dahl-Wolfe detestava lo stile anti convenzionale e pieno di energia di Avedon, ma purtroppo per lei l’entusiasmo e la freschezza delle immagini del giovane fotografo vennero reputate dalla direttrice e dall’art director la soluzione più adeguata per dare lustro al tentativo di far rinascere il prestigio dell’Alta Moda francese e diffondere entusiasmo tra le lettrici della rivista.

A Parigi, Avedon mise a frutto quello che aveva imparato studiando le foto dei grandi fotografi che avevano contribuito a creare l’aura mitica della città capitale della moda durante gli anni trenta e persino nell’immediato dopoguerra. Kertész, Brassai, Doisneau, Boubat, Willy Ronis erano divenuti famosi anche negli USA. Avedon, stimolato da Brodovich, andava alle loro esposizioni e conosceva i libri da essi pubblicati. Infatti nelle prime e decisive foto di moda che Avedon scattò a Parigi si respira l’aria delle scene di vita di città che Kerstéz aveva pubblicato in Day in Paris (1945), senza ovviamente l’aria melanconica tipica dello stile del fotografo ungherese. Mi piace congetturare che il giovane Avedon riuscì a trovare la giusta calibratura tra l’umanesimo di Kerstéz e l’eccitamento dinamico portato nel campo della fotografia di moda da un’altro celebre ungherese, protagonista del successo di Harper’s Bazaar fin dai primi anni in cui Carmel Snow assunse l’incarico di editor in chief. Munkacsi, grazie alla moda divenne uno dei fotografi più innovativi del periodo e una vera celebrità. A mio avviso Avedon deve moltissimo all’idea di fashion in motion creata da un fotografo che proveniva dai reportage sportivi.

I primi scatti parigini di Avedon presentavano un Bianco e Nero molto marcato, quasi drammatico, che suggeriva l’influenza del primo e più famoso libro di Brassai, intitolato Paris de nuit, pubblicato nel 1933. Carol Squires in “Let’s Call it Fashion”, saggio contenuto nel catalogo della mostra che ICF dedicò nel 2009 a Avedon, ci ricorda che il fotografo amava citare come fonte di ispirazione, l’influenza che ebbero sulla sua visione della moda, le immagini e le atmosfere glamour create dai film di Ernest Lubisch, come per esempio Trouble in Paradise (1932), nel quale i lussuosi abiti dei protagonisti, indossati con scioltezza e humour, risultano assolutamente convincenti e decisivi per affascinare lo spettatore con i divertenti giochi d’identità dei personaggi e la piacevolezza della storia.

Avedon e Carmel Snow alle sfilate di Parigi nei primi anni cinquanta (1)
Avedon e Carmel Snow alle sfilate di Parigi nei primi anni cinquanta

Avedon si rivelò subito un fotografo molto affidabile e prolifico. Era capace di creare ad arte in un qualsiasi contesto le situazioni che in quel momento garantivano alla fotografia di moda valenze nuove, senza mai oltrepassare la soglia che le avrebbe rese stravaganti. Giunto a Parigi portò Renèe, una delle modelle della squadra di Dior, nelle strade della città e la fotografò in innumerevoli pose che nella maggioranza dei casi vennero considerate inusuali dai colleghi. Ma non ci sono dubbi sul fatto che in esse si respirava ciò che ogni redattrice o stylist sognava dovesse avere una immagine: allure, grazia ma anche una forte dose di umanità gioiosa e vitale. Mi piace ricordare come buon esempio la foto di Renée di fronte a un Christian Bérard, regista teatrale  amico di Dior e influente personaggio della scena artistica modaiola parigina,  scattata in Place de la Concorde nel 1947. La modella, vestita con un abito da passeggio della celebre prima collezione Dior che inaugurerà l’era del New Look, sorride di fronte a un Bérard sdraiato sul cofano dell’auto con stretto a sé, come giocasse, un barboncino. In realtà vi ho appena descritto uno degli scatti che furono rifiutati dalla redazione. Brodovich/Snow preferirono pubblicare una versione della scena probabilmente più elegante ma un po’ meno gioiosa. Sono convinto che se Avedon avesse potuto scegliere avrebbe preferito pubblicare quella che ho descritto.

E credo che lo sviluppo del suo stile, così come oggi lo possiamo analizzare nella sua compiutezza,  implicasse un affinamento delle forze visive imbricate nell’immagine del primo esempio. Avedon, forse senza saperlo era già oltre i suoi maestri. Ma non è questo il punto. Il fotografo, prima di divenite un mito della moda, seppe imporsi nel contesto di redazioni nelle quali lavoravano i migliori professionisti in circolazione, soprattutto per la duttilità e l’efficacia dei suoi scatti, senza trincerarsi dietro paralizzanti vangeli estetici. Io sono convinto che la guida (e la collaborazione) con Brodovich gli fece capire presto, aldilà dello scatto esemplare, l’importanza della grafica editoriale di una rivista di moda e lo rese sensibile alla sequenzialità delle immagini che prendevano valore anche sulla base del loro posizionamento e dei tagli imposti dall’impaginazione.

Robert Doisneau fotografa Avedon mentre scatta a Parigi sotto lo sguardo attento di Carmel Snow
Robert Doisneau fotografa Avedon mentre scatta a Parigi sotto lo sguardo attento di Carmel Snow

In definitiva dunque la scelta di una immagine trascendeva la valutazione della singola foto. Il montaggio testo/immagini e l’esigenza di meta-comunicare una storia nella storia conforme al mood editoriale del momento, aldilà della scontata rappresentazione di un bellissimo abito perfettamente indossato, potevano essere previsti dal fotografo prima e durante le riprese, agevolando la discesa della fotografia tra le parole e le forme dell’impaginato. Credo che grazie alla lezione di Brodovich, il contributo di Avedon sia divenuto nel tempo straordinario e che il suo apporto redazionale fosse considerato di prim’ordine.

Il primo reportage di Avedon sulle collezioni parigine del 1947 ebbe un grande successo. Alle sue foto fu dato uno spazio rilevante rispetto a quello concesso alla Dahl-Wolfe. In breve tempo il giovane fotografo divenne il punto di riferimento per i servizi più importanti e prestigiosi. Significava lavorare con le modelle più belle, più famose, più brave e fotografare gli abiti più importanti. Fino al 1966 ebbe il privilegio di partecipare come inviato di Harper’s alle sfilate più ambite di Parigi. Le sue foto impreziosite dalle modelle fantastiche e affascinanti, perfettamente guidate dal suo stile empatico, divennero presto leggendarie.

Grazie alla collaborazione con Suzy Parker, Dovima, Lisa Fossangrive, Carmen, Sunny Harnett, creò l’imago della donna elegante, intelligente, auto ironica che possiamo considerare una novità negli anni del New Look. La sua immagine di donna contribuì a trasformare la passione per la moda, vista con sospetto dagli intellettuali europei del periodo, in un fascio di emozioni che arricchivano l’oggetto (l’abito indossato) di una significanza proiettata a narrare un dolce stil nuovo raffinato, umanistico, privo di volgarità. Nelle sue foto degli anni di Harper’s Bazaar, non c’era l’esaltazione della bellezza paralizzante del soggetto/oggetto femminile, bensì grazia contaminata con il sottile humour che rende una donna elegante assolutamente irresistibile e paradossalmente vicina alle lettrici. Milioni di donne di tutto il mondo ammirando stile e contenuti delle sue foto, senza averne piena consapevolezza, partecipavano ai nuovi valori estetici che la sua immaginazione contribuiva a radicare nella cultura della moda.

Verso la metà degli anni sessanta, Diana Vreeland lasciò a redazione di Harper’s Bazaar per passare alla concorrenza. Giunta dunque a dirigere Vogue non tardò molto a ribaltare completamente a linea editoriale della celebre rivista. In particolare convinse Avedon a passare con la propria squadra di grandi fotografi. Nel 1966 cominciò dunque una nuova fase della carriera del fotografo all’insegna di nuove sfide creative. I tempi erano cambiati e Avedon si ritrovò nella stessa formazione che annoverava grandissimi fotografi come Irving Penn e i giovani image makers inglesi capitanati da David Bailey, divenuti molto famosi grazie al successo mondiale degli stilisti inglesi che crearono il mito della Sweet London, nuova capitale delle tendenze giovanili.

Avedon reagì al nuovo scenario in modo encomiabile. Il suo stile fotografico elegante e controllato divenne più teatrale e coinvolgente. Sfogliare quei numeri di Vogue doveva essere un vero piacere per l’occhio. Nacquero leggende sul confronto tra due grandissimi interpreti della fotografia di moda del calibro di Penn e Avedon. Ma il perfetto controllo della messa in scena non impediva al fotografo di continuare la sua ricerca. I suoi scatti di moda negli anni sessanta acquisirono un tono ancor più gioioso, leggero e vigoroso. Faceva saltare le modelle per riprenderle come se galleggiassero come angeli nell’aria. Andava continuamente alla ricerca di scenari nuovi. In breve, non solo tenne il passo di fotografi molto più giovani riuscendo a ottenere il massimo da modelle giovanissime come Twiggy, Shrimpton, Veruschka, Penelope Tree, ma con il senno di poi, si può sostenere che pochi fotografi hanno saputo cogliere lo spirito della moda degli anni sessanta come fece Avedon.

Nel 1971 Diana Vreeland al culmine della sua celebrità fu bruscamente allontanata dalla direzione di Vogue. Avedon perse non solo una amica ma anche una preziosa alleata, che amava il suo modo di rappresentare la moda. Pur continuando a pubblicare con successo scatti straordinari ora doveva competere con le foto estreme di Helmut Newton e Guy Bourdin. Avedon si ritrovò a essere vissuto dai giovani redattori alla stregua di un fotografo che apparteneva all’establishment quando tutti giocavano a essere contro la moda. La sua eccezionale competenza tecnica e maestria non erano in discussione, ma molti redattori lo consideravano sostanzialmente  inadatto a catturare gli spiritelli della moda che dalla metà degli anni settanta in poi volevano sensualità ed erotismo al limite dell’osceno.

Comunque va ricordato che se Avedon all’inizio degli ottanta veniva vissuto come un classico, in un contesto caratterizzato da una sempre maggiore adesione a una visione della moda che privilegiava le tendenze, nonostante ciò fino all’88 continuò a firmare  quasi tutte le copertine di Vogue America.

Proprio nell’88 la prestigiosa rivista cambiò la strategia editoriale. Anna Wintour, la nuova direttrice destinata a una prodigiosa cartiera, senza troppi preamboli cominciò col rigettare le cover di Avedon. Per niente abituato a veder messo in discussione il suo lavoro da persone che evidentemente stimava poco, il fotografo stracciò il contratto e se ne andò.

La moda aveva consumato il talento di Avedon o l’arrivo di una nuova generazione di protagonisti non poteva che rottamare chi incarnava l’ordine costituito?

Propendo per la seconda ipotesi. Anna Wintour si è dimostrata una eccezionale direttrice/manager e una vera donna di potere. Il suo obiettivo era fare di Vogue America la rivista di riferimento per i brand protagonisti della moda-mercato e per le lettrici ludiche che alla moda chiedono fondamentalmente di sognare. L’ordine dei fattori del successo editoriale andava riconfigurato: al primo posto doveva essere collocato l’aumento delle vendite della rivista e, parallelamente ad esso, lo stressante calcolo costi/benefici di ogni atto editoriale, rispettoso del marketing sostanziale. In seconda battuta veniva imposto come un vangelo l’adesione al paradigma culturale dominante scelto dalla direttrice (star system, moda spettacolo). Solo a questo punto potevano intervenire questioni legate alla specificità della messa in testo dei servizi di Vogue, compresa la valutazione della qualità fotografica delle immagini pubblicate dalla rivista. Il risultato che abbiamo ancora sotto gli occhi è un Vogue America enciclopedico (per pagine pubblicitarie), più forte nei numeri che commuovono i consigli d’amministrazione ( incassi e lettori), coerente forse con una visione della moda decentrata in narrazioni eterogenee, ma assai meno intelligente e più brutto dei format che Avedon aveva contribuito a creare.

Nell’ultima fase della sua carriera come fotografo di moda Avedon incontrò Versace per il quale creò per anni chiacchieratissime campagne. Molti consideravano eccessivo l’uso sistematico di super modelle/i immortalate/i in pose sexy quasi sempre collocate in set barocchi che evocavamo esagerate emozioni. Ma c’è da aggiungere che probabilmente fu Versace a stimolare il fotografo in direzione di un glamour estremo. Ancora, negli anni ottanta del novecento praticamente tutto o quasi il fashion system che faceva mercato, si auto-celebrava soprattutto con questa tipologia di immagini. Collocate dunque sull’asse di una verosimile storia della foto di moda, dobbiamo riconoscere che ancora una volta Avedon è stato uno dei fotografi che ha saputo interpretare con efficacia la spettacolarizzazione e al tempo stesso la normalizzazione del sex appeal incarnato da modelle in procinto di diventare famose come rock star.

Intendiamoci: io non trovo nelle foto di Avedon per Versace fatue provocazioni o ricadute a rischio di volgarità; la pulizia, oppure se volete le tracce di un dissimulato pudore, nelle sue immagini, malgrado l’intentio trasgressiva sono facilmente percepibili; il glamour estremo rimane sempre sotto controllo, molto rispettoso dei limiti che molti suoi colleghi oltrepassavano per usufruire delle attenzioni mediatiche prodotte da scelte trasgressive. A distanza di alcuni decenni, trovo in queste sue foto l’ambigua celebrazione di un lusso senza limiti, un lusso aldilà del bene e del male, come se la moda fosse una questione riservata ad angeli che non conoscono il peccato.

Avedon per campagne Versace
Avedon per campagne Versace

Avedon e l’altra fotografia

Facciamo un salto all’indietro, e ritorniamo agli anni in cui Avedon conquistò le attenzioni di un pubblico eterogeneo che sarebbe restrittivo confinarlo sic et simpliciter nei territori della moda. Nel 1956 a poco più di trent’anni era già una celebrità al punto da ispirare al regista Stanley Donen il personaggio di Dick Avery, per il film Funny Face (Cenerentola a Parigi), interpretato da Fred Astaire e Audrey Hepburn (Avedon fu consulente della produzione).

Ma la foto di moda non assorbì completamente gli interessi di Avedon. In realtà l’orientamento intellettuale che lo contraddistingueva fin dall’inizio della sua carriera lo motivò ad indagare il rapporto mente-immagine ben aldilà degli ovvi limiti posti dalla celebrazione della bellezza. I suoi famosi e discussi ritratti ambivano a ciò che banalmente potremmo definire foto artistica. Ma, se entriamo con attenzione nelle sue foto di moda scopriamo che la distanza con i suoi ritratti dipende più dal soggetto che dal suo modo di concepire l’attività di fotografo. I suoi ritratti provengono dalla maturazione tecnica raggiunta attraverso la regolazione imposta dalla foto di moda. Avedon non indugiava in psicologismi. I suoi ritratti sono significanti e non significati del soggetto. L’assenza di una psicologia dei personaggi fotografati è stata molto fraintesa dai critici quanto apprezzata dal pubblico. Va ricordato che Avedon con i suoi libri di foto di gente più o meno famosa e con le mostre innovative che contribuì a organizzare, creò eventi che, seppur tra critiche a mio avviso ingiustificate, influenzarono il linguaggio della fotografia del nostro tempo.

Come ho già detto, suo lavoro, per la longevità e per l’estensione tematica (Avedon è stato attivo e protagonista per oltre mezzo secolo di storia della fotografia), per la qualità e l’importanza delle sue foto (Avedon è stato scritturato dalle riviste più importanti al mondo), e per l’enorme talento… Il suo lavoro, dicevo, è stato spesso frainteso e criticato.

Soprattutto sono state criticate le sue foto di moda.

Bisogna aggiungere che lo stesso Avedon, a più riprese, è sembrato incline ad accettare l’idea che metà del suo lavoro (i ritratti di gente comune e le foto impegnate) costituisca di fatto la critica dell’altra metà (la moda e ritratti della gente dello showbiz).

L’opinione più diffusa tra i cosiddetti esperti, spiega la sua carriera più o meno in questi termini: all’inizio gli shooting per la moda e i suoi ritratti di varie celebrità ci mostrano le cose come vorremmo che fossero.

Più avanti avrebbe tentato di mostrarci le cose come sono, non riuscendo tuttavia ad essere convincente ovvero a liberarsi dell’abitudine a teatralizzare il reale.

Considero questa interpretazione poco convincente. Se osserviamo con attenzione la sua autobiografia (AN AUTOBIOGRAPHY RICHARD AVEDON, Random House and Eastman Kodak, 1993), una sorta di racconto per immagini della sua vita professionale, la discontinuità tra la fase glamour e il presunto ripensamento critico si dissolve.

A  distanza di quasi mezzo secolo le foto di moda non solo non hanno perso nulla del loro fascino ma rappresentano una documentazione sociale di straordinario valore.

In tutte le immagini emerge una volontà di controllo che fa pensare ad una vera e propria regia finalizzata  a far dire alle immagini altro da ciò che rappresentano.

L’avvenimento fotografico, definitelo pure moda, o ritratto o reportage, per Avedon è sempre una rappresentazione; tutti i soggetti sono attori, la traduzione di una certa realtà in una immagine è sempre una messa in scena.

Le sue fotografie sono orchestrate, ritoccate, tagliate, ingrandite, giustapposte.

E dove se non negli ambienti della moda, Avedon, avrebbe imparato a padroneggiare queste dimensioni operative dell’immagine?

Quando i critici engagé scrivevano che la foto di Avedon era sempre e solo uno “spettacolo” nel senso che Debord dava al concetto, in un certo senso hanno ragione. Ma solo con gli eccessi interpretativi imposti da un moraleggiante dogmatismo ideologico si poteva credere di vedere nelle foto di Avedon l’impronta alienante di una società impegnata a manipolare l’immaginario  e non una più sottile regolazione della bellezza.

Peccato che questi critici dimenticassero di aggiungere che dare spettacolo non era così banale come volevano darci a intendere. Occorreva maestria, capacità di variare la scena della foto, una grande padronanza tecnica.

Molte sue foto sono certamente sensazionali ovvero ci toccano o per dirla alla Barthes, ci pungono (effetto punctum). Ma diversamente da molti suoi colleghi il turbamento che provocano ha una durata tale da trasformare l’emozione del momento, mai estrema tra l’altro, in valori consistenti (in significazioni che non si dissipano facilmente). E allora percepiamo che il punctum di Avedono quasi sempre non ha nulla di casuale ovvero emerge da un accurato studium.

Le critiche ad Avedon per l’eccessivo controllo del set e del setting fotografico, per le magistrali manipolazioni e, conseguenza logica del ragionamento, per l’evidente falsità delle sue immagini hanno come sfondo la mitizzazione di alcuni fotografi della generazione precedente.

Secondo i critici più accreditati dell’ultimo quarto del novecento, Avedon eluderebbe in modo beffardo e irritante (per via del suo inattaccabile talento e per la troppa attenzione al successo commerciale), la vera essenza della fotografia che risiederebbe nel suo realismo e nella sua verità.

E’ evidente che in tal modo lo si contrappone a fotografi come Walker Evans, ad August Sander e soprattutto a Cartier Bresson.

C’è da dire che questo tipo di atteggiamento era molto diffuso tra gli intellettuali della fotografia soprattutto a partire dagli anni trenta del secolo scorso. In quel periodo anche Steichen, il primo grande fotografo di moda americano fu duramente attaccato. Walker Evans in “Hound and Horn”,1931 scrisse: “La nota generale (di Steichen) è il denaro, la compresione dei valori della pubblicità, una vicinanza speciale con l’eleganza parvenu, una tecnica ingegnosa…”. Poco prima Weston aveva definito Steichen “troppo intelligente, artificiale”.

Anche se non mi risultano esserci state critiche così sferzanti nei confronti di Avedon l’accusa di essere un fotografo “leggero” e “artificioso” ha accompagnato a lungo la sua carriera.

Ma perché il rigore fotografico dovrebbe assumere la rigida liturgia di un vangelo dedicato all’impegno sociale e morale?

Non si può forse essere altrettanto rigorosi nell’allestire una messa in scena studiata nei minimi particolari forzando il reale a disfarsi in un immaginario? Cosa c’è di sbagliato nella volontà di dare una durata al tempo fotografico, invece che attendere come angeli o predatori il “momento decisivo”?

Non è forse più importante ciò che la foto ci dice di altro rispetto a ciò che sembrerebbe rappresentare?

Prendiamo come esempio la criticatissima femminilità costruita di Avedon. In tutta la sua carriera, in virtù del suo incontestabile talento e successo, Avedon ha avuto il privilegio di fotografare le modelle più belle del suo tempo, vestite con abiti suntuosi. E non c’è dubbio che soprattutto tra i cinquanta e sessanta del novecento, abbia interpretato fedelmente l’ostinata predilezione della moda per l’immagine magnificatoria della Donna. Ma non c’è solo questo nelle sue foto. C’è anche un distacco ironico da questa femminilità che a me pare storicamente più importante di ogni fondamentalismo sulla supposta essenza della foto politicamente corretta..

Come otteneva Avedon questo distacco? Attraverso una foto pensosa. Ma come si può catturare il pensiero con una foto?  E’ chiaro, suggerisce Avedon, la lo si cattura solo truccando la realtà; lo si incapsula nel campo di una foto attraverso una finzione.

Le foto di moda e forse anche i ritratti  fatti da Avedon probabilmente mentono su ciò che le persone sono, ma occorre tenere presente che, probabilmente, proprio grazie alle note di falsità indotte dal modus operandi del fotografo, essi riflettono benissimo ciò che la gente vorrebbe essere. In altre parole, e mi riferisco alla moda,  Avedon ha fotografato il desiderio del soggetto (femminile) di identificarsi con un’Altra idealizzata, in un momento in cui subiva un evidente cambiamento. La cattura di questa nuova impronta della femminilità richiedeva una certa forzatura. La sua adesione (non so quanto fosse mediata da letture filosofiche) all’esistenzialismo, divenuto popolare proprio quando Avedon rivoluzionava la foto di moda, lo mise sulla strada giusta per costruire il repertorio di gesti ed espressioni che evocavano una bellezza pensosa. Se l’essere dell’esistenzialismo è concreto (si interessa di individui e non di concetti o di classi), se dunque il soggetto è  sostanzialmente solo e fatto di un nulla (da qui l’angoscia del vivere), dunque profondamente libero ecco allora che la scelta di avere stile è la sintesi perfetta della sua esperienza interiore. E’ chiaro che il massimo a cui possa ambire è una recita utile per dissimulare con grazia il fondo di angoscia che lo rende unico (le interpretazioni di Avedon nei suoi ritratti hanno sempre qualcosa di pessimistico; anche in molte sue foto di moda negli anni cinquanta aldilà di una superficiale e scontata gioia di vivere, è presente un certo disincanto, tale per cui, risultano ai miei occhi stranamente intelligenti).

Insomma Avedon ha celebrato e nello stesso tempo criticato una società votata allo stile.

Il problema che si è posto e che ci lascia in eredità ha questa forma:

Se l’essere, rompicapo della metafisica, diviene nella modernità puro stile e lo stile impone dei ruoli, delle pose, come possiamo rimanere semplicemente umani?

La risposta di Avedon alla questione sembra suggerirci che non possiamo rimanere umani senza teatralità. Lo stile rende anti-fragile il soggetto spaccato in più parti dalle aporie prodotte dalla modernità.

Dobbiamo tuttavia aggiungere che Avedon ha esplorato a lungo le figure umane che sembrano porsi in una sorta di aldilà dello stile. Se sfogliate la sua autobiografia per immagini verso la fine del libro che ho citato, il nostro sguardo urta contro immagini tratte da manicomi, immagini di folli, di mummie da catacomba…

Cosa significa? Perché Avedon ha fatto questa scelta? Mettiamola giù così: vuole dirci che aldilà dello stile c’è l’angoscia, la follia, l’implosione dei valori comuni, l’ombra della morte che divora la vita.

richard avedon e Audrey Hepburn
Richard Avedon e Audrey Hepburn

L imago femminile di Avedon

 

In una intervista uscita nell’1985 sulla rivista Egoiste il fotografo per la prima volta parlò pubblicamente del rapporto con la sorella Louise:

“La bellezza di Louise… fu l’evento centrale della nostra famiglia e la rovina della sua vita. Lei era molto bella, di due anni più giovane di me. Veniva trattata come se non ci fosse nulla dentro la sua pelle perfetta, come se fosse nient’altro che il suo collo sottile, i suoi profondi occhi castani. Penso che credesse di esistere solo come pelle e capelli e uno splendido corpo. È interessante che io non abbia mai guardato una sua foto in trent’anni e che solo la settimana scorsa abbia aperto la scatola dei miei primi ritratti, del tempo dell’adolescenza. Tutte le famiglia pensano che la loro figlia e il loro figlio siano i più bei bambini del mondo, ma mia sorella Louise era davvero una bellezza superiore, e io non l’ho mai saputo fino alla scorsa settimana. Solo allora ho scoperto qual era il prototipo di ciò che avevo considerato bello nei primi anni della mia carriera di fotografo. Tutte le mie prime modelle – Dorian Leigh, Elise Daniels, Carmen, Marella Agnelli, Audrey Hepburn – erano brunette e avevano piccoli nasini, colli affusolati, visi ovali. Erano tutti ricordi di mia sorella”.

Luoise morì in una casa di cura per dementi a soli 42 anni.

Trovo intrigante che l’indagine sul ruolo della bellezza e del fascino inaugurata da Avedon mi porti a prendere sul serio una origine così psicoanalitica della imago ideale che alimentava i suoi pensieri inconsci. Questo mi aiuta a comprendere una piccola scoperta che sia Avedon che Penn fecero nell’immediato dopoguerra. Essi furono la prima generazione di fotografi che cominciò a capire quanto la relazione empatica tra la modella e il suo fotografo fosse feconda per il lavoro.

“Quando Penn e io lavoravamo  davvero, instauravamo con le modelle una relazione intensa come quella del coreografo con le ballerine” (sia Avedon che Penn legarono la loro vita a delle modelle). Le foto che lo ritraggono con Twiggy sono un buon esempio di questo particolare gioco a due. Avedon forza la modella ad uscire dalla propria personalità per assumerne una diversa. E’ chiaro che si tratta di una forzatura che implica complicità. Nessuno gioca volentieri con il primo che passa per strada.

D’altronde la ricetta che il fotografo ha sempre ricordato ai suoi allievi era: “Prendi una modella che t’ispira e poi pensala come donna”.

In realtà, una generazione prima di Avedon, Steichen aveva già sottolineato l’importanza decisiva della personalità della modella nella resa dello scatto di moda. Attribuiva infatti alla fotogenia della sua preferita, la Morehouse, parte del successo che riscuoteva il suo lavoro come fotografo di moda. Anche Erwin Blumenfeld aveva sostenuto la stessa cosa, sottolineando l’importanza di suggestioni sensuali per conferire alla foto una particolare espressività. David Bailey negli anni sessanta arriverà ad erotizzare in modo spudorato il rapporto con la modella, teorizzandone la fecondità per distribuire sulla superficie fotografica la patina di desiderio senza la quale la “moda” sarebbe apparsa fredda e distaccata. Comunque va ricordato che già il grande Stieglitz, quando iniziò la sua relazione con Georgia O’Keeffe, intorno al 1917, cominciò a teorizzare che fotografare è un po’ come fare all’amore. In un’intervista del 1942 Walker Evans espresse lo stesso concetto: “Il mio lavoro è fare all’amore”.

Ma lo stile d’interazione di Avedon è completamente diverso da quello dei suoi colleghi. Non si tratta del riconoscimento di un corpo di eccezionale fotogenia e nemmeno di un coinvolgimento passionale. Avedon sembra giocare con la modella, e mi viene da aggiungere, riesce a giocare come un fratello che ama la propria sorella. In altre parole, la corrente pulsionale attivata dalla percezione visiva è attiva e narcotizzata nello stesso tempo.

Richard Avedon Place de la Concorde
Richard Avedon Place de la Concorde

Forse è esagerato sottolineare troppo l’influenza di Louise. In definitiva l’ideale femminile proposto da Avedon è presente nella nostra cultura almeno dal XIX° sec. Pensate ai quadri di Boldini, di Sargent o ai Modigliani più acclamati… Figure slanciate, colli sottili, serenità, una bellezza delicata quanto un fiore… Ma c’è una differenza. Le donne perfette di Avedon sono argute, un po’ beffarde e soprattutto intelligenti.

Il suo sguardo nella foto di moda è tra il maritale e il fraterno; è amichevole e protettivo … Uno sguardo che non cade mai nell’appetito. Nessun bisogno di conquista.

E’ suggestivo congetturare che Avedon, influenzato dall’imago di Louise, abbia fotografato ciò che Louise non era ma avrebbe voluto che fosse: una donna intelligente, ironica, capace di giocare con lo sguardo avido di bellezza dell’altro, senza perdersi. Non bisogna certo aver letto lo “Stadio dello specchio” di J.Lacan per capire che soprattutto per il soggetto femminile “essere guardata” può strutturarsi come un problema.

Comunque sul fatto che la sorella abbia avuto un ruolo da non sottovalutare è una evidenza che possiamo ritrovare in altre dichiarazioni del fotografo: “portavo mia sorella al parco per ritrarla…Lei è stata anche la mia prima modella. La facevo posare…cercando di riprendere quelle nuvole alla Toni Frissell nel cielo, imitando le foto che avevo visto su Bazaar… Attaccavo le foto tratte dalle riviste di moda…Poi andavamo al parco qui vicino e mi mettevo al lavoro”.

Noto altresì che è esattamente questa la matrice compositiva che il fotografo utilizzerà per i suoi famosi ritratti. Mettere in posa, teatralizzare, recitare… L’ho già detto sopra, parafrasando a più riprese le parole del bel saggio che scrisse Adam Gopnik pubblicato sul catalogo della mostra “Evidence”(1994)…le sue foto non ci mostrano le persone come sono ma come vorrebbero essere o come il fotografo vuole che siano. Da qui le scontate critiche al fotografo dei cultori della foto verità (Walter Evans, August Sander, Dorothea Lange, Cartier Bresson, Robert Franck…).

Avedon è spettacolare, sa quanto il fascino dell’esibizione crei valore per le persone. Non è forse vero che la nostre apparenze possono creare valore? Possiamo liquidare la parata dell’essere come un fastidioso effimero narcisismo?

Nelle sue fotografie di moda (ma non solo di moda) la costruzione della femminilità non impedisce di cogliere il tentativo riuscito di dare un’immagine virtuosa del femminile.

In altri termini, è vero che la Donna di Avedon, presa nel ricettacolo dei suoi artifici, è irreale ma è più importante notare che le sue donne ci fanno percepire in modo chiaro e distinto l’ideale che rappresentano… A me appaiono generose, argute, cariche di humor… Donne che conoscono il potere della loro bellezza ma che hanno la capacità di sottrarvisi con ironia.

Il mio imbarazzo non è certo nel riconoscimento della manipolazione del fotografo. Ma piuttosto nel fatto che questi ideali sembrano appartenere solo alle donne (intorno ad esse gli uomini sembrano più che altro dei rincoglioniti).

La femminilità, lo stile hanno bisogno dell’artificio e quindi è comprensibile il costruttivismo di Avedon. Costruita ma non inventata, ovvero la magia di Avedon risiede nel fatto che questa ipotesi di femminilità è modellata a partire da riflessioni serie sulle stanze più intime dell’essere, nelle quali il fotografo inventa porte e finestre. Da qui la necessità del gioco empatico con la modella con la conseguente impronta di gaiezza e affermazione di vita che le sue foto promanano, malgrado il rumore di fondo esistenziale.

Come scrive stupendamente Adam Gropnik..”La pura immagine e il reale sentire sono nel suo modo di vedere inseparabili anziché puritanamente opposti”.


Dovima with the Elephants

 

“Dovima with the Elephants, Evening dress by Dior” scattata a Parigi nel 1955, rappresenta a mio avviso uno dei capolavori assoluti di R. Avedon e probabilmente della fotografia di moda.

Nella foto tutto è mitico e al tempo stesso un po’ melanconico.

L’abito in velluto nero con la fascia di satin è di Dior. Ma oggi sappiamo che in realtà si tratta di una delle prime creazioni di un giovanissimo Yves Saint Laurent, in quei giorni giovane modista presso il grande maestro. Si tratta dunque di una immagine che marca la fine del new look e l’inizio di una nuova fase nella storia della moda.

La modella è la celebre Dovima, famosa per la sua glaciale e grafica bellezza.

Per percepire l’impressionante bravura del fotografo occorre rifarsi ai termini della sfida che con ogni probabilità decise di raccogliere.

Infatti prima di lui solo tre fotografi avevano cercato di catturare l’elefante, il mammifero terricolo più pesante e sgraziato del pianeta, nel campo della fotografia di moda.

Se Toni Frissell ne aveva pubblicato l’immagine in un servizio su Vogue dedicato allo zoo, seguendo un progetto editoriale tipico degli anni ’40 e ’50, inteso ad arricchire i magazine femminili con reportage di altro genere rispetto la moda, Herman Landshoff e Louise Dahl-Wolf cercarono senza grande successo di costruire una forma significante inedita raffigurando elefanti insieme a modelle.

Pur essendo entrambi bravi fotografi i loro scatti suscitarono curiosità ma furono subito dimenticati.

Nella foto di Avedon invece la sincronizzazione dei movimenti dei due elefanti con la modella ha del miracoloso. La grazia che rende armonioso ciò che non lo è? La superficie liscia della modella e dell’abito che emergono come in un bassorilievo per via del contrasto con la pelle grinzosa dei pachidermi? L’eleganza che simbolizza l’imbrigliamento delle pulsioni animali? O il contrario: la domatrice di lusso che evoca simulacri di perversione? Insomma, sarebbe la versione avedoniana de’ la bella e la bestia?

Il fotografo ci lascia liberi di scegliere, di volta in volta, l’interpretazione che ci piace di più. Ci impone, per contro, il rispetto per la moda, perché ci colloca proprio al posto delle bestie, incatenati a terra, un po’ eccitati o irritati, mentre la donna/farfalla sta forse per volare via.

Non ho mai visto un modo più ironico per simbolizzare l’asimmetria radicale che la comunicazione della moda impone al proprio referente. Qual è il modante che non si arrende di fronte a tanta perfezione? Ma l’ironia non ci rende al tempo stesso liberi di sorridere della moda?

Mi piace immaginare che il metasignificato di questa fotografia e, forse, di gran parte degli shooting dedicati alla moda da Avedon, sia una sorta di massima morale che metterei giù così: se vuoi sopravvivere alla Moda devi imparare ad amarla senza crederci.

Dovima withthe Elephants
Dovima with the Elephants

Lamberto Cantoni
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90 Responses to "Richard Avedon, la necessità dello stile."

  1. Roberto   2 Maggio 2016 at 16:42

    Avedon è un grande. Non ho letto tutto l’art. ma non pensavo che avesse avuto una carriera così lunga. Per me sono i ritratti che sono unici. Nella moda non mi fa impressione.

    Rispondi
    • Marco   3 Maggio 2016 at 17:49

      Avedon è stato un grandissimo in tutto quello che ha fatto. Fare distinzioni qualitative tra i generi significa non avere compreso il suo stile.

      Rispondi
  2. Piero   2 Maggio 2016 at 16:56

    Tra i ritratti e le foto di moda di Avedon c’è una bella differenza! Non so se sono d’accordo con l’autore. La moda è senz’altro più redditizia. Può darsi che con i ritratti Avedon cercasse qualcosa di diverso.

    Rispondi
  3. Claudia   3 Maggio 2016 at 13:17

    Interessante l’ipotesi di Avedon come quello che ha creato l’immagine della modella che recita come un’attrice invece che essere praticamente una bella statuetta. Mi chiedo da chi ha preso ispirazione. Forse dalle giornaliste che nelle foto dell’articolo si vede che guidano il fotografo.

    Rispondi
    • Marco   3 Maggio 2016 at 13:43

      A me sembrano delle megere, vecchie e cattive. Quelle non erano in grado di creare nulla. Avedon invece era giovane e interessato alla giovinezza. Non mi stupisco che sia riuscito a darne una visione moderna per quei tempi.

      Rispondi
      • Lilli   3 Maggio 2016 at 13:55

        Diana Vreeland che Marco definisce vecchia megera è stata una donna straordinaria che ha rivoluzionato la moda. Avedon le deve moltissimo. Carmel Snow non la conosco ma se l’autore ha scritto cose giuste anche lei ha contribuito a far diventare Avedon un fotografo dominante. Le foto dove sono insieme testimoniano che è sbagliato pensare che la foto di moda sia il frutto del genio del solo fotografo. Dietro c’è un mondo di professionisti del quale se ne parla troppo poco.

        Rispondi
  4. Renate   3 Maggio 2016 at 13:30

    Io preferisco le foto di moda. I ritratti sembrano delle maschere più che personalità. A cosa serve un ritratto che dice il falso?

    Rispondi
    • James   3 Maggio 2016 at 17:53

      Hai ragione sono pochi i ritratti che reggono il confronto con Dovima e gli elefanti. Il problema è che la foto di moda viene ancora vissuta da tanti come una foto di serie B.

      Rispondi
      • Giulia   3 Maggio 2016 at 18:17

        Non è proprio vero. Oggi tutti i musei fanno a gara per presentare mostre sulla moda. Non è un caso se l’articolo del prof parte da una grande mostra. Diciamo piuttosto che di foto di moda ne vediamo troppe e questo genera assuefazione.

        Rispondi
  5. Ale   4 Maggio 2016 at 09:08

    Assuefazione o alienazione? La foto di moda funziona ancora?

    Rispondi
  6. Luigi   5 Maggio 2016 at 07:42

    Il canone d’eccellenza della foto di moda non esiste. Senza questo parametro come facciamo a decidere se una foto di moda è rilevante oppure no? L’arbitrarietà del giudizio e il soggettivismo dominano il settore. Questo favorisce la mitizzazione del fotografo e la sua trasformazione in star della comunicazione effimera.

    Rispondi
    • Frank   5 Maggio 2016 at 15:49

      Anche l’arte oggi ha difficoltà con i canoni. Quindi non vedo problemi di sorta. Come in tutti i settori estetici sono i critici che hanno accesso ai media più importanti a stabilire se un fotografo vale più di un altro. E poi c’è il mercato. Può non piacere ai romantici idealisti ma se un fotografo viene pagato molto di più di un’altro, una ragione ci deve pur essere. Avedon è al top sia tra i critici e sia per il mercato.

      Rispondi
  7. Alessandra P   7 Maggio 2016 at 15:02

    A mio parere tutto l’operato di Avedon ci ricorda che anche se la fotografia è oggettivamente impressione diretta del reale, soggettivamente deve evocare altri significati. Come ha scritto lei nell’articolo “L’avvenimento fotografico … è sempre rappresentazione” insomma una mise en scène, poiché parliamo sempre di una forma d’arte (aggiungerei io), quindi ha il dovere non tanto di rappresentare ma di evocare, richiamare alla mente e rendere possibile il passaggio del fruitore da passivo a attivo, da osservatore superficiale a pensante, coinvolgendolo nella creazione dell’opinione che l’immagine ha e che l’immagine suscita. Detto questo, l’idea che l’essere umano non possa prescindere dallo stile mi fa fa pensare che a questo punto utilizzi lo stile quasi come una corazza a difenderlo da una realtà angosciosa e al contempo a illuderlo di una possibile realtà migliore… sembra che Avedon dica tutto e il contrario di tutto nelle sue opere, ci voglia far credere di una verità che non è reale, perché sa che come l’arte anche la verità è soggettiva, “colei che mi si crede”, e sa che solo al pazzo piace la verità privata da qualsiasi alone di finzione.

    Rispondi
    • Martina   8 Maggio 2016 at 21:46

      Mi ha colpito l’intervento di Alessandra. Lo stile come una difesa contro l’angoscia dell’essere posto di fronte alla sfida della moda. Mi piace la profondità di questo pensiero e la sua insostenibile leggerezza.

      Rispondi
      • Sophia   9 Maggio 2016 at 09:45

        Trovo molto interessante l’idea dello stile come resistenza all’angoscia. Anche perché permette di capire l’importanza della moda business a parte. Se ho ben capito Alessandra dice che Avedon con il suo stile ci insegna qualcosa che va oltre alla bellezza delle sue foto. Bel pensiero! Complimenti

        Rispondi
        • Anna   10 Maggio 2016 at 13:14

          Io l’angoscia nelle foto di moda proprio non ce la vedo. A dire il vero non trovo nemmeno intelligenti le modelle di Avedon. Sembrano civettuole e leggere come le voleva l’ideologia della moda anni 50/60.

          Rispondi
  8. Giorgio   10 Maggio 2016 at 10:09

    Io preferisco Irving Penn. Sono entrambi dei n.1 ma Penn è più artistico quindi creativo. Peccato che da un po’ si parli poco delle sue immagini moda.

    Rispondi
  9. Fabio   10 Maggio 2016 at 13:05

    Io invece preferisco la classicità di Cecil Beaton che trovo oggi molto sottovalutato. Comunque niente da dire su Avedon, un grandissimo. Purtroppo la differenza la fanno i critici. Per esempio non ho mai letto articoli approfonditi come quello su Avedon scritti recentemente per Beaton. Forse ci sono nelle riviste inglesi ma in Italia dove non abbiamo molto rispetto per la fotografia di moda molti grandi del passato sono quasi sconosciuti.

    Rispondi
  10. Romano   13 Maggio 2016 at 09:31

    Bell’articolo. Peccato che l’autore non abbia inserito tra i protagonisti della prima fase avendoniana anche William Klein che considero di primaria importanza nel contesto della foto di moda.

    Rispondi
  11. Gilberto   17 Maggio 2016 at 07:58

    Dopo una frettolosa lettura mi viene da scrivere che la difficoltà di fare una analisi critica del lavoro di Avedon dipende essenzialmente dalla sua lunghissima carriera.
    Negli anni cinquanta leggo che rivaleggiava con Penn e altri grandi fotografi come Beaton…; nei sessanta se la vedeva con i giovani fotografi londinesi; nei settanta con i trasgressivi Newton e Bourdin; negli ottanta con i fotografi glamour; nei novanta con fotografi artisti del calibro di Maisel… In ogni confronto Avedon ha saputo cambiare e al tempo stesso rimanere se stesso. Forse ha ragione l’autore dell’articolo a presentarlo come il migliore.

    Rispondi
  12. Sara P   17 Maggio 2016 at 10:12

    Penso che Richard Avedon sia stato un grande artista, le sue fotografie rimarranno per sempre contemporanee. Ha collaborato con altri fotografi ma ha sempre mantenuto la sua personalità e identità, caratterizzata da una grande tecnica. Il nostro passato pullula di grandi fotografi con i quali è difficile reggere il confronto ma i nostri fotografi di oggi possono vantare allo stesso tempo, un grande insegnamento. Tutti i fotografi citati nell’articolo sono diversi tra loro, con tecniche e caratteristiche artiche ben distinte, c’è da dire però, che proprio grazie a questo, ancora ce li ricordiamo.

    Rispondi
  13. Mgalli   17 Maggio 2016 at 12:44

    Avedon effettivamente rispetta le modelle non è mai totalmente sexy. Interessante il discorso sulla sorella vittima della sua bellezza

    Rispondi
  14. Sabrina Turturici   22 Maggio 2016 at 16:56

    Si potrebbe definire la fotografia di moda come una immagine realizzata per fornire un racconto della collezione di abiti e accessori da vendere. Ma come detto da lei Avedon nonostante fosse un ritrattista, si caratterizzava per essere un fotografo di moda, che vedeva le modelle come delle vere persone piuttosto che come dei manichini; lui non le riprendeva in pose tradizionali ma con espressioni naturali e di gioia.
    Avedon era un artista non soggetto alla formalità però avendo sempre una eccessiva cura dei dettagli. Le sue fotografie avevano sempre una storia da raccontare. Lui fotografo non solo modelle ma anche persone normali, a lui non interessava mostrare solo un abito o un accessorio, lui cercava, come detto da lui, andare oltre la superficie e far notare in tutte le maniera la personalità del soggetto fotografato. “Le mie fotografie non vogliono andare al di là della superficie, sono piuttosto letture di ciò che sta sopra” (Cit. Avedon).
    Quindi possiamo dire che il lavoro di Avedon è stato vastissimo e complesso, non si occupo solo della fotografia di moda ma anche di notizie e attualità.

    Rispondi
  15. Ginevra P   22 Maggio 2016 at 23:50

    Richard Avedon possiamo classificarlo uno dei primi fotografi sperimentatori grazie alla sua carriera di reporter, mostrando l’impronta glamour ma rimanendo sempre nella realtà come un documentario. Mostrando una sensibilità più che riconosciuta come ad esempio la prima foto che viene mostrata nell’articolo “Dovima with the Elephants” riesce a a creare armonia tra tutte le tonalità dei grigi dell’ambiente e degli elefanti con il vestito della modella, le mani appoggiate sugli animali stessi, ma vuole comunque dare la possibilità di scelta interpretativa allo spettatore. Nel mio caso la foto mostra due elementi importanti nella moda grazia (l’abito) e potenza (la posizione della modella e tutto l’ambiente circostante compreso gli elefanti)

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   23 Maggio 2016 at 07:36

      Ginevra, fai attenzione alla logica: un foto reporter sperimenta assai poco dovendo aderire a ciò che il senso comune visivo chiama “la realtà”. Nel caso di Avedon non possiamo dire che fu uno “sperimentatore grazie alla sua carriera di reporter”. Probabilmente, penso, volevi dire che sulla scorta della lezione di Munkacsi, fotoreporter sportivo, elaborò una bellezza in motion piena di energia e nuove significazioni.
      Condivido la tua lettura della foto di Dovima.

      Rispondi
  16. Nicole P.   10 Novembre 2016 at 09:22

    A mio parere ha lasciato un vuoto per quanto riguarda la fotografia di moda. Mi sorge dunque spontaneo chiedermi: chi potrà essere considerato il suo erede?

    Rispondi
    • Lucia   11 Novembre 2016 at 20:39

      Io credo che Maisel sia oggi l’unico che possa essere paragonato ad Avedon.

      Rispondi
  17. Francesca PP.   11 Novembre 2016 at 11:11

    “La grandezza di Avedon risiede nella varietà di modi con cui cercava di catturare ciò che la moda non può raccontare con tessuti e abiti”: attraverso le fotografie di Richard Avedon l’immagine della donna cominciò ad arricchirsi con emozioni oltre all’oggetto o il capo indossato.
    Così a partire da queste affermazioni, ho cercato alcune immagini del fotografo per vedere concretamente come potesse mettere in pratica queste idee. Una delle foto più celebri di Avedon è sicuramente quella che raffigura una donna con degli elefanti, lei è ferma in posizione statuaria, mentre gli elefanti sono in movimento. Una composizione perfetta di corpi in movimento: in questo caso il movimento parte da un’onda del corpo della donna, passando per la sua mano fino alla proboscide dell’elefante e alla punta del piede. Il movimento è presente in altri scatti, come in una giravolta di gonna, in un passo di danza, in un drappo dell’abito sospeso nell’aria. Nella fotografia con Stephanie Seymour, Richard Avedon è riuscito a creare una nuova silhouette attraverso le forme del corpo della modella e i capi indossati, creando quasi un’illusione con i colori (immancabili bianco e nero) che sembrano rendere la modella sospesa nel vuoto.

    Rispondi
  18. Martina P.   12 Novembre 2016 at 13:26

    Avedon e il suo lavoro sono molto importanti perchè è stato il primo ad infrangere le barriere tra la cosiddetta fotografia impegnata e quella disimpegnata. La sua fotografia di moda risulta vivace e dinamica (soprattutto perchè non resta chiuso in uno studio, ma porta le modelle sulle strade di Parigi, nei caffè, nei varietà.)
    I ritratti li trovo dei veri e propri capolavori. Avedon aveva metodi bizzarri e interessanti per riuscire a tirar fuori le emozioni dalle persone che fotografava. Ogni ritratto ci resta impresso, indelebile. Davanti al vuoto che creava (nessuno sfondo, nessun oggetto di scena, tanto bianco e lui, che sono sicura mettesse in soggezione chiunque) c´era chi si disorientava, chi si intimidiva, chi si innervosiva. Celebre il ritratto di Marilyn Monroe colta nel momento in cui si perde in se stessa, nel vuoto che la opprime. Trovo particolarmente curiosi due episodi che rappresentano la personalità e i metodi fuori dal comune di questo artista. Mi riferisco al ritratto di Ezra Pound e a quello del duca e la duchessa di Windsor.
    Nel primo caso, Ezra Pound era uscito dal manicomio criminale nel ‘59, dopo dodici anni di detenzione per tradimento e antisemitismo, e Avedon lo accolse con queste parole: «Credo che lei debba sapere che io sono ebreo». Questa frase portò Pound all’espressione che troviamo nella fotografia.
    Per quanto riguarda i rigidi cognugi Windsor, Avedon utilizzò una tattica diversa; conoscendo la loro passione canina, li fece aspettare un quarto d´ora e arrivò ansante, dicendo: «Scusate il ritardo ma il mio taxi ha travolto un cane». Così ottenne l’espressività che cercava.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   12 Novembre 2016 at 14:48

      Ottimo intervento Martina. Mi hai donato tante informazioni preziose. Riguardo alla frase iniziale ho molti dubbi. Dovresti guardare le foto di Man Ray, di Blumenfeld, di Toni Frissell, di Steichen, di Munkacsi … Avedon non si discute, ma la foto di moda non nasce con lui e probabilmente tra gli anni venti e trenta del novecento tanti fotografi hanno infranto la barriera di cui parli.

      Rispondi
  19. Elena PP.   12 Novembre 2016 at 15:38

    Avedon ha fotografato i più grandi personaggi dei sui tempi.
    I suoi ritratti non si limitavano a mostrare solo la superficie ma andare oltre, mettendo in luce in qualche modo la personalità dei soggetti fotografati.
    Basti pensare alla fotografia scattata a Marilyn Monroe, colta di sorpresa in un’espressione quasi triste e pensierosa.
    Infatti ad Avedon viene attribuito il merito di aver rivoluzionato la fotografia di moda inserendo le modelle in contesti inattesi. Lui però fotografava anche molte persone comuni, ad esempio il padre colpito dal cancro, lo raffigura in dei ritratti dall’inizio della malattia fino alla morte, lui racconta delle verità dal fortissimo impatto emotivo e riesce ad immortalare ogni singolo sentimento, come la folla fotografata durante l’abbattimento del muro di Berlino, le immagini esprimono una varietà di emozioni bellissime e contrastanti e facilmente riconoscibili agli occhi di chi guarda le fotografie.

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  20. AgneseP   13 Novembre 2016 at 16:21

    Ritengo che interrogarsi sulla fotografia di moda o periodo storico poco importi quando si parla di Avedon.
    Mi trovo d’accordo con l’autore infatti quando parla di spensieratezza all’interno dei suoi lavori… Quest’ultima insieme alla bellezza e alla perfezione che trasmettono le sue fotografie contribuisce a far provare all’osservatore un’esperienza non solo visiva ma che coinvolge tutti e cinque i sensi… Credo che i lavori di Avedon siano delle vere e proprie storie caratterizzate da un ordine che raramente si può trovare in natura… Come se per una volta finalmente, tutto si trovi al posto giusto nel momento giusto.

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  21. Francesca PP   13 Novembre 2016 at 18:07

    Se penso a Richard Avedon come fotografo di moda la prima cosa che subito mi viene in mente è l’equilibrio che è presente nei suoi scatti, lo stesso equilibrio che dà origine a forme geometriche e inaspettate.
    Le sue foto sembrano mai scattate a caso, come se dietro di esse ci fosse uno studio preciso per far risultare sempre impeccabile lo scatto.
    Per quanto riguarda i suoi eccelsi ritratti Avedon, invece, pare che lasci da parte ogni precisione e perfezione per poter captare la vera essenza di chi sta davanti a lui, rompendo l’equilibrio fra realtà e finzione del personaggio.
    Ricordo quando vidi la sua celebre fotografia di Marilyn Monroe la mia prima reazione fu di stupore, per la prima volta vedevo una Marilyn diversa, più umana e più vera.
    Mi sembrava di essere li in quel momento e di capire perfettamente cosa, la diva hollywoodiana stesse provando.
    Penso che Avedon sia uno dei fotografi più rivoluzionari di tutti i tempi.

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  22. Virginia P.P.   13 Novembre 2016 at 19:51

    Osservando gli scatti di Avedon mi viene in mente il silenzio. Non so perchè. E’ come se attraverso il suo studio del movimento in realtà a me arrivasse un senso estremo di staticità istantanea, come se i soggetti ritratti fossero stati tramutati improvvisamente in statue per un istante. Mi conferiscono un senso di congelamento temporale, un secondo rubato per sempre allo scorrere del tempo.
    Tutto ciò è enfatizzato dal chiaro-scuro della scelta delle foto in bianco e nero che, particolarmente nelle immagini di moda, rendono la bellezza delle modelle di una perfetta, elegante, glacialità a parer mio disarmante.
    Lo spettatore finisce per trovarsi estraneo alla foto, non potendo far altro che arretrare di fronte all’imperiosità ieratica dei soggetti, come se fossero statue neoclassiche.

    Ciò che apprezzo maggiormente del suo lavoro sono i ritratti non legati alla moda, che scaturivano davvero in modo così inusuale, come dice Martina P.: il mio preferito resta quello di Marilyn Monroe, che per un istante – un solo istante – torna, attraverso la sua lente, ad essere Norma Jeane.

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  23. Ausilia P   13 Novembre 2016 at 20:59

    Le critiche mosse all’artista, del quale non si puo’ mettere in discussione il notevole talento, sono date dall’incapacità di cogliere le giuste emozioni. Le foto di Avedon sia di moda che in generale i ritratti manifestano un forzato equilibrio ma al tempo stesso una sorta di perfezione surreale. Non è la foto dell’artista che coglie l’attimo, è tutto studiato nei minimi dettagli. Nonostante il controllo dell’artista sulla fotografia non manca però la spontaneità che seppur non si coglie nell’immagine ritratta è presente. Coloro che guardando tali foto non riescono a concepire le diverse sensazioni che difficilmente coesistono nella realtà (perfezione,emozione,spontaneità), a mio parere,
    tendono a criticarlo proprio perchè non abituati a concepire aspetti cosi distanti tra loro.

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  24. Camilla P   13 Novembre 2016 at 21:56

    L’operato di Richard Avedon non inventò la Fotografia, tantomeno quella di moda, ma creò un nuovo modo per guardala e capirla. In modo particolare il percorso costruito per Dior, con cui ebbe una lunga collaborazione. I suoi scatti permettevano di osservare la moda attraverso uno stato di grazia, leggerezza, humor, drama ed eleganza. Avedon ha dato prova di se stesso e del suo talento in scatti che ritraggono personalità diverse che abitano in corpi che non sono circoscritti al mondo del Fashion. Un esempio potrebbero essere i 762 ritratti di The American West, rappresentanti uno stuolo di personalità diverse che in comune avevano lo stesso luogo di nascita. In ogni foto i soggetti, seppur immobili, riescono a trasmettere attraverso lo sguardo e l’espressione del viso la propria personalità, facendo emergere il lato più profondo delle persone, dall’operaio all’impiegato. Per questo dava una grande importanza alla gestualità; la posizione del soggetto, con i suoi gesti rappresentavano simbolicamente la sua psicologia e i suoi sentimenti. Riusciva ad umanizzare e normalizzare ogni suo scatto, rendendolo vero e mostrandolo come un mezzo per esplorare avvenimenti e tematiche di interesse culturale, sociale, politico e personale. Portandolo così ad affermare che “nel momento che un fatto o un’emozione viene trasformato in fotografia, non è più considerabile un fatto ma deve essere analizzato come opinione”. A questo proposito un esempio congenito è sicuramente il ritratto di una diversa Marilyn Monroe nell’ottantanove. La sua fotografia filtra la vita attraverso la luce dello stile. La sua collaborazione con il mondo della moda può rappresentare l’eleganza e la bellezza ma anche brutalità e sofferenza. Però riesce a scardinare con i suoi ritratti le composizioni artificiali che sono al limite della perfezione, portando su pellicola una realtà sentimentalmente più oggettiva. Avedon riuscì a far stabilizzare la Fotografia come forma d’arte contemporanea, rendendola ogni giorno che passava la sua linfa vitale. Oggigiorno credo che la nostra realtà si stia artificializzando e servirebbe un nuovo Avedon capace di spaziare in diversi abiti filantropici, normalizzando ciò che viene esaltato ed esaltando ciò che è obiettivamente normale.

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  25. Gloria PP   13 Novembre 2016 at 22:08

    Solitamente le modelle che posavano per le grandi riviste erano sempre ritratte in pose statuarie e rigide. Avedon scompigliò queste pose, immortalando le sue modelle in movimento. Questo “disordine” emergeva anche nella scelta dei set come la strada, i locali notturni o il tema circense, che erano insoliti all’epoca.
    In ogni scatto ciascuna persona, seppur immobile, riesce a trasmettere attraverso lo sguardo o l’espressione del viso la propria personalità, facendo emergere sulla pellicola il lato più profondo delle persone.
    Questa espressività si può notare sopratutto nelle fotografie che ritraggano gli orfani nella guerra in Vietnam, il padre malato di cancro e nel progetto “The American west”.
    Dal 27 febbraio 2015 fino l’11 aprile 2015 presso la galleria d’arte Gagosian di Roma sono stati esposti degli scatti che hanno immortalato il lavoro del fotografo dagli anni ’40 in poi. La mostra fu intitolata “Avedon, beyond the beauty” seguiva il filo rosso della femminilità esaltata dal fotografo. Il percorso espositivo era volto ad indagare la sfuggevolezza e la dinamicità delle sue modelle che, risultano sempre eversive e curiose.

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  26. Eleonora P   13 Novembre 2016 at 22:23

    La straordinaria forza di Avedon sta nel congelare attraverso la fotografia le espressioni dei grandi personaggi. Riesce ad entrare in intimità con i soggetti così tanto da catturare le caratteristiche più singolari e quelle nascoste ai comuni spettatori. Grazie alla fotografia di Avedon, entriamo in connessione con i soggetti ritratti, fino a respirare la loro essenza.

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  27. Giulia P.   13 Novembre 2016 at 23:33

    Se ci si sofferma un attimo a guardare i lavori di Avedon noteremo un sottile minimalismo necessario per catturare la vulnerabilità, il tutto rimarcato dal frequente utilizzo del bianco e del nero. Le sue immagini sono un turbine di emozioni e sensazioni, a volte surreali, spesso con un tocco di provocazione.
    In molte delle sue interviste Avedon dichiarava che le sue fotografie erano fotografie di se. Questo secondo me è un carattere che sa distinguere un creativo da un altro. Perché al giorno d’oggi non abbiamo un Avedon per stupirci ed affascinarci? Forse perché nessuno è più in grado, come faceva lui, di mettere se stesso all’ interno delle proprie opere, mettendo a nudo le proprie fantasie.

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  28. Sara P.   14 Novembre 2016 at 00:02

    Avedon è stato senza dubbio uno dei più grandi fotografi, il suo stile è unico e inconfondibile, è celebre infatti in tutto il mondo per le sue fotografie in bianco e nero. Il suo più grande contributo è legato al mondo della moda, in questo ambito infatti riuscì a cambiare il concetto di foto nella moda. Solitamente le modelle che posavano per le grandi riviste erano sempre ritratte in pose statuarie e rigide, Avedon scompigliò le pose scultoree, immortalando le sue modelle in movimento e conferendogli sempre un carattere particolarmente ribelle. Questo “disordine” emergeva anche nella scelta dei set come la strada o i locali notturni. Possiamo infine aggiungere che le sue fotografie rivelano, narrano ed entrano nel cuore delle persone rappresentate.

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  29. Angela P   14 Novembre 2016 at 00:17

    Avedon ha senza dubbio rivoluzionato la fotografia di moda; fotografando le modelle come persone reali più che manichini, in scenari insoliti, come per strada o in locali notturni, e colte mentre ridono o comunque in pose dinamiche ed inconsuete.
    Anche se le foto che più mi emozionano sono gli scatti del padre malato di cancro, esposte nel 1974 al Moma. Nello sguardo del padre si legge tutto il dolore della malattia. “Un’operazione concettuale per evidenziare il rapporto tra fotografia e tempo”. La fotografia diventa testimone del tempo che passa e che attraverso le vicende della vita può cambiare, anche in modo tragico le persone.
    Nel 1985 realizza il progetto “In the American West”, un viaggio durato cinque anni nella classe media americana, in cui scatta più di settecento ritratti di gente comune: operai, impiegati, detenuti… 
    Dagli scatti emergono elementi potenzialmente disturbanti come maglie macchiate, facce sporche di carbone, capelli spettinati, elementi in netto contrasto con le foto scattate fino a quel tempo e che costringono lo spettatore a confrontarsi con la realtà e con gli sguardi dei ritratti. 
     

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   17 Novembre 2016 at 11:24

      I libri che hai citato sono una raccolta di reportage straordinari. Io credo che quel genere di fotografie fossero per Avedon come una boccata d’ossigeno. Mi riferisco ovviamente a “In the American West”. La struggente documentazione che ritrae il devastante cancro del padre, ha ovviamente un’altra storia: un estremo gesto d’amore? una sfida alla morte? Una cinica adesione alle proprie ossessioni fotografiche? La percezione che la foto abbia una partnership con la “morte”? La messa in testo fotografico di Avedon, pur risultando di una fruibilità ammirevole, è molto più complessa di quanto suggerisce la primaria lettura empirica delle sue foto. L’ipotesi che ho seguito nel redigere il mio script grosso modo segue questa idea: Avedon non butta via niente di ciò che trova grazie alla fotografia; ecco perché qualcosa della moda appare nei suoi ritratti e viceversa; ecco perché i suoi reportage (per i suoi detrattori) sono così deplorevolmente perfetti. Cosa produce questo “accumulo”? Produce il Grande Stile.

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  30. IvannaP   14 Novembre 2016 at 01:08

    quello che caratterizza a Avedon, è che non e rimasto nella sua zona di comfort, fa vedere le emozioni e sentimenti con i suoi lavori, per me sono impareggiabile le sue fotografie

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  31. Sara S. PP   14 Novembre 2016 at 01:40

    Credo che Avedon sia uno dei fotografi che ha dato vita a una fotografia di dimensione, ovvero non piatta, trascendentale, che va oltre al significato fine a se stesso di una rappresentazione visiva, per sfociare in una rappresentazione emozionale.
    Le sue foto sono dinamiche, lasciano libere interpretazioni, hanno varie sfaccettature e si possono adattare a qualsiasi mente, poiché ognuna di esse troverà in loro vari e diversi significati, che, secondo la legge del prospettivismo, non saranno ne giusti ne sbagliati, ma solo modi di guardare, punti di vista, differenti.

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  32. Ilaria PP   14 Novembre 2016 at 09:09

    Richard Avedon é stato uno dei più grandi artisti, contraddistinguendo le sue creazioni per contemporaneità perenne e ingegno creativo.
    Ha sempre mantenuto la sua unicità e la sua personalità in qualsiasi occasione, non abbandonando mai il suo sapere. Le sue foto di moda erano molto differenti da quelle classiche, le modelle erano considerate persone e non oggetti, proprio per questo la sua diversità lo ha sempre differenziato da tutti gli altri fotografi, permettendoci così di riconoscerlo sempre a prima vista.

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  33. Marina Di Fini   18 Novembre 2016 at 12:11

    Richard Avedon è stato un grandissimo fotografo che ha riscosso successo a paritre dagli anni cinquanta, grazie alla sua vocazione per le fotografie di moda. Si parla di uno stile inconfondibile perché creava attorno al suo soggetto un’allure particolare, tanto da dare allo scatto un valore che i suoi maestri precedentemente non erano stati in grado di dare. Ha dimostrato che si può rappresentare una verità che va al di là della realtà stessa.
    Vorrei sottolineare che Avedon è stato uno dei ritrattisti migliori degli ultimi settant’anni. Ha ritratto i più grandi personaggi del suo tempo, riuscendo a catturare quella caratteristica, quell’aspetto, quello sguardo che il pubblico non conosceva. È stato capace di portare alla luce la personalità dei suoi soggetti, lasciando però sempre la sua impronta. Quel perfetto controllo dei colori e delle luci, dei tagli e delle inquadrature, lo hanno portato a far ammirare la sua fotografia, che ha documentato la storia della moda e del modo di pensare delle persone. Ciò che ho notato è che ogni scatto realizzato da Avedon è come se parlasse, è irresistibile e coinvolgente. Amo gli scatti che ha realizzato alla fine degli anni ’80 per Versace perché esprimono perfettamente i valori del brand, ovvero nessuna volgarità, ma una bellezza che seduce.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   18 Novembre 2016 at 14:50

      Si hai ragione, il lavoro che Avedon fece per Versace dovrebbe essere analizzato, riscoperto e valorizzato. Purtroppo per ora rappresenta una stagione creativa del fotografo praticamente rimossa.

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  34. Chiara P   21 Novembre 2016 at 13:46

    Richard avedon…. un’artista che ha segnato la storia della fotografia.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   21 Novembre 2016 at 16:13

      Una informazione di commovente profondità…geniale quasi quanto la notizia che il fotografo si faceva il bidè tutti i giorni!

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      • Roberto PP   25 Novembre 2016 at 19:10

        Mi scusi professore, nonostante l’appropriatezza del suo appunto riguardo il commento privo di contenuti della compagna vorrei farle io un appunto, se mi è concesso… Non vorrei contraddirla ma l’artista se non erro è nato a New York e negli Stati Uniti si sà, non c’è il bidet…

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        • Lamberto Cantoni
          Lamberto Cantoni   25 Novembre 2016 at 20:35

          Non ci avevo pensato, maledizione…Però dobbiamo tenere presente che gli americani scoprirono il bidet durante la seconda guerra mondiale, quando dopo aver ben accoppato il nemico, venivano spediti in viaggio premio a rilassarsi in qualche bordello, fornito di indimenticabili, profumati bidet. Richard Avedon durante la Seconda Guerra mondiale faceva il fotografo da qualche parte del fronte. Chi può escludere che da americano innamorato di cultura francese, proprio in circostanze simili, con scopi documentaristici ovviamente, non avesse subito l’imprinting del fatale alambicco? D’altronde, gli artisti americani, qualche decennio prima, non erano forse stati sedotti dall’urinatoio di Duchamp? Perché dovremmo negare la possibilità al bidet di risultare, vista l’eleganza del nome, se non altrettanto seducente, almeno un po’ efficace? Se così fosse, non possiamo negare cittadinanza all’ipotesi che, Avedon, tornato a New York, con i soldi guadagnati in Vogue, gradisse avere nella toilette del suo studio, un avvolgente, liscio e luccicante bidet. Purtroppo per me, anche ammettendo la possibilità che Avedon fosse divenuto il proprietario di uno splendido esemplare di bidet, il fatto che risultasse l’unico fotografo di moda sul suolo americano ad usarlo, rende inappropriato il parallelismo con il sorprendente commento della tua collega.

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  35. Roberto PP   25 Novembre 2016 at 19:00

    Artista davvero affascinante, capace di scatti mai banali dotati di una carica emotiva pazzesca.
    Molto interessante anche il rapporto del fotografo con la sorella Louise, credo fortemente che proprio questo rapporto l’abbia reso l’artista di successo che è stato.
    Ogni avvenimento che giorno per giorno viviamo, dal più grande al più banale, plasma la nostra personalità soprattutto in tenera età.

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  36. Nicolò   2 Dicembre 2022 at 13:35

    Artista estremamente versatile e raffinato. Ha avuto modo di scattare a diversi personaggi del mondo dello spettacolo, dall’attrice Audrey Hepburn passando per il cantante rock Alice Cooper. Apprezzo i lavori di Avedon proprio per questa sua scelta stilistica di scattare sempre in bianco e nero. Inoltre un dettaglio da non trascurare è lo sfondo bianco sempre presente in diverse sue foto. Trovo che sia una scelta molto insolita che riesce ad enfatizzare ancora di più il soggetto centrale della fotografia, donando un senso di movimento e dinamismo al tutto.
    Penso che il suo lavoro più completo e più riuscito sia il book fotografico chiamato “Alice in wonderland” dedicato alla sorella affetta da schizofrenia morta all’età di 41 anni a causa di un attacco di cuore. L’artista ha chiamato nel suo studio una compagnia teatrale chiedendogli di recitare, nel frattempo Avedon scattava. Il risultato? Foto estremamente grottesche e inquietanti. Gli sguardi, i gesti, ogni singolo muscolo tirato rappresenta esprime una sensazione di tremendo affanno, quasi come guardare un quadro di Goya. Proprio perché gli attori non stavano mai “in posa” rende queste foto incredibilmente reali, improvvisate, folli oserei dire.

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    • Lamberto   3 Dicembre 2022 at 15:47

      Ho dimenticato le foto del libro Alice, ma la tua descrizione mi pare appropriata. Una precisazione: Avedon ha ovviamente fotografato anche con pellicole a colori ed era bravissimo. I suoi reportage quando lavorò per Vogue, al netto dei limiti imposti dal modo di stampare di allora, fanno capire che anche con il colore continuò ad essere uno straordinario interprete della fotografia.

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  37. Mattia   9 Dicembre 2022 at 12:39

    Avedon fu un grande fotografo del novecento, formatosi da autodidatta e divenuto famoso per i suoi ritratti in bianco e nero soprattutto nel mondo della moda, arrivando a scattare anche per la prestigiosa rivista Vogue e lavorando per numerosi stilisti, quali Gianni Versace, Hugo Boss, Calvin Klein e Christian Dior. Rivoluzionò inoltre il mondo della “fotografia in movimento” quasi come un richiamo al mondo del cinema, grazie alla sua capacità di innovazione, Ispirandosi al fotografo ungherese Martin Munkacsi. Coinvolse infatti le modelle, trasformandole in soggetti dinamici e non più statici, valorizzandole proprio come se fossero protagoniste di un set cinematografico ponendo una grande cura nei dettagli. Ne è un esempio la foto “Dovima with Elephants”, dove la modella appare dinamica ed in armonia con gli elefanti quasi come se volesse mettere in atto una narrazione.
    Ritengo sia uno dei fotografi più d’impatto nelle sue opere insieme a Henri Cartier-Bresson e il più contemporaneo Steve McCurry. A mio giudizio gli scatti di questi tre grandi fotografi non hanno bisogno di spiegazione alcuna, in quanto in grado di comunicare da sé, con soggetti ben bilanciati e con l’intento di raccontare una storia, enfatizzata proprio dal fotografo.

    Rispondi
  38. Mattia   10 Dicembre 2022 at 11:20

    Avedon fu un grande fotografo del novecento, formatosi da autodidatta e divenuto famoso per i suoi ritratti in bianco e nero soprattutto nel mondo della moda, arrivando a scattare anche per la prestigiosa rivista Vogue e lavorando per numerosi stilisti, quali Gianni Versace, Hugo Boss, Calvin Klein e Christian Dior. Rivoluzionò inoltre il mondo della “fotografia in movimento” quasi come un richiamo al mondo del cinema, grazie alla sua capacità di innovazione, Ispirandosi al fotografo ungherese Martin Munkacsi. Coinvolse infatti le modelle, trasformandole in soggetti dinamici e non più statici, valorizzandole proprio come se fossero protagoniste di un set cinematografico ponendo una grande cura nei dettagli. Ne è il miglior esempio l’immagine citata nell’articolo “Dovima with Elephants”, dove la modella appare dinamica ed in armonia con gli elefanti quasi come se volesse mettere in atto una narrazione.
    Ritengo sia uno dei fotografi più d’impatto nelle sue opere insieme a Henri Cartier-Bresson e il più contemporaneo Steve McCurry, anche se penso che le foto di Avedon siano meno artistiche e più orientate al “marketing”. A mio giudizio gli scatti di questi tre grandi fotografi non hanno bisogno di spiegazione alcuna, in quanto in grado di comunicare da sé, con soggetti ben bilanciati con l’intento di raccontare una storia, enfatizzata proprio dal fotografo.

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  39. Amedeo F.   11 Dicembre 2022 at 00:13

    Vorrei sviluppare il mio commento in due parti:

    1) Penso che il messaggio più importante che Avedon ci ha lasciato con il suo incredibile e fruttuoso lavoro è quanto di più femminista ci possa essere stato nel campo della fotografia.
    In tutte o quasi le opere che ho potuto ammirare questo ideale è sempre palesemente espresso. E questo è riuscito a comunicarlo tramite il mezzo più usufruito dalle donne per diversi anni, ovvero le riviste di moda. Posso affermare che Richard Avedon consapevole o meno sia stato uno degli attivisti femministi più importanti dei suoi tempi.

    La forza, la libertà, l’emancipazione, l’arguzia e l’autoironia che viene espressa dalla maggior parte delle modelle ritratte è palese. Credo che riuscire a convogliare un messaggio visuale del genere a così tante donne in un ambito come la moda, soprattutto in quegli anni, sia ciò che di più femminista si possa riuscire a concepire.

    2) Il fatto di aver posto alla fine della sua biografia delle foto di reportage in cui venivano mostrate immagini folli, catacombe, mummie e terribilmente umane sia stato concepito per riequilibrare il tutto. Come dire, io sono stato il fotografo che ritraeva il bello, il superfluo, lo stile perfetto ritoccato, ma dentro ho anche questo, la vita – la morte, sono umano come tutti, e ve lo mostro.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   11 Dicembre 2022 at 08:52

      È vero le foto finali della sua autobiografia per immagini sono un rompicapo. La tua interpretazione è plausibile. Tuttavia ricordare ai futuri lettori che era semplicemente umano non mi sembra qualcosa all’altezza dell’intelligenza di Avedon. Non credo che abbia passato la sua vita divinizzando il suo enorme successo al punto di pensarsi un angelo.
      Piuttosto congetturo che le foto al confine della vita siano connesse con la follia della amata sorella e la lenta morte per cancro del padre, documentata foto dopo foto in decine di scatti controversi pubblicati nei sessanta. Cinismo, mancanza di empatia? No! Non può essere. La foto come strumento di difesa contro il dolore causato dalla perdita di persone care? Forse. Per un grande fotografo, lo strumento o il mezzo, può divenire una protesi esterna del suo apparato psichico. Allora, scatto per partecipare al dissolvimento della forza vitale di chi amo e così facendo uccido la morte rendendo il soggetto immortale.

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      • Amedeo F.   14 Dicembre 2022 at 19:49

        Vero, decisamente più plausibile questo tipo di congettura. Per quanto riguarda la foto in particolare da citare ne scelgo più di una:

        1) Quella per la campagna di Versace (per intenderci con Cindy Crawford al centro e i modelli uomini nascosti), anche se tecnicamente magari meno elaborata rispetto ad altre. L’ho scelta perchè ritrae perfettamente il concetto che ho sviscerato sul suo essere femminista. Come ha scritto anche lei, gli uomini nelle sue fotografie vengono rappresentati come dei coglionazzi contrapposti a donne meravigliosamente carismatiche. In questo caso non vediamo nemmeno le teste.

        2) Non una ma tutte le foto in movimento con pose incredibilmente plastiche. La sua capacità di creare vita e dinamismo cristallizzando i movimenti è esemplare. Nonostante non utilizzi un effetto “mosso” nelle foto riesce a esprimere tantissimo movimento. I capelli scompigliati e gli abiti fluttuanti danno vita a qualcosa di perfettamente instabile. Gli abiti che volano e si sviluppano per tutta l’area hanno una forte componente artistica, mi vengono in mente i panneggi utilizzati nelle varie opere storiche classiche che esprimevano il pathos che si voleva conferire all’opera. Per me qui il concetto è il medesimo, nel caso di Avedon vitalità, spensieratezza, felicità.

        Infine per citare un collega, scelgo André Kertész per la sua capacità di reinventare la realtà. La sua sperimentazione in ambito fotografico è incredibile, la capacità di sfidare la percezione dell’occhio grazie all’illusione, alle luci/ombre, agli effetti ottici, alla prospettiva. Sa benissimo che la fotografia può essere portatrice di inganno e su questo ci gioca. Senza parlare della composizione totale e precisa delle sue opere.

        In più cito un italiano, Gianni Berengo Gardin, che ho avuto il piacere di conoscere. Bravissimo fotografo di reportage, grazie a lui ho capito perchè vale ancora la pena continuare a fotografare in bianco e nero. L’occhio deve mantenere l’attenzione sulla scena per quella che è senza farsi attrarre da tonalità forti presenti. In più diceva: “Un bravo fotografo dev’essere un ottimo camminatore”. Persona umile ed una umanità incredibile.

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  40. letizia ventura   13 Dicembre 2022 at 14:46

    “SE PASSA UN GIORNO IN CUI NON HO FATTO QUALCOSA LEGATO ALLA FOTOGRAFIA, È COME SE AVESSI TRASCURATO QUALCOSA DI ESSENZIALE. È COME SE MI FOSSI DIMENTICATO DI SVEGLIARMI.” – RICHARD AVEDON
    Avedon fin da bambino ha dimostrazione di quanto per lui la fotografia fosse importante ed essenziale.
    Da quanto ho letto posso affermare con certezza che lui è sempre stato un passo più avanti a tutti e che è sempre stato un passo più avanti ai canoni della fotografia, soprattutto per quanto riguarda la fotografia di moda.
    Avedon è stato un rivoluzionario, ha rivoluzionato la fotografia di moda del tempo tralasciando le pose statiche per introdurre uno stile giovane e anticonformista.
    Le sue fotografie hanno aiutato a ridefinire i canoni di bellezza, dell’eleganza e la cultura dell’immagine fotografica.
    Richard è divenuto celebre per i suoi innumerevoli ritratti in bianco e nero e i suoi reportage di guerra, come quello degli orfani di Danang durante la guerra del Vietnam.
    È sempre stato interessato a come la ritrattistica riesca a catturare la personalità e l’anima del suo soggetto.
    Infatti uno dei suoi lavori che mi ha colpito di più è stato il ritratto di Andy Warhol perchè è riuscito ha raccontarmi una storia, è riuscito ha trasmettermi emozioni forti.
    Grazie anche allo stile minimalista e teatrale da lui adottato in ambito di ritrattistica, è riuscito a concentrarsi sull’aspetto più intimo dei propri soggetti per evocare reazioni ed emozioni. Osservare un ritratto realizzato da Avedon significa osservare l’uomo contemporaneo in ogni sua sfaccettatura: le sue debolezze, le sue gioie e le sue paure, in ogni sua sfaccettatura.E tutto attraverso uno sguardo minimalista con la persona che guarda ad angolo retto nella fotocamera, collocata di fronte a uno sfondo bianco puro.
    Proprio nel ritratto di Warhol vediamo tutte queste prerogative dello stile di Avedon, che è stato capace di raccontare la storia intima dell’artista mostrando le cicatrici che aveva nell’addome. Cicatrici che davano il messaggio di una persona forte che ce l’ha fatta, in contrapposizione con le sensazioni che il viso di Warhol evocava, ovvero emozioni tristi e di debolezza.

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  41. tom   14 Dicembre 2022 at 23:17

    La comunicazione visiva di Richard Avedon è veramente molto spiccata, chiara; lancia i suoi modelli verso il mondo esterno, quasi ad uscire dalla foto, utilizzando molto le linee, le curve, il movimento e quegli sguardi che catturano e mangiano lo spettatore. Sebbene un affermato ritrattista porta con se varie “sporcature” professionali che hanno scritto il suo passato in modo perfetto, portando ad affermare il grande stile che ha impreziosito in modo impeccabile le sue immagini. Per la maggior parte della vita scattate in bianco e nero e nei suoi poco anni finali anche a colori.
    Di certo Avedon portava la sua sicurezza, la sua professionalità, la sua garanzia in ogni suo prodotto utilizzando dei forti contrasti di buio e luce che io rivedo un po’ nel suo carattere e nel suo essere.
    L’utilizzo delle diagonali create con i movimenti del corpo che sono come un magnete per l’occhio umano, che con la loro forza spezzano la routine, e allo stesso tento gli sguardi catturati con una naturalezza e verità assoluta, che raccontano la il momento e non il come oggi spesso vediamo sono solo una finzione di una felicità inesistente.

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  42. Filippo Maiani   15 Dicembre 2022 at 11:38

    “Le mie fotografie non vogliono andare al di là della superficie, sono piuttosto letture di ciò che sta sopra.”
    uno dei più grandi maestri della fotografia, Richard Avedon, divenne famoso principalmente per i suoi scatti di moda in bianco e nero, fece molte mostre e vinse parecchi premi dovuti alla sua innovazione, un esempio ne è il “Lifetime Achievement Award” ottenuto nel 1989 dal “Council of Fashion Designers of America.”
    Personalmente non riesco a considerare Avedon, solo come un fotografo innovativo di moda, dato che i suoi iconici ritratti hanno portato non solo a costruire una nuova definizione dei canoni della bellezza e dello stile, ma anche a portare una nuova concezione dell’immagine fotografica stessa.
    Essendo uno dei primi fotografi sperimentali, l’innovazione e contemporaneità delle sue fotografie è percepibile fino ad oggi, di fatti, molti tuttora prendono spunto da questi suoi tratti rivoluzionari di ambito fotografico: (assenza dello sfondo e la imponenza del mare di bianco che avvolge i suoi soggetti).
    Le sue fotografie non si manifestano superficialmente, al contrario puntano verso altre prospettive, si elevano sopra ciò che è l’apparente, andando in un modo o un altro, addirittura ad approfondire la personalità dei soggetti da lui fotografati, distogliendo l’attenzione dallo sfondo vuoto, considerabile come uno spazio liminale, che li circonda e mette in soggezione.
    Richard Avedon creò un nuovo modo per concepire e soprattutto osservare la fotografia, lasciando però la libertà necessaria per poterle interpretare e per poterle vedere da più sfaccettature. Sara per questo che riuscì a lasciare il suo marchio inconfondibile in qualsiasi genere abbia mai visitato.

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  43. Luca Mastrovincenzo   15 Gennaio 2023 at 18:00

    La lunga carriera da fotografo di Avedon, ci ha permesso di notare più aspetti del suo operato.
    Tra i caratteri che suscitano maggior interesse è sicuramente l’effetto della dinamicità, infatti gli scatti di Avedon riescono a comunicare allo spettatore una forma di precario equilibrio.
    Questo aspetto è sicuramente dovuto alla capacità di orchestrare il set fotografico a proprio piacimento al fine di riuscire nel proprio intento.
    Un altro carattere della fotografia di Avedon è la figura della donna e la capacità del fotografo, nel campo della moda, di trasmettere sensualità con i movimenti imposti alle modelle, senza però lo sfociare nella volgarità.
    Inoltre, trovo singolare la capacità di Avedon di ritrarre, con uguale carica espressiva, sia le grandi celebrità del suo tempo, che le persone umili della raccolta di fotografie “In the American West”.

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  44. Giona   4 Febbraio 2023 at 16:52

    Sicuramente Avedon è tra i fotografi che hanno formato la storia della fotografia. Soprattutto per i suoi ritratti che sembrano foto di moda, e viceversa. È molto interessante la “difficoltà” di distinzione tra foto di moda e ritratti, dopotutto una foto di moda non può essere un ritratto? Ed un ritratto non può essere una foto di moda? Per come la penso io Avedon è riuscito a fare una fusione di entrambe le tipologie di foto, creando una nuova tipologia, che non per forza deve essere etichettata come “foto di moda” o “foto ritratto” è semplicemente una foto, con un forte impatto visivo ed emotivo. Nel caso di “Beekeaper” una foto che trasmette disagio, fastidio, ma ci lascia anche un fascino in quanto comprendiamo che il soggetto racconta dell’uomo e della sua impermanenza. Una foto che rappresenta il tempo che passa, la caducità della vita, riesco a vedere ed a sentire le api che cambiano posizione mentre lo sguardo dell’uomo ti fissa. Molto diversa dalle foto di David Bailey che sono emblematiche, con forti contrasti, espressive, personalmente ritengo le fotografie di Avedon di maggior impatto emotivo. Per quanto siano state famose ed importanti i lavori di Bailey sono sensazionali, ma non oltrepassano il confine della moda come fa Avedon. Mi viene in mente la foto davanti a “Palace de la concorde” in cui la coppia pattina allegramente, sin dal primo momento pensai subito ad una coppia di giganti che utilizzano le automobili come pattini, ciò grazie al geniale punto di vista scelto da Avedon, che non si limitava a volere una bella foto ma a creare una storia.
    Mi sarebbe piaciuto chiedere al grande Avedon: cos’è la moda? È una di quelle domande che probabilmente non hanno risposta, è come chiedere: cos’è la vita? Ma sono sicuro che avrebbe trovato qualcosa di molto interessante da dire a riguardo.

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  45. Arianna Pagnoni   14 Febbraio 2023 at 12:58

    Richard Avedon è senz’altro un artista celebre per i suoi innumerevoli lavori.
    Prima di trovare la sua strada ha esplorato diverse vie della fotografia; passando dal reportage tra cui la guerra in Vietnam, alla fotografia di moda.
    Considerando, che ha iniziato la sua carriera dopo essere stato assegnato allo scatto di foto d’identità dei suoi compagni durante la sua permanenza nella marina mercantile, si può dire che la nella sua carriera ha esplorato di tutto.
    Come lo ha descritto lui: “Il mio lavoro era fare fotografie di identità. Devo aver fotografato centomila volti prima che mi venisse in mente che stavo diventando un fotografo”.
    Secondo me è proprio grazie a queste innumerevoli esperienze in campi diversi della fotografia, che gli scatti di moda di Avedon non sono semplici fotografie di moda, ma pura bellezza, eleganza, uno storytelling di racconti del soggetto rappresentato. Lo spettatore è automaticamente trasportato dalla fotografia, che lo porta senza voler a inventare una narrazione su di essa. Il soggetto rappresentato sembra quasi raccontare i propri sentimenti.
    I suoi lavori sono senza dubbio un piacere visivo.
    Una delle fotografie che più preferisco di R.Avedon è Kara Young e Reinaldo (foulard), realizzata nel 1994; realizzata per VERSACE. Credo che queste fotografie non hanno nulla di cosi ‘’eccessivo’’ e volgare come molti considerano.
    Il movimento morbido del foulard Versace, con i suoi colori freddi contrasta con l’incarnato caldo dei due soggetti.
    L’opposizione della staticità dei due corpi con il movimento del foulard che copre i volti, fa si che la foto prendi vita portando lo spettatore a una propria interpretazione delle foto, e su cosa succede al di sotto dell’oggetto.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   28 Febbraio 2023 at 09:52

      Interessante e ben scritta la descrizione della foto con il foulard.

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  46. Antonio   27 Febbraio 2023 at 17:57

    Senza ombra di dubbio Richard Avedon è un fotografo degno di nota nel capo della moda, nei suoi innumerevoli lavori è riuscito a fare emergere un archetipo di figura femminile composta, affermata ma allo stesso temo dinamica (grazie alla composizione creata in scena), mantenendo comunque sobrietà all’interno del contesto sociale dell’epoca.
    Avedon reinventa le pose scultoree, immortalando le sue modelle in movimento e conferendogli sempre un carattere particolarmente ribelle, creando cosi un nuovo canone di bellezza differente da ciò che prima poteva essere definito classico.
    Trovo in oltre interessante come venga cambiato nel suo ultimo periodo abbia un approccio nella fotografia più cinico e distaccato addirittura quasi grottesco come se cercasse di esprimere delle sensazioni più profonde attraverso un esercizio di stile.

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  47. Beatrcì   20 Marzo 2023 at 17:23

    Vorrei commentare questo articolo partendo della mostra “Relationships” che si è tenuta di recente a Palazzo Reale di Milano, resa possibile grazie alla collaborazione con il Center for Creative Photography.
    Avedon è stato tra i primi maestri della fotografia di moda, di cui ha rivoluzionato lo stile quando, dalla fine della Seconda Guerra Mondiale, ha abbandonato le pose statiche per collocare le modelle in ambientazioni reali. L’Assessore della Cultura del Comune di Milano ha affermato che “quelle di Avedon sono immagini quasi cinematografiche che portano chi le osserva a immaginare i racconti e le storie che sembrano evocare”. Come non dargli torno? Avedon infatti non scattava solo le modelle più famose dell’epoca, ma ci ha raccontato storie di attori, danzatori, celebrità, artisti, musicisti, scrittori e attivisti per i diritti civili, fino ai capi di stato. Sebbene sia riconosciuto soprattutto come fotografo di moda, per me i suoi ritrattati valgono allo stesso modo, se non di più. L’uso costante di uno sfondo bianco ha fatto sì che il superfluo fosse eliminato dalla scena, in modo da sottolineare soltanto la presenza della persona.
    Una delle immagini che ho preferito della mostra immortalava Julian Bond nel 1963, che guidava un gruppo di studenti attivisti non violenti. Trovo che con il semplice sguardo di quei ragazzi, determinati e convinti in quello che stanno facendo, Avedon sia stato in grado di raccontare l’intera storia.
    Il ritratto fotografico non è altro che l’immagine di qualcuno che sa di essere fotografato e quindi, in una seduta, il ritratto si forma dall’incontro di emozioni tra il soggetto e il fotografo. Avedon disse: “I miei ritratti parlano più di me che delle persone che fotografo”. Immaginarli, quindi, come riflesso di se stesso apre molti spunti di riflessione: in che modo la preoccupazione personale del fotografo riguardo al successo e all’eredità che lascerà trova forma nelle sue fotografie? Come il rapporto che aveva con il soggetto può rispecchiarsi in una fotografia? In che modo giudichiamo l’artista sulla base di come ha rappresentato gli altri?
    I suoi ritratti sono una costruzione soggettiva, come lo è la reazione che provocano in un osservatore. Ciascuno può trarne un’impressione diversa, a seconda della propria esperienza di vita.
    Nel libro della mostra c’è una frase che Donatella Versace ha detto che mi ha colpito particolarmente. Ci dice che le relazioni per Avedon erano tutto. La relazione con i colleghi e gli amici, con il soggetto della foto e la storia che raccontavano. Le relazioni con lo spazio mentre costruiva forme incredibili usando abiti e copri. Ma soprattutto la relazione con l’osservatore. Aggiunge di guardare negli occhi i protagonisti dei suoi ritratti e di perdersi in una relazione immaginata.
    E’ questo quello a cui punto io. Nel momento in cui riuscirò a fare raccontare una storia con le mie immagini senza bisogno di parole, proprio come fa ancora Avedon con i suoi scatti immortali, potrò dire di sapere con esattezza cos’è una relazione in tutte le sue forme.
    Un’altra foto della mostra che mi ha particolarmente colpito è “La scultrice Luoise Nevelson”. Qui possiamo ammirare il taglio cortissimo dell’artista, il modo in cui gli occhi di lei ci scrutano da dietro le ciglia pesantemente ricoperte di mascara, il sottile luccichio del lucidalabbra e le maniche del suo soprabito. Ancora una volta, Avedon, ci offre la possibilità di esaminare i volti nel dettaglio, incoraggiando l’osservatore a fantasticare sulla vita delle persone che ha di fronte. Sarò anche ripetitiva, ma non è spettacolare?
    Per concludere, concordo con lei nel dire che le sue fotografie di moda non solo hanno mantenuto il loro fascino nel corso degli anni, ma rappresentano una documentazione sociale preziosa. In tutte le sue immagini, Avedon dimostra la volontà di controllo che riflette una vera e proprio regia che vuole far dire alle immagini altro da ciò che rappresentano. Egli considerava l’avvenimento fotografico, indipendentemente che si trattasse di moda, ritratto o reportage, come una rappresentazione, e tutti i soggetti erano considerati attori in una messa in scena. Per questo le sue immagini erano ritoccate, ingrandite e orchestrate, e la moda in questo rappresentava l’ambiente ideale per padroneggiare le tecniche.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   21 Marzo 2023 at 09:28

      Ottimo commento. Un paio di considerazioni aggiuntive te le meriti. Per quanto riguarda lo sguardo cinematografico di Avedon nella prima fase della sua carriera, più delle parole dell’assessore che hai citato, fa testo il ruolo che il fotografo fu chiamato ad interpretare dietro le quinte del film “Fanny face”: Avedon era il super consulente alla produzione, e la sua regia dei momenti fotografici del film sono uno degli asset più significativi della pellicola.
      Io credo che Avedon avesse imparato nel suo lavoro sulla moda che empatizzare con le giovani modelle ovvero stabilire un contatto con qualcosa di interno, poteva aggiungere allo specifico fotografico, tracce di umanità, di vita…La foto ottenuta poteva così ambire a immortalare un piccolo/grande evento le cui risonanze emozionali avrebbero prodotto, a livello di fruizione, la percezione di essere in “un’esperienza”. Questo suo particolare “esistenzialismo”, privo di negatività, Avedon lo trsferì in molti suoi ritratti.

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  48. Nicole Milani   28 Marzo 2023 at 08:13

    Avedon si avvicinò alla fotografia e alla moda da bambino, forse per gioco o forse no, grazie ai genitori che lavoravano nel settore dell’abbigliamento.
    Questo “gioco” che divenne una professione lo rese poi famoso in tutto il mondo e lo portò a lavorare con grandi riviste come Vogue, Harper’s Bazaar e altre.
    Dalla moda al reportage, alla ritrattistica di grandi celebrità e persone comuni e all’impegno civile e politico; fu quindi un grande trasformatore.
    Per quanto riguarda la moda ha stravolto le regole e i canoni di quell’epoca, ispirandosi a Munkácsi ha portato le modelle fuori dallo studio rendendole dinamiche e vitali.
    A differenza di quelle fotografate da Huene e Horst che sembravano delle statue greche, portatrici della perfezione assoluta, Avedon riuscì a donare loro leggerezza e movimento.
    In questo modo le modelle sembravano fluttuare in aria.
    Non solo passò dalla staticità alla dinamicità, dallo studio all’aperto, ma introdusse una narrazione teatrale e la ricerca della composizione perfetta.
    Creando queste storie le persone, in particolare le donne, che osservavano quelle immagini riuscivano a immedesimarsi e pensare di poter vivere le stesse emozioni con gli abiti giusti.
    Ciò che mi ha colpito di alcune sue opere è la ricorrenza di elementi in contrapposizione tra loro: come la pesantezza degli elefanti e la leggerezza di Dovima oppure il serpente simbolo di tentazione che avvolge Nastassja Kinski completamente nuda alludendo al peccato originale.
    Trovo una similitudine con Halsman creatore di “The Jump Book”.
    Egli sosteneva che ogni persona quando salta rivela aspetti della sua personalità.
    Gli scatti di moda di Avedon non si limitavano a mostrare un abito o un altro indumento ma portavano in mostra aspetti della personalità.
    Dall’aperto tornò poi in studio e come Irving Penn fautore del “less is more” costruì le sue storie utilizzando fondali neutri, scene prive di costruzioni in sè ma che rivelavano tanto di chi veniva ritratto.
    Come sosteneva Brodovich egli trovava sempre “the shock surprise element” che riusciva a catturare l’attenzione.
    Questo vale anche per i suoi ritratti talmente ravvicinati e di grande formato da creare una relazione quasi intima tra il soggetto e l’osservatore.
    “Non mi piace osservare la gente in piccolo.
    Esponendo i ritratti a grandezza naturale
    offro un’opportunità all’immaginazione di
    diventare autentica.”
    Ha dimostrato che il suo approccio alla ritrattistica poteva esaminare, onorare e rivelare aspetti della gente comune proprio come poteva fare con le celebrità e che le persone comuni sono altrettanto degne della nostra attenzione e del nostro interesse.

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  49. Matthias Mazzoni ( cinema 2)   30 Marzo 2023 at 08:44

    Richard Avedon, grandissimo fotografo di moda del ‘900, non crea fotografie di moda, ma veri e propri ritratti e ciò che li rende intriganti per il pubblico è che chi guarda la foto si vuole immedesimare in essa.
    Avedon considera i soggetti che vuole fotografare come degli attori e cerca di fare loro interpretare ciò che vuole dire.
    Avedon non fa la solita foto di moda, in modo posato con il bel abito, ma fa saltare la modella, propone una donna ironica e che sprigiona energia e la trasmette a chi guarda la rivista ( es. la Rivista Vougue).
    Le modelle sono dei personaggi che interpretano un ruolo, per lui è tutto programmato e costruito come in un teatro.
    L’immagine è sempre creata come una messa in scena in cui c’è un distacco ironico dalla femminilità ed un voler far vedere che è finzione.
    Crea uno stile nuovo e d’impatto.
    Richard Avedon ti cattura, i suoi scatti sono subito riconoscibili, originali, magnetici.

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  50. Chiara Benamati Laba Fotografia 1   30 Marzo 2023 at 22:37

    Richard Avedon è stato uno se non per dire il primo maestro della fotografia di moda adottando uno stile completamente diverso dai canoni prestabiliti della moda di quel periodo, ispirandosi al grande fotografo Munkacsy di cui parlerò più tardi, questo rompere le regole ha lasciato grande sgomento ai puristi della fotografia.
    Avedon viene riconosciuto ai giorni nostri come il miglior fotografo di moda, ma in realtà è stato un grande ritrattista, il modo in cui lei ha spiegato nel suo articolo di come Avedon realizzasse i suoi ritratti , mi ha colpita , e ho apprezzato maggiormente i ritratti alle fotografie di moda.
    Partendo dal fatto che cercasse di eliminare dalla scena tutto quello che poteva risultare superfluo, in modo da far risaltare il soggetto , poi il ritratto secondo Avedon è formato dalla combinazione di emozioni tra soggetto e fotografo quella sintonia che si crea rende un ritratto un vero e proprio ritratto, infine si aggiunge a tutto ciò, la dimensione delle stampe delle sue fotografie, in grandi dimensioni, creava e tutt’ora crea un certo impatto sul pubblico e questo dava modo ad ognuno di poter interpretare in maniera diversa la fotografia in base ad esperienze affrontate nella propria vita.
    La stessa cosa accadeva con le sue fotografie di moda raccontando eleganza, bellezza , e creare uno storytelling delle modelle , tra l’altro i fotografi criticavano Avedon per l’uso sistematico delle modelle e immortalarle in pose sexy , ma in realtà è stato uno dei primi ad introdurre , spettacolarizzare e normalizzare il sex appeal .
    Uno dei punti che mi ha colpito maggiormente di questo articolo, è stata la variazione nel suo stile e questo grazie all’ ispirazione delle fotografie di Munkacsi , grazie a lui ha rotto la regola della staticità delle modelle in studio , portandole all’ esterno , posizionando in maniera dinamica , per creare movimento , per creare dinamicità , ho apprezzato moltissimo lo scatto che immortala i due ragazzi che sfrecciano sui loro pattini davanti al Place de la Concorde questo scatto ha una dinamicità tale , che riesco a sentire il vento che li attraversava mentre pattinavano .
    Avedon ha rotto tante regole oltre a quella citata sopra, un’ altra regola che ha rotto è l’ideologia dei fotografi puristi, sul momento decisivo il così detto “attimo fuggente”, perchè quello che gli importava davvero era riuscire a trasmettere emozioni anche attraverso una “manipolazione “ delle inquadrature , dando un po’ di quella teatralità appresa da Irving Penn.
    Posso dire che i veri puristi della fotografia esistono ancora oggi nel 2023 , ma io che mi sto approcciando alla fotografia che non è molto, apprezzo molto più le fotografie studiate, manipolate che cercare il momento decisivo , alla fine quello che si vuole trasmettere è una storia , un’emozione , cosa cambia se uno scatto l’ho studiato o realizzato casualmente?
    Una delle fotografie di moda che ho apprezzato vedere , studiare e che è diventata una delle fotografie di moda di Avedon preferita è stata la “Dovima with the Elephant “, con l’eleganza della modella con questa linea sinuosa che crea con il corpo accompagnato da questo velo bianco, creando anch’esso una curva sinuosa che ricreava il movimento della modella, e regalava quel senso di morbidezza nonostante il forte contrasto degli animali più pesanti in assoluto, la composizione di questa fotografia mi ha colpita subito .
    Questa è stata una una delle prime creazioni del giovanissimo Yves Saint Laurent , che dava una nuova immagine e marca ad un nuovo inizio nella fotografia di moda.
    Da questo articolo ho capito che Avedon realizzava le sue fotografie con l’amore che aveva per la fotografia e con la reale voglia di comunicare l’emozione dei soggetti ,anche giocando con loro , credo che questo manchi nella fotografia dei giorni nostri.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   31 Marzo 2023 at 10:30

      Condivido ovviamente il tuo entusiasmo per il grande Avedon. Ma credo che lo onoreremmo meglio restando obiettivi e critici. Non si può dire che è stato il primo maestro della foto di moda. Prima di lui De Meyer, Steichen, Horst, Blumenfeld hanno avuto un impatto decisivo sul loro tempo.
      Non so se si può dire che Avedon abbia appreso la teatralità da Penn. Il campione della foto di moda teatrale era Cecil Beaton su Vogue. Avedon nei cinquanta ha ridimensionato l’impronta scenografica e accentuato la percezione olistica dell’espressività dei modelli/attori. Comunque ho apprezzato il tuo intervento.

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  51. Daniela M.   3 Aprile 2023 at 20:40

    Sembra scontato dire che se si parla di fotografia di moda si pensi quasi subito ad Averdon, grande celebrità a partire dagli anni 50, il suo talento e suo stile particolarmente controverso avevano documentato il nuovo new look parigino del dopoguerra e contribuito alla crescita di Milano come nuova capitale della moda.
    Grande maestro di Avedon fu Brodovich (il quale cambiò l’impostazione grafica delle riviste di moda per trasformarle in prodotti editoriali per indirizzarli principalmente al pubblico femminile), questa sua influenza gli fece capire che non solo lo scatto era importante ma anche la sequenzialità dei tagli e di impaginazione prendevano valore e che oltre alla rappresentazione dell’abito, il fotografo doveva studiarsi l’accostamento di immagine e testo. Avedon voleva dare, in qualsiasi conteso, nuove valenze alla fotografia di moda, senza però cadere mai nello stravagante, portando così fuori dal suo studio le sue modelle, considerate poi immagini inusuali e insolite dai suoi colleghi.
    In questo articolo mi ha estremamente colpito, il come Avedon (insieme a Irving Pen) abbia cambiato il rapporto tra la figura della modella e quella del fotografo e di come questa relazione empirica sia estremamente importante per il lavoro. Prima di lui anche Steichen aveva sottolineato l’’importanza della personalità della modella, ma a differenza dei suoi colleghi, Avedon giocava con loro, veniva considerato che un rapporta tra fratello e sorella. Cambiò anche la visione della modella, se prima erano considerate bamboline per fare eseltare certi abiti nella moda, ora la figura della donna di Avedon era irreale e fanno capire l’istinto ideale che volevano rappresentare. Sotto questo aspetto considero Avedon un artista a cui ispirasi poiché realizza le sue immagini per le più grandi riviste di moda in maniera innovativa senza mai eccedere verso lo stravagante (come costato prima) basta notare la composizione di una delle sue fotografie più famose, fatta a Dovima inserita in un contesto dove prima non si poteva neanche immaginare. La modella, vestita con un abito di Dior, realizzato da un giovane Yves Saint Lourent, è stata fotografata in mezzo a degli elefanti mettendo in evidenzia la contrapposizione tra una figura piena di grazia e “leggerezza” della modella con una figura pesante completamente decontestualizzata dell’elefante.
    Ritengo che le fotografie di Avedon siano dei piedistalli della fotografia di moda riuscendo ad andare oltre alla sua visone classica del periodo.

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  52. Francesca Saccone   4 Aprile 2023 at 11:11

    “Le mie fotografie non vogliono andare al di là della superficie, sono piuttosto letture di ciò che sta sopra”, sono parole di uno dei migliori fotografi ritrattista in assoluto: Richard Avedon. I suoi scatti, da sempre, sono in grado di emozionare, ispirare, sedurre e colpire. Le modelle, nei suoi progetti, non sono più figure inanimate ma mere protagoniste espressive. Che siano personaggi pubblici o passanti, Avedon sceglie di fotografare ognuno senza filtri: in ciascuna immagine emergono debolezze ed imperfezioni. L’immortalità di quello che è stato il suo approccio fotografico è senza dubbio dovuta all’obiettivo primario e imprescindibile: andare OLTRE LA SUPERFICIE, portare alla luce la personalità del soggetto. Molto celebre, è il ritratto di Marylin Monroe, realizzato nel 1957 in pausa fra un set fotografico e l’altro: Marylin appare persa, con lo sguardo fisso in basso, l’opposto di ciò che gli appassionati del cinema erano abituati a vedere.
    Il progetto “In The American West” di Avedon avviato nel 1979, è una raccolta di ritratti realizzati ai membri della classe operaia, i vagabondi e gli emarginati: un lungo lavoro durato 6 anni, che rimane uno degli approcci più originali della ritrattistica fotografica contemporanea.

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  53. Francesca Saccone   4 Aprile 2023 at 12:07

    Potremmo definire David LaChapelle un artista pop con influenze surrealiste.
    Andy Warhol fu di fondamentale importante per quanto riguarda l’inizio della carriera grazie a lui scattò per la rivista “Interview Magazine”, procedendo poi con altre prestigiose campagne per Vanity Fair, Vogue e Rolling Stone.
    Negli scatti di DLC possiamo riconoscere infinite contaminazioni: pop, barocco e classico.
    L’utilizzo dei colori è senz’altro accattivante: possiamo trovare tonalità molto sature e inusuali, che rendono il suo operato distinguibile dal resto degli artisti contemporanei.
    Lui stesso afferma : “cerco il brutto nel bello e il bello nel kitsch. I miei scenari preferiti sono i McDonald’s e le auto da poco, all’inizio oziavo in questi posti, ora il fotografo. Mi allontano deliberatamente della realtà di tutti i giorni, la vita è troppo triste. La comicità è una forma di bellezza: Guardate John Belushi, lui era bello perché era buffo”.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   21 Aprile 2023 at 09:33

      Stimata Francesca, evidentemente hai letto entrambi gli script dedicati ad Avedon e laChappelle, lasciando i commenti in coda al primo. Diciamo che tra lo stile di Avedon è quello del collega sono più le differenze rispetto alle similitudini. Però ad uno sguardo più profondo non può sfuggire l’estremo bisogno di ordine che caratterizza entrambe le esperienze. Ma mentre l’ordine di Avedon ha risonanze classiche, quello di laChappelle mette in chiaro il disordine dal quale emerge.

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  54. Lorenzo Dellapasqua   27 Aprile 2023 at 19:27

    Foto prese in esame: https://drive.google.com/drive/folders/1T3TTSj4JhE_-YO5Kmj-dFKQ2ONnlSP52?usp=sharing

    In certi casi soffermarsi a elogiare ciò che già sembra universalmente riconosciuto come “uno dei migliori” porta poco più di quanto sia già stato detto e scritto in tutti queste decenni per tutto il globo. Richard Avedon è leggenda, e da questo punto di vista è difficile sindacare. Ciò che si potrebbe rivelare probabilmente utile in questo caso è cercare di scendere in profondità negli antri più nascosti, per scavare e tornare con qualcosa di nuovo in superficie. Perché è questo che fa il grande stile: ha paradossalmente infinite interpretazioni. Ogni nuovo sguardo su una foto come quella in cima (apparentemente banale) a questo scritto ci apre nuovi modi di interpretare e vedere il mondo intorno a noi.
    Oggi vorrei cercare di scavare nello studio sull’essere umano di questo grande fotografo, comparandolo con uno studio analogo fatto però da un fotografo contemporaneo russo (naturalizzato americano): Steven Gindler aka Cvatik.

    Ho preso questa immagine (immagine 2) per esemplificare l’enorme e variegato lavoro di cvatik, scegliendo una delle più politically in-correct e rappresentative. Se avedon da una parte consigliava ai suoi adepti di “scegliere una modella e immaginarsela donna”, cvatik snatura l’essenza femminile dell’essere umano e se lo immagina oggetto, coprendo addirittura la parte del corpo che probabilmente viene prediletta nella fotografia di moda: il viso. Coprendo il viso risalta la parte nuda oggettiva (il corpo) e scopre l’anima e la vita nascosta all’interno di un corpo fermo, aperto a ciò che la relazione con lo spazio può donargli. Ma non mi soffermerò su una pura analisi strutturale delle due foto che ho allegato, ne tanto meno le differenze e quant’altro possa riferirsi alla forma in se, al medium ecc. Questo perché vorrei parlare di quanto mi abbia colpito il concetto di stile e moda usati come sontuosi ossimori non tanto per nascondere il rumore di fondo che permea la vita umana, ma più che altro per sottolinearlo, per farlo affiorare in superficie come una goccia d’olio in un litro d’acqua. L’idea che sia impossibile ormai mascherare questo rumore di fondo che cresce mano a mano che ci avviciniamo al giorno x dell’umanità, credo sia abbastanza sdoganata e viviamo in tempi in cui chi davvero vuole “sentire” si fa ascoltare da tutti gli altri (parlo di cambiamento climatico, guerra ecc). Perciò trovo non poco affascinante l’ironia di un artista del calibro di Avedon che in tempi assolutamente non sospetti decide di sferzare un colpo sottile ma durissimo se letto tra le righe, a chi la moda la consumava credendo di diventare immortale. Un ricordo lontano, un sussurro all’orecchio, qualcosa di poco esplicito ma chiarissimo nel messaggio “rimani comunque morto, anche dentro una bara designed by Prada”. Ma questo messaggio non deve essere letto con angoscia, ma piuttosto con gioia. Sembra strano, ma anche questo ce lo insegna Avedon: è l’angoscia, la paura dell’ignoto, della morte, il macabro a rendere umano l’essere umano. Questo ho trovato nelle sue foto di mummie, manicomi ecc: un esaltazione alla “stupidità” (in senso positivo) dell’uomo. Questa corsa continua contro il tempo per cercare di fermarlo, questo negare la propria stessa essenza di vita (intrinseca alla morte), questo scappare dallo sbaglio, questo voler volare così in alto da non voler più scendere, sono tutte cose inutili. Inutili ma stupende. E’ semplicemente meraviglioso vedere cosa siamo riusciti ad inventare per continuare a correre come formiche impazzite, non accettando mai la propria natura. E non parlo tanto di tecnologia, ma di arte, rituali, religione e anche si, perché no, della moda. Abbiamo bisogno di qualcosa da amare perdutamente pur sapendo, in fondo in fondo, che non c’è, non esiste, è tutto teatro ben inscenato. Abbiamo bisogno di combattere quell’inconscio animale interno che semplicemente ci ricorda chi siamo, non possiamo fare altro. Questa è la nostra bellezza, “amare e non crederci” come viene citato alla fine dell’articolo. E’ dopo questi ragionamenti che subito mi è balenata in testa la seconda foto allegata, il meraviglioso scatto di Cvatik. Che alla fine, altro non è che l’esemplificazione di quanto è stato già detto. Oltre all’analisi sulla figura della donna in sé, che di certo tirerebbe fuori discorsi interessanti, voglio soffermarmi sull’occhio del fotografo e la sua capacità di relazionare il soggetto con lo spazio circostante. A parte ovviamente il tentativo di omologare il corpo ad una struttura architettonica come una casa, che di certo parla per se, ma soprattutto l’effetto disorientante che provoca. Uno stacco improvviso delle geometrie serrate della casa lascia spazio a delle curve femminili, che cercano di integrarsi nel resto stonando volutamente. Qui di certo Cvatik si stacca da Avedon: il contesto e lo spazio che contornano il soggetto diventano di primaria importanza, non come per Avedon che invece sottolineava l’interno “pensoso” delle sue modelle. Ma di certo anche questo concetto torna, perché pur non vedendo il viso della modella ne percepiamo l’essenza, che è la stessa essenza che voleva trasmettere ironicamente Avedon con i suoi scatti teatrali: “Guarda che quel rumore così forte che senti esiste, anche se cerchi di ignorarlo”. Inoltre, un altro forte punto in comune è la già citata teatralità: Cvatik come Avedon adora smentire ogni “veridicità” apparente dello scatto, e gioca tutti i suoi shooting su complessi set architettati proprio per non sembrare reali, pur fotografando persone. Ci dona la stessa libertà che ci dava Avedon: di poter sorridere allo stile e alla moda. In questo caso al poter sorridere contro al concetto stesso di femminilità, di foto ritratto, di foto in generale, di patriarcato, di oppressione, di paura, del volersi nascondere. Tutto reso scoperto dalla nuda pelle della modella, che non fa altro che farti sentire ancora più nudo e senza scopo di lei stessa, posizionata e depersonalizzata proprio al centro di un qualunque set fotografico newyorkese. Ti fa pensare al concetto ribadito prima: di quanto anche il sesso, la femminilità, la mascolinità e compagnia bella siano solo appunto concetti, parole. Parole che ad un certo punto della tua vita, il punto finale definitivo, non avranno più alcun significato. E pensare a questo strappa un sorriso, e al tempo stesso non serve a nulla. Non serve a nulla perché tanto continueremo sempre a rinnegare che siamo essere umani, a correre in cerchio come pazzi tendando di combattere contro il nulla: perché è proprio questo il bello che ci rende umani.

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  55. giulia   8 Maggio 2023 at 11:03

    Richard avedon è uno stimato fotografo per le foto in bianco e nero e a gennaio c’è stata una mostra su di lui al palazzo reale di Milano con il titolo Relationships che ne ripercorreva gli oltre sessant’anni della sua carriera attraverso 106 immagini provenienti dalla collezione del Center for Creative Photography . Avedon lo possiamo paragonarlo a david la chapelle

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   23 Maggio 2023 at 18:42

      Paragone stravagante che rende epico un commento anoressico.

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  56. Nicolò Donati   11 Maggio 2023 at 16:06

    Richard Avedon è stato un importantissimo e rinomato fotografo. Se si parla di storia della footografia moderna non può che non venirci in mente il suo volto. Soprattutto con le sue immagini in bianco e nero è riuscito a dare una vera e propria identità al lavoro che faceva. Lui ha sempre detto che non voleva fare delle semplici foto, voleva comunicare qualcosa attraverso esse in modo che all’osservatore arrivasse fino in fondo qualcosa. Infatti Avedon nella sua carriera vinse diversi premi tra cui l’Hasselblad Award nel 1987

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  57. Manuel LABA   18 Maggio 2023 at 13:36

    Penso che Richard Avedon con il suo modo di fare fotografia abbia rivoluzionato la fotografia di moda, era solito rappresentare le modelle non come solitamente veniva fatto in quel periodo ma le ritraeva in contesti esterni al solito studio fotografico, le collocava per esempio in strada oppure in locali notturni.
    Nonostante lavorasse per diverse riviste di moda celebri mantenne sempre il suo stile, si distinse dagli altri fotografi e per capire quanto fu apprezzato il suo lavoro basta vedere la durata dei suoi lavori, rimase infatti a lungo considerato uno tra i migliori fotografi nel settore.

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  58. Dario Tosto   18 Maggio 2023 at 13:44

    Mi ritrovo completamente d’accordo con l’affermazione che il grande stile di Avedon non sia nato di colpo, anzi che siano serviti anni di sperimentazione fotografica e personale, cosi come vale per ogni artista. Essere in grado di trasformare il concetto e la visione della moda in tutto il mondo non è sicuramente da tutti, in quanto la moda è da sempre stata presente nella cultura e nello sviluppo dell’essere umano. Richard Avedon è risucito nell’intento secondo me conciliando la sua bravura tecnica con la sua grande visione, che è ciò che ovviamente lo contraddistingue.
    Tutti potrebbero essere in grado di imparare la manipolazione fotografica, l’utilizzo delle luci e della macchina, ma è grazie alla creatività e all’idea che si può creare un’opera (anche nel caso delle riviste di moda) degna di essere considerata tale.
    Guardando i suoi scatti è infatti sempre presente il grande stile che ha citato e che lo contraddistingue dai suoi colleghi, per riuscire infatti a trasformare ciò che può essere un bel ritratto in una nuova concezione di moda, riuscendo a comunicare con lo spettatore in un modo ben preciso. Questa nuova idea che si stava sviluppando in quegli anni della donna rappresentata sulle riviste come un personaggio colto, intelligente e non più un “manichino” di bellezza che indossa degli abiti fu in certo senso rivoluzionario. È fondamentale infatti riconoscere che nella moda il vero protagonista non sono i vestiti, ma chi li indossa, come li indossa e come li fa sentire. Diventando più uno status symbol in grado di dare fiducia e carattere a chi li indossa.
    Inoltre ciò che mi stupisce è che appunto nei suoi scatti non è mai presente la volgarità o la sessualità oggettivizzata alla quale siamo abituati, anche nei lavori con Versace, da sempre capostipite dell’eccesso, e che fa leva sugli impulsi priamari, si nota una sensibilità ed equilibrio unico nella quale la donna è proganista. Una donna forte ed indipendente, dove è vero che è spesso affiancata da uomini che a loro volta ci paiono dei “bambolotti”, come se fossero da sfondo. Non denuncio però questa visone perchè bisogna capire il messaggio e banalmente il target di mercato, di maggioranza femminile, che vuole e ha bisogno di sentirsi protagonista e potente (come è giusto che sia).
    È forse anche questo il motivo per il quale è riuscito a rendere la moda un qualcosa di popolare, facendo pensare alla gente: anch’io posso essere come il/la modello/a in prima pagina. Nonostante sia evidente l’artificiosità e la finzione che ci viene proposta in questi scatti quindi abbiamo la conferma che queste immagini funzionano, eccome. Come afferma anche Avedon infatti, l’essere umano ha bisogno della teatralità, della bellezza e del rigore estetico che può essere raggiunto esclusivamente da una manipolazione della realtà, ma questo non in senso negativo, è semplicemente un dato di fatto abbastanza comprensibile, in quanto non è necessario rimanere ancorati alla ricerca della naturalezza e spontaneità nelle fotografie, soprattutto quelle di moda, per raggiungere un risultato desiderato.

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  59. Caterina fotografia LABA   23 Maggio 2023 at 15:39

    Un magnate dell’immagine che ha contribuito al cambiamento collettivo della visione fotografica, così può essere definito Richard Avedon.
    Partito da autodidatta con la sua Kodak Brownie Box fotografando sua sorella, è diventato uno dei più celebri fotografi nell’ambito della moda della storia della fotografia.
    La grande rivoluzione di Avedon, o meglio la grande rivoluzione a cui ha partecipato seguendo l’esempio di Martin Munkacsi , è stata quella di allontanarsi dalla visione della fotografia che implicava la modella ferma, statica, un manichino che indossava il capo senza nessun tipo di propria caratteristica, portando il movimento nella scena, dinamicità. I suoi scatti in studio sono dinamici, ancor di più però lo sono i set all’aperto, fra le persone e persino in posa con degli elefanti. L’obbiettivo di queste sue trovate era di realizzare ritratti “an plain air”, che giocavano col movimento e le pose.
    Egli nella sua carriera, per quanto riguarda la moda, è ricordato principalmente per la collaborazione con Bazar, Versace e Vogue. Particolare pensare che nello stesso periodo, all’interno della redazione fotografica di Vogue convivevano due personalità come Richard Avedon e Rodney Smith. Due artisti con approcci totalmente diversi all’immagine ma ugualmente potenti. Da un lato si ha Avedon, un perfezionista dell’immagine, dello studio, legato a dei canoni estetici classici. Dall’altro Smith, portatore della corrente surrealista con sue opere come “Man on Ladder in Times Square New York” e il suo abbandono di grandi set per favoreggiare semplicemente la macchina e le sue visioni, caratterizzate da pochi scatti decisivi. Forse è proprio questa loro grande differenza che li ha portati a non scontrarsi mai o ad entrare in competizione.
    Particolarmente interessante nell’operato di Avedon personalmente è la sua umanità, cruda, apice di questa sua visione il diario fotografico che ha prodotto del padre mentre veniva consumato dalla malattia. Profondamente sincero, straziante, pieno di compassione ma senza filtri, reale. Uno stesso tipo di realtà che ha riportato scattando foto alle persone dell’America del West. Di Avedon ammiro molto questa sua capacità dell’essere impeccabile nella sua sensibilità, che gli ha permesso nel tempo di scattare fotografie in ambiti e di profondità diverse ma profondamente coerenti l’una con le altre.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   23 Maggio 2023 at 18:33

      La parola magnate non si addice ad Avedon. Non è stato un industriale o un esponente dell’alta finanza. Se proprio vogliamo usare questo termine ovvero “magnate dell’immagine” è più corretto appiopparlo a un grande gallerista che acquista e vende opere figurative. Oppure a un produttore cinematografico. Il resto del tuo intervento mi è piaciuto.

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  60. Tania Sirotti (cinema 2)   12 Giugno 2023 at 12:46

    “Se passa giorno in cui non ho fatto qualcosa legato alla fotografia, è come se avessi trascurato qualcosa di essenziale. È come se mi fossi dimenticato di svegliarmi”.

    Avedon viene sicuramente considerato uno tra i più grandi maestri della fotografia.
    Il suo modo di catturare i modelli, la composizione nelle fotografie hanno aiutato a ridefinire i canoni di bellezza dell’immagine fotografica.
    La cosa interessante è che iniziò da autodidatta, sperimentando senza seguire nessun canone esistente, infatti, fu il primo a tralasciare le pose statiche delle modelle per introdurre uno stile giovane e innovativo.
    I suoi scatti sono quasi tutti effettuati all’aperto, il cosiddetto “en plein air” così da dare sfogo alle emozioni e ai movimenti liberatori e naturali dei soggetti fotografati.
    Per ottenere degli scatti giocosi e leggeri, Avedon faceva saltare, correre, girare le modelle per immortalarle come se stessero volando o fluttuando da terra, come degli angeli.
    Inizia a lavorare per il giornale Vogue, per il quale cerca di realizzare degli scatti molto dinamici e teatrali per stupire l’occhio del lettore della rivista.
    Maniaco della perfezione, non era mai soddisfatto, alcune volte arrivava a consumare un intero rullino prima di realizzare una foto buona per lui.
    Non si dedicò solamente a fotografie di moda, bensì, realizzó molte raccolte di foto con fondo psicologico, mentale o sociale.
    Come una meravigliosa serie fotografica che realizza dedicata ai malati di mente del Louisiana State Hospital.
    Piena di immagini molto forti ma che testimoniano ciò che succedeva negli ospedali psichiatrici.
    Realizzó ritratti a tantissime icone dell’epoca come: Audrey Hepburn, Marilyn Monroe, Andy Warhol ecc…ritratti creativi e nei quali la personalità spiccata di Avedon affiorava notevolmente.
    Con il passare degli anni, Avedon decise di spostarsi all’interno di uno studio per le sue fotografie di moda, costruendo delle immagini nel quale il soggetto rimaneva isolato dal resto sopratutto dallo sfondo.
    L’obiettivo di Avedon in ogni sua fotografia era quella di cercare di portare a galla la vera personalità dei modelli, mostrando le loro imperfezioni, debolezze, insicurezze e la loro verità interiore.
    É grazie a questa sua sensibilità e capacità di catturare tutto questo che il suo stile rimane ancora unico e inimitabile.

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  61. Siria Laba   16 Giugno 2023 at 18:43

    Richard Avedon è un fotografo straordinario che ha lasciato un’impronta significativa nel mondo della moda e del ritratto.
    Quello che mi colpisce di più in Avedon é la sua capacità di catturare l’anima e la personalità dei suoi soggetti rivelando le loro emozioni.
    Le sue fotografie sono caratterizzate da uno stile unico, che va oltre la semplice rappresentazione esteriore delle persone, per scavare nel profondo e svelare una dimensione più profonda dell’essere umano.
    Avedon era un maestro della luce e dell’ombra, utilizzava l’illuminazione in modo audace e creativo, creando effetti drammatici che aggiungevano un ulteriore livello di profondità e intensità alle sue fotografie.
    Oltre alla sua bravura tecnica, Avedon ha anche avuto una grande influenza sul mondo della moda, ridefinendo gli standard estetici e portando un approccio innovativo alle sue campagne pubblicitarie.
    Le sue immagini sono icone di stile e eleganza, e hanno contribuito a plasmare l’immaginario collettivo riguardo alla bellezza e alla moda.
    Prende molto ispirazione da Munkacsi, che 20 anni prima, fu il primo fotografo a portare le modelle fuori dallo studio fotografico, dando vita all’abito e movimento all’immagine.
    Ma Avedon non si è limitato solo alla moda. Ha affrontato una vasta gamma di tematiche, ritraendo personaggi famosi, artisti, politici e persone comuni. Ha documentato le sfumature della società e ha messo in risalto l’umanità in ogni suo scatto.
    In conclusione, Avedon è un fotografo straordinario che ha lasciato un’impronta duratura nel mondo della fotografia. Le sue immagini sono intense, emozionanti e intrise di un’autenticità unica

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  62. Michele Ghiselli LABA   26 Giugno 2023 at 19:20

    Richard Avendon non voleva essere uno dei tanti che fa fotografie, ma essere ricordato per la sua unicità.
    1. Moda: Le pose statiche non facevano per lui, infatti preferiva realizzare ritratti “en plein air”, che giocano con il movimento; le pose delle modelle; l’ambiente e sono allo stesso tempo, minimaliste nella composizione e nello stile (Twiggy, Shrimpton, Veruschka, Penelope Tree, …).
    2. La morte del padre: Nel 1974 ha esposto al MOMA di New York, una serie di foto che racconta la lenta morte del padre Jacob Israel Avedon, sconvolgendo pubblico e critica. Il lavoro è una testimonianza di quanto gli volesse bene, e secondo me un modo per normalizzare la morte, che a volte viene sopravvalutata.
    3. In the American West: Nel 1979 Avedon intraprese un viaggio lungo cinque anni, con lo scopo di dare voce e corpo, all’esistenza di una classe operaia nascosta nel cuore del West americano. I protagonisti del lavoro hanno volti stanchi, mani consumate, capelli disordinati e abiti sporchi, perché lo scopo era scioccare e far riflettere, sulle condizioni di lavoro tutt’altro che favorevoli e umane.
    4. Dovima with the Elephants: Realizzata a Parigi, nel Cirque d’hiver durante l’agosto del 1955. Non posso immaginare, quanto lavoro sia stato fatto, per sincronizzare i movimenti degli elefanti alla perfezione con la modella Dovima. Posso solo guardare il meraviglioso risultato finale, dove i tre sembrano essere stati fotografati per caso, in una situazione non decisa e costruita prima.
    “Se passa un giorno in cui non ho fatto qualcosa legato alla fotografia, è come se avessi trascurato qualcosa di essenziale. E’ come se mi fossi dimenticato di svegliarmi”. La sua citazione ci fa capire ancora meglio, quanto amasse questo lavoro, talmente tanto da essere un maniaco della perfezione, capace di usare interi rullini, prima di avere una foto che per lui fosse buona.

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  63. Aurore S. V. B. LABA   10 Luglio 2023 at 18:16

    Come studente di cinema, trovo l’estetica di Richard Avedon affascinante e apprezzo il suo approccio alla fotografia di moda. Contrariamente all’idea superficiale spesso associata alla moda, Avedon è riuscito a trasformare l’immagine di moda in un’esperienza artistica più profonda. La sua capacità di creare immagini straordinarie attraverso una messa in scena studiata dimostra che la realtà può trarre vantaggio dalla costruzione attenta.

    Nella fotografia, l’atto stesso di catturare un momento limita o distrugge la spontaneità della realtà. Avedon ha compreso questa sfida e ha scelto di ricostruire la realtà attraverso uno studio attento. Ha utilizzato la messa in scena come strumento per esplorare nuove dimensioni e creare immagini che vanno oltre la mera superficialità.

    Riconosco che la critica spesso associa la messa in scena e la costruzione alla falsità, ma credo che Avedon abbia dimostrato che la forzatura della realtà può essere altrettanto rigorosa e autentica. La sua abilità nel creare immagini straordinarie, che suscitano emozioni durature, dimostra che la messa in scena può essere un mezzo potente per comunicare e connettersi con il pubblico.

    In definitiva, l’estetica di Avedon mi ha aperto gli occhi sulla possibilità di esplorare la realtà attraverso la messa in scena e mi ha fatto apprezzare il potere artistico della fotografia di moda. La sua capacità di trasformare l’apparenza superficiale in un’esperienza emozionale e coinvolgente mi sarà di ispirazione nel percorso di studi.

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  64. Perla Laba   9 Ottobre 2023 at 16:56

    Richard Avedon è stato uno dei fotografi più influenti e innovativi nella storia della moda e della fotografia ritrattistica. La sua carriera illustre e la sua capacità di catturare l’essenza dei suoi soggetti hanno reso Avedon una leggenda nel campo.
    Ciò che ha reso Avedon veramente straordinario è stata la sua audacia nel rompere gli schemi e le convenzioni della moda. Mentre molti fotografi di moda si concentravano sulla perfezione esteriore dei modelli e sul glamour, Avedon ha preferito esplorare il lato più oscuro, sfidando i confini tradizionali delle immagini di moda. Ha portato la fotografia di moda verso nuovi orizzonti, trasmettendo emozioni e storie attraverso i suoi scatti.
    Avedon è diventato famoso per il suo stile distintivo e riconoscibile, caratterizzato da un approccio crudo e audace. Le sue immagini erano inconfondibili, con un forte contrasto e una nitidezza straordinaria, che mettevano in evidenza i dettagli ma anche le imperfezioni dei soggetti. Questo approccio non convenzionale ha aggiunto un senso di autenticità alle sue fotografie, creando così un impatto duraturo sul pubblico.
    Ma ciò che ha veramente distinto Avedon dagli altri fotografi di moda è stata la sua abilità nel ritrarre i suoi soggetti. I suoi scatti ritrattistici sono diventati icone del mondo della moda e dell’arte contemporanea. Ha saputo catturare l’anima e l’autenticità delle persone, andando oltre la superficie e rivelando la vulnerabilità umana.
    Tra i suoi ritratti più celebri, troviamo quello di Marilyn Monroe, in cui, a parer mio, è riuscito a catturare sia la sua bellezza che le sue fragilità, come il suo tormento interiore. Lo scatto è riuscito a mostrare un lato di Marilyn che il pubblico non aveva mai visto prima. Un altro esempio potrebbe essere il ritratto di Dovima con gli elefanti (proposto anche nell’articolo), ovvero una delle immagini più iconiche della moda, diventata un vero e proprio simbolo di grandezza e di grazia.
    Avedon ha sempre cercato di rompere le barriere tra l’alta moda e il mondo reale. Ha fotografato modelle ma anche persone comuni, mettendo in risalto la bellezza di ogni individuo, indipendentemente dalla loro estrazione sociale o dalla loro professione. Ha portato la moda nelle strade, trovando ispirazione in qualsiasi contesto.
    Ma Avedon non è stato solo un talentuoso fotografo, era anche un grande visionario. Ha influenzato generazioni di artisti con il suo lavoro e il suo impegno nel creare immagini durature e significative. I suoi scatti sono stati esposti in prestigiose gallerie e musei di tutto il mondo, dando un riconoscimento ufficiale all’importanza del suo lavoro. Tutt’oggi i suoi scatti sono, appunto, facilmente riconoscibili e altamente stimati.
    Per concludere vorrei ribadire come Richard Avedon abbia lasciato un’impronta significativa nella storia della fotografia di moda e ritrattistica. Le sue immagini incisive e la sua abilità nel catturare l’essenza dei suoi soggetti sono senza dubbio straordinarie. Sono convinta che la sua eredità continuerà a ispirare e influenzare gli artisti di tutto il mondo per molti anni a venire. Mi è infatti capitato più volte di sentir dire “E adesso facciamo uno scatto alla Avedon!”.

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