Bob Richardson, uno dei fotografi più innovativi del ‘900

Bob Richardson, uno dei fotografi più innovativi del ‘900

“Nelle mie foto volevo ritrarre la realtà. Sesso, droga e rock’n’roll:
questo era ciò che stava accadendo. E io facevo in modo che si realizzasse…
Di me si dice che sono scomparso per quindici anni a causa del sesso, della droga e del rock’n’roll: altre stronzate. A ventidue anni mi diagnosticarono una schizofrenia paranoie. Fui accolto da un universo oscuro e tremendo…”   Bob Richardson, Autobiografia (1)

 

Verso la metà degli anni sessanta risultò evidente il grande cambiamento degli stili di vita imposto dall’espansione dei mercati, caratterizzati da una inedita prevalenza di un debordante desiderio di giovinezza che ebbe l’effetto collaterale di accentrare l’attenzione su contenuti espressivi auto-dichiaratisi rivoluzionari, innovativi, anti borghesi…

Chi aveva cominciato questo scollamento con il gusto tradizionalista del dopoguerra? I creativi della moda?  L’industria della comunicazione? L’industria della musica pop? Oppure era il movimentismo politico dal basso a spingere la forma di vita occidentale verso l’innovazione radicale?

Se si osserva il mutamento degli stili di vita dalla metà di questa celeberrima decade risulta chiara una convergenza d’interessi e d’intenti tra settori eterogenei che in qualche modo legittimano le forme portanti del cambiamento.

Nella moda ufficiale assistiamo alla presa di potere di una agguerrita generazione di giovani stilisti, decisa a rompere con le convenzioni della Haut Couture; nella musica popolare gruppi di giovani di colpo assurgono al ruolo di superstar. Nell’economia hanno successo giovani imprenditori che trasformano i modi di interagire con il pubblico…dalle boutique ai nuovi luoghi d’entertainment.

Anche nel campo della fotografia di moda avvengono scossoni che giustamente rendono plausibile il punto di vista di chi parla di rivoluzione.

Mai in passato tanti giovani fotografi avevano avuto accesso all’industria editoriale della moda. E per molti il successo era arrivato subito e in modo assolutamente eclatante. Se Avedon e Penn, due tra i più talentuosi e fortunati fotografi della generazione affermatasi negli anni cinquanta, avevano impiegato anni a divenire delle celebrità  a David Bailey saranno sufficienti pochi servizi pubblicati su Vogue per divenire un piccolo mito fotografico degli anni sessanta.

C’è da dire che negli anni sessanta cambiano radicalmente gli elementi strutturali del campo fotografico della moda: gli abiti sono meno importanti; il corpo della modella giovane è sostanzialmente diverso da quello delle colleghe; le locations degli shooting fotografici privilegiano i luoghi esotici o borderline; le significazioni dell’atto fotografico scoprono una sensualità sino a qual momento sconosciuta (o, per meglio dire, rappresentata con maggiore finezza e senso dell’ironia).

Uno dei fotografi più innovativi di quel periodo fu Bob Richardson. Malgrado oggi risulti quasi uno sconosciuto al grande pubblico, per chi cerca di ricostruire le tracce di un percorso evolutivo delle tecniche di rappresentazione della moda è difficile evitare un confronto con il padre del leggendario Terry Richardson, forse il più trasgressivo fotografo di moda oggi sul mercato.

Bob Richardson era schizofrenico e la sua malattia  ne condizionò pesantemente la reputazione e la carriera.

Ma, fotografie alla mano, per oltre una decade i suoi servizi nel solo reggono il confronto con tutti i fotografi più accreditati del periodo, ma solo nei suoi scatti mi sembra di poter leggere secondo “verità” ( si tratta ovviamente solo di verità fotografiche) il mood che cambierà la foto di moda. Questo mi fa pensare che sotto sotto Richardson sia stato molto più importante di quanto si voglia riconoscere. E che molti colleghi siano stati influenzati dal suo stile senza riconoscerlo (pratica diffusissima tra i fotografi).

Tanti anni dopo, attraversato l’inferno dell’alcolismo, delle droghe, della povertà estrema e della depressione, lo stesso Richardson, nei diari pubblicati sul libro edito da Damiani Editore, ripercorre i sixties con queste parole: “Primi anni sessanta. Harper’s Bazar, con lo straordinario quanto difficile Marvin Israel e la fashion editor Diana Vreeland, scopriva me e Diane Arbus. Dovevi essere originale. Ordinate nuove riprese finché non avevi quelle buone. Un Dick Avedon furiosamente competitivo studiava le mie foto al dipartimento di arte; editor che vivevano nel passato, ignari della rivoluzione rock and shok degli anni sessanta. Il lavoro di Diane stroncato come troppo bizzarro, il mio come troppo forte, troppo vero, troppo erotico; parola chiave: groovie, bello. In seguito se ne andarono Avedon, Arbus, Richardson. Non ci rimpiazzarono mai…

Sono parole forti che marcano il conflitto redazionale tra un’editoria soporifera arroccata a difesa del buon gusto con una generazione di fotografi (e redattori) interessati ad intercettare il lato cool della moda innervato nei processi di cambiamento dal basso, fatalmente in contrasto con i valori della tradizione.

Richarson si trova perfettamente a suo agio in questa sorta di anarchismo estetico e fin dall’inizio i suoi rapporti con le riviste si contraddistinguono per le costanti tensioni prodotte sia dal suo carattere incostante e sia per le novità che sperimenta a livello dei contenuti espressivi dell’immagine. Un’altra citazione tratta dall’autobiografia del fotografo ci aiuta a comprendere i cambiamenti radicali in atto in quel periodo: “Verso la metà degli anni sessanta mi aveva affascinato il pericolo. Fotografavo su elicotteri in  volo. Stavo seduto sul portello aperto, con un assistente che mi teneva la cintura da dietro. Io scattavo con la macchina tra le gambe, sospeso sui surfisti, su ragazze in jeep. Fotografai la modella Sarah Lowndes, tutta vestita di pelle nera, che alle sei del mattino andava a tutta velocità per Central Park su una Harley-Davidson. Quando fummo stremati, mi disse che non aveva mai guidato una moto.”

Forse vi è sfuggita una parola dalla citazione precedente particolarmente interessante: groovie; cosa significa? Penso che potremmo intenderle più o meno come cool ovvero con il significato di bello, attraente ma anche all’ultima moda. E’ chiaro che in questo contesto per moda dobbiamo fare uno sforzo e immaginarci come la declinavano nei sessanta i giovani artisti che oggi definiremmo di tendenza. Qualcosa che punge, che fa attrito con le il grumo di valori che venivano liquidati come “borghesi”, conformisti e troppo banali per giovani che avevano la presunzione di cambiare tutto.

(1) Tutte le citazioni e le immagini sono tratte dal libro “Bob Richardson”, Damiani editore

Lamberto Cantoni

One Response to "Bob Richardson, uno dei fotografi più innovativi del ‘900"

  1. bloggsmchinois.com   9 Ottobre 2012 at 09:58

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