Recensione de L’Arte di Amare, il capolavoro di Erich Fromm

Recensione de L’Arte di Amare, il capolavoro di Erich Fromm

MONDO – Nel mese in cui celebriamo l’amore, ecco L’Arte di Amare, un libro che a distanza di 60 anni non perde la sua attualità e ci stimola a lavorare su noi stessi per essere in grado di amare senza perdere la stabilità. Erich Fromm ci pone davanti ad un quesito: amare o avere? 

In questi giorni mi sono dedicata alla lettura di un saggio, L’arte di Amare, scritto da Erich Fromm, psicanalista del ‘900. Quello che mi ha colpito inizialmente è stato il titolo, ho trovato curioso quel accostamento tra la parola arte e il verbo amare. Saranno proprio queste due parole il nostro punto di partenza. Per arte si intende un atto creativo, che sia di creazione o modellamento di un qualcosa, è quindi un’azione che richiede intenzionalità e impegno. Indagando sul senso di questa parola sono poi venuta a conoscenza che ha un’altra eccezione e che in sanscrito arte vuol dire “andare verso”. Non deve essere un caso quell’accostamento di parole nel titolo scelto da Fromm per la sua opera dato quello che con essa si propone di sostenere, offrendo un’analisi di come molto spesso la necessità d’amore, insopprimibile nell’essere umano, venga scambiata con il solo bisogno di essere amati.

Ma facciamo un passo indietro, da cosa nasce il bisogno umano d’amore?

La copertina de L'Arte di Amare di Erich Fromm
La copertina de L’Arte di Amare di Erich Fromm

Stando alla versione data da Fromm la continua ricerca d’amore da parte dell’essere umano è un bisogno che deriva dalla consapevolezza della nostra solitudine nel mondo. Siamo così spinti a ricercare quell’unione di cui per natura e intelletto abbiamo bisogno annientando quel senso innato di distanza tra noi e il mondo. Agli occhi dei più romantici L’Arte di Amare sembrerà una prima lettura un po’ troppo razionale ma posso dirvi che proseguendo, e lo dico da spirito romantico, si scopre pian piano quanto la visione proposta dall’autore sia portatrice di un senso davvero molto profondo. Dunque è da questa sensazione di distacco e isolamento che si accende in noi l’esigenza di unione ed è così che scatta quel desiderio che ci porta a creare le nostre relazioni. E adesso, l’analisi diventa un po’ più complessa:

Quali sono le dinamiche che nascono dalla relazione tra individui inconsapevoli che amare sia un’arte?

Come ho affermato all’inizio di questo articolo, molto spesso l’interpretazione che si dà al bisogno dell’amore è una visione egoistica ed egocentrica. Fermiamoci a riflettere e poniamoci questa domanda cercando di essere il più onesti possibili con noi stessi: Quante volte pensando all’amore ho pensato unicamente al mio personale bisogno di essere amato? Accade più spesso di quanto si pensi e accade in maniera del tutto inconsapevole ma generalmente possiamo dire che quando ricerchiamo o pensiamo all’amore ci muoviamo verso la compensazione del nostro bisogno di sentirci amati e non di amare.

Nelle pagine del saggio, Erich Fromm fornisce diverse possibilità e casistiche riconducibili a questa assenza di reciprocità nel guardare al verbo “amare” che, come anticipato nel titolo, molto spesso si converte piuttosto nel verbo “avere”. In un tratto molto interessante spiega dettagliatamente come a volte proprio questa lente egoistica faccia nascere comportamenti che sporcano l’amore stesso e il nostro relazionarci con la persona amata sfociando nella possessività e nel controllo. Dato che la fusione può essere raggiunta in diversi modi e quindi avere diverse forme, Fromm già nel primo capitolo ci suggerisce di chiederci a quale sorta di unione auspichiamo.

Le possibilità di risposta che propone sono sostanzialmente due: un amore simbiotico, in cui pur essendoci due corpi e due individui c’è una relazione di interdipendenza per cui nessuno dei due si sente mai solo perché solo non sa essere in quanto non si ha una propria autonomia, per usare le sue stesse parole nessuno dei due “è ancora pienamente nato”. Viene a crearsi  così una relazione di dipendenza data dal fatto che i due individui ancora non si sono completamente sviluppati come liberi, per tanto al massimo si otterrà una relazione di simbiosi e/o dominio. In contrapposizione alla simbiosi troviamo invece l’amore maturo che sa dar vita a quell’unione in cui gli elementi della coppia mantengono la propria individualità, come spiega lo stesso autore “Sembra un paradosso ma nell’amore due esseri diventano uno e tuttavia restano due”.

Amore è libertà, premura, responsabilità, rispetto e conoscenza

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Qui il mio spirito romantico ha trovato il senso profondo di cui vi parlavo. L’amore è tale quando la sua azione è praticata con intima libertà e non ha nulla a che vedere con un’azione che risponde ad una costrizione, come dice una vecchia canzone francese citata dallo stesso Fromm “l’amore è figlio della libertà, mai del dominio”. In opposizione quindi all’ “amare/avere” troviamo una definizione di amore caratterizzato da una profonda consapevolezza che conferisce quel valore aggiunto alla relazione. Qui il romanticismo a mio avviso è davvero tangibile e di grande spessore, l’amore è un atto strettamente collegato alla libertà, è scelta e libero arbitrio, è unione che non costringe in una determinata forma ma che abbraccia la totalità altrui e la mia. Inoltre, in base al principio della reciprocità, al verbo “amare” dovremmo accostare un altro termine che è “dare”. Questo verbo viene stigmatizzato e confuso con “cedere”, come se dare implicasse una sconfitta o una privazione di qualcosa che ci appartiene. Ma per Fromm, che non dimentichiamo essere stato uno psicanalista, nelle persone che vedono privazione nel dare risiede una sorta di inconsistenza che le porta ad essere terrorizzate dal perdere qualcosa di sé che le rende povere anche se ricche. In chi ama attivamente l’atto di dare è atto di gioia, di vita che trabocca e sgorga, dare dona vitalità e quindi ricchezza a chi sa donare e a chi sa accogliere. Introduciamo così il primo elemento dell’attività che richiede l’amore in quanto atto e processo attivo e mai passivo, la sua essenza stessa implica un qualcosa che va alimentato per conferirgli una crescita, l’amore è infatti cura. Se io ti amo voglio prendermi cura del tuo crescere, voglio vederti sviluppare nella tua libertà e tenderti sempre più verso la tua personale fioritura. Altro elemento che abbiamo citato è la responsabilità, che è da intendersi nel suo significato più puro, ovvero si è responsabili quando si è in grado di rispondere a ciò che amare richiede. Necessario affinché essa non sconfini nel dominio è il rispetto, non il timore, ma il rispetto di chi riconosce l’essenza dell’altro, quel rispetto dell’alterità che vedo e che mi porta al desiderio di guardare chi amo svilupparsi seguendo quelli che sono i suoi propri desideri, i suoi mezzi e la sua essenza. Si ama l’altro esattamente per ciò che è e non per quello che secondo noi dovrebbe essere. Sempre secondo la versione offerta nel saggio, si è capaci di adottare questo grado di rispetto solo se si è raggiunta una piena indipendenza individuale, quindi quando si è in grado di camminare da soli senza appigli e senza il bisogno di dominio. La conoscenza è la guida degli elementi esposti ed è reale solo se si instaura perché siamo mossi dall’interesse verso il nucleo più umano e intimo dell’altro.

Riflessioni su L’Arte di Amare

Relazione è un viaggio dinamico alla scoperta di noi stessi e dell’altro ed è solo attraverso la fusione che siamo veramente in grado di conoscerci e di conoscere. In quanto spirito romantico la lettura di questo saggio mi ha dato la possibilità di mettere in discussione quell’idealizzazione di cui spesso siamo vittime inconsapevoli. Il mio parere è che il rischio dell’immaginario sia la stasi sulla superficie di chi però crede di aver raggiunto un abisso di profondità. Concludendo, allora perché amare è un’arte? Perché amare è un venirsi incontro in totalità, la paziente opera di un artigiano che si dedica ad un manufatto delicato con cura, saggezza, consapevolezza e coraggio dando vita ad una vivace libertà pura e condivisa.

 

Silvia Severi

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