Stanley Kubrick fotografo

Stanley Kubrick fotografo

TRIESTE – Al Magazzino delle idee di Trieste, in Corso Cavour nr. 2, è in corso una mostra che esibisce 130 immagini fotografiche che un giovanissimo Kubrick scattò per la rivista Look, prima di diventare il geniale regista che tutti conosciamo.

Quando Stanley Kubrick aveva 13 anni, suo padre, Jaques Leonard Kubrick, medico newyorkese appassionato di fotografia, gli regalò una Graflex.

Si trattava di una macchina fotografica professionale molto apprezzata da grandi fotografi come Barbara Morgan, Weegee, Dorothea Lange, particolarmente adatta per reportage, dal momento che liberava il fotografo dalla necessità del cavalletto, permettendogli, inoltre, di vedere il soggetto fotografato direttamente dal pozzetto così come si presentava davanti all’obiettivo.

La Graflex divenne subito per il ragazzo una sorta di protesi del suoi occhi, con la quale allenarsi a osservare e riprendere soggetti, situazioni che lo incuriosivano, inquadrandoli in schemi visivi e punti di vista che denotavano un talento e un interesse per il linguaggio delle immagini fuori dall’ordinario.

Stanley divenne in poco tempo il fotografo ufficiale del magazine della Taft High School nel Bronx. Pare che il suo rendimento scolastico non fosse proprio esaltante e i suoi professori lo considerassero un assenteista cronico. Infatti, oltre alla passione per la fotografia, spesso Stanley preferiva alla scuola la sala cinematografica che si trovava poco distante da casa sua.

Secondo alcuni dei suoi biografi, furono queste mattinate in fuga da lezioni che lo annoiavano, passate a guardare film, a radicare in lui il desiderio e la volontà di diventare un regista.

Comunque, durante i suoi studi alla Taft tutti gli riconoscevano una intelligenza superiore alla media, che gli consentiva di barcamenarsi nelle varie materie anche se i suoi hobby lo assorbivano quasi in maniera esclusiva.

In realtà il suo approccio alla fotografia non era affatto paragonabile a un passatempo o a uno svago. C’era qualcosa di professionale nell’accanimento che Stanley profondeva nella sua attività di reporter.

Lo si può abdurre dalla prima foto che riuscì a farsi pagare e pubblicare sulla rivista Look nel 1945.

Se osservate la foto 1, che riprende un edicolante dall’atteggiamento melanconico circondato dai manifesti e dalle prime pagine dei giornali che annunciano la morte di F.D. Roosevelt, credo che sarete d’accordo sul fatto che non presenta alcuna incertezza.

È decisamente una coinvolgente foto di cronaca, la cui efficacia è fuori discussione. In essa scorgiamo sia la casualità del momento intercettato dal fotografo e sia l’ordine percettivo che il punto di ripresa impone al reale.

 

Stanley Kubrick, fig.1

 

Stanley aveva diciassette anni e già fotografava con l’occhio di un professionista affermato. Helen O’Brian, la responsabile del dipartimento fotografico della rivista bisettimanale Look, acquistò lo scatto e in seguito gli propose di divenire uno dei fotografi freelance del magazine.

Stanley collaborò con Look dal 1945 al 1950. Nel 1946, finita in modo poco esaltante la sua formazione alla Taft, non avendo raggiunto una valutazione sufficiente per essere accettato da un college di buon livello, grazie ad Helen ottenne un incarico full time come assistente fotografo per la rivista.

Cominciò quindi una vera e propria attività professionale che si concretizzò  con la pubblicazione di un numero notevole di servizi la cui qualità poteva tranquillamente rivaleggiare con quella dei quotatissimi fotografi della famosa e fin troppo celebrata Agenzia Magnum.

In cosa consistevano i suoi assignments per la rivista? Look veniva stampata in un formato inusuale, 28 cm x 36 cm, per valorizzare il più possibile le immagini che venivano pubblicate.

L’attività della redazione era focalizzata sulla documentazione dello stile di vita della gente e su tutto ciò che pulsava energia nelle città americane. I reportage a tema erano pensati come se fossero essenzialmente narrazioni per immagini. Quando Stanley cominciò il suo lavoro come fotografo, la rivista vendeva quasi 3 000 000 di copie ad ogni uscita.

Le pagine più apprezzate dai lettori erano quelle dei grandi servizi fotografici nei quali spesso si narravano aspetti e i luoghi animati da persone comuni di solito rimossi sulle altre riviste. Oltre allo scatto principale, pubblicato in grande formato, venivano impaginate in sequenza alcune altre immagini del soggetto del servizio, in modo tale da suggerire una narrazione visiva.

Qualche critico definisce Street Photography questo modo di narrare gli avvenimenti e i protagonisti che il fotoreporter sembrava trovare più che cercarli, bazzicando come un flaneur nei luoghi o eventi che promettevano scatti interessanti. Vincent LoBrutto, un suo biografo, ha sostenuto che queste sequenze assomigliavano tantissimo al montaggio di un film.

Ora, dal momento che Kubrick di lì a pochi anni sarebbe divenuto un apprezzato regista, Vincent congetturava che la sua esperienza fotografica in Look potesse essere stata un fondamentale allenamento per familiarizzarsi con la sintassi delle immagini, grazie alla quale emerge una coerente storia o come si preferisca dire oggi, una narrazione. Da parte mia aggiungerei che questi scatti giovanili affinarono anche la sua visione estetica, proseguita poi, con esiti sublimi, con i film che lo resero famoso in tutto il mondo.

Comunque, non c’è dubbio che il giovane Stanley fosse particolarmente abile nell’infilarsi in situazioni pregnanti senza compromettere l’aura di spontaneità, d’autenticità dello scatto.

Un esempio potrebbe essere la foto 2, effettuata sul metro della città.

 

Stanley Kubrick, fig.2

 

Stanley Kubrick, fig.3

Direi che questo scatto è un’eccellente rappresentazione del tipo di ripresa che Look auspicava dalla collaborazione con Kubrick: oltre a fotografare celebrità come, per esempio, farà più tardi nel 1950, con il pugile Rocky Marciano e il direttore d’orchestra Leonard Bernstein, Kubrick doveva mettere in primo piano le vicissitudini esistenziali dell’ordinary people, valorizzando l’idea che l’istantanea o la casualità dello scatto potesse essere percepita dal lettore come un sincero appello all’autenticità, alla spontaneità, alla verità dell’immagine.

Il reportage è del 1947 e uscì con il titolo Life and Love on the New York Subaway.  L’impressione del lettore è di tante piccole storie legate a frammenti di tempo catturati dall’autore, collegate tra loro dall’esperienza del viaggiare in Metropolitana. Ma oltre alle tracce di una forse fortunata casualità, penso alla foto dei due ragazzi che si stringono tra le braccia (vedi fig.3), io vedo nella foto citata in precedenza la co-presenza di una ragionata scelta del punto di vista dal quale riprendere la scena, che schematizza in modo sorprendente la geometria dello spazio, garantendo profondità, equilibrio, ordine e bellezza all’immagine.

Secondo determinati rispetti Stanley sembrava abile e fortunato a cogliere, nel contesto della realtà così come si presentava davanti ai suoi occhi, un’inaspettata, spontanea finestra sul mondo, con inquadrature e situazioni che percepiamo interessanti, spesso sorprendenti e quasi sempre belle. Mi chiedo tuttavia quali sono i limiti di questa supposta casualità o spontaneità.

Mi spiego meglio. Guardate la fig. 4. Si tratta di una delle immagini di un servizio inteso a documentare le relazioni tra adolescenti realizzato nel 1950. È notte, due ragazzi flirtano uno nelle braccia dell’altro, scomodissimi, sdraiati su un terrazzino o sulle scale di sicurezza di un tipico edificio della periferia di New York. Entrambi sembrano sorpresi dalla presenza del fotografo ma continuano ad abbracciarsi.

Stanley Kubrick, fig.4

Qual’è la possibile storia implicita nell’immagine? Forse lui ha raggiunto lei da una scala di servizio. Perchè? Prima ipotesi: è notte e i genitori non vogliono che la figlia esca. Seconda ipotesi: i genitori pensano che lui sia un poco di buono e non vogliono che la figlia lo frequenti. Terza ipotesi: i due ragazzi hanno scoperto che flirtare in situazioni di leggero disagio rende più piacevole il petting.

Lascio a voi il piacere di immaginare altre possibili storie. A me interessa come arriva il fotografo street a coglierli sul fatto. Prima ipotesi: l’atteggiamento furtivo del giovane (perché quel tipo usa scale di sicurezza invece che entrare dall’ingresso principale?) lo allerta e quindi lo segue assistendo all’incontro e facendosi scoprire proprio mentre scatta.

Seconda ipotesi: durante una cena da un amico, affacciandosi alla finestra vede i due giovani flirtare sul terrazzino. Corre a prendere la sua Graflex per fotografarli, eccitato incespica e si fa scoprire. Anche partendo dal punto di vista del fotografo le storie possibili possono essere molteplici, ma le numerose narrazioni che discendono a cascata da questa immagine esemplare non cancellano il sospetto che tra lui e la coppia di giovani ci sia complicità e che dunque la spontaneità e il caso siano una costruzione retorica per evitare lo scatto banale e scontato.

Prendiamo un’altra foto che mi ha intrigato, la fig.5. La persona ubriaca sdraiata su pavimento è l’attore Montgomery Clift. Quando Kubrick gli fece la foto che state guardando, Clift era già stato co-protagonista nel film Il fiume rosso, accanto a John Wayne con la regia di Howard Hawks e protagonista assoluto di Odissea Tragica diretto da Fred Zinnemann, grazie al quale aveva ottenuto una candidatura agli Oscar.

Anche se fu solo con una superba interpretazione nel film Un posto al sole del 1951 (quindi dopo lo scatto che sto commentando) che Clift convinse pienamente la critica divenendo di colpo una star conosciuta da tutti, quando conobbe Kubrick e accettò di farsi fotografare era già un attore abbastanza noto. Bene, guardate la foto, non vi pare una specie di suicidio professionale?

C’è qualcuno che crede sia stata realizzata casualmente? Tipo, il giovane Stanley si reca all’appuntamento concordato, entra nella camera, si trova davanti Clift scivolato dal letto, completamente ubriaco e mentre il divo beve il fondo della bottiglia, lo fotografa, per correre poi in redazione e pubblicare lo scoop.

 

Stanley Kubrick, fig.5

 

No! Non credo sia la verità. Anche in questo caso l’ipotesi di un gioco a due tra attore e fotografo mi pare più plausibile. Effettivamente Montgomery Clift maturò negli anni una forte dipendenza dall’alcol ma nel periodo dello scatto di Kubrick probabilmente si divertiva con sublime ironia a ritagliarsi addosso l’immagine stereotipata di giovane introverso, problematico, ribelle, melanconico, solitario, psicologicamente complesso, molto in voga a Hollywood: pensate al successo che avrà di lì a pochi anni James Dean con le caratteristiche psicologiche e caratteriali che ho elencato.

Sono quasi sicuro della mia interpretazione dal momento che di quel servizio sul noto attore furono pubblicati altri scatti dei quali ho il piacere di presentarvene due: nel primo Clift mentre fuma sta guardando dalla finestra qualcosa che ha attirato la sua attenzione (fig.6); nel secondo è in piedi (fig.7), ha un look decontratto e un atteggiamento di sfida. Insomma, il giovane attore, grazie a servizi e reportage pubblicati sui magazine, sembra volesse suggerire al pubblico un parallelismo tra i personaggi che come attore interpretava con il suo carattere e stile di vita.

Stanley Kubrick, fig.6
Stanley Kubrick, fig.7

Il giovane Stanley lo aveva capito e aveva collaborato attivamente a trasformare ciò che Clift esasperava in forma di recita, dissimulata posa o quant’altro, in rappresentazioni con note drammatiche che il lettore di Look avrebbe percepito come vere, reali, sincere come, ad esempio, quella che aveva come protagonisti alcuni giovanissimi lustrascarpe (fig.8).

In questa immagine a mio avviso sono riscontrabili tutti i determinanti che la Straigh Photography teorizzata da Stiglitz, Adams, Strand aveva imposto come Vangelo fotografico nei primi decenni del Novecento, ovvero l’esito estetico dell’immagine è il risultato della previsione del fotografo, con una composizione dell’occhio che grazie al perfetto controllo del mezzo fotografico estrae dal continuum del tempo, un frammento caratterizzato da una certa purezza, verità e bellezza.

Stanley Kubrick, fig. 8

Non sono sicuro che Stanley conoscesse le sopracitate teorie. La sua avversione agli indottrinamenti era evidente osservando le difficoltà che incontrava ad adattarsi all’apprendimento scolastico. Tuttavia molte sue foto convergono verso il paradigma della Straight Photography, anche se quando risultava possibile o necessario interveniva manipolando la messa in scena per dare all’immagine il tono drammatico, emotivo, che la rendevano percettivamente più pregnante.

In questo modo le sue foto potevano planare su di un fascio di qualità riconosciute come segni che certificavano il realismo necessario alla cronaca per essere credibili in un contesto giornalistico, e nello stesso tempo potevano essere percepite come interessanti e belle. Inoltre, e forse questo è l’aspetto determinante, grazie agli adattamenti portati alla situazioni inquadrata, Kubrick poteva via via affinare una sua costruttiva visione estetica.

Più che da scuole di pensiero, credo che si facesse guidare dai fotografi che avevano colpito la sua immaginazione. Uno di questi era senz’altro Weegee, pseudonimo di Arthur Felling, specializzato in foto di omicidi, risse notturne, incidenti letali. La sua abilità nel raggiungere il luogo del crimine contemporaneamente alla polizia gli consentiva di produrre scoop subito pubblicati dalle maggiori testate newyorkesi. Quando Stanley cominciò a fotografare, Weegee era probabilmente uno dei fotografi più famosi degli Stati Uniti.

Le sue foto scattate quasi sempre di notte con il flash e gli infrarossi drammatizzavano la scena, calando sull’immagine poi pubblicata una forte impressione del momento. La luce violenta, diretta, contribuiva a rafforzare il contrasto tra bianco e nero, esaltando la coordinata primaria della foto di cronaca giornalistica cioè la visione/rivelazione della cruda realtà, la quale trasformava il fotografo in un testimone oculare per il pubblico dei magazines, molti dei quali sfruttavano la crescente disponibilità dei lettori ad accettare un voyeurismo diffuso.

Stanley ammirava la luce diretta ed energica utilizzata da Weegee e imparò ad utilizzarla per le sue foto dalla tonalità molto contrastata. Le foto 9/10, sono un buon esempio di quanto vado ipotizzando: la prima è una foto a rischio di banalità, presa nel camerino di una ballerina; a me pare evidente che l’idea di fotografarla, utilizzando lo specchio con la scena dominata da una forte luce laterale, tale da drammatizzare la presenza del fotografo, trasformi un contenuto troppo scontato in qualcosa di perturbante. Nella seconda foto scattata nel 1947 con Peter Arno ripreso mentre suona il pianoforte, l’effetto di intensa partecipazione emotiva del soggetto è ancora più evidente.

 

Stanley Kubrick, fig.9

 

Stanley Kubrick, fig.10

 

Quanto sono state importanti le esperienze come fotografo per la carriera di regista di Kubrick? Lo stesso regista a più riprese raccontò che fu nel periodo in cui lavorava per Look che emerse in modo perentorio il desiderio di diventare un regista. C’è da aggiungere che, come ho già scritto, molti dei suoi servizi sulla rivista si presentavano come una sorta di documentario fotografico su svariati temi.

Guardando l’impaginazione e la sequenza degli scatti, la prima impressione è di un sorprendente controllo della situazione da riprendere: non si deve mai dimenticare che Stanley aveva 17/18 anni ed era praticamente un autodidatta. Probabilmente, una parte del merito spetta al photo editor della rivista. Ma con il senno di poi, sapendo quanto fosse maniacale Kubrick quando girava le scene dei suoi film, ritengo che il fotografo fosse consapevole del fatto che le sue immagini avevano come obiettivo il raccontare una storia e che la loro valenza sarebbe aumentata in relazione alla connettività di ogni singolo scatto con la serie pubblicata.

In un certo senso Stanley preparava le sue foto come un regista allestisce una scena, seguendo all’inizio un copione ma per punteggiarlo e quindi adattarlo, con intuizioni nate dalla situazione del momento.

Quindi, l’esperienza come fotografo di cronaca, così come Stanley l’interpretava, fu importante per la sua decisione di divenire regista, ma forse fu ancora più decisiva per la maturazione della sua visione sul come raccontare delle storie attraverso delle immagini esemplari.

Mi spiego con un esempio. Osservate la fig.11 con attenzione. Il soggetto sembra tutto sommato banale: un’elegante ragazza sta camminando sul largo marciapiedi che costeggia la strada. Stanley sceglie di fotografarla da tergo. Forse voleva preservare la bellezza dinamica creata da una spontanea e decontratta andatura, che sarebbero state interrotte da una foto frontale. Ma non sono queste presupposizioni ad essere veramente interessanti.

Infatti, la foto in oggetto mi trasmette un sentimento di equilibrio, di ordine che a mio avviso nasce dalla percezione della struttura prospettica che emerge dall’articolazione delle forze visive della foto: partendo dalla figura della ragazza posta al centro dell’immagine, è immediata la percezione di due linee laterali che convergono in un punto di fuga, tali da farci sentire la profondità e la direzionata dinamica dell’incedere dell’andatura.

Ebbene, questa costruzione di equilibrio prospettico dona chiarezza, ordine, bellezza all’immagine e diverrà una delle tante invarianti nel montaggio dei film che renderanno famoso Kubrick. Un suo film che espone con stupefacente chiarezza il sentimento di bellezza, creato a partire da un centro che stabilizza forze visive dinamiche e divergenti è Barry Lyndom.

 

Stanley Kubrick, fig.11

 

Un’altra caratteristica nella configurazione della scena in Kubrick è l’introduzione di un punto di osservazione o di ripresa del soggetto, fuori dagli schemi, presentato come punteggiatura drammatica al continuum ordinato delle immagini. Anche questo aspetto del suo modo di articolare il linguaggio del cinema, lo vedo anticipato nella sua esperienza di giovane reporter.

Guardate la fig.12: la ragazza, in precario equilibrio, sta trasportando libri lungo uno scalone; l’intuizione di Stanley di scegliere un punto di vista anomalo per creare incertezza nella scena, (riuscirà la ragazza ad arrivare in fondo allo scalone senza far cadere i libri?) crea, a livello di fruizione, una tensione tra l’ordine prospettico e il sentimento di precarietà, dalla quale discende una nota di bellezza inquieta, ironica, a volte persino cinica, che troveremo embricata in sequenze memorabili di molti suoi film.

 

Stanley Kubrick, fig.12

 

La mostra

Trieste, Magazzino delle idee, Stanley Kubrick Photographs throught a different lens, dal 01-10-2021 al 30-01-2022.

 La mostra è organizzata da ERPAC in collaborazione con il Museo della città di New York e l’Archivio Stanley Kubrick. Le 130 immagini provengono dall’Archivio Look.

Info: Magazzino delle Idee di Trieste.

Lamberto Cantoni
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18 Responses to "Stanley Kubrick fotografo"

  1. luciano   4 Novembre 2021 at 17:42

    Kubrick è stato un regista importante per la mia generazione. Non sono sorpreso che fin da giovanissimo fosse un mago con la macchina fotografica. Però paragonarlo ai fotografo della Magnum è troppo.

    Rispondi
  2. Lamberto Cantoni
    Lamb   5 Novembre 2021 at 04:59

    Oggi guardiamo le immagini fotografiche di Kubrick giovane sapendo che sarebbe diventato uno dei più famosi registi del ‘900. Ma senza queste conoscenze come giudicheremmo le immagini? Daremmo ad esse la stessa enfasi? È difficile rispondere. Anche se ci proviamo non possiamo rimuovere completamente ciò che sappiamo. Lo sguardo innocente, puro, dal momento che ci viene detta la paternità delle immagini, evapora. Nella percezione della foto entrano tracce iscritte nella memoria, che deviano il nostro giudizio. Ma funziona così per tutti. Per esempio quanto conta per il giudizio critico su (x), sapere che era un fotografo Magnum ovvero della agenzia di reporter divenuta un vero e proprio mito culturale? Certo facciamo ogni sforzo per tentare di essere obiettivi, ma dubito che riusciremo a cancellare totalmente ciò che sappiamo di rilevante sull’’autore. Ma poi mi chiedo: non è proprio questa interferenza del sapere a dare spessore al giudizio critico? Quando tentiamo di mettere ordine ad una molteplicità di proposte estetiche, non ci appelliamo forse a dei modelli o criteri di giudizio? Questi parametri non sono eterni; dipendono da nostre scelte o preferenze. Quindi se l’occhio oggettivo o innocente non esiste, l’unico modo per spiegare un interesse per questa immagine e non quest’altra o di classificarla come rilevante oppure no, è accettare che la valenza dei valori (estetici) dipenda dal coinvolgimento in parallelo di numerose agenzie della mente. Il giudizio perde ogni certezza eterna, ma guadagna la possibilità di focalizzare il nostro punto di vista, la nostra scelta, i nostri valori.

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  3. annalisa   6 Novembre 2021 at 09:21

    Se ben ricordo la Magnum è stata fondata da Cartier Bresson, Mi sembra un pochino più bravo di Kubrick-

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    • luc97   6 Novembre 2021 at 10:00

      C’era anche Capa tra i fondatori. Volevano difendere il diritto di autore per i fotografi e il valore culturale del reportage. Annalisa ha ragione, non si può paragonare Kubrick con gente del calibro di Capa e Cartier Bresson.

      Rispondi
  4. Lamberto Cantoni
    Lamberto Cantoni   7 Novembre 2021 at 08:35

    Bisogna tenere presente che Stanley quando nel 1947 fu fondata l’Agenzia Magnum era poco più che adolescente. Cartier Bresson e Capa erano per contro all’apice della loro carriera. Io credo che se Kubrick non avesse scelto il cinema, oggi sarebbe valutato da chi ama la fotografia alla stregua dei grandi fotografi citati.

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  5. Nicolò   16 Novembre 2022 at 13:35

    Ho apprezzato molto questo articolo che spiega nel dettaglio la vita di un giovane Stanley Kubrick alle prese con quella che era la sua fuga dalla monotonia della vita quotidiana e che, nel giro di qualche anno quelle semplici foto sarebbero diventate il punto di partenza per il suo inconfondibile stile cinematografico.
    Le due foto che mi hanno colpito di più sono la numero 4 e la numero 12. Nella prima ho apprezzato come Kubrick riesca quasi ad entrare nella vita di quei due giovani innamorati, interrompendoli e probabilmente spaventandoli. Mentre nella seconda i richiami alla futura cinematografia di Kubrick si sprecano. E’una foto che mette ansia e suscita un forte senso di pericolo e onestamente le scale mi hanno ricordato quelle dell’Overlook Hotel

    Rispondi
  6. Luca   16 Novembre 2022 at 18:17

    È intrigante, a mio parere, come Kubrick sia riuscito a sorprendere e farsi apprezzare dal pubblico (già come fotografo) proprio grazie a questa ambiguità, riguardante il primo dogma della street photography: ovvero che lo scatto sia “rubato”, che parli di quotidianità, di emozioni, di amore e di vita vera. Nel momento in cui lo spettatore, dopo aver fatto mera esperienza personale della foto, inizia a chiedersi se si tratti effettivamente o meno di street photography, Kubrick ha già ottenuto il suo risultato. Proprio perché permette a chi sta apprezzando lo scatto (che in ogni caso presenta un ottimo carattere estetico) di andare oltre la semplice visione, e iniziare a speculare, dapprima sulla “spontaneità”, e in seguito, perché no, anche sulle plausibili situazioni che hanno condotto al momento dello scatto (prendiamo come esempio la fig.4) . In questo modo il fotografo non rimane solo officiatore dell’opera, ma ne entra a far parte come protagonista insieme ai soggetti raffigurati.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   28 Novembre 2022 at 09:58

      Molto interessanti gli esiti dell’ingaggio percettivo suscitato da Kubrick che hai segnalato. In definitiva ciò che caratterizza la foto interessante da quella che si fa solo guardare è proprio il desiderio di “entrarci dentro” della prima. In tal modo la fotografia ci invita a riflettere su ciò che significa vedere qualcosa e non il semplice e spontaneo guardare.

      Rispondi
  7. Giona   16 Novembre 2022 at 22:45

    Ritengo la fotografia una fase “necessaria” se non “essenziale se si
    vuole entrare nel mondo del cinema. Infatti possiamo ben notare
    quanto le fotografie di Kubrik si siano sviluppate ed abbiano aiutato
    lui stesso sia ad esprimersi in ambito fotografico, ma soprattutto a
    capire che strada intraprendere nella vita. La macchina fotografica è
    uno strumento magico, ma non tutti sono in grado di adoperarlo come
    si deve. Tutto gioca sulla sensibilità del fotografo, infatti non è un caso
    che Kubrik fosse molto interessato al famoso fotografo newyorkese
    “Weegee” a mio avviso è evidente che il futuro regista ha un fascino
    per la morte, in quanto la essa è molto misteriosa… Notiamo in 2001
    Odissea nello spazio questo “passaggio” verso un possibile futuro, e
    magari una possibile reincarnazione. In molti suoi film si fa presente
    questa passione per il mistero, e anche dell’surreale, se ci pensiamo
    in effetti un morto non sembra reale, perde tutta l’espressività che lo
    rende umano dunque sembra un fantoccio di plastica
    Prima di essere un famosissimo regista, o un ottimo fotografo, Kubrik
    innanzitutto è un’abile osservatore, e lo si nota molto dai suoi scatti:
    perché un ottimo fotografo non avrebbe seguito un passante soltanto
    perché lo si vedeva salire su una scala anti incendio. Kubrik era molto
    sveglio, attento, ed infatti non è un caso che aveva un quoziente
    intellettivo superiore della media. Egli sapeva riconoscere
    un’interessante scena quando gli capitava davanti, la macchina
    fotografica gli ha soltanto permesso di immortalare tali scene. Inoltre
    gli ha fatto aprire una porta che non aspettava altro che essere aperta
    da lui.

    Rispondi
  8. Amedeo F.   20 Novembre 2022 at 22:48

    Mi sono molto soffermato sulla parola “Flâneur”.
    Il “lusso” di poter girovagare senza fretta all’interno della società rimanendo spesso fruitore delle scene che gli si presentavano penso abbia creato in Kubrick una sensibilità da spettatore. Riuscire a sviluppare un occhio esterno che però fosse allo stesso tempo immerso in quello che stava accadendo senza inficiare la scena. Impara ad utilizzare punti di vista inusuali e intriganti per lo spettatore.

    In più, avendo la necessità di concentrare all’interno di un solo scatto tanti elementi, probabilmente, gli ha permesso di sensibilizzarsi in quello che poteva/doveva essere presente dentro la scena con tutto ciò che era fondamentale, nulla di più, nulla di meno.

    Senza poi lasciare in secondo piano il lavoro di continuità nel reportage che doveva effettuare:
    L’abilità nel rappresentare la narrativa lasciando la spontaneità e capacità di continuità della storia con grandi abilità tecniche e di autenticità delle scene. Che fossero vere o false, non importa, l’importante è che fossero autentiche “reali” per l’osservatore. Senza poi considerare la cura delle forme geometriche/linee che permettono di avere una visione chiara della scena. Questo ordine degli elementi probabilmente è un altro punto che rende estremamente facile la lettura e il ricordo delle scene/situazioni da lui create.

    Il tempismo è un altro punto che secondo me è molto importante per lo sviluppo che la fase da reporter ha avuto sulle sue capacità cinematografiche, lo sviluppo di questa sensibilità, preparazione per poter cogliere la luce e il timing che prediligeva.

    Per il Look lavorò su diversi temi, e forse questo ha sviluppato in lui la voglia di mettersi continuamente in gioco sui diversi generi dal punto di vista registico.

    Per quanto riguarda l’ammirazione dei lavori di Weegee, specializzato in foto di omicidi, risse, incidenti letali (mi viene in mente un film recente “The Nightcrawler aka Lo Sciacallo”) forse percepisce che la cruenza è una delle cose che affascina di più l’essere umano. Per intenderci come quando si guarda o non si vuole guardare un gabbiano spiaccicato sulla strada.

    In conclusione credo che probabilmente con l’esperienza in ambito fotografico è riuscito a sensibilizzare una capacità nel crearsi l’idea dell’immagine che avrebbe sempre voluto ritrarre.

    Rispondi
  9. Nicoló Donati   23 Novembre 2022 at 21:44

    Kubrick era un fenomeno. Quando si guarda qualsiasi opera creata dal genio di questo mostro sacro del cinema c’è solo da stare zitti e bene attenti. Secondo me questa sua presenza nel mondo della fotografia è stata assai importante per la sua carriera cinematografica. Già dalle foto che faceva per il Look si poteva già notare il suo stile. Questi scatti rubati che esso faceva già facevano presagire a un qualcosa che sarebbe potuto andare solo ad evolversi. Perché la fotografia poi penso sia la parte più importante del cinema e soprattutto della regia. Iniziare con ciò non poteva che maturarlo per qualcosa in futuro.

    Rispondi
  10. tom   24 Novembre 2022 at 08:44

    Ho apprezzato molto l’articololo su Stanley Kubrick fotografo, è quasi una boccata d’aria fresca da quello che è la complessità delle sue immagini in movimento, un giovane che sperimenta, un giovane consapevole, uno specchio limpido di quello che sarà il suo futuro ma con la leggerezza e l’intraprendenza che solo un ragazzino può avere. La sua ossessione penso sia nata col tempo di scatto in scatto per poi arrivare fino alla produzione filmica, ma la precisione nel catturare il momento come ce l’ha avuta lui non sono in molti ad averla; la sensibilità di essere in uno spazio e la velocità nel cogliere e ritagliare rettangoli di vita.

    Rispondi
  11. Lorenzo Dellapasqua   24 Novembre 2022 at 08:56

    Quanto possiamo provare ad entrare dentro la mente di un artista del calibro di Kubrick anni prima dell’apice del suo successo, descrivendone con chiarezza le intenzioni, mantenendo un punto di vista oggettivo? A mio parere, questa quantità non è nemmeno calcolabile. Questo perché sia che uno possa essere un fan sfegatato o un detrattore di questo mostro sacro, in entrambi i casi sarà impossibile non eccedere in una spinta soggettività. Spesso ci si chiede (mi viene in mente nella vita di coppia per esempio) come sia possibile che anche dopo decenni di relazione con il proprio partner si scoprano spigoli o mondi nascosti che nemmeno potevamo immaginare. Ne rimaniamo shockati, e ci diciamo come sia impossibile conoscere una persona fino in fondo (visto che si passa tutta la vita ad imparare noi stessi senza mai conoscerci davvero forse, figuriamoci un altro essere umano). Lo diciamo spessissimo, quasi da rendere questa una regola generale. Ma questo non porta insicurezza nella coppia, nel senso: non ti aspetti in ogni momento della giornata di essere strabiliato in senso positivo o negativo dal proprio partner. Allo stesso modo, non possiamo (anzi, non è proprio possibile) redigere una profilassi del genio di Kubrick a 18 anni. Così come è impossibile farlo senza le sue interviste durante l’apice della carriera (e anche qui, quante cose possono essere omesse, anche inconsciamente, dietro a delle semplici parole), pensate in un periodo della sua vita in cui probabilmente nemmeno lui sapeva nemmeno chi era. Dico questo non per dire che sia sbagliato mostrare i suoi scatti (o per diventare detrattore di Kubrick ragazzo), anzi dobbiamo condividere queste opere al mondo altrimenti sarebbero sprecate. Dico questo perchè quello che si dovrebbe fare davanti a questi scatti, è viverli come un primo appuntamento con il regista. Come una vera e propria relazione. Come se andando in soffitta si trovasse una vecchia cassetta o una foto che ritrae il tuo partner i primi giorni in cui vi siete conosciuti. La si guarda, la si apprezza, si sorride, ci si commuove forse. Ti unisce in qualche modo alla giovinezza, quindi ad uno dei periodi più delicati che una persona possa affrontare in vita sua, di qualcuno che potenzialmente ritieni uno dei più grandi. E’ una magia. Ed è una magia che non può essere snaturata da un semplice tirare ad in indovinare, ad un banale superenalotto di “come era allora, cosa pensava, cosa faceva”. Entriamo per un attimo nella vita di un altra persona guardando il mondo con il suo punto di vista più intimo e puro che ci sia. Rimaniamo lì per qualche secondo, e poi usciamone avendo imparato qualcosa, o più semplicemente (anche se di gran lunga più importante) avendo vissuto qualcosa di vero.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   28 Novembre 2022 at 09:45

      Stimato Lorenzo, sono d’accordo con il tuo punto di vista. Solo a posteriori possiamo congetturare una correlazione tra la pratica fotografica giovanile di Kubrick e alcuni aspetti della regia dei suoi grandi film. Aggiungo anche che la correlazione ha una impronta soggettiva cioè è una mia interpretazione. Ma prova a sostenere il contrario ovvero che i circa 10 anni dedicati alla fotografia, prima come hobby poi come professione, non hanno lasciato alcuna traccia nel Kubrick regista. È plausibile? Io penso di no. Se ragiono sul suo Grande Stile, allora posso seguire delle tracce (dei tratti pertinenti con delle invarianti di stile), e le tracce possiedono dimensioni del senso che connettono aspetti distribuiti non solo in tutti i suoi film ma anche sui modi di configurare immagini prima che esse assumano l’aspetto dinamico audiovisivo. Nelle sue foto giovanili mi è sembrato di riconosce l’impronta di queste tracce.

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  12. giulia   24 Novembre 2022 at 10:02

    secondo me kubrick è stato un’ottimo scrittore e attore e mi sono affermata sulla parola ”flauner ” che indica una persona che vaga per le vie cittadine sperimentando e provando delle emozioni nell’osservare il paesaggio .

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   25 Novembre 2022 at 08:20

      Mah! Kubrick scrittore e attore? Dove lo hai letto? Se volevi dimostrarmi che anche in stato di coscienza alterata si può fare un commento, ci sei riuscita.

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  13. Antonio   28 Novembre 2022 at 10:47

    Personalmente, apprezzo ciò che Kubrick fissa in modo indelebile attraverso la street photography; con uno scatto riesce a creare una vignetta istantanea decontestualizzata dalla storia a cui appartiene. Noi guardando una sua foto possiamo costruirci un ipotetica storia suggerita dagli elementi che riconosciamo all’interno dello scenario. Penso di poter dire che in una sua toto possiamo vedere soltanto una piccola fetta della complessa personalità dei sui personaggi creati da Kubrick, cosi da non avere una visione assoluta e veritiera del soggetto all’interno della storia ma ben si una esaltazione massima delle caratterizzazioni di quell’ attimo.

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  14. Luca Mastrovincenzo   30 Novembre 2022 at 21:39

    Questo articolo, che tratta della esperienza da fotografo di Stanley Kubrick, riesce ad esprimere bene i caratteri della sua fotografia.
    Nella street photography, che viene descritta, troviamo la spontaneità dei soggetti inquadrati e la causalità delle situazioni.
    Però mi ritrovo nell’ambiguità riscontrata nella figura 4, poiché la dinamica della foto è poco credibile e perde un po’ la spontaneità dello scatto. Di fatto si mette in dubbio che alcune sue fotografie siano state realizzate a tavolino dal fotografo, al fine di dare un significato alle immagini. L’intento di spontaneità che viene posta, è quindi in realtà un illusione.
    Nonostante questa considerazione sono d’accordo con l’espressività che riesce a trasmettere alle immagini e la narrazione implicita, che ne deriva.
    Personalmente non riesco a trovarmi in disaccordo con il contenuto dell’articolo, forse legato da una mia conoscenza non ancora accurata.

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