La mostra Vera fotografia, di Gianni Berengo Giardin, che si terrà al Palazzo delle Esposizioni di Roma dal 19 maggio al 28 agosto 2016, racconta lo spirito di un’Italia che non c’è più.
“Se devo raccontare una storia, cerco sempre di partire dall’esterno: mostrare dov’è e com’è fatto un paese, entrare nelle strade, poi nei negozi, nelle case e fotografare gli oggetti. Il filo è quello: si tratta di un percorso logico, normale,(…). Buono per conoscere l’uomo” così Gianni Berengo Giardin spiega il suo modo di fare arte nella mostra fotografica Vera fotografia, curata da Alessandra Mammì e Alessandra Mauro, dedicata ai sessant’anni di continuo e sapiente lavoro di documentazione effettuato da uno dei fotografi più importanti della nostra società contemporanea (Mostra che si terrà dal 19 maggio al 28 agosto 2016 al Palazzo delle esposizioni).
Genovese di origine, nato nel 1930, ha sempre voluto diventare pittore, un giorno si iscrisse al Circolo fotografico, La Gondola, diretto da Paolo Monti, a Venezia, e da quel momento iniziò la sua avventura fotografica, raccontando il mondo in bianco e nero, senza effetti speciali o finzioni di ogni genere, catturando i modi di fare, gli attimi e lasciando un segno indelebile nella storia di ciò che è stato negli ultimi decenni, dagli anni sessanta in poi, affezionandosi e lasciando una traccia di sé non solo come “Gianni il fotografo”, ma come Gianni l’amico, il nonno, lo zio, l’attivista politico… La sua passione e la sua curiosità lo portò ad essere definito da Salgado il fotografo dell’Uomo. Le sue foto raccontano la Venezia degli anni cinquanta fino agli anni settanta. Considerata dal nostro autore un luogo ameno, avvolto da un’aura luminosa e serena con l’acqua alta a Piazza San Marco, la neve, i balli di periferia, il lampionaio, una città non ancora invasa dai turisti e impegnata attivamente con la comunità cittadina: comunioni, matrimoni, abbracci e baci dei fidanzati nei luoghi pubblici, i giochi spensierati dei bambini.
Dal 1962 lavora per Alfaromeo, Pirelli, Olivetti e proprio con quest’ultimo inizia la sua formazione politica di sinistra a favore dei più deboli, registrando i processi di industrializzazione, le proteste, le invenzioni, le rivoluzioni, osservatore attento dei bisogni dell’altro, e questa sarà una sua caratteristica peculiare di tutta la sua opera. Egli documenta sempre cercando la verità fondendo uomo e ambiente intrappolando il presente della routine di tutti i giorni, e sottraendolo allo scorrere del tempo. Ciò si può notare nei riflessi di un vagone di un treno, oppure nei riflessi di uno specchio che riflette la fatica giornaliera dei lavoratori o di un bacio effimero dato sotto i portici di Piazza S. Marco, e ancora mentre due bambine tornano a casa da scuola e passando sotto un ponte, il treno si è fermato e il macchinista guarda giù. Sembra che le immagini abbiano rincorso il fotografo e non viceversa … Berengo Giardin non si è fermato mai di fronte alle apparenze e non ha mai smesso di denunciare i soprusi e le violenze fatte ai più deboli, agli umiliati, coloro, che sono sempre stati ai margini, trattando la tematica dei manicomi e degli zingari. Egli contribuì, attraverso la pubblicazione del libro Morire di Classe, con la collaborazione di Franco Basaglia, all’approvazione delle legge 180 per l’abolizione dei manicomi documentando le condizioni disumane nella quale era costretto a vivere il malato evitando la “pornografia della malattia”, poiché non ha “mai fotografato la malattia ma le condizioni di violenza che negavano la dignità al malato”. Ha fotografato l’esuberanza e l’allegria di una comunità sempre stata ai margini della società vivendo con loro e assaporando ogni attimo piacevole e tradizionale della loro cultura: i rom, i quali lo chiamavano “nonno Gianni”. Cogliendo attimi indimenticabili e denunciando le vessazioni del Governo italiano contro di loro. Ha condiviso la sua campagna contro le grandi navi che soffocavano la sua città del cuore, Venezia.
Nonostante questo suo desiderio di riscatto, nelle sue foto non si riscontra mai nessuna nota rabbiosa ma semplicemente riporta la verità effettuale delle cose facendo immaginare diversi modi di esistere riprendendo dalla lezione della fotografia umanista francese di Cartier-Bresson Doisneau, Boubat, Ronis; e la fotografia sociale americana della Farm Security Administration. La mostra è stata articolata in sezioni diverse intrecciate fra loro: Gli anni di Venezia, Milano, il mondo del lavoro, I manicomi, Zingari, La protesta, Il racconto dell’Italia, Ritratti, Figure in primo piano, La casa e il mondo, Dai paesaggi alle grandi navi, dove vi sono oltre 250 foto che raccontano la storia nostalgica di un’Italia che non c’è più, ricostruendo le tappe salienti del nostro recente passato.
Una mostra che fa riflettere e che insegna, svelando le varie sfaccettature dell’uomo , nonostante le apparenze.
Gianni Berengo Giardin, il fotografo dell'uomo.
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