Intervista a Guido Maria Grillo: “Io, il nuovo singolo, la parentela con Totò e il mio melting pot di armonie”

Intervista a Guido Maria Grillo: “Io, il nuovo singolo, la parentela con Totò e il mio melting pot di armonie”

ITALIA – Mercoledì 20 gennaio uscirà su tutte le piattaforme “A chi tene o’ core”, il nuovo singolo di Guido Maria Grillo. Chi è? È un giovane cantante apolide parente del grande Totò, che omaggia con uno stile personalissimo la canzone napoletana, con echi del Mediterraneo, tracce di elettronica e di musica araba. L’attesa per il nuovo brano cresce sempre di più.

Il Mattino di Napoli, Il Quotidiano del Sud, L’Adigetto e il Mattino di Salerno. Sui media, che siano online o cartacei, si parla sempre di più di Guido Maria Grillo e del suo singolo, “A chi tene ‘o core”. Con il brano, in uscita il 20 gennaio su tutte le piattaforme, Grillo esorta e affronta le difficoltà e il mal di vivere con coraggio e determinazione, una forma di resistenza individuale e collettiva alle avversità che, in questo periodo di difficoltà globale, rischiara gli orizzonti ed offre una prospettiva di sopravvivenza e di rinascita.

Su Guido Maria Grillo ci sarebbe da scriver fiumi di parole. Nella sua carriera artistica è stato tante cose, ha una parentela con il grande Totò e ha collaborato con grandi musicisti del panorama italiano spaziando tra musica e teatro.

Per conoscere la sua storia, siamo andati ad intervistarlo.

A CHI TENE ‘O CORE

Ciao Guido è un piacere averti tra le righe di MyWhere. Abbiamo sentito il tuo brano “A chi tene ‘o core” e ne siamo rimasti davvero colpiti. Ci racconti cosa hai voluto comunicare al tuo pubblico?

Ciao e grazie, intanto, il piacere è mio. Questa accoglienza mi rende molto lieto perché si tratta di una scommessa, quasi di un nuovo inizio. Fino ad oggi, ho pubblicato 3 album ed un Ep ma è la prima volta che sperimento l’incontro tra italiano e dialetto napoletano.

E’, insieme, ritorno alle origini e rielaborazione delle radici. Ho riflettuto su quanta poca spontaneità ci sia, in genere, nell’emulazione di modelli culturali che, in fondo, non ci appartengono e di quanta verità, invece, esprima la nostra storia personale. Non si tratta di un’operazione passatista ma della consapevolezza che nulla sia più sincero e credibile di un percorso di ricerca artistica che affronti la contemporaneità partendo dalle proprie radici.

“A chi tene ‘o core”, così come le altre canzoni contenute nell’Ep che uscirà a marzo, rappresenta proprio il mio “qui e ora” che conserva la memoria e la reinventa.

Senza memoria, siamo un nulla in balia dell’effimero.

Nelle tue canzoni sembra di assistere ad un meltingpot di armonie napoletane, echi del Mediterraneo, tracce di elettronica e musica araba. Ci parli di tutte queste influenze nella tua musica?

Hai ragione, sono anch’esse l’incontro del passato e del presente, cioè delle influenze che derivano dalle mie origini e di quelle che mi hanno formato e condotto nel percorso creativo. Vivo una continua evoluzione dello spirito e della mente, cioè sia nella sfera emotiva, sia in quella razionale, perché sono vorace di novità, musica, conoscenza ma, se da un lato tutto ciò rappresenta un indiscutibile arricchimento, è vero anche che, in assenza di una strutturata consapevolezza, possa sfociare nel caos e destabilizzare.

E nel caos si smarriscono i riferimenti, si cade facilmente preda delle mode e dell’effimero; riconoscere le radici serve a non perdersi nel suo nulla, disgregando la propria personalità. Mi piace definire la mia musica come “canzone napoletana classica-contemporanea”, un concetto solo apparentemente ossimorico.

“MIA MADRE ERA UNA DE CURTIS, ECCO I MIEI RIFERIMENTI MUSICALI”

 La tua vita è sempre stata caratterizzata dall’arte fin da piccolo. Ci racconti la tua infanzia all’insegna della famiglia De Curtis?

E’ vero, mia madre era una De Curtis, docente di Storia dell’Arte, con una spiccata sensibilità ed una delicata emotività, oltre che una splendida voce. Nella sua famiglia, tutti avevano una certa dimestichezza con le arti e con la musica, i miei nonni ed anche gli zii, pittori ed appassionati d’Opera. Vivevano in una grande casa, con un lunghissimo corridoio, pieno zeppo di quadri, sul quale s’affacciavano stanze altrettanto ricolme. In una di esse c’era il pianoforte e, nel salone in fondo, dietro la tenda di fianco al camino, il violino di mio nonno, al riparo dalla mia irruenza. Ho trascorso buona parte della mia infanzia in quel corridoio ed in quelle stanze dai soffitti altissimi. Al pomeriggio, Giovanni, fratello di mia madre, si sedeva al pianoforte e trascorrevamo ore a suonare le canzoni che amava, quelle della sua gioventù, specialmente il primo De Gregori.

Di Totò si parlava spesso, mia madre non lo conobbe mai, ma aveva ricordo di bimba di quando si presentò a casa un suo assistente, incaricato di portare i saluti e fare la conoscenza di quei parenti.

Quali sono i tuoi punti di riferimento musicale? Insomma, a chi ti ispiri?

Come dicevo, sono vorace, dunque le influenze sono disparate. Da bambino, ho ascoltato moltissima musica italiana, tra tutti, Mina è certamente l’artista che ho introiettato maggiormente, nel senso strettamente psicanalitico del termine, cioè “trasferito dentro di me”: le acrobazie della voce, la passione, la struggente capacità interpretativa, il livello emotivo di ogni sillaba pronunciata. Da adolescente mi sono avvicinato alla musica straniera, soprattutto al rock, quello che ha segnato gli anni ’90 ma ho, parallelamente, coltivato la passione per l’incommensurabile poetica di Fabrizio De Andrè. La passione per la sua opera è stata tale da decidere di dedicare la mia tesi di Laurea in Filosofia ad un suo album, “La buona novella”. Negli ultimi anni, ho ascoltato moltissima musica ma mi sono innamorato follemente di pochi artisti;  tra questi, certamente, Lhasa de Sela, Anthony and the Johnsons, James Blake, Benjamine Clementine, Anna Calvi, Tamino. Eppure, la radice, per tornare al discorso principe di questa nostra chiacchierata, è lì, nella melodia e nella poesia, struggente, malinconica, immaginifica della canzone napoletana classica. Roberto Murolo è una colonna sonora costante delle mie giornate.

LE COLLABORAZIONI CON I GRANDI ARTISTI E IL FUTURO

Quali sono finora le più grandi soddisfazioni che ti sei tolto in carriera?

La musica è la mia vita da molti anni, mi ha riservato soddisfazioni e patimenti, ma è la dialettica dell’esistenza, vale qualunque sia la nostra condizione ed è drammaticamente irrequieta quando si tratta di sogni. Il confine tra realizzazione e fallimento, cioè tra realtà e illusione, è l’orizzonte stesso del sogno. Si deve imparare a conviverci.

Ho avuto il piacere e l’onore di suonare in luoghi “sacri”, come il Teatro Ariston di Sanremo, in occasione del Premio Tenco, e il Teatro Regio di Parma, tempio dell’Opera, di collaborare e duettare con artisti che stimo, come Levante, Musica Nuda, Cristiano Godano, Paolo Benvegnù, ed anche di vincere qualche premio dedicato alla musica emergente, ultimo dei quali il Premio Bruno Lauzi 2017.

Lavoro ogni giorno, con passione e tenacia, perché le soddisfazioni siano sempre maggiori e l’orizzonte del sogno si schiuda nella realtà.

Che cosa c’è nel futuro di Guido Maria Grillo?

Lo stesso lavoro, appassionato e tenace, che ogni giorno riempie il mio tempo e la mia vita. Niente, come il far musica, con i miei strumenti e davanti al mio computer, scorre tanto fluido e spontaneo nelle mie giornate; le ore scivolano senza che me ne renda conto, capisco, allora, che quello è il mio posto, la mia casa, il mio desiderio: scrivere, cantare, suonare, produrre. Continuare a farlo, ecco cosa c’è nel mio futuro.

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Paolo Riggio

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