Gli 80 anni di Bob Dylan: cronache di una rivoluzione folk

Gli 80 anni di Bob Dylan: cronache di una rivoluzione folk

MONDO – Oggi Bob Dylan compie 80 anni. Famoso tanto per il suo successo quanto per il suo essere schivo, il menestrello di Duluth ha creato intorno a sé un universo fatto  di musica e soprattutto di parole. I suoi testi sono tra i più citati in tutto il mondo. Compie 80 anni e ora, come ieri, è più attuale che mai. 

Parlare di Bob Dylan vuol dire parlare di un mito vivente. E come accade con i miti è impossibile inquadrarlo in una definizione rigida. Bob Dylan è una molteplicità di immagini, perfettamente rappresentate nel film Io non sono qui di Todd Haynes. Musica, scrittura cantautoriale e poesia, sono tutte manifestazioni tangibili dello stesso famosissimo fantasma. Il suo successo nasce prima di tutto dalla sua geniale capacità di percezione, è ascoltando la realtà del mondo che ne ha avvertito la voragine della crisi dell’ideale. A spingerlo verso il genere folk è stata proprio la necessità di trovare una musica che trattasse temi legati alla realtà, alla tristezza, alla disperazione, al trionfo e alla fede che popolano la vita reale. Elementi che riteneva mancassero al rock e che solo la musica folk possedeva. I testi facevano la grande differenza. I componimenti folk sono ricchi di testi significativi  nei quali Dylan ha individuato il suo mezzo specifico per il suo grande intento comunicativo.  Arriverà però un momento in cui si sentirà intrappolato nella figura di cantautore folk simbolo dei diritti civili a causa di tutto quel cerimonioso e ufficiale ambiente che si trovava a dover vivere. Forse proprio per rivendicare la sua identità libera. Identità voluta a tal punto da cambiare legalmente il suo nome passando da essere Robert Allen Zimmerman a Bob Dylan. Finirà con il dar vita ad un altro atto rivoluzionario quello del rock folk. Suoni elettrici e testi significativi trovano il loro sodalizio. Schivo e libero, forse schivo per proteggere quella sua radicale libertà oggi compie 80 anni e non c’è modo migliore di festeggiarlo se non ripercorrendo  le sue canzoni, i suoi testi e soprattutto quel sentimento di ribellione alla voragine che ad oggi torna più attuale che mai.

Accadde oggi: Bob Dylan compie 80 anni

Il 24 Maggio del 1941 nasceva Bob Dylan, il cantautore considerato il più grande esponente della canzone folk  della seconda metà del Novecento. Un fantasma di fama mondiale. Un uomo che, forse senza volerlo ha stravolto il mondo. Puntare ad una biografia è quasi impossibile quanto inutile e riduttivo. Se si vuole parlare di lui si deve parlare di linguaggio, partendo dalla musica fino ad arrivare al Bob Dylan autore di Chronicles.

Bringing It All Back Home: nasce il rock folk

Siamo nel Gennaio 1965, all’interno degli studi di registrazione della Columbia Records. Bob Dylan in tre giorni crea un album di 11 canzoni. Non inventa soltanto il genere rock-folk ma sconvolge la portata comunicativa della musica pop. Sulla copertina dell’album, un rifugio antiatomico e una frase, molti dicono che sono un poeta. Non voleva la fama ma sapeva benissimo quello che creava. E quello che ha creato ha davvero avuto la potenza dell’onda d’urto di una bomba atomica. Nasce il rock folk con Bringing It All Back Home. La prima registrazione fu interamente un’esibizione acustica del solo Dylan, nella sua classica immagine di chitarra e armonica. Una volta portate a termine le registrazioni di tutte le canzoni vennero portate vennero però scartate dall’inserimento nell’album da pubblicare, ma verranno pubblicate in seguito su altri album dell’artista. Nei giorni seguenti, convocò diversi musicisti con i quali registrò nuovamente le sue canzoni. Gli artisti che chiamò erano tutti portatori di suoni rock. Dylan avrebbe potuto registrare versioni elettriche di ogni brano sull’album, ma non voleva che Bringing It All Back Home fosse un disco esclusivamente rock. Quindi, la prima metà dell’album fu compilata con le canzoni stile rock registrate con la band, mentre la seconda metà era piena di canzoni acustiche, fatte alla vecchia maniera. Questo non deve far erroneamente pensare che quello che fa è qualcosa di semplicemente spontaneo. Dylan ha un approccio e una dedizione alla creazione molto metodica. Al di là di una definizione specifica ma con una visione perfettamente delineata. In poche parole, un uomo che sa benissimo cosa vuole realizzare.

La critica in It’s All Right Ma’ (I’am Only Bleeding)

Il lato B del disco lascia trasparire quell’aspetto visionario delle sue composizioni. Qui si vede la grande maestria del linguaggio di Dylan. Le parole riescono a far toccare la bassezza umana e la sua tendenza all’autodistruzione. Qui troviamo ad esempio It’s All right Ma’ (I’m only Bleeding). Il ritmo delle parole, come vengono spezzate. Dodici strofe, quasi otto minuti di traccia e tre accordi. Minimalismo e abbondanza. Una canzone non fatta per dar vita ad un’ armonia orecchiabile e che piaccia. Per godere di questa traccia bisogna infatti avere un orecchio decisamente allenato. Serve un orecchio pronto ad oltre ai concetti di melodia ben scandita. Con It’s All right Ma’ rompe il confine di ciò che già è stato riconosciuto e apprezzato e crea qualcosa di completamente nuovo.

Il testo di It’s All Right Ma’(I’m Only Bleeding)

Il testo è una vertigine affascinante. Trovo già il titolo di per sé un ossimoro molto interessante nel suo significato, tranquilla mamma sanguino soltanto. Ossimoro che apre già le prime righe della prima strofa dove parla del buio allo scoccare del mezzogiorno, momento che solitamente è il più luminoso della giornata. Inoltre la frase è riconducibile al libro Darkness at Noon pubblicato da Arthur Koestler nel 1941. Koestler nella sua opera tratta tematiche affini alla canzone di Dylan. Infatti il libro tratta la disillusione e l’organizzazione di un sistema totalitario. Tornando al brano, possiamo dire che è un successo di oscuro significato. C’è tutto il disprezzo e la critica al consumismo, al pensiero stolto, al denaro che non parlano ma bestemmiano. Una forte denuncia alla società consumistica in cui il soldo è l’elemento dissacrante che allontana da ciò che conta davvero. Ma non solo, è un testo in cui vengono denunciati anche l’ipocrisia, i sostenitori della guerra (da ricordare che mentre Bob scriveva scorreva il sangue della guerra del Vietnam). Un testo che non nutre alcun ottimismo nei confronti del futuro.

Bob Dylan Chronicles, le cronache di un cantastorie

Nessuno si sarebbe mai aspettato la pubblicazione di un’autobiografia da parte di una persona tanto schiva e riservata. Ma forse stanco di sentire tante chiacchiere vuote, fondate sull’immaginario altrui, ha voluto dire la sua una volta per tutte. Restando fedele a sé stesso quella che ci presenta non è un’autobiografia con impostazione classica. Chronicles viene definito un personal essay, genere al quale l’Eruopa non è molto avvezza. Questa definizione non ha una vera e propria parola corrispondente in italiano, possiamo comunque definirlo un saggio personale. In quanto saggio, ha la piena libertà di movimento e narrazione. Un’autobiografia si definisce tale proprio perché è un lineare racconto di eventi, con una cronologia ben scandita da seguire. La combinazione dei due generi fa in modo che la lettura sia fluida ed emotiva. E sicuramente, Dylan non avrebbe mai scelto un genere che calza stretto e imbriglia gli eventi. Chronicles racchiude in sé 5 saggi in realtà, cinque flashback intensissimi nel suo passato.

Bob Dylan e i luoghi di Chronicles

Si comincia con lo sbarco in una romanzata New York sempre fredda, città da fiaba moderna con fumosi club, passando poi per Woodstock, dove risiede nel momento culminante del suo successo. Tutto il mondo giovanile lo eleva al rango di portavoce di una generazione. Posizione saldamente rifiutata dal diretto interessato. Nelle sue interviste spesso si è trovato di fronte a questa domanda che tanto lo infastidiva, il perché delle sue canzoni. Lo faceva perché era quello che voleva fare. Poi si salta in avanti fino agli anni ottanta, a New Orleans un luogo ideale per fare un disco. Infine, ci riporta alla Duluth delle origini.

I volti di Chronicles

La mappa del suo racconto non è fatta solo dai luoghi più importanti ma anche dai mille volti incontrati. Da Van Ronk a Joan Baez a Robert Johnson, per non parlare dell’inchiostro dedicato all’idolo assoluto del giovane folksinger, Woody Guthrie. Nelle pagine, è tratteggiato con un affetto commovente. Attenzione, chi spera di soddisfare la propria curiosità in merito a frivolezze che da lungo tempo sono circondate da un alone di mistificazione rimarrà deluso.

La scrittura. Il segno visibile di un fantasma

Uno spirito alla quale è stato conferito il premio Nobel alla Letteratura. Ricordate? Quell’evento al quale Dylan non si presentò. Un fantasma si manifesta quando sceglie di mostrarsi, non quando gli viene detto di farlo. Una delle figure più inafferrabili che l’arte abbia conosciuto. Qual è l’immagine che ci viene in mente quando pensiamo a Bob Dylan? Un foglio scritto. Eh sì, perché Dylan è un fantasma che visibile solo su inchiostro e note. Non mi piace parlare di ciò che non conosco quindi parliamo dei segni visibili, le parole. La scrittura di Dylan ha dato vita ad un modo nuovo di espressione. La sua è una scrittura geniale e densa. Caratteristiche che portano ad un accostamento spontaneo dello scrittore  con la pittura espressionistica. Con pochi tratti riesce ad esprimere concetti e figure in un modo in cui soltanto un essere geniale può riuscire. Quello che abbiamo davanti, prima che un grande scrittore, è un’icona del novecento da prendere e consegnare alla storia musicale, sociale e letteraria.

Perché leggere Bob Dylan oggi è fondamentale

Quello che Dylan fa e ha fatto nei suoi anni di carriera è stato un continuo atto d’indipendenza e autoaffermazione. Senza mirare all’autocelebrazione, la sostanza non ne ha bisogno e il suo successo mondiale ne è la conferma. Lo sguardo di sdegno con il quale si è sempre fatto beffa di chi gli poneva domande decisamente prive di spessore è l’espressione di chi non vede guarda ciò che non merita attenzione. I suoi testi e la sua musica hanno acceso gli animi di milioni di giovani dei suoi primi anni di produzione artistica. Perché ancora oggi leggere e ascoltare la sua musica e i suoi libri è fondamentale? Perché lo stato d’emergenza è lo stesso. Corso e ricorso storico? Non saprei, ma da giovane del mio tempo posso affermare che una crisi di disillusione c’è. C’è crisi di poesia. E allora, bisogna mantenere mente e animo in fiamme e la sua arte rappresenta il combustibile perfetto per nutrire l’incendio della personale volontà.

Silvia Severi

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