L’arte di Raffaele Fumo tra street photography, ritratti e Instagram

L’arte di Raffaele Fumo tra street photography, ritratti e Instagram

ITALIA – Per questo nuovo appuntamento con le interviste, ho voluto fare quattro chiacchiere con Raffaele Fumo, fotografo appassionato, sbarcato qualche anno fa su Instagram a suon di ritratti e street photography.

L’arte del ritratto e della Street-Photography raccontata da un fotografo “d’istinto”. Con Raffaele Fumo, scrittore (un romanzo pubblicato negli USA) e musicista tra le altre cose, parliamo dei vari generi fotografici, dell’influenza (negativa e positiva) dei social sull’intero movimento, delle sue opere più belle e delle grandi icone di una branca dell’arte che seppur mutevole, resta immortale. 

Ciao Raffaele, è un piacere averti tra le righe di MyWhere. La tua parola chiave è sicuramente la passione, per la musica, la scrittura e la fotografia. Come nascono questi tre grandi amori in te?

Ciao a tutti, il piacere è mio! Credo che la mia voglia di scrivere, di suonare e di fotografare nasca da un’unica radice, ovvero dal piacere di osservare. Vale per ciascuna di queste branche dell’arte. Amo osservare chi mi è attorno, in particolare chi colpisce la mia attenzione. Dall’osservazione nasce la fantasia e la creatività. Mi piace con la fotografia l’idea di “entrare” nella vita delle persone, coglierne visi e sguardi, cercare di capire cosa hanno in testa e provare infine a raccontarlo. Al resto, ovviamente, ci pensano capacità e tecnica, ma senza spirito di osservazione non si può fare un bel lavoro. Almeno, questo è il mio pensiero. 

Quali sono gli stili di Raffaele Fumo, quelli che ti rappresentano di più?

Diversi, anche se preferisco cimentarmi nel nudo artistico e nella Street-Photography. Sono pianeti lontanissimi ma il “fil rouge” è sempre lo stesso. Dall’osservazione si crea una storia da raccontare. Aggiungo che le storie amo raccontarle in bianco e nero. I colori, come dicono i più bravi, distraggono l’occhio. 

In che senso? 

L’utilizzo del bianco e nero permette di cogliere il lato più profondo sia delle cose che delle persone. Non importa chi sia il soggetto. Tutto può raccontarci qualcosa: una strada, un palazzo, un monumento o una persona. Per quanto riguarda la “Street”, amo rappresentare tutti questi elementi assieme. Le città sono opera dell’uomo, possono essere fotografate senza la presenza umana, ma sarebbero foto da cartolina. Io cerco le storie, per cui in una strada ho bisogno di vita, di persone.

Mi sono sempre chiesto come fa un fotografo a far “passare il messaggio” utilizzando la fotografia. Insomma, come riuscite a comunicare il vostro concetto attraverso uno scatto?

Non amo molto definirmi fotografo, sono uno che agisce di istinto. Ovviamente ho studiato alcune pratiche e tecniche, ma il fattore principale nelle mie foto è proprio la spontaneità. Fotografando provo a dire qualcosa, e amo i fotografi che operano in questo modo. Penso a Francesca Woodman che nei suoi autoscatti (spesso di nudo) va oltre la semplice descrizione di un corpo, evidenziando paure e turbamenti dell’essere umano. Per par condicio, riguardo alla Street-Photography, ti faccio il nome del maestro Gianni Berengo Gardin. Nelle sue opere, lo storytelling è sempre centrale. 

Una storia al servizio di uno scatto…

Esattamente, e se ad una storia unisci anche un’idea, Bingo! La storia da sola non serve, urge sempre un’idea, soprattutto nei ritratti. 

Perché?

Perché sono fondamentali tanti fattori e al centro ci deve essere sempre una connessione tra quello che vuoi dire e quello che hai a disposizione per capire cosa riuscirai a comunicare. Per foto di strade dovrai scegliere la città, il quartiere. A volte basta la location giusta spesso per esprimere un messaggio. Per il ritratto è diverso. Non devi sbagliare nulla, in primis la scelta della modella – e non mi riferisco alla sua bellezza, quanto alla credibilità del personaggio che le affidi – che influirà pesantemente sulla riuscita di una foto. 

La fotografia per te è una grande passione. Ebbene, qual è stato il più grande acuto di questa passione? La tua fotografia più bella? 

Come ho detto in precedenza la mia è una fotografia d’istinto. Il mio studio si è focalizzato in gran parte sulle opere altrui. Migliaia di foto, per lo più dei grandi maestri. È così che ho affinato il mio gusto e il mio modus operandi. Ho capito nel tempo cosa mi piaceva e cosa no. In poche parole, la qualità dell’occhio ha fatto la sua strada. Tornando alla domanda, sono molto legato a una foto del 2004. L’ho intitolata “Ultimo Tango a Parigi” in onore all’opera omonima del Maestro Bertolucci che mi ispirò a scattarla. 

Ultimo Tango a Parigi di Raffaele Fumo

Lo stesso nome del grande film di Bertolucci.

Esatto. Quel giorno camminavo sotto il ponte della metropolitana all’aperto. In quella zona era stata girata una scena del film e mi venne l’idea per la foto. La ritengo il mio personale capolavoro: unisce profondità, storia e prospettiva. E aggiungo fortuna: immortalai un signore con abiti che avrebbero potuto essere di 20 anni prima. Camminava pensieroso sotto il ponte, pareva stesse recitando in quella sua camminata. Poi le auto ai lati della foto e dei blocchi del ponte, nei diversi sensi di marcia, erano una perfetta cornice. È una foto che considero preziosa, un mio personale momento di gloria che conservo con affetto. 

Raffaele Fumo

Fotografia, scrittura, musica. C’è qualche altra branca dell’arte che ti piacerebbe conoscere e in qualche modo praticare? 

Il cinema. La settima arte, un settore che passa – direi nasce – dalla fotografia. Non ricordo un grande film che non avesse una grande fotografia oltre a una storia degna di questo nome. È un percorso che mi piacerebbe esplorare, certamente. 

Ci dici un tuo punto di riferimento nel campo della fotografia? 

Me ne vengono in mente molti, ma se devo sceglierne uno, ti dico Mapplethorpe. Fu un genio coraggioso e oltraggioso. Come molti a quel tempo, una vita breve, intensa e complicata che ci ha lasciato grandi opere. Non tutte, a mio avviso, ma la rivendicazione della sessualità e dell’omosessualità nelle sue foto è a volte memorabile. Come ogni vero artista ha combattuto l’ipocrisia, il male di ogni tempo. Mi piacerebbe portare avanti un tipo di fotografia che combatta l’ipocrisia. 

Raffaele Fumo

Una domanda sull’attualità. Con l’ascesa dei social, la fotografia, seppur in forme diverse, resta al centro della comunicazione, forse addirittura in maniera più forte che mai. Sei d’accordo? 

In parte. La fotografia è una forma d’arte comunicativa e potentissima, ma con l’avvento dei social, Instagram su tutti, stiamo assistendo a un “liberi tutti” che influisce inevitabilmente sulla qualità. Trovo inoltre che ciò abbia causato un aumento della mercificazione del corpo femminile, incidendo sul decadimento del gusto. Si possono fare grandi foto coi telefonini e pessimi scatti con costose apparecchiature, ma riprendere di continuo se stessi o altri con la volgarità che spesso dilaga sui social è devastante sia per la fotografia che per le persone.

Ci sono anche aspetti positivi però. 

Certamente. Il fatto che molte persone – me compreso – possano pubblicare il proprio lavoro su Instagram e confrontarsi con fotografi professionisti, è impagabile. Negli anni, ad esempio, ho avuto la possibilità di parlare di foto con David Dubnitskiy, o – ancora meglio – di stringere una piacevole amicizia con Alessandro Caramagna. Parliamo di professionisti che non hanno bisogno di presentazioni. È bello e vedere apprezzato il proprio lavoro dalle persone che ti seguono. Da questi professionisti lo è ancora di più. 

Raffaele Fumo

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Paolo Riggio

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