Stanley Kubrick fotografo

Stanley Kubrick fotografo

TRIESTE – Al Magazzino delle idee di Trieste, in Corso Cavour nr. 2, è in corso una mostra che esibisce 130 immagini fotografiche che un giovanissimo Kubrick scattò per la rivista Look, prima di diventare il geniale regista che tutti conosciamo.

Quando Stanley Kubrick aveva 13 anni, suo padre, Jaques Leonard Kubrick, medico newyorkese appassionato di fotografia, gli regalò una Graflex.

Si trattava di una macchina fotografica professionale molto apprezzata da grandi fotografi come Barbara Morgan, Weegee, Dorothea Lange, particolarmente adatta per reportage, dal momento che liberava il fotografo dalla necessità del cavalletto, permettendogli, inoltre, di vedere il soggetto fotografato direttamente dal pozzetto così come si presentava davanti all’obiettivo.

La Graflex divenne subito per il ragazzo una sorta di protesi del suoi occhi, con la quale allenarsi a osservare e riprendere soggetti, situazioni che lo incuriosivano, inquadrandoli in schemi visivi e punti di vista che denotavano un talento e un interesse per il linguaggio delle immagini fuori dall’ordinario.

Stanley divenne in poco tempo il fotografo ufficiale del magazine della Taft High School nel Bronx. Pare che il suo rendimento scolastico non fosse proprio esaltante e i suoi professori lo considerassero un assenteista cronico. Infatti, oltre alla passione per la fotografia, spesso Stanley preferiva alla scuola la sala cinematografica che si trovava poco distante da casa sua.

Secondo alcuni dei suoi biografi, furono queste mattinate in fuga da lezioni che lo annoiavano, passate a guardare film, a radicare in lui il desiderio e la volontà di diventare un regista.

Comunque, durante i suoi studi alla Taft tutti gli riconoscevano una intelligenza superiore alla media, che gli consentiva di barcamenarsi nelle varie materie anche se i suoi hobby lo assorbivano quasi in maniera esclusiva.

In realtà il suo approccio alla fotografia non era affatto paragonabile a un passatempo o a uno svago. C’era qualcosa di professionale nell’accanimento che Stanley profondeva nella sua attività di reporter.

Lo si può abdurre dalla prima foto che riuscì a farsi pagare e pubblicare sulla rivista Look nel 1945.

Se osservate la foto 1, che riprende un edicolante dall’atteggiamento melanconico circondato dai manifesti e dalle prime pagine dei giornali che annunciano la morte di F.D. Roosevelt, credo che sarete d’accordo sul fatto che non presenta alcuna incertezza.

È decisamente una coinvolgente foto di cronaca, la cui efficacia è fuori discussione. In essa scorgiamo sia la casualità del momento intercettato dal fotografo e sia l’ordine percettivo che il punto di ripresa impone al reale.

 

Stanley Kubrick, fig.1

 

Stanley aveva diciassette anni e già fotografava con l’occhio di un professionista affermato. Helen O’Brian, la responsabile del dipartimento fotografico della rivista bisettimanale Look, acquistò lo scatto e in seguito gli propose di divenire uno dei fotografi freelance del magazine.

Stanley collaborò con Look dal 1945 al 1950. Nel 1946, finita in modo poco esaltante la sua formazione alla Taft, non avendo raggiunto una valutazione sufficiente per essere accettato da un college di buon livello, grazie ad Helen ottenne un incarico full time come assistente fotografo per la rivista.

Cominciò quindi una vera e propria attività professionale che si concretizzò  con la pubblicazione di un numero notevole di servizi la cui qualità poteva tranquillamente rivaleggiare con quella dei quotatissimi fotografi della famosa e fin troppo celebrata Agenzia Magnum.

In cosa consistevano i suoi assignments per la rivista? Look veniva stampata in un formato inusuale, 28 cm x 36 cm, per valorizzare il più possibile le immagini che venivano pubblicate.

L’attività della redazione era focalizzata sulla documentazione dello stile di vita della gente e su tutto ciò che pulsava energia nelle città americane. I reportage a tema erano pensati come se fossero essenzialmente narrazioni per immagini. Quando Stanley cominciò il suo lavoro come fotografo, la rivista vendeva quasi 3 000 000 di copie ad ogni uscita.

Le pagine più apprezzate dai lettori erano quelle dei grandi servizi fotografici nei quali spesso si narravano aspetti e i luoghi animati da persone comuni di solito rimossi sulle altre riviste. Oltre allo scatto principale, pubblicato in grande formato, venivano impaginate in sequenza alcune altre immagini del soggetto del servizio, in modo tale da suggerire una narrazione visiva.

Qualche critico definisce Street Photography questo modo di narrare gli avvenimenti e i protagonisti che il fotoreporter sembrava trovare più che cercarli, bazzicando come un flaneur nei luoghi o eventi che promettevano scatti interessanti. Vincent LoBrutto, un suo biografo, ha sostenuto che queste sequenze assomigliavano tantissimo al montaggio di un film.

Ora, dal momento che Kubrick di lì a pochi anni sarebbe divenuto un apprezzato regista, Vincent congetturava che la sua esperienza fotografica in Look potesse essere stata un fondamentale allenamento per familiarizzarsi con la sintassi delle immagini, grazie alla quale emerge una coerente storia o come si preferisca dire oggi, una narrazione. Da parte mia aggiungerei che questi scatti giovanili affinarono anche la sua visione estetica, proseguita poi, con esiti sublimi, con i film che lo resero famoso in tutto il mondo.

Comunque, non c’è dubbio che il giovane Stanley fosse particolarmente abile nell’infilarsi in situazioni pregnanti senza compromettere l’aura di spontaneità, d’autenticità dello scatto.

Un esempio potrebbe essere la foto 2, effettuata sul metro della città.

 

Stanley Kubrick, fig.2

 

Stanley Kubrick, fig.3

Direi che questo scatto è un’eccellente rappresentazione del tipo di ripresa che Look auspicava dalla collaborazione con Kubrick: oltre a fotografare celebrità come, per esempio, farà più tardi nel 1950, con il pugile Rocky Marciano e il direttore d’orchestra Leonard Bernstein, Kubrick doveva mettere in primo piano le vicissitudini esistenziali dell’ordinary people, valorizzando l’idea che l’istantanea o la casualità dello scatto potesse essere percepita dal lettore come un sincero appello all’autenticità, alla spontaneità, alla verità dell’immagine.

Il reportage è del 1947 e uscì con il titolo Life and Love on the New York Subaway.  L’impressione del lettore è di tante piccole storie legate a frammenti di tempo catturati dall’autore, collegate tra loro dall’esperienza del viaggiare in Metropolitana. Ma oltre alle tracce di una forse fortunata casualità, penso alla foto dei due ragazzi che si stringono tra le braccia (vedi fig.3), io vedo nella foto citata in precedenza la co-presenza di una ragionata scelta del punto di vista dal quale riprendere la scena, che schematizza in modo sorprendente la geometria dello spazio, garantendo profondità, equilibrio, ordine e bellezza all’immagine.

Secondo determinati rispetti Stanley sembrava abile e fortunato a cogliere, nel contesto della realtà così come si presentava davanti ai suoi occhi, un’inaspettata, spontanea finestra sul mondo, con inquadrature e situazioni che percepiamo interessanti, spesso sorprendenti e quasi sempre belle. Mi chiedo tuttavia quali sono i limiti di questa supposta casualità o spontaneità.

Mi spiego meglio. Guardate la fig. 4. Si tratta di una delle immagini di un servizio inteso a documentare le relazioni tra adolescenti realizzato nel 1950. È notte, due ragazzi flirtano uno nelle braccia dell’altro, scomodissimi, sdraiati su un terrazzino o sulle scale di sicurezza di un tipico edificio della periferia di New York. Entrambi sembrano sorpresi dalla presenza del fotografo ma continuano ad abbracciarsi.

Stanley Kubrick, fig.4

Qual’è la possibile storia implicita nell’immagine? Forse lui ha raggiunto lei da una scala di servizio. Perchè? Prima ipotesi: è notte e i genitori non vogliono che la figlia esca. Seconda ipotesi: i genitori pensano che lui sia un poco di buono e non vogliono che la figlia lo frequenti. Terza ipotesi: i due ragazzi hanno scoperto che flirtare in situazioni di leggero disagio rende più piacevole il petting.

Lascio a voi il piacere di immaginare altre possibili storie. A me interessa come arriva il fotografo street a coglierli sul fatto. Prima ipotesi: l’atteggiamento furtivo del giovane (perché quel tipo usa scale di sicurezza invece che entrare dall’ingresso principale?) lo allerta e quindi lo segue assistendo all’incontro e facendosi scoprire proprio mentre scatta.

Seconda ipotesi: durante una cena da un amico, affacciandosi alla finestra vede i due giovani flirtare sul terrazzino. Corre a prendere la sua Graflex per fotografarli, eccitato incespica e si fa scoprire. Anche partendo dal punto di vista del fotografo le storie possibili possono essere molteplici, ma le numerose narrazioni che discendono a cascata da questa immagine esemplare non cancellano il sospetto che tra lui e la coppia di giovani ci sia complicità e che dunque la spontaneità e il caso siano una costruzione retorica per evitare lo scatto banale e scontato.

Prendiamo un’altra foto che mi ha intrigato, la fig.5. La persona ubriaca sdraiata su pavimento è l’attore Montgomery Clift. Quando Kubrick gli fece la foto che state guardando, Clift era già stato co-protagonista nel film Il fiume rosso, accanto a John Wayne con la regia di Howard Hawks e protagonista assoluto di Odissea Tragica diretto da Fred Zinnemann, grazie al quale aveva ottenuto una candidatura agli Oscar.

Anche se fu solo con una superba interpretazione nel film Un posto al sole del 1951 (quindi dopo lo scatto che sto commentando) che Clift convinse pienamente la critica divenendo di colpo una star conosciuta da tutti, quando conobbe Kubrick e accettò di farsi fotografare era già un attore abbastanza noto. Bene, guardate la foto, non vi pare una specie di suicidio professionale?

C’è qualcuno che crede sia stata realizzata casualmente? Tipo, il giovane Stanley si reca all’appuntamento concordato, entra nella camera, si trova davanti Clift scivolato dal letto, completamente ubriaco e mentre il divo beve il fondo della bottiglia, lo fotografa, per correre poi in redazione e pubblicare lo scoop.

 

Stanley Kubrick, fig.5

 

No! Non credo sia la verità. Anche in questo caso l’ipotesi di un gioco a due tra attore e fotografo mi pare più plausibile. Effettivamente Montgomery Clift maturò negli anni una forte dipendenza dall’alcol ma nel periodo dello scatto di Kubrick probabilmente si divertiva con sublime ironia a ritagliarsi addosso l’immagine stereotipata di giovane introverso, problematico, ribelle, melanconico, solitario, psicologicamente complesso, molto in voga a Hollywood: pensate al successo che avrà di lì a pochi anni James Dean con le caratteristiche psicologiche e caratteriali che ho elencato.

Sono quasi sicuro della mia interpretazione dal momento che di quel servizio sul noto attore furono pubblicati altri scatti dei quali ho il piacere di presentarvene due: nel primo Clift mentre fuma sta guardando dalla finestra qualcosa che ha attirato la sua attenzione (fig.6); nel secondo è in piedi (fig.7), ha un look decontratto e un atteggiamento di sfida. Insomma, il giovane attore, grazie a servizi e reportage pubblicati sui magazine, sembra volesse suggerire al pubblico un parallelismo tra i personaggi che come attore interpretava con il suo carattere e stile di vita.

Stanley Kubrick, fig.6
Stanley Kubrick, fig.7

Il giovane Stanley lo aveva capito e aveva collaborato attivamente a trasformare ciò che Clift esasperava in forma di recita, dissimulata posa o quant’altro, in rappresentazioni con note drammatiche che il lettore di Look avrebbe percepito come vere, reali, sincere come, ad esempio, quella che aveva come protagonisti alcuni giovanissimi lustrascarpe (fig.8).

In questa immagine a mio avviso sono riscontrabili tutti i determinanti che la Straigh Photography teorizzata da Stiglitz, Adams, Strand aveva imposto come Vangelo fotografico nei primi decenni del Novecento, ovvero l’esito estetico dell’immagine è il risultato della previsione del fotografo, con una composizione dell’occhio che grazie al perfetto controllo del mezzo fotografico estrae dal continuum del tempo, un frammento caratterizzato da una certa purezza, verità e bellezza.

Stanley Kubrick, fig. 8

Non sono sicuro che Stanley conoscesse le sopracitate teorie. La sua avversione agli indottrinamenti era evidente osservando le difficoltà che incontrava ad adattarsi all’apprendimento scolastico. Tuttavia molte sue foto convergono verso il paradigma della Straight Photography, anche se quando risultava possibile o necessario interveniva manipolando la messa in scena per dare all’immagine il tono drammatico, emotivo, che la rendevano percettivamente più pregnante.

In questo modo le sue foto potevano planare su di un fascio di qualità riconosciute come segni che certificavano il realismo necessario alla cronaca per essere credibili in un contesto giornalistico, e nello stesso tempo potevano essere percepite come interessanti e belle. Inoltre, e forse questo è l’aspetto determinante, grazie agli adattamenti portati alla situazioni inquadrata, Kubrick poteva via via affinare una sua costruttiva visione estetica.

Più che da scuole di pensiero, credo che si facesse guidare dai fotografi che avevano colpito la sua immaginazione. Uno di questi era senz’altro Weegee, pseudonimo di Arthur Felling, specializzato in foto di omicidi, risse notturne, incidenti letali. La sua abilità nel raggiungere il luogo del crimine contemporaneamente alla polizia gli consentiva di produrre scoop subito pubblicati dalle maggiori testate newyorkesi. Quando Stanley cominciò a fotografare, Weegee era probabilmente uno dei fotografi più famosi degli Stati Uniti.

Le sue foto scattate quasi sempre di notte con il flash e gli infrarossi drammatizzavano la scena, calando sull’immagine poi pubblicata una forte impressione del momento. La luce violenta, diretta, contribuiva a rafforzare il contrasto tra bianco e nero, esaltando la coordinata primaria della foto di cronaca giornalistica cioè la visione/rivelazione della cruda realtà, la quale trasformava il fotografo in un testimone oculare per il pubblico dei magazines, molti dei quali sfruttavano la crescente disponibilità dei lettori ad accettare un voyeurismo diffuso.

Stanley ammirava la luce diretta ed energica utilizzata da Weegee e imparò ad utilizzarla per le sue foto dalla tonalità molto contrastata. Le foto 9/10, sono un buon esempio di quanto vado ipotizzando: la prima è una foto a rischio di banalità, presa nel camerino di una ballerina; a me pare evidente che l’idea di fotografarla, utilizzando lo specchio con la scena dominata da una forte luce laterale, tale da drammatizzare la presenza del fotografo, trasformi un contenuto troppo scontato in qualcosa di perturbante. Nella seconda foto scattata nel 1947 con Peter Arno ripreso mentre suona il pianoforte, l’effetto di intensa partecipazione emotiva del soggetto è ancora più evidente.

 

Stanley Kubrick, fig.9

 

Stanley Kubrick, fig.10

 

Quanto sono state importanti le esperienze come fotografo per la carriera di regista di Kubrick? Lo stesso regista a più riprese raccontò che fu nel periodo in cui lavorava per Look che emerse in modo perentorio il desiderio di diventare un regista. C’è da aggiungere che, come ho già scritto, molti dei suoi servizi sulla rivista si presentavano come una sorta di documentario fotografico su svariati temi.

Guardando l’impaginazione e la sequenza degli scatti, la prima impressione è di un sorprendente controllo della situazione da riprendere: non si deve mai dimenticare che Stanley aveva 17/18 anni ed era praticamente un autodidatta. Probabilmente, una parte del merito spetta al photo editor della rivista. Ma con il senno di poi, sapendo quanto fosse maniacale Kubrick quando girava le scene dei suoi film, ritengo che il fotografo fosse consapevole del fatto che le sue immagini avevano come obiettivo il raccontare una storia e che la loro valenza sarebbe aumentata in relazione alla connettività di ogni singolo scatto con la serie pubblicata.

In un certo senso Stanley preparava le sue foto come un regista allestisce una scena, seguendo all’inizio un copione ma per punteggiarlo e quindi adattarlo, con intuizioni nate dalla situazione del momento.

Quindi, l’esperienza come fotografo di cronaca, così come Stanley l’interpretava, fu importante per la sua decisione di divenire regista, ma forse fu ancora più decisiva per la maturazione della sua visione sul come raccontare delle storie attraverso delle immagini esemplari.

Mi spiego con un esempio. Osservate la fig.11 con attenzione. Il soggetto sembra tutto sommato banale: un’elegante ragazza sta camminando sul largo marciapiedi che costeggia la strada. Stanley sceglie di fotografarla da tergo. Forse voleva preservare la bellezza dinamica creata da una spontanea e decontratta andatura, che sarebbero state interrotte da una foto frontale. Ma non sono queste presupposizioni ad essere veramente interessanti.

Infatti, la foto in oggetto mi trasmette un sentimento di equilibrio, di ordine che a mio avviso nasce dalla percezione della struttura prospettica che emerge dall’articolazione delle forze visive della foto: partendo dalla figura della ragazza posta al centro dell’immagine, è immediata la percezione di due linee laterali che convergono in un punto di fuga, tali da farci sentire la profondità e la direzionata dinamica dell’incedere dell’andatura.

Ebbene, questa costruzione di equilibrio prospettico dona chiarezza, ordine, bellezza all’immagine e diverrà una delle tante invarianti nel montaggio dei film che renderanno famoso Kubrick. Un suo film che espone con stupefacente chiarezza il sentimento di bellezza, creato a partire da un centro che stabilizza forze visive dinamiche e divergenti è Barry Lyndom.

 

Stanley Kubrick, fig.11

 

Un’altra caratteristica nella configurazione della scena in Kubrick è l’introduzione di un punto di osservazione o di ripresa del soggetto, fuori dagli schemi, presentato come punteggiatura drammatica al continuum ordinato delle immagini. Anche questo aspetto del suo modo di articolare il linguaggio del cinema, lo vedo anticipato nella sua esperienza di giovane reporter.

Guardate la fig.12: la ragazza, in precario equilibrio, sta trasportando libri lungo uno scalone; l’intuizione di Stanley di scegliere un punto di vista anomalo per creare incertezza nella scena, (riuscirà la ragazza ad arrivare in fondo allo scalone senza far cadere i libri?) crea, a livello di fruizione, una tensione tra l’ordine prospettico e il sentimento di precarietà, dalla quale discende una nota di bellezza inquieta, ironica, a volte persino cinica, che troveremo embricata in sequenze memorabili di molti suoi film.

 

Stanley Kubrick, fig.12

 

La mostra

Trieste, Magazzino delle idee, Stanley Kubrick Photographs throught a different lens, dal 01-10-2021 al 30-01-2022.

 La mostra è organizzata da ERPAC in collaborazione con il Museo della città di New York e l’Archivio Stanley Kubrick. Le 130 immagini provengono dall’Archivio Look.

Info: Magazzino delle Idee di Trieste.

Lamberto Cantoni
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48 Responses to "Stanley Kubrick fotografo"

  1. luciano   4 Novembre 2021 at 17:42

    Kubrick è stato un regista importante per la mia generazione. Non sono sorpreso che fin da giovanissimo fosse un mago con la macchina fotografica. Però paragonarlo ai fotografo della Magnum è troppo.

    Rispondi
  2. Lamberto Cantoni
    Lamb   5 Novembre 2021 at 04:59

    Oggi guardiamo le immagini fotografiche di Kubrick giovane sapendo che sarebbe diventato uno dei più famosi registi del ‘900. Ma senza queste conoscenze come giudicheremmo le immagini? Daremmo ad esse la stessa enfasi? È difficile rispondere. Anche se ci proviamo non possiamo rimuovere completamente ciò che sappiamo. Lo sguardo innocente, puro, dal momento che ci viene detta la paternità delle immagini, evapora. Nella percezione della foto entrano tracce iscritte nella memoria, che deviano il nostro giudizio. Ma funziona così per tutti. Per esempio quanto conta per il giudizio critico su (x), sapere che era un fotografo Magnum ovvero della agenzia di reporter divenuta un vero e proprio mito culturale? Certo facciamo ogni sforzo per tentare di essere obiettivi, ma dubito che riusciremo a cancellare totalmente ciò che sappiamo di rilevante sull’’autore. Ma poi mi chiedo: non è proprio questa interferenza del sapere a dare spessore al giudizio critico? Quando tentiamo di mettere ordine ad una molteplicità di proposte estetiche, non ci appelliamo forse a dei modelli o criteri di giudizio? Questi parametri non sono eterni; dipendono da nostre scelte o preferenze. Quindi se l’occhio oggettivo o innocente non esiste, l’unico modo per spiegare un interesse per questa immagine e non quest’altra o di classificarla come rilevante oppure no, è accettare che la valenza dei valori (estetici) dipenda dal coinvolgimento in parallelo di numerose agenzie della mente. Il giudizio perde ogni certezza eterna, ma guadagna la possibilità di focalizzare il nostro punto di vista, la nostra scelta, i nostri valori.

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  3. annalisa   6 Novembre 2021 at 09:21

    Se ben ricordo la Magnum è stata fondata da Cartier Bresson, Mi sembra un pochino più bravo di Kubrick-

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    • luc97   6 Novembre 2021 at 10:00

      C’era anche Capa tra i fondatori. Volevano difendere il diritto di autore per i fotografi e il valore culturale del reportage. Annalisa ha ragione, non si può paragonare Kubrick con gente del calibro di Capa e Cartier Bresson.

      Rispondi
  4. Lamberto Cantoni
    Lamberto Cantoni   7 Novembre 2021 at 08:35

    Bisogna tenere presente che Stanley quando nel 1947 fu fondata l’Agenzia Magnum era poco più che adolescente. Cartier Bresson e Capa erano per contro all’apice della loro carriera. Io credo che se Kubrick non avesse scelto il cinema, oggi sarebbe valutato da chi ama la fotografia alla stregua dei grandi fotografi citati.

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  5. Nicolò   16 Novembre 2022 at 13:35

    Ho apprezzato molto questo articolo che spiega nel dettaglio la vita di un giovane Stanley Kubrick alle prese con quella che era la sua fuga dalla monotonia della vita quotidiana e che, nel giro di qualche anno quelle semplici foto sarebbero diventate il punto di partenza per il suo inconfondibile stile cinematografico.
    Le due foto che mi hanno colpito di più sono la numero 4 e la numero 12. Nella prima ho apprezzato come Kubrick riesca quasi ad entrare nella vita di quei due giovani innamorati, interrompendoli e probabilmente spaventandoli. Mentre nella seconda i richiami alla futura cinematografia di Kubrick si sprecano. E’una foto che mette ansia e suscita un forte senso di pericolo e onestamente le scale mi hanno ricordato quelle dell’Overlook Hotel

    Rispondi
  6. Luca   16 Novembre 2022 at 18:17

    È intrigante, a mio parere, come Kubrick sia riuscito a sorprendere e farsi apprezzare dal pubblico (già come fotografo) proprio grazie a questa ambiguità, riguardante il primo dogma della street photography: ovvero che lo scatto sia “rubato”, che parli di quotidianità, di emozioni, di amore e di vita vera. Nel momento in cui lo spettatore, dopo aver fatto mera esperienza personale della foto, inizia a chiedersi se si tratti effettivamente o meno di street photography, Kubrick ha già ottenuto il suo risultato. Proprio perché permette a chi sta apprezzando lo scatto (che in ogni caso presenta un ottimo carattere estetico) di andare oltre la semplice visione, e iniziare a speculare, dapprima sulla “spontaneità”, e in seguito, perché no, anche sulle plausibili situazioni che hanno condotto al momento dello scatto (prendiamo come esempio la fig.4) . In questo modo il fotografo non rimane solo officiatore dell’opera, ma ne entra a far parte come protagonista insieme ai soggetti raffigurati.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   28 Novembre 2022 at 09:58

      Molto interessanti gli esiti dell’ingaggio percettivo suscitato da Kubrick che hai segnalato. In definitiva ciò che caratterizza la foto interessante da quella che si fa solo guardare è proprio il desiderio di “entrarci dentro” della prima. In tal modo la fotografia ci invita a riflettere su ciò che significa vedere qualcosa e non il semplice e spontaneo guardare.

      Rispondi
  7. Giona   16 Novembre 2022 at 22:45

    Ritengo la fotografia una fase “necessaria” se non “essenziale se si
    vuole entrare nel mondo del cinema. Infatti possiamo ben notare
    quanto le fotografie di Kubrik si siano sviluppate ed abbiano aiutato
    lui stesso sia ad esprimersi in ambito fotografico, ma soprattutto a
    capire che strada intraprendere nella vita. La macchina fotografica è
    uno strumento magico, ma non tutti sono in grado di adoperarlo come
    si deve. Tutto gioca sulla sensibilità del fotografo, infatti non è un caso
    che Kubrik fosse molto interessato al famoso fotografo newyorkese
    “Weegee” a mio avviso è evidente che il futuro regista ha un fascino
    per la morte, in quanto la essa è molto misteriosa… Notiamo in 2001
    Odissea nello spazio questo “passaggio” verso un possibile futuro, e
    magari una possibile reincarnazione. In molti suoi film si fa presente
    questa passione per il mistero, e anche dell’surreale, se ci pensiamo
    in effetti un morto non sembra reale, perde tutta l’espressività che lo
    rende umano dunque sembra un fantoccio di plastica
    Prima di essere un famosissimo regista, o un ottimo fotografo, Kubrik
    innanzitutto è un’abile osservatore, e lo si nota molto dai suoi scatti:
    perché un ottimo fotografo non avrebbe seguito un passante soltanto
    perché lo si vedeva salire su una scala anti incendio. Kubrik era molto
    sveglio, attento, ed infatti non è un caso che aveva un quoziente
    intellettivo superiore della media. Egli sapeva riconoscere
    un’interessante scena quando gli capitava davanti, la macchina
    fotografica gli ha soltanto permesso di immortalare tali scene. Inoltre
    gli ha fatto aprire una porta che non aspettava altro che essere aperta
    da lui.

    Rispondi
  8. Amedeo F.   20 Novembre 2022 at 22:48

    Mi sono molto soffermato sulla parola “Flâneur”.
    Il “lusso” di poter girovagare senza fretta all’interno della società rimanendo spesso fruitore delle scene che gli si presentavano penso abbia creato in Kubrick una sensibilità da spettatore. Riuscire a sviluppare un occhio esterno che però fosse allo stesso tempo immerso in quello che stava accadendo senza inficiare la scena. Impara ad utilizzare punti di vista inusuali e intriganti per lo spettatore.

    In più, avendo la necessità di concentrare all’interno di un solo scatto tanti elementi, probabilmente, gli ha permesso di sensibilizzarsi in quello che poteva/doveva essere presente dentro la scena con tutto ciò che era fondamentale, nulla di più, nulla di meno.

    Senza poi lasciare in secondo piano il lavoro di continuità nel reportage che doveva effettuare:
    L’abilità nel rappresentare la narrativa lasciando la spontaneità e capacità di continuità della storia con grandi abilità tecniche e di autenticità delle scene. Che fossero vere o false, non importa, l’importante è che fossero autentiche “reali” per l’osservatore. Senza poi considerare la cura delle forme geometriche/linee che permettono di avere una visione chiara della scena. Questo ordine degli elementi probabilmente è un altro punto che rende estremamente facile la lettura e il ricordo delle scene/situazioni da lui create.

    Il tempismo è un altro punto che secondo me è molto importante per lo sviluppo che la fase da reporter ha avuto sulle sue capacità cinematografiche, lo sviluppo di questa sensibilità, preparazione per poter cogliere la luce e il timing che prediligeva.

    Per il Look lavorò su diversi temi, e forse questo ha sviluppato in lui la voglia di mettersi continuamente in gioco sui diversi generi dal punto di vista registico.

    Per quanto riguarda l’ammirazione dei lavori di Weegee, specializzato in foto di omicidi, risse, incidenti letali (mi viene in mente un film recente “The Nightcrawler aka Lo Sciacallo”) forse percepisce che la cruenza è una delle cose che affascina di più l’essere umano. Per intenderci come quando si guarda o non si vuole guardare un gabbiano spiaccicato sulla strada.

    In conclusione credo che probabilmente con l’esperienza in ambito fotografico è riuscito a sensibilizzare una capacità nel crearsi l’idea dell’immagine che avrebbe sempre voluto ritrarre.

    Rispondi
  9. Nicoló Donati   23 Novembre 2022 at 21:44

    Kubrick era un fenomeno. Quando si guarda qualsiasi opera creata dal genio di questo mostro sacro del cinema c’è solo da stare zitti e bene attenti. Secondo me questa sua presenza nel mondo della fotografia è stata assai importante per la sua carriera cinematografica. Già dalle foto che faceva per il Look si poteva già notare il suo stile. Questi scatti rubati che esso faceva già facevano presagire a un qualcosa che sarebbe potuto andare solo ad evolversi. Perché la fotografia poi penso sia la parte più importante del cinema e soprattutto della regia. Iniziare con ciò non poteva che maturarlo per qualcosa in futuro.

    Rispondi
  10. tom   24 Novembre 2022 at 08:44

    Ho apprezzato molto l’articololo su Stanley Kubrick fotografo, è quasi una boccata d’aria fresca da quello che è la complessità delle sue immagini in movimento, un giovane che sperimenta, un giovane consapevole, uno specchio limpido di quello che sarà il suo futuro ma con la leggerezza e l’intraprendenza che solo un ragazzino può avere. La sua ossessione penso sia nata col tempo di scatto in scatto per poi arrivare fino alla produzione filmica, ma la precisione nel catturare il momento come ce l’ha avuta lui non sono in molti ad averla; la sensibilità di essere in uno spazio e la velocità nel cogliere e ritagliare rettangoli di vita.

    Rispondi
  11. Lorenzo Dellapasqua   24 Novembre 2022 at 08:56

    Quanto possiamo provare ad entrare dentro la mente di un artista del calibro di Kubrick anni prima dell’apice del suo successo, descrivendone con chiarezza le intenzioni, mantenendo un punto di vista oggettivo? A mio parere, questa quantità non è nemmeno calcolabile. Questo perché sia che uno possa essere un fan sfegatato o un detrattore di questo mostro sacro, in entrambi i casi sarà impossibile non eccedere in una spinta soggettività. Spesso ci si chiede (mi viene in mente nella vita di coppia per esempio) come sia possibile che anche dopo decenni di relazione con il proprio partner si scoprano spigoli o mondi nascosti che nemmeno potevamo immaginare. Ne rimaniamo shockati, e ci diciamo come sia impossibile conoscere una persona fino in fondo (visto che si passa tutta la vita ad imparare noi stessi senza mai conoscerci davvero forse, figuriamoci un altro essere umano). Lo diciamo spessissimo, quasi da rendere questa una regola generale. Ma questo non porta insicurezza nella coppia, nel senso: non ti aspetti in ogni momento della giornata di essere strabiliato in senso positivo o negativo dal proprio partner. Allo stesso modo, non possiamo (anzi, non è proprio possibile) redigere una profilassi del genio di Kubrick a 18 anni. Così come è impossibile farlo senza le sue interviste durante l’apice della carriera (e anche qui, quante cose possono essere omesse, anche inconsciamente, dietro a delle semplici parole), pensate in un periodo della sua vita in cui probabilmente nemmeno lui sapeva nemmeno chi era. Dico questo non per dire che sia sbagliato mostrare i suoi scatti (o per diventare detrattore di Kubrick ragazzo), anzi dobbiamo condividere queste opere al mondo altrimenti sarebbero sprecate. Dico questo perchè quello che si dovrebbe fare davanti a questi scatti, è viverli come un primo appuntamento con il regista. Come una vera e propria relazione. Come se andando in soffitta si trovasse una vecchia cassetta o una foto che ritrae il tuo partner i primi giorni in cui vi siete conosciuti. La si guarda, la si apprezza, si sorride, ci si commuove forse. Ti unisce in qualche modo alla giovinezza, quindi ad uno dei periodi più delicati che una persona possa affrontare in vita sua, di qualcuno che potenzialmente ritieni uno dei più grandi. E’ una magia. Ed è una magia che non può essere snaturata da un semplice tirare ad in indovinare, ad un banale superenalotto di “come era allora, cosa pensava, cosa faceva”. Entriamo per un attimo nella vita di un altra persona guardando il mondo con il suo punto di vista più intimo e puro che ci sia. Rimaniamo lì per qualche secondo, e poi usciamone avendo imparato qualcosa, o più semplicemente (anche se di gran lunga più importante) avendo vissuto qualcosa di vero.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   28 Novembre 2022 at 09:45

      Stimato Lorenzo, sono d’accordo con il tuo punto di vista. Solo a posteriori possiamo congetturare una correlazione tra la pratica fotografica giovanile di Kubrick e alcuni aspetti della regia dei suoi grandi film. Aggiungo anche che la correlazione ha una impronta soggettiva cioè è una mia interpretazione. Ma prova a sostenere il contrario ovvero che i circa 10 anni dedicati alla fotografia, prima come hobby poi come professione, non hanno lasciato alcuna traccia nel Kubrick regista. È plausibile? Io penso di no. Se ragiono sul suo Grande Stile, allora posso seguire delle tracce (dei tratti pertinenti con delle invarianti di stile), e le tracce possiedono dimensioni del senso che connettono aspetti distribuiti non solo in tutti i suoi film ma anche sui modi di configurare immagini prima che esse assumano l’aspetto dinamico audiovisivo. Nelle sue foto giovanili mi è sembrato di riconosce l’impronta di queste tracce.

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  12. giulia   24 Novembre 2022 at 10:02

    secondo me kubrick è stato un’ottimo scrittore e attore e mi sono affermata sulla parola ”flauner ” che indica una persona che vaga per le vie cittadine sperimentando e provando delle emozioni nell’osservare il paesaggio .

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   25 Novembre 2022 at 08:20

      Mah! Kubrick scrittore e attore? Dove lo hai letto? Se volevi dimostrarmi che anche in stato di coscienza alterata si può fare un commento, ci sei riuscita.

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  13. Antonio   28 Novembre 2022 at 10:47

    Personalmente, apprezzo ciò che Kubrick fissa in modo indelebile attraverso la street photography; con uno scatto riesce a creare una vignetta istantanea decontestualizzata dalla storia a cui appartiene. Noi guardando una sua foto possiamo costruirci un ipotetica storia suggerita dagli elementi che riconosciamo all’interno dello scenario. Penso di poter dire che in una sua toto possiamo vedere soltanto una piccola fetta della complessa personalità dei sui personaggi creati da Kubrick, cosi da non avere una visione assoluta e veritiera del soggetto all’interno della storia ma ben si una esaltazione massima delle caratterizzazioni di quell’ attimo.

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  14. Luca Mastrovincenzo   30 Novembre 2022 at 21:39

    Questo articolo, che tratta della esperienza da fotografo di Stanley Kubrick, riesce ad esprimere bene i caratteri della sua fotografia.
    Nella street photography, che viene descritta, troviamo la spontaneità dei soggetti inquadrati e la causalità delle situazioni.
    Però mi ritrovo nell’ambiguità riscontrata nella figura 4, poiché la dinamica della foto è poco credibile e perde un po’ la spontaneità dello scatto. Di fatto si mette in dubbio che alcune sue fotografie siano state realizzate a tavolino dal fotografo, al fine di dare un significato alle immagini. L’intento di spontaneità che viene posta, è quindi in realtà un illusione.
    Nonostante questa considerazione sono d’accordo con l’espressività che riesce a trasmettere alle immagini e la narrazione implicita, che ne deriva.
    Personalmente non riesco a trovarmi in disaccordo con il contenuto dell’articolo, forse legato da una mia conoscenza non ancora accurata.

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  15. Letizia Ventura (Laba cinema2)   27 Marzo 2023 at 13:05

    La fotografia per Kubrick è stata il punto di partenza. La fotografia è stata l’inizio di tutto.
    Come ben sappiamo l’invenzione della fotografia rappresentò un fondamentale passo in avanti verso quella del cinema. Kubrick prima di tutto fu un grande fotografo; un fotografo che aspirava ed ambiva ad essere un regista. Come citato nell’articolo sopra, Stanley Kubrick preparava le sue foto come un regista allestisce una scena. Sia in ambito fotografico e cinematografico Kubrick aveva una visione e una tecnica all’avanguardia, era spesso in anticipo sui tempi. Tra i tratti distintivi della sua estetica,come il travelling o l’ossessione per la simmetria, ciò che più di ogni altra cosa colpisce è l’uso che Kubrick fa dell’immagine e dell’inquadratura piegandola alla sua personale visione del mondo. La poetica di Kubrick fotografo rappresenta la sottile linea tra la riproduzione della realtà nel modo più fedele possibile e la voglia di raccontare delle storie: si sa che ogni fotografia ha sempre un intento, che sia quello di pura facsimile della realtà asettica e oggettiva, passando per un significato surreale o metaforico fino ad arrivare alla vera e propria narrazione, per suscitare riflessioni nell’osservatore. Già dagli albori, Kubrick vuole comunicare dei precisi messaggi allo spettatore, mostrando la vita di tutti i giorni che spesso passa sotto tutti i nostri nasi, concentrandosi su dettagli di vita quotidiana che il più delle volte vengono dati per scontati. È la più vivida testimonianza della concezione del mondo da parte di un regista realista e visionario, onirico e naturalista, che riporta contraddizioni su contraddizioni, il cui impatto, così automatico e inspiegabile allo stesso tempo, risuona ancora oggi. Personalmente mi ha colpito la serie che Kubrick dedica alle persone in metropolitana o in generale sui mezzi pubblici, gente addormentata, simbolo di un’era di crisi e di stanchezza generale dopo gli eventi che hanno sconvolto il paese. Proprio perché molte delle immagini hanno il principale intento di raccontare una storia, spesso sembra che esse ricordino delle scene da un film, piuttosto che dare un messaggio di spontaneità.

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  16. Tania Sirotti (cinema 2)   29 Marzo 2023 at 08:52

    Mi ha stupito scoprire che Stanley Kubrick prima di diventare il regista affermato che è ora fosse in origine un fotografo.
    Il suo modo di rappresentare la realtà è a dir poco estasiante.
    Ammetto che amo i fotografi di “street” come ad esempio Vivian Maier che attraverso la sua “protesi” fotografica riusciva ad ottenere degli scatti nei quali rappresentava degli scorci di società in un modo del tutto emozionante e originale.

    Kubrick usava la fotografia come mezzo sociale ed emozionale.
    Raccontava delle storie attraverso le immagini, storie complesse e molte volte anche a “finale aperto”.
    Come ad esempio l’immagine numero 4, nella quale 1 – non sappiamo il motivo per il quale i due ragazzi si siano nascosti tra le scale per amoreggiare, quindi di conseguenza questo “non sapere” ci porta a fantasticare con la mente e a inventarci una storia e un racconto.
    2- Non sappiamo come il fotografo sia riuscito a catturare questo scatto, il che rende tutto più interessante e impressionante.

    Penso che conoscere la fotografia o comunque avere avuto una formazione o esperienza in questo ambito aiuti tantissimo alla creazione di un regista d’eccezione e di successo, anche perché cinema e fotografia vanno di pari passo.

    Kubrick configurava le sue scene fotografiche seguendo vari criteri che poi porta anche nei suoi film.
    Analizziamo un attimo il film “Shining”.
    1- Le GEOMETRIE e SIMMETRIE per cercare di equilibrare e rendere più armoniosa la composizione.
    Scena del bambino sul triciclo che gira nel corridoio.
    2- EQUILIBRIO PROSPETTICO per donare chiarezza e ordine.
    Scena del corridoio nel quale appaiono le gemelle, tutto converge su di loro.
    3- PUNTO DI OSSERVAZIONE O DI RIPRESA DEL SOGGETTO FUORI DAGLI SCHEMI per creare incertezza e tensione nella scena.
    Scena nel quale viene ripresa la porta con la scritta “MURDER” dal basso verso l’altro.

    Con il tempo Kubrick si è creato il proprio stile cinematografico, riconoscibile da tutti.
    Secondo me se un regista riesce a farsi riconoscere dopo pochi minuti di visione di un proprio prodotto multimediale in un mondo che al mondo d’oggi è sempre più saturo, allora ha vinto!

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   29 Marzo 2023 at 09:36

      Intervento ricco di implicazioni importanti per l’individuazione dello stile del regista. Ci sono stati altri registi che hanno cominciato la carriera come fotografi. Per esempio Agnes Varda, Ken Russel, Larry Clark. E c’è chi ha fatto il percorso inverso: Win Wenders faceva personalmente le foto delle location utilizzate per i suoi film; la qualità delle immagini fotografiche era tale da suggerirgli post quem di trasformarle in opere artistiche per mostre itineranti di notevole successo.
      Io credo che la sensibilità fotografica dei registi citati abbia favorito la qualità del lavoro dei direttori della fotografia scelti per i loro film. L’esempio più eclatante per me rimane la collaborazione tra Kubrick e John Alcott.

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  17. Arianna Pagnoni   6 Aprile 2023 at 22:57

    Se penso a Kubrick senz’altro lo collego direttamente ad un regista, e a tutti i suoi film che lo hanno definito tale. È uno dei registi più eccellenti degli ultimi tempi.
    Non mi stupisce il fatto che fosse anche un eminente fotografo.
    Le sue fotografie sembrano piccoli frame di film, sono molto suggestive, raccontano qualcosa, trasmettono sensazioni reali.
    I suoi film possono essere considerati quasi perfetti. Si intuisce ciecamente da ogni singola inquadratura, che Kubrick ci sapeva fare con le immagini, con la fotografia.
    La precisione che mette in esse è impossibile non notarla; tutte le linee di fuga sono studiate perfettamente, convergono sulla figura principale, evidenziando i punti chiave dell’inquadratura.
    Ha un senso di controllo, geometrico e precisione sublime.
    Ci fa entrare nel suo mondo in ogni singola immagine.
    Pe non parlare dell’utilizzo della luce spesso naturali cosi da farci vedere la realtà cosi come appare, o e dei colori, anche questi sono studiati in ogni singolo dettaglio.
    Di sicuro è certo che se al tempo, Stanley Kubrick avesse dovuto scegliere tra cinema o fotografia entrambe le strade l’avrebbero portato sicuramente al successo.

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  18. Chiara Benamati Laba Fotografia 1   8 Aprile 2023 at 11:54

    Ammetto di non aver mai sentito nominare Stanley Kubrick , forse per una mia scarsa cultura fotografica ? Probabilmente si , ma sono contenta di averlo conosciuto grazie a questo articolo.
    Partirei col dire che conoscere questo fotografo è stata una scoperta, mi impressiona e mi intriga il modo in cui un ragazzo autodidatta di soli 17 anni riesca a realizzare una foto come quella mostrata all’inizio dell’articolo , la fotografia che ritrae l’edicolante; il pathos dell’edicolante è così chiaro che poi unito ai manifesti della morte di Roosevelt dona alla fotografia quel senso di malinconia , dona anche quel senso di casualità come era solito fare Kubrick, grazie a questa fotografia Stanley iniziò a farsi apprezzare dal pubblico.
    La passione per la fotografia e per il cinema lo ha sicuramente aiutato , perchè credo fortemente che la fotografia sia un ottimo mezzo per entrare nel mondo del cinema , questa influenza ha aiutato Kubrick nel modo di narrare le sue fotografie, tutto inizia dalla sensibilità di fatti quando ho letto il nome di Weegee (di cui già conoscevo la vita e il modo in cui operasse per scattare le fotografie) , a cui era molto interessato , ho capito subito quanto Kubrick tenesse nel raccontare la storia vera, drammatica , imparando a utilizzare anche un forte contrasto per rendere chiamo il messaggio .
    Il mio primo approccio alla fotografia è stato con la street photography , catturare il momento mi ha sempre affascinata , la reazione delle persone alla visione della macchina fotografica mi fa sempre molto ridere , quindi Kubrick è interessante da studiare proprio per il suo modo di realizzare fotografia di street , la verità , la composizione , l’uso dello spazio , la casualità, tutte caratteristiche che gli appartengono.
    Stanley prima di essere fotografo e regista era un ottimo osservatore , era sempre molto attento a tutto quello che lo circondava e riconosceva quando qualcosa attirasse la sua attenzione come i due ragazzi abbracciati nella metro o anche la coppia che flirtava sulle scale di emergenza.
    Non ho mai visto film di Kubrick poiché il genere suspense, horror non mi piace , ma ho sentito nominare Shining moltissime volte a scuola , quando il mio prof durante le sue lezioni mentre spiegava storia del cinema, ha fatto vedere degli spezzoni, ho fatto una ricerca per capire che valori usasse durante la registrazione del film : 2.8 ! sono rimasta sconvolta .
    Ho cercato qualche scena del film poichè non me le ricordavo, per capire quale aspetto risultasse somigliante con le sue fotografie, e subito mi è saltato all’occhio il modo di equilibrare le scene , come d’altronde faceva anche con le fotografie , il senso di equilibrio ed eleganza ha caratterizzato il suo stile , ma anche la scelta di realizzare inquadrature molto ampie con una profondità di campo altrettanto ampia.
    Kubrick da quello che ho potuto leggere in giro sul web si è creato il suo stile cinematografico , proprio dalle caratteristiche dell’equilibrio e punti di vista prospettici.

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  19. Lamberto Cantoni
    lamberto cantoni   8 Aprile 2023 at 15:12

    Ottimo intervento Chiara. Sono sorpreso che tu non abbia mai visto un film di Kubrick dall’inizio alla fine. Parlarne come se fosse stato un fanatico del genere horror è ridicolo. La suspense è una emozione che richiede l’elaborazione di uno stato di attesa e incertezza di notevole complessità narrativa. E’ un grave errore che tu non ne abbia la minima cognizione dal momento che “non ti piace”. Accetta un consiglio: se vuoi imparare qualcosa che allarghi le tue competenze devi qualche volta ostacolare lo strapotere del tuo piacere. Comunque, 2001, Odissea nello spazio, Arancia meccanica, Barry Lyndon, Il dottor Stranamore, Lolita, Orizzonti di gloria, Full metal Jacket, Eyes Wide Shut…non sono riconducibili all’horror e nemmeno a una idea di suspense alla Dario Argento.

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  20. Nicole Milani   19 Aprile 2023 at 17:28

    Leggendo l’articolo ho anticipato ciò che sostenne il suo biografo Vincent LoBrutto, Kubrick aveva una grande capacità narrativa, lo si denota nelle sue fotografie che sembrano scene di film. Questa sua eccellente abilità lo portò al successo nel mondo del cinema.
    Sguardo attento alla composizione, alla luce, alla prospettiva e la cura per i dettagli.
    Appassionato di scacchi, abituato a pianificare le proprie mosse e collocare le pedine secondo me lo fece anche nella realizzazione delle sue fotografie.
    Documentandomi su internet ho letto che la ragazza fotografata da Kubrick mentre abbraccia il suo compagno sui sedili della metro è in realtà la sua futura moglie.
    Da questo si può capire come non sempre riusciva a cogliere la composizione perfetta data dalla casualità del momento ma la costruiva lui attraverso uno studio mirato.
    Caso o no trovo le sue foto davvero coinvolgenti.

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  21. Beatrice Canè   25 Aprile 2023 at 13:41

    Stanley Kubrick è stato uno dei registi e fotografi più noti del XX secolo. Ha iniziato la sua carriera come fotografo freelance e in seguito si è dedicato al cinema. Trovo stupefacente come un ragazzo di appena 17/18 anni, praticamente autodidatta, avesse già agli albori della sua carriera un totale controllo della situazione da riprendere, con l’obiettivo di raccontare una storia. Equilibrio prospettico e punto di osservazione del soggetto fuori dagli schemi sono le caratteristiche principali del fotografo/regista. Se prendiamo ad esempio l’immagine scattata al signore che vende i giornali, è incredibile come sia riuscito, con uno scatto apparentemente fortuito, a inquadrare in maniera impeccabile la scena.
    Viene messa in atto la regola dei terzi, l’occhio ricade proprio sui punti focali, come il volto desolato del signore, il giornale con la scritta “Roosevelt dead”, ma anche il dettaglio della mano poggiata sui giornali. Concordo con lei nel dire che in questa immagine vediamo sia la casualità del momento intercettato da Kubrick, sia l’ordine percettivo che il punto di ripresa impone al reale.
    La sua attenzione ai dettagli si è poi estesa per approdare nel cinema, dirigendo alcuni dei film più iconici e innovativi delle storia del cinema, come “Arancia Meccanica” e “Shining”. Ammetto con rammarico di aver visto solo la pellicola “Full Metal Jacket”, che racconta la storia di un gruppo di giovani americani durante la Guerra del Vietnam. Il film si divide in due parti: la prima segue l’addestramento dei soldati, mentre la seconda segue il loro servizio. Kubrick ha diretto il film con la sua abituale attenzione ai dettagli e alla tecnica, creando a mio avviso immagini potenti e impressionanti dal punto di vista fotografico. Con l’uso di tecniche e di illuminazione particolari è riuscito a creare una sensazione di claustrofobia e di tensione costante. Ma il vero punto di forza della pellicola è l’analisi del ruolo della guerra sulla psiche umana. Ha diretto i suoi attori per creare personaggi che sono spesso in conflitto con se stessi e con gli altri, mostrando in modo crudo gli effetti della guerra sulle persone.
    Ho letto in un articolo che, sebbene fosse molto esigente sul set, i suoi attori hanno sempre parlato molto bene di lui, lodando la sua capacità di far emergere il meglio da loro.
    Come altri grandi registi, egli ne ha influenzati molti. Ad esempio, Martin Scorsese ha dichiarato di aver preso ispirazione da Kubrick per il suo approccio realistico alla regia, mentre David Lynch ha dichiarato che Kubrick gli ha insegnato l’importanza di creare immagini potenti e inquietanti.
    In sintesi, è stato un genio del cinema e della fotografia, un artista che ha lasciato un’impronta indelebile sulla cultura popolare. La sua attenzione ai dettagli, la sua abilità nel creare immagini potenti e la sua capacitò di dirigere gli attori lo hanno reso un regista unico e inimitabile.

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  22. Dario Tosto   29 Aprile 2023 at 19:20

    Kubrick è stato sicuramente un dei registi più influenti nella storia del cinema. Se si parla di lui ovviamente non si può ignorare il suo stile fotografico, che lo ha da sempre contraddistinto tra i suoi colleghi per la rigorosità e precisone a detta di molti maniacale, dietro ogni ripresa infatti è stato effettuato un studio meticoloso per raggiungere l’inquadratura perfetta.
    Non mi stupisce infatti che Stanley sia nato come fotografo, in quanto possiamo considerare la fotografia la madre del cinema. Credo infatti che sia indispensabile riuscire a sviluppare una conoscenza e una maestranza di questa arte per poi eccellere nel cinema. Sono convinto che avere l’occhio per riuscire a immortalare un momento, una sensazione o raccontare una storia in una sola immagine richieda una sensibilità non da poco e che sia la base da cui partire per poi creare eventualmente un prodotto audiovisivo. In termini stretti, un regista deve essere per prima cosa in grado di padroneggiare l’inquadratura e la luce, conoscendo i vari significati che si possono far trasparire variando semplicemente questi due elementi anche in modo minimo.
    Kubrick sembra riuscirci fin da giovanissimo, mi hanno molto colpito le sue immagini per la rivista Look per la semplicità e il modo diretto in cui il soggetto parla con noi. Si nota da subito lo stile di precisione e rigorosità di Kubrick da questi scatti, tanto che alcuni mi sembrano veri e propri frame cinematografici.
    Per concludere, mi sto rendendo conto sempre di più, frequentando questo corso ed entrando sempre di più in questa realtà, di quanto impattante e potente possa essere una singola immagine e di conseguenza l’importanza di sapersi giostrare al meglio gli elementi che si hanno a disposizione per creare un qualcosa che abbia valore per noi stessi prima di tutto ed eventualmente per gli altri.

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  23. Daniela M.   3 Maggio 2023 at 10:29

    Ammiro come Kubrick a soli 17/18 anni veniva già definito come fotografo professionista e che molti critici paragonavano le sue fotografie all’altezza dei grandi fotografi di Magnum.
    Ammetto che se dovessi scegliere tra i tanti ambiti della fotografia quella street sarebbe nella parte basse della mia lista, nonostante ciò le fotografie di Kubrick mi affascina e colpiscono particolarmente essendo che voleva mettere in primo piano il concetto di “ordinary people” valorizzandole attraverso l’istantaneità degli scatti facendo percepire a noi osservatori la veridicità e spontaneità dei soggetti.
    Essendo molto apprezzato come fotografo riuscì a collaborare con grandi agenzie come “Look”, notato da Helen O’Brian per la sua fotografia a un edicolante malinconico, ed è proprio in questo periodo che il desiderio di diventare regista si alimenta sempre di più, come citato del suo biografo Vincent LaBrutto le sue sequenze fotografiche, realizzate in chiave narrativa, assomigliavano ai montaggi di film. Trovo estremamente affascinante come Kubrick nel realizzare le sue fotografie le studiava e preparava con occhio da regista essendo che con quelle fotografie voleva raccontare qualcosa e non semplicemente immortalare un momento preciso.

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  24. Francesca Saccone LABA   6 Maggio 2023 at 15:34

    Trovo particolarmente interessante il precoce approccio alla fotografia di Stanley Kubrick: simile talento e tale devozione nei confronti delle arti visive a 360 gradi già da ragazzo, non possono che anticipare una carriera prodigiosa . L’influenza di Arthur Fellig (in arte “Weegee”) è stata essenziale: considerato il maestro dei fotoreporter, Weegee era solito utilizzare il flash e successivamente la pellicola infrarossa, in grado di far emergere dettagli impercettibili a occhio nudo, capaci di mostrare i sentimenti più profondi dei soggetti raffigurati. La collaborazione con la rivista “Look” gli diede la possibilità di congelare istanti di vita di passanti: Stanley si concedeva il lusso di bighellonare per le vie della città in cerca di figure che fossero conformi alla propria visione estetica… il risultato? Scatti eleganti, autentici e portatori di continuità narrativa. Le figure 4 e 5 tratte dal reportage “Life and Love on the NY Subway” a primo impatto le definiremmo dei veri e propri “scatti rubati”, è proprio qui che si cela la singolarità di Kubrick: la capacità di realizzare un’immagine che agli occhi del fruitore appare dettata dal caso, è preziosa, lascia quasi interdetto se vogliamo, non riusciamo proprio a capire se sia stata pura fortuna o sia stata progettata a tavolino in maniera minuziosa.

    Anche nel repertorio cinematografico ritroviamo questo tipo di approccio: immagini con precise linee verticali, ripetute forme geometriche e simmetrie, utilizzate per donare un senso di oppressione e che contribuivano allo svolgimento (spesso altalenante) della trama. Senza dubbio l’uso della violenza e il tema della morte sono presenti nella maggior parte della filmografia firmata S.K. (basti pensare a Shining, Full Metal Jacket, Eyes Wide Shut..). È inoltre curioso osservare la ripetuta presenza del mondo filosofico all’interno del suo cinema: è infatti definito “cinema colto”, ossia arduo da comprendere senza una preventiva conoscenza base rispetto le teorie dettate da Freud, Nietzsche e Russel.

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  25. Manuel LABA   18 Maggio 2023 at 13:34

    Penso che nelle fotografie di Stanley Kubrick si rivede molto del S. Kubrick regista di successo che tutti noi conosciamo.
    Non c’é molto da dire a riguardo, mi pare evidente come la maniacale cura che Kubrick manifestava nelle scene dei sui film per la simmetria delle immagini sia perfettamente riscontrabile anche nelle sue fotografie.
    Poter vedere il “passato da fotografo” di Stanley Kubrick è molto interessante in quanto i suoi film essendo una sequenza di piu scene nelle quali si può riscontrare sempre una maniacale cura per le inquadrature, ricorda vagamente una raccolta di fotografie.
    Personalmente penso che la base fotografica abbia formato il giovane Kubrick, e sicuramente anche influenzato il suo percorso, questa sua esperienza lo ha portato ad arrivare al regista di tutto rispetto che noi tutti oggi conosciamo come tale.

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  26. Siria laba   16 Giugno 2023 at 18:11

    Kubrick è stato un fotografo noto per la sua maestria nell’uso della luce, della composizione e della narrazione visiva. Il suo occhio attento ai dettagli e la sua precisione artistica si riflettono in ogni scatto che ha realizzato.
    Ciò che apprezzo di più in Kubrick è la sua capacità di creare immagini che catturano l’essenza e l’atmosfera delle scene che fotografa, ogni fotografia sembra raccontare una storia, trasmettere un’emozione o svelare un aspetto nascosto della realtà.
    La sua capacità di manipolare l’illuminazione e le ombre ha contribuito a creare un senso di profondità e di drammaticità nelle sue fotografie.
    La sua abilità tecnica e la sua visione artistica unica hanno creato opere cinematografiche straordinarie che continuano a influenzare generazioni di spettatori e registi.
    Oltre alla fotografia, infatti, Kubrick è famoso per i suoi film, che spaziano in diversi generi e tematiche. Alcuni dei suoi lavori più noti includono “Arancia Meccanica” e “Shining”.
    Nei suoi film, Kubrick ha portato la sua attenzione ai dettagli, ogni inquadratura è studiata con precisione e le sue immagini sono caratterizzate da una forte simmetria, una composizione bilanciata e una resa visiva spettacolare.
    La passione di Kubrick per la fotografia ha avuto un impatto significativo sul suo lavoro cinematografico, contribuendo a creare un’estetica distintiva e un’attenzione ai dettagli che lo hanno reso un regista unico nel suo genere.
    Inoltre, Kubrick ha esplorato una vasta gamma di generi e temi, dimostrando una versatilità eccezionale.

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  27. Michele Ghiselli LABA   25 Giugno 2023 at 18:40

    Stanley Kubrick realizzò da autodidatta a 17/18 anni, degli scatti a pagamento per la rivista Look. Nonostante la mancanza di una formazione teorica e pratica, con amore e cura per i dettagli fece dei lavori degni di paragone con un professionista. Con alcune foto è difficile capire, se sono reali o costruite prima a tavolino.
    Nella figura cinque, si può notare come il protagonista sia seppur steso sul pavimento (quindi all’apparenza in una collocazione casuale) al centro della foto, in una posa poco naturale e che il disordine è troppo ordinato per essere vero. Nella figura uno il dubbio mi resta, perché da una parte mi sembra costruita (il giornalaio triste, e chissà perchè ci sono solo giornali ben visibili con la notizia) ma dall’altra penso, che il protagonista potrebbe essere talmente triste, da non essersi accorto della fotocamera, e che la maggioranza dei quotidiani hanno riportato a grosse lettere, una notizia molto importante e quindi sarebbe stato quasi impossibile, trovarne uno che apriva con altre news. La figura dodici (realizzata e non “trovata” per caso) mi ha colpito per la prospettiva che fa “vivere” l’immagine, come se fossi lì con la ragazza e quindi col dubbio “cadranno o no, i libri?”.
    Fotografie reali o no, Kubrick era molto bravo anche con la macchina fotografica, unica arma a sua disposizione, oltre alla tanta voglia di fare e l’intelligenza. Dopo questa esperienza e un discreto successo con i suoi corti, decise di fare il regista a tempo pieno, e negli anni riusò anche alcune tecniche già sperimentate da ragazzo, ossia l’equilibrio prospettico (figura dieci e Barry Lyndon); la sensazione di precarietà (figura dodici, Vertigo, …).

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  28. Perla Laba   9 Ottobre 2023 at 11:46

    Stanley Kubrick è noto principalmente come uno dei più grandi registi nella storia del cinema, ma prima di dedicarsi al settore del cinema, ha iniziato la sua carriera come fotografo. Questa esperienza ha sicuramente contribuito a plasmare il suo occhio artistico e la sua abilità nel creare immagini visivamente straordinarie.
    Lavorare come fotografo ha permesso a Kubrick di sviluppare una maggiore comprensione della composizione, della luce e della messa in scena, elementi che si potrebbe pensare abbiano influenzato il suo lavoro cinematografico successivo. I suoi scatti fotografici, anche quelli realizzati durante gli anni in cui lavorava come fotografo per la rivista “Look”, sono un’espressione più che legittima del suo talento e della sua visione unica.
    Uno dei tratti più distintivi delle fotografie di Kubrick è la loro capacità di suscitare emozioni e atmosfere intense. Ad esempio, nella sua serie “Chicago – City of Extremes” che mi sono appena riguardata, Kubrick ha catturato l’anima della città e delle sue persone in un modo che solo pochi fotografi sono riusciti a fare. Le sue immagini trasmettono un senso di alienazione, di solitudine e di disconnessione umana, portandoci a riflettere sui temi che sono diventati centrali anche nei suoi successivi film.
    Un altro elemento che emerge dalle sue fotografie è l’attenzione meticolosa per i dettagli. Kubrick era un perfezionista e questo si rifletteva nel lavoro che svolgeva dietro l’obiettivo. Il suo occhio per l’inquadratura perfetta, l’uso sapiente delle luci e delle ombre e la capacità di catturare momenti unici nel tempo sono solo alcune delle caratteristiche che rendono i suoi scatti fotografici così notevoli.
    Se Kubrick avesse continuato a lavorare come fotografo, non posso fare a meno di immaginare in quanti modi avrebbe potuto sfidare i limiti dell’arte visiva.
    Niente da togliere alla sua carriera cinematografica ovviamente, ma sarebbe stato interessante vedere come avrebbe sicuramente esplorato nuove tecniche, sperimentato con diversi stili e continuato a raccontare storie complesse attraverso le immagini. La sua sete di perfezione e il desiderio di esplorare le profondità dell’espressione artistica lo avrebbero guidato verso nuovi orizzonti.
    Mentre il lavoro come fotografo è stato solo una fase della sua carriera, la sua esperienza in questo campo è possibile abbia avuto un impatto significativo sulla sua abilità come regista. Kubrick ha portato con sé un approccio visivo eccezionale, una capacità di creare immagini indimenticabili e una padronanza completa delle tecniche di composizione. Ha saputo tradurre queste competenze nel suo lavoro cinematografico, creando quei capolavori che tutti oggi conosciamo.
    Attraverso il suo occhio unico per l’estetica visiva e la sua capacità di trasmettere emozioni complesse attraverso le immagini, ha lasciato un’impronta indelebile su entrambi i campi creativi. Avremmo sicuramente perso opere straordinarie se non avesse seguito la sua carriera come regista, ma ribadisco che, soprattutto personalmente, sarebbe stato affascinante vedere come si sarebbe evoluto nel mondo della fotografia.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   9 Ottobre 2023 at 17:15

      Ottimo intervento Perla. Molto buoni gli equivalenti verbali che descrivono il servizio di Chicago. Mi viene da pensare che non trovandoti d’accordo con il mio script, hai dovuto o voluto riscrivere il testo critico a tuo modo. Come del resto hai fatto anche con lo script su Mapplethorpe.

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  29. Chan Vannak Vinella (LABA Cinema 1)   6 Dicembre 2023 at 09:49

    Stanley Kubrick: lo potremmo definire colui che ha riscritto la storia del cinema, ma partiamo dall’inizio quando lui nasce con la passione verso la fotografia per raccontare una storia. Fin da piccolo Kubrick non amava molto seguire le lezioni scolastiche alla Taft High School nel Bronx tanto da, come citato nell’articolo, scappare diverse volte per sperimentare nuove tecniche direttamente nella sala cinematografica adiacente alla sua abitazione. L’avvento della morte del presidente di New York Franklin Delano Roosevelt fece iniziare ufficialmente la carriera fotografica di Kubrick il 12 aprile 1945. La fotografia raffigura un edicolante appoggiato sul suo braccio sinistro perso fra i suoi pensieri, fra le sue problematiche, mentre i manifesti fissati alle pareti dell’edicola davano un segno di sconforto e agitazione. Ecco, ho potuto conoscere il “primo Kubrick” che stava nascendo prima di diventare una stella del cinema.
    “Fare cinema non è fotografare la realtà, ma fotografare la fotografia della realtà.”
    Queste sono le parole dello stesso fotografo, ora regista. Tutto nasce da un’immagine ferma, statica per poi incominciare a muovere attraverso la successione di più immagini affiancate ad altre (prendendo il nome di ‘frame’). Kubrick voleva cercare di catturare la realtà “vera” delle cose, momenti intimi ed enigmatici che pongono continuamente nell’osservatore una serie di interpretazioni infinite. Prendiamo ad esempio la fotografia della ragazza su un tram che sta sfogliando il giornale circondata dalla gente. Kubrick presenta uno spaccato di vita di comunissimi borghesi a primo impatto, ma assume un ulteriore significato filosofico: le persone sembrano vicine ma in realtà sono lontanissime tra di loro con le menti. Anche il pittore impressionista Pierre-Auguste Renoir nel suo dipinto “Assenzio” riesce a dare questa sensazione di estraneazione, questo senso di vuoto nel vivere la vita. Ho potuto dunque constatare l’estrema ricerca del regista di voler denunciare le condizioni umane del suo periodo grazie alla potenza dell’espressività dei suoi personaggi.
    Nel 1953 Kubrick realizzò il suo primo lungometraggio “Fear and desire”. Esso rappresenta anche il suo primo approccio verso il mondo della guerra e della sua illogicità. Anche in “Il Dottor stranamore – Ovvero: come ho imparato a non preoccuparmi e ad amare la bomba” (1964), racconta in maniera satirica il viaggio mentale di persone ‘malate’ che governavano ai tempi della Guerra fredda. Kubrick però non si ferma solo a questo genere di film: “Arancia meccanica” (1971) ad esempio è un film che mostra l’ultraviolenza come forma di “piacere” se così possiamo definirla in una società dove le leggi perdevano la loro importanza. Qui secondo me il regista ha fatto tesoro della tragica condizione umana citata da Thomas Hobbes dove l’uomo è nato come animale violento che viene soppresso dalle istituzioni per evitare i conflitti fra i propri simili. Notiamo qui il pensiero pessimista di Kubrick verso il genere umano in contrapposizione con il pensiero di Rousseau, dove afferma invece che l’uomo è in realtà una creatura buona che è stata corrotta dalla società o dal pensiero marxista. Non mancano anche viaggi nel subconscio del Res e del Super Io tipici freudiani che delineano in quasi tutti i personaggi delle sue opere. Dunque Kubrick lo possiamo considerare come un regista-filosofo.
    Nonostante siano passati diversi anni dalla sua morte (St. Albans, 7 marzo 1999), i suoi film possono essere considerati oggetti di studio contemporanei ai giorni nostri? La risposta risiede soprattutto nel suo unico film fantascientifico “2001: Odissea nello spazio” (1968) dove preannuncia la pericolosità dell’AI (Intelligenza Artificiale) se non siamo noi a limitarla.
    Infatti: “Noi stessi siamo il nostro peggior nemico. Nulla può distruggere l’Umanità ad eccezione dell’Umanità stessa.”

    cit. Pierre Teilhard De Chardin

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    • Lamberto Cantoni
      lamberto cantoni   6 Dicembre 2023 at 12:07

      Intervento coinvolgente che ho apprezzato. La citazione di Kubrick che hai selezionato è veramente esplicativa nonché pertinente.

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  30. Davide Zanatta LABA   6 Dicembre 2023 at 14:04

    Stanley Kubrick è uno dei più impressionanti pionieri della Nuova Hollywood.
    I suoi progetti filmici propongono una complessa struttura narrativa che però grazie a un’esatta scelta stilistica dei personaggi, delle inquadrature e dei suoni, riesce ad essere distribuita in maniera fluida nei confronti dello spettatore. Il suo percorso fotografico è a dir poco curioso, e pur non avendolo mai approfondito personalmente, è notevole come già da suoi prodotti riesca a immortalare momenti che sembrano quasi risultare delle vere e proprie scene filmiche. In un contesto urbano le fotografie propongono in un certo senso quello che per molti può essere la routine di tutti i giorni, ma la cosa affascinante è il modo in cui riesce a immortalare i soggetti, quasi da proporre all’osservatore l’introduzione a una storia (d’amore,drammatica, adolescenziale, di mistero, ecc…).
    Inoltre la scelta del bianco e nero propone un’atmosfera quasi Noir, soprattutto grazie a un forte uso del nero nei punti d’ombra.

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  31. Giacomo Lolli Ceroni Laba   6 Dicembre 2023 at 16:33

    Kubrick è un genio dell’inquadratura, e su questo non ci piove. Trovo molto interessante come un genio del cinema si riveli anche un genio della fotografia, questo va a sottolineare ulteriormente la vicinanza di queste due arti.
    Mi sono fermato a riflettere sul fatto che probabilmente Kubrick, se non avesse intrapreso la strada del regista, sarebbe stato un amatissimo fotografo.
    Una critica molto personale che posso volgere al regista riguarda la sua mancanza di spontaneità in molte foto.
    Come spiega l’articolo molto probabilmente le foto erano scattate con la complicità del soggetto e trovo che questo espediente non renda giustizia a quella che definisco “fotografia genuina”.
    Trovo che la fotografia sia l’arte di immortalare momenti che accadono spontaneamente, per questo definisco la fotografia “genuina”, e il probabile staging dietro le foto di Kubrick sa molto di artificiale, paragonerei la sensazione che provo, al sapore delle caramelle haribo, quei coccodrilli gommosi gialli, rossi, arancioni…. che sicuramente sono molto buoni ma hanno sempre quel retrogusto di finto, proprio per via della loro origine industriale.
    Ho provato questa sensazione immediatamente dopo aver visto l’immagine 5 dell’articolo, e penso che non ci sia bisogno del testo seguente per capire che quella foto non è genuina.
    Con questo non intendo dire che le foto di Kubrick non abbiano valore, anzi, restano degli scatti perfetti, ma personalmente preferisco gli scatti perfetti (e genuini) di Salgado dove soggetti reali vengono immortalati nella loro realtà

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    • Chan Vannak Vinella (LABA Cinema 1)   6 Dicembre 2023 at 18:16

      Kubrick è stato promotore di un nuovo modo di fare lettealmente cinema, dove la sua “ossessione” per il dettaglio e la precisione nelle varie messe in scene hanno portato i suoi film quasi perfetti. Vorrei muovere questa contocritica nei confronti di un concetto che hai citato: “fotografia genuina”. Cosa s’intende per “fotografia genuina”? Certo, forse le fotografie di Kubrick ritraeano un momento cosiddetto sfuggente e scabroso di gente borghese priva di interesse nella vita, richiamando nuovamente all’alienazione marxista. Non metto in dubbio che le foto scattate in bianco e nero di Salgado non riescano ad imprimere nell’osservatore una migliore prospezione della realtà che ci circonda, rendendo i suoi scatti molto più tangibili ai problemi che abitano nel nostro Mondo. Pertanto approvo la tua preferenza verso quest’ultimo ma definire artificiale secondo me non è proprio il termine giusto. Oserei dire “una fotografia sfuggente” che cattura di nascosto qualcosa che le altre persone non possono vedere. Credo che Kubrick voglia riprendere la vera natura degli uomini nei loro momenti di debolezza in una società come la sua. Io trovo di artificiale qualcosa di rarefatto, qualcosa di indifferente rispetto al nostro sguardo…Se già crea una vaga sensazione di disturbo potrebbe aver raggiunto il suo scopo.

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  32. Francesco Zambelli LABA   6 Dicembre 2023 at 19:00

    Basti considerare che Stanley Kubrick, oltre a gestire la regia dei propri lungometraggi, gestiva la direzione della fotografia, per capire quanto era affermato in entrambe le materie.
    Eccelse in entrambe le arti, con il cinema principalmente, ma anche con la fotografia, vincendo da ragazzo un concorso di “Look”, magazine in voca all’epoca.
    Risulta molto interessante come, del cinema alla fotografia, per Stanley Kubrick ci sia una contrapposizione nella scelta di rappresentare i soggetti.
    Nonostante siano scene costruite, quelle delle fotografie sembrano degli scatti rubati, ricordando vagamente Vivian Meyer.
    Anche il tipo di bianco e nero che troviamo nelle fotografie si distacca nettamente dal bianco e nero di alcuni suoi film, che risultano più freddi.
    Basti pensare che per decidere di realizzare film, pensò a come rendere più dinamico uno scontro di Box, e immaginò l’idea di un piccolo documentario.

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  33. Gabriele Panichi   6 Dicembre 2023 at 19:42

    Il testo esplora la storia di Stanley Kubrick, iniziando quando riceve una Graflex da suo padre a 13 anni e passando attraverso il suo percorso dalla fotografia alla regia cinematografica. La Graflex diventa fondamentale per la sua visione artistica, agendo come uno strumento chiave per interpretare il mondo.
    Nel testo, si racconta dei primi giorni di Kubrick come fotografo alla Taft High School nel Bronx e della sua successiva collaborazione con la rivista Look. La sua prima pubblicazione su Look nel 1945, una foto sulla morte di F.D. Roosevelt, evidenzia il suo approccio professionale alla fotografia.
    Si sottolinea il periodo cruciale in cui Kubrick lavora per Look come fotografo freelance dal 1945 al 1950. L’analisi si concentra sulla sua abilità nel trasformare situazioni quotidiane in immagini affascinanti, applicando un tocco cinematografico al suo lavoro di reportage.
    Vengono menzionate le influenze di Kubrick dalla Straight Photography e da fotografi come Weegee, sottolineando il suo talento nel cogliere l’inaspettato e trasformare la realtà attraverso la sua prospettiva unica. Si evidenzia anche il collegamento tra la sua esperienza fotografica e la successiva carriera cinematografica, suggerendo che le competenze acquisite nella fotografia hanno contribuito alla sua abilità nella regia.
    Leggendo il commento di Luciano, credo che sia stato un pò superficiale, infatti egli ha espresso la sua opinione senza motivarla: ha scritto che Kubrick non è paragonabile a Magnum, ma quando si fa una critica del genere, secondo la mia opinione, è necessario spiegare cosa ci porta ad avere un determinato pensiero. Per esempio avrebbe potuto spiegare i motivi per cui preferisce Magnum (agenzia fotografica cooperativa internazionale fondata nel 1947 da un gruppo di fotografi).

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    • luciano   7 Dicembre 2023 at 09:40

      Caro Gabriele, negli anni di Kubrick, Magnum significava soprattutto foto di Cartier Bresson, Capa e Seymour, i fondatori dell’agenzia. Sulla superiorità estetica di Cartier Bresson non mi pare sia possibile alcuna discussione. E’ lui che ha fatto capire che il lavoro di reporter poteva essere evocativo e formalmente rilevante come un’opera d’arte. Nelle sue foto l’ordine e l’equilibrio degli elementi dell’immagine risentono della sua formazione come pittore, ma nello steso tempo sono freschi come lo può essere una istantanea. Nelle immagini di Capa e Seymour si percepisce perfettamente il momentum decisivo. In Kubrick c’è freschezza ma è quella del dilettante di talento. C’è ricerca del momentum ma è quasi sempre più teatrale che veramente fotografico.

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  34. Giacomo   7 Dicembre 2023 at 15:01

    Appena letto questo articolo mi viene in mente la domanda che se il padre di Staley non gli avesse regalato la sua Graflex se la sua passione poteva arrivare in una seconda maniera, oppure se questa non la scopri.
    Gia da molto giovane lavorava con la sua passione e si è fatto affermare tramite la sua a tre che a parere mio nemmeno si rendeva conto del potenziale che aveva gia da piccolo.
    Noto di come la maggior parte delle foto sono scatti rubati alla vita quotidiana e ci vuole un grande occhio per trovare dell arte in delle azioni di tutti i giorni.
    Mi piace come raffigura le persone normali come soggette della fotografia in un modo casuale indipendentemente da cosa loro stiano facendo, non solo, mi piace che crea un punto di domanda nelle proprie foto come se volesse invogliare colui che le guarda a crearsi una storia attraverso il movimento che crea la foto e lo spazio di dove si trova.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   8 Dicembre 2023 at 10:32

      Sembra una domanda tipo: se la nonna avesse avuto le ruote al posto dei piedi forse sarebbe diventata un tranvai…Scherza a parte, il giovane Kubrick aveva due passioni: la fotografia è il cinema. Anche senza la prima sarebbe arrivato al secondo. Forse con meno esperienza nelle inquadrature. Ma il suo desiderio di perfezione avrebbe colmato in fretta ogni lacuna..

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  35. Federico Canducci (LABA)   11 Dicembre 2023 at 00:40

    Questo articolo fornisce un quadro dello sviluppo artistico di Kubrick nei primi anni della sua carriera.
    Viste le foto del suo periodo giovanile, mi trovo pienamente d’accordo con il professor Cantoni nel dire che, lavorare nel mondo dell’industria fotografica come fotoreporter sia stata un’esperienza formativa fondamentale per Stanley, che ha certamente affinato i suoi gusti nella scelta delle inquadrature, nel dosaggio della luce, nello studio prospettico dell’immagine e soprattutto, lo ha avviato alla stesura di narrazioni, seppur ancora molto brevi e limitate a pochi scatti.
    Ho fatto una piccola ricerca su Weegee (Arthur Felling), fotografo che influenzò il giovane Stanley nella scelta delle luci. E’ interessante notare come Kubrick, a diciassette anni e da completo autodidatta, avesse già una sua idea di fotografia. Egli aveva ben chiaro cosa le sue foto dovessero ritrarre e pensò bene di aggiungere ad esse un tratto dello stile di uno dei fotografi che ammirava. Nonostante ciò, ci sono differenze importanti tra l’operato dei due artisti, come per esempio la distanza dei soggetti dalla fotocamera. Osservando gli scatti di Weegee si può notare che egli non ha una particolare predisposizione nella scelta di questo fattore, mentre sembra che Kubrick prediliga riprese ravvicinate o a media distanza. Un’altra differenza è il momento dello scatto, Felling fotografa prevalentemente al buio, per la natura delle situazioni che ritraeva, mentre Stanley, probabilmente per trovare più facilmente le “ordinary people” all’opera, scattava soprattutto di giorno.
    Il gusto di Kubrick per i forti contrasti, creati con l’uso della luce all’interno delle sue pellicole, si manifesta spesso in “Arancia Meccanica”. Nei primissimi minuti del film vediamo che i personaggi hanno dei costumi bianchi, che indosseranno in molte sequenze, e siedono davanti ad un muro nero. Il colore dei vestiti mescolato alla luce che illumina le figure, genera un forte contrasto con lo sfondo, creando drammaticità e contribuendo assieme alla musica e gli sguardi sinistri dei personaggi, a trasmettere inquietudine agli spettatori. Per finire, la scena in cui la banda del protagonista e una banda avversaria si scontrano in un teatro abbandonato, mi ricorda la foto nel camerino della ballerina che Kubrick scatta per “Look”. La luce viene utilizzata lateralmente in entrambe le situazioni, sebbene abbia intensità differenti. Questa potrebbe essere la conferma di come Stanley Kubrick si sia portato dietro l’influenza di Weegee anche nella sua carriera da regista.

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  36. jessica biagioli LABA   11 Dicembre 2023 at 11:56

    Non ero a conoscenza della carriera di Kubrick nell’ambito della fotografia, ma i suoi scatti spontanei che ritraggono un contesto dettagliato, catturando momenti autentici e significativi della vita quotidiana hanno attirato la mia curiosità facendomi ipotizzare storie dietro di esse. La spontaneità dei suoi scatti mi porta a pensare alle fotografie di Doisneau, scatti in cui la quotidianità viene vista con occhi dalla profonda emotività. Reputo incredibile come un regalo fatto in età giovanile possa cambiare il futuro di una persona e non solo, la Graflex diventò una “protesi degli occhi” per Kubrick, stimolandolo a esplorare il mondo attraverso l’obiettivo della macchina fotografica e cambiando la visione che aveva del mondo riadattandolo a modo suo, anticipando così il suo futuro successo come regista attraverso la sua abilità unica nel creare un momento di complicità che instaurava con il soggetto e nel catturare la cultura attraverso l’obiettivo della sua macchina fotografica. La connessione tra l’esperienza di Kubrick come fotografo e la sua carriera cinematografica emergono chiaramente, suggerendo che il suo approccio alla fotografia ha contribuito alla maturazione della sua visione estetica e alla sua abilità nel raccontare storie attraverso immagini. Kubrick, come giovane reporter, sviluppò una propria sensibilità estetica, anticipando alcune delle caratteristiche distintive presenti nei suoi film. L’analisi di specifiche immagini, come quella della ragazza sul marciapiede, evidenzia il talento di Kubrick nel creare equilibrio, ordine e bellezza attraverso una composizione prospettica e l’uso di punti di vista non convenzionali. Dovendo fare una critica, mi soffermerei sul commento di Annalisa, non trovo un senso nel giudicare e paragonare dei workshop tra due fotografi che si trovano su due livelli differenti, Kubrick era agli inizi della sua carriera, mentre Bresson presumo sia stato all’apice, di fatto diventa impossibile creare un paragone secondo il mio punto di vista.

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  37. Giorgia Venturi LABA   13 Dicembre 2023 at 21:59

    Nel 1943, Stanley Kubrick, appena quindicenne, inizia a interessarsi alla fotografia grazie a suo padre, un medico newyorkese con radici ebraiche polacche, rumene e austriache, quest’ultimo gli regala una macchina fotografica Graflex e lo introduce al gioco degli scacchi, e da quel momento, fu amore a prima vista. La passione per gli scacchi diventa per Kubrick un modo di pianificare strategie, mentre la fotografia gli offre l’opportunità di mettere in pratica le sue abilità nel mondo reale. Nonostante sia uno studente mediocre alla Taft High School nel Bronx, Kubrick si unisce a un Club Fotografico e diventa il fotografo ufficiale del giornale scolastico. Tra il tempo libero trascorso tra rullini fotografici e la passione per il cinema, egli si dedica a esplorare le programmazioni del Loew’s Paradise e del RKO Fordham Theatre, contribuendo alla sua crescita culturale cinematografica. La sua carriera fotografica prende il via nel 1945 con la morte del Presidente Roosevelt. Kubrick, circondato dai titoli dei giornali, cattura un momento di sconforto di un uomo, immortalando i sentimenti della città. Questa immagine viene venduta alla rivista Look, rendendo Kubrick il fotografo più giovane pubblicato dalla rivista a soli 16 anni. Negli anni successivi, l’artista lavora per per questa rivista, scattando circa 15.000 fotografie che riflettono il suo talento naturale e il crescente interesse per la tecnica fotografica. Sperimenta nuove macchine, con una predilezione per la luce naturale e controlla attentamente ogni dettaglio delle sue immagini. Il suo servizio “Life and Love on the New York City Subway” include una delle sue immagini più famose, ritraendo la sua futura moglie come attrice in una scena di vita quotidiana.L’attenzione maniacale ai dettagli, il controllo sugli attori e l’uso della luce naturale diventano distintivi per Kubrick, anticipando il suo stile come regista. La sua transizione dal fotogiornalismo al cinema avviene con il cortometraggio “Day of the Fight”, basato su un servizio fotografico su un pugile. Da qui in avanti, Kubrick diventa un regista di successo, sfruttando la sua esperienza fotografica per sviluppare uno stile cinematografico innovativo. I suoi film sono caratterizzati da piani sequenza, inquadrature simmetriche, composizione accurata, prospettiva e attenzione ai dettagli. Nonostante il termine della sua carriera giornalistica nel 1950, la passione di Kubrick per la fotografia rimane viva. I quattro anni con Look hanno avuto un impatto duraturo sulla sua crescita artistica, e il suo contributo alla fotografia e al cinema continua ad essere apprezzato, con la speranza di scoprire ulteriori capolavori nascosti negli archivi del Museo della Città di New York. Potremmo stabilire alcuni parallelismi tra la fotografia di Stanley Kubrick e quella di Henri Cartier-Bresson, un celebre fotografo francese noto per il suo approccio allo “scatto decisivo” e per il suo talento nel catturare momenti fugaci della vita quotidiana. Entrambi Kubrick e Cartier-Bresson erano maestri nel raccontare storie attraverso le loro immagini. Mentre Kubrick narrava principalmente attraverso il cinema, Cartier-Bresson lo faceva attraverso la fotografia, catturando momenti unici e significativi nella vita di persone di tutto il mondo. Sempre entrambi erano attenti alla composizione delle loro immagini. Cartier-Bresson era noto per la sua abilità nel creare composizioni bilanciate e armoniche, spesso utilizzando linee e geometrie intriganti. Kubrick, sia come fotografo che come regista, era altrettanto meticoloso nella sua composizione, creando immagini con un forte senso di simmetria e dettagli accurati. altri elementi in comune sono: La fotografia di Strada, poiché entrambi avevano una predilezione per la fotografia di strada. Cartier-Bresson era famoso per la sua abilità nel catturare la vita urbana in modo spontaneo, mentre Kubrick, soprattutto durante i suoi giorni con la rivista Look, si dedicava a immortalare momenti della vita quotidiana nelle strade di New York. E la ricerca di Significato, infatti, sia Kubrick che Cartier-Bresson cercavano di trovare significato nelle loro immagini. Mentre Cartier-Bresson si concentrava sulla “geometria dell’istante”, Kubrick era interessato ai dettagli umani e alle emozioni, cercando di catturare la complessità delle relazioni umane. Anche l’Influenza cinematografica: Entrambi i fotografi erano profondamente influenzati dal cinema. Kubrick, ovviamente, è passato dalla fotografia al cinema, ma la sua esperienza nella prima ha influenzato il suo approccio visuale. Cartier-Bresson, d’altra parte, era consapevole della cinematografia e spesso applicava principi cinematografici nella sua fotografia. Infine troviamo elementi come: Ricerca dell’Autenticità: Sia Kubrick che Cartier-Bresson cercavano di catturare autenticità nelle loro immagini. Mentre Kubrick spesso utilizzava amici o persone comuni come modelli nelle sue immagini, Cartier-Bresson era noto per evitare la messa in posa, cercando piuttosto momenti autentici e spontanei. E la luce Naturale: Entrambi i fotografi prediligevano spesso la luce naturale. Cartier-Bresson era abile nel sfruttare la luce disponibile per creare immagini iconiche, e Kubrick, in particolare nel suo lavoro cinematografico, ha spesso cercato di utilizzare la luce naturale per ottenere effetti cinematografici unici.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   14 Dicembre 2023 at 07:52

      Intervento autorevole. Sul mito dell’autenticità ho i miei dubbi e le mie irritazioni, ma non sono importanti. Interessante invece la notazione sull’influenza reciproca tra fotografia è cinema.

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