Violenza contro le donne. La condizione delle donne in Afghanistan e le iniziative nella Moda

Violenza contro le donne. La condizione delle donne in Afghanistan e le iniziative nella Moda

MONDO – Il 25 Novembre si celebra la Giornata Internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne, ma è giusto ricordarsene sempre. C’è ancora tanto da fare, da educare, da eliminare, in Italia così come in tante parti del mondo drammaticamente coinvolte in una spirale di privazione dei diritti e di manipolazione delle idee. Primo fra tutti, in questo momento, l’Afghanistan. Qui, le donne, stanno progressivamente perdendo tutti i diritti conquistati in vent’anni di occupazione, per piombare in un vortice senza fine di violenze e soprusi. Vediamo come il settore della moda e della bellezza può sostenere la lotta all’eliminazione della violenza di genere, in Afghanistan e nel resto del mondo.

Da inizio anno, nel nostro Paese, i dati riguardanti la violenza contro le donne ci riportano che è stata uccisa una donna ogni tre giorni. Secondo le fonti del Ministero dell’Interno, infatti, sono state 109 le donne uccise dal 1° gennaio al 21 novembre 2021.

E in questo senso, la pandemia ha peggiorato la situazione. Il 2020 è stato l’anno in cui la componente femminile nel totale degli omicidi ha avuto il picco più alto di sempre, oltre il 40%.

E nei casi più gravi, l’assurdità della violenza viene esercitata dalle figure più importanti, quali partner, parenti e amici. La violenza contro le donne non conosce divari generazionali, non conosce etnia o limiti di età. E a quanto pare, fatica ancora oggi ad essere presa seriamente e ad essere trattata con un processo di profonda rieducazione culturale e sentimentale.

Fondamentalmente, è plausibile che le stesse donne vadano sensibilizzate alla comprensione dei propri diritti, di cosa significa avere un posto nella società e di cosa significa stabilire delle relazioni sane.

Per fare questo, oggi voglio parlarvi di una parte di mondo in cui le donne soffrono particolarmente per la loro condizione, fra soprusi, violenze fisiche, psicologiche ed esclusione da tutte le forme di libertà e di azione in società. Oggi voglio parlarvi delle donne in Afghanistan.

E per farlo, vi racconto un’iniziativa nel campo della moda, intrapresa con grande impegno e convinzione dalla maison Oblìque Creations, a sostegno della popolazione femminile dell’Afghanistan.

Perché il mondo deve sapere, deve conoscere, deve informarsi, su cosa succede a dei nuclei sociali che non hanno avuto la fortuna di nascere nella parte di mondo libera. Perché le donne devono guardare con i loro occhi la violenza altrui, per iniziare a combatterla in casa propria.

AFGHANISTAN E VIOLENZA CONTRO LE DONNE. I PROGRESSI DEGLI ULTIMI VENT’ANNI

Donne in Afghanistan. Foto da: catania.liveuniversity.it

Si parla di guerre, di trattati, di accordi, ma non si parla abbastanza di loro: delle donne. Quelle donne afgane che stanno pagando e pagheranno il prezzo più alto di tutti.

Ad oggi, la questione della violenza contro le donne afgane diventa ancor più urgente, da quando i talebani hanno preso il controllo del Paese. I fondamentalisti islamici hanno dichiarato di essere cambiati, di voler preservare i diritti femminili seguendo comunque la legge islamica ma di voler garantire alle donne un ruolo esecutivo. Ma cosa vuol dire, per un fondamentalista, cambiamento? Cosa vuol dire, per un popolo educato alla supremazia e alla legge della spietatezza, garantire un ruolo?

Sono molte, moltissime, le donne che da subito hanno gridato aiuto, assieme a quelle che immediatamente hanno temuto di perdere i diritti conquistati e i risultati raggiunti in questi venti anni.

“Le donne sono un elemento importante in Afghanistan”

aveva dichiarato il portavoce dei talebani, Zabiullah Mujahid, nel corso della conferenza stampa del 17 agosto. Aveva voluto rassicurare la comunità internazionale sull’impegno che lo stato islamico avrebbe messo nel garantire i diritti delle donne, quali il diritto allo studio e al lavoro. Il tutto, però, nell’ambito della Sharia.

Allo stesso modo, Suhail Shaheen, altro portavoce, aveva dichiarato che non sarebbe stato obbligatorio indossare il burqa. Si riteneva obbligatorio tuttavia il velo, l’hijab, che copre i capelli e lascia scoperto il viso. Tutti erano sembrati rassicurati al punto giusto, eppure i dubbi e le paure delle donne afgane permanevano.

D’altra parte, le ragazze di Kabul sono cresciute in un mondo molto diverso da quello delle loro mamme e nonne. Con la caduta, nel 2001, del precedente governo dei talebani, le donne in Afghanistan hanno assistito a dei progressi significativi.

La Costituzione del 2004 ha attribuito alle donne maggiori diritti e potenziato la loro condizione socioeconomica. Nel 2003, meno del 10% delle ragazze era iscritto alla scuola primaria. Nel 2017, la percentuale ha raggiunto il 33,4%, un dato che, sebbene non elevatissima, è stata il segnale di un notevole progresso.

Parallelamente, la percentuale delle donne che hanno avuto accesso all’istruzione secondaria è passata dal 6% del 2003 al 39% del 2017. In quell’anno, 3,5 milioni di ragazze afgane frequentavano la scuola e 100.000 addirittura le Università.

Contemporaneamente, l’aspettativa di vita delle donne è aumentata dai 56 anni del 2001 ai 66 nel 2017, il numero di decessi durante il parto è diminuito da 1.100 ogni 100.000 nati vivi nel 2000 a 396 ogni 100.000 nel 2015 (dato non da poco) e nel 2020 il 21% dei dipendenti pubblici erano donne, cosa mai accaduta prima. Il 16% occupava ruoli di dirigenza. E in Parlamento? Le donne erano presenti per il 27%.

Chiaramente, questo non significa che le donne afgane vivessero nel paese dei balocchi, anzi, tutt’altro. Va ricordato che la maggior parte di quelle citate nelle suddette percentuali abitavano nelle aree urbane. La maggioranza vive in zone rurali. Vi sono poi quei racconti dove si parla di violenze sessuali durante l’occupazione americana. Insomma, la verità non ha mai una sola faccia. Certo è, che negli ultimi vent’anni la condizione sociale delle donne in Afghanistan aveva fatto dei passi in avanti.

LA SPIETATEZZA DEI TALEBANI E LA PAURA DELLE DONNE AFGANE

Donne in Afghanistan. Foto da meteoweek.com

Considerando i precedenti e considerando le basi del fondamentalismo islamico, resta difficile immaginare se e come i talebani si sarebbero potuti impegnare nella difesa del ruolo della donna e nella protezione della stessa da qualsiasi forma di violenza.

Le donne afgane hanno impresso nella mente il metodo operativo dei talebani fra il 1996 e il 2001, quando le donne erano obbligate a indossare il burqa, ad essere scortate nei luoghi pubblici, pena percosse. Quando avvicinarsi all’istruzione non era assolutamente consentito.

Sono ancora vivide le immagini delle esecuzioni pubbliche, delle donne lapidate, per essere andate a fare shopping senza un uomo che le conducesse o per aver commesso un adulterio.

Tutto questo non è accaduto in un passato remoto, in un lontano arco temporale di cui si possono cogliere dei cenni da libri di storia polverosi. Tutto ciò si verificava solo qualche anno fa, a distanza di venti – trent’anni da oggi. Accadeva ieri.

Non si trattava solo di una spiegazione estremista della legge islamica: secondo alcune, l’esercizio di tale violenza contro le donne afgane denotava un radicato senso di proprietà esistente nella mente dei talebani. Un senso di proprietà che poi è alla base del concetto stesso di violenza contro le donne.

E’ naturale e comprensibile che tali ricordi e trascorsi di orribili soprusi e privazioni siano stati e siano fonte di scetticismo e terrore.

Il giorno dopo l’occupazione islamica di Kabul, le donne proseguivano la loro vita normalmente, vestivano con abiti colorati e alla moda, sorridevano, passeggiavano, lavoravano. Altre, invece, scendevano in piazza per rivendicare un ruolo nel futuro governo afgano, una possibilità di mantenere la libertà che da tanti anni stavano a fatica riuscendo ad ottenere. Il coraggio delle donne afgane, che nonostante tutto, sanno di non potersi arrendere.

Alcune testimonianze nel mese di Agosto raccontavano di un ritorno alla prigionia. C’è chi raccontava già di essere stata confinata nella propria stanza senza poter uscire. E nel frattempo, già dal mese di Agosto erano state segnalate alcune situazioni anomale, durante le quali delle impiegate a contatto con il pubblico erano state obbligate a tornare a casa.

Inoltre, pare che, sempre ad Agosto, alcune famiglie siano state costrette ad offrire le proprie figlie in sposte a dei combattenti talebani. Ovviamente, il portavoce dei talebani Mujahid ha smentito ogni accusa.

COSA STA SUCCEDENDO ORA ALLE DONNE DELL’AFGHANISTAN?

Donne afgane. Foto da Redattore sociale

Da Settembre ad oggi, le notizie non sono certamente delle più confortanti. Attiviste assediate, giornaliste trovate uccise, tutti casi che aspettano ancora una spiegazione esaustiva.

I Talebani hanno promulgato una serie di restrizioni riguardanti il mondo femminile, che riportano a tutti gli effetti il Paese alla situazione di molti anni fa. Come fare per riassumere le regole che, di fatto, privano le donne di ogni libertà personale e sociale? Come fare per ricercare nelle volontà dei talebani l’essenza più alta della violenza contro le donne?

Può essere utile stilare una lista, molto sommaria e riassuntiva, delle restrizioni in atto. Ecco cosa è vietato per una donna e cosa rischia nel disubbidire.

  • Lavorare fuori di casa, tranne alcune donne medico e infermiere.
  • Fare attività fuori della casa se non scortate da un parente stretto
  • Trattare con negozianti maschi.
  • Essere visitate da medici maschi.
  • Studiare in scuole, Università o altre istituzioni
  • Frustate, botte e violenza verbale per le donne non vestite secondo le regole o per le donne non accompagnate da un uomo.
  • Frustate in pubblico per le donne che non hanno le caviglie coperte.
  • Lapidazione pubblica per le donne accusate di avere relazioni sessuali al di fuori del matrimonio.
  • Uso di cosmetici. A molte donne con unghie dipinte sono state tagliate le dita
  • Parlare o di dare la mano a uomini che non siano parenti stretti.
  • Ridere ad alta voce.
  • Portare tacchi alti
  • Andare in taxi senza il parente stretto che l’accompagna
  • Essere presenti in radio, televisione, o incontri pubblici di qualsiasi tipo.
  • Praticare sport, entrare in un centro sportivo o in un club.
  • Andare in bicicletta o motocicletta, anche se con accompagnatore
  • Indossare vestiti con colori vivaci, ritenuti sessualmente attraenti.
  • Incontrarsi in occasioni di festa o svago.
  • Lavare i vestiti vicino a fiumi o in luoghi pubblici.
  • Pronunciare i nomi di luogo, inclusa la parola donna. Per esempio, i giardini per donne sono stati chiamati giardini di primavera.
  • Apparire sui balconi dei loro appartamenti o case.
  • Essere viste da fuori delle loro case. Per ovviare, tutte le finestre devono essere pitturate
  • Farsi cucire i vestiti da sarti uomini
  • Utilizzare bagni pubblici femminili
  • Viaggiare sugli stessi bus degli uomini. I bus pubblici sono ora solo per uomini o solo per donne
  • Indossare pantaloni larghi, anche sotto un burqa.
  • Fotografare o filmare.
  • Fare parte di foto per giornali e libri o appendere proprie foto sulle pareti di casa o negozi.

Nient’altro da aggiungere. Si tratta di un ritorno ad un passato di violenza contro le donne, per l’Afghanistan.

MODA E SPERANZA. OBLIQUE CREATIONS AL FIANCO DELLE DONNE AFGANE PER COMBATTERE LA VIOLENZA CONTRO LE DONNE

Nel mese dedicato alla lotta alla violenza contro le donne, tante case di moda stanno fornendo un contributo concreto per la lotta alla violenza contro le donne.

L’iniziativa con cui ci confrontiamo oggi è quella della maison Oblìque Creations, che ha deciso quest’anno di tendere la mano in tutto e per tutto alle donne, soprattutto quelle che stanno affrontando situazioni emergenziali personali e sociali, con questi #ObliqueXWAW, #ObliqueXAfghanWoman.

E, in particolare, in questo difficile momento sceglie di stare al fianco delle donne afghane, che se negli ultimi anni sono riuscite a ottenere rispetto e valore nella società, ora si trovano ad affrontare discriminazioni di genere, severe restrizioni alla loro libertà, costrizioni come i matrimoni minorenni e denigrazione dei loro diritti come quello all’istruzione, al lavoro, allo sport.

In quest’ottica ha preso il via il progetto con il quale Oblìque Creations ha deciso di sostenere le attività di WAW, Women for Afghan Women, la più grande organizzazione non governativa per i diritti delle donne afghane nel mondo, fondata nel 2001.

Un messaggio di dolcezza, ma che colpisce per la sua incisività: una sweatshirt essenziale, che tratteggia un volto femminile celato da un velo e che si fa quindi manifesto di una presa di coscienza forte e socialmente importante. La sweatshirt di Oblique Creations è disponibile sull’e-commerce del brand.

L’80% del ricavato sarà devoluto proprio a sostegno delle iniziative di WAW.

LA MODA E’ VEICOLO DI LIBERTA’ ED EMANCIPAZIONE. PARLA ALESSIA PETRENKO

Per approfondire il senso e l’obiettivo di questa meravigliosa iniziativa, ma anche per capire come la moda può influenzare il posizionamento socioculturale della donna e supportare le donne afgane, ho ritenuto interessante fare due chiacchiere con Alessia Petrenko, fondatrice e creative director Oblique Creations.

Conosciamo tutti l’attuale condizione delle donne in Afghanistan. Ci può raccontare nel dettaglio l’iniziativa che avete deciso d’intraprendere in loro sostegno ed eventualmente anche quelle che pensate di portare a termine in futuro?

Oblique Creations è da sempre dalla parte delle donne, di tutte le donne, per supportarle in ogni momento e in ogni possibile condizione, anche e soprattutto quando si trovino in manifesta difficoltà come nel caso delle donne afghane. Dopo i recenti fatti abbiamo pensato a un’iniziativa che potesse da un lato sensibilizzare l’opinione pubblica sull’importanza di non sottovalutare l’emergenza sociale in corso, dall’altra che fosse di concreto aiuto a chi, da sempre, è in prima linea per proteggere la popolazione femminile dell’Afghanistan, ovvero gli attivisti di WAW- Women for Afghan Women. Con questo duplice obiettivo abbiamo creato una sweatshirt con stilizzato un volto femminile nascosto da un velo, simbolo della condizione femminile afghana,  e l’abbiamo messa in vendita per contribuire, con l’80% del ricavato delle vendite, a sostenere le iniziative di WAW che dal 2001 si batte a favore delle donne del Paese.

Come può, la moda, sensibilizzare il pubblico occidentale sul tema della violenza, fisica e psicologica, a cui le donne afgane sono sottoposte?

Quanto sta accadendo in Afghanistan è drammatico e impone alle donne di rinunciare al loro bene più prezioso, la libertà: è impossibile rimanere in silenzio e non gettare luce su quanto rischia di fermare un processo di emancipazione femminile avviato, seppure a fatica, negli ultimi vent’anni. Raccontare quello che succede e farlo utilizzando la moda, da sempre simbolo di libertà, è nostro dovere per spingere tutti a stare vicini alle donne afghane, alle loro energie, ai loro sogni, alla loro vita spingendo a fare si che ognuno dia il suo piccolo contributo per aiutarle ad avere la forza di resistere, di difendersi, di avere speranza. Supportare in questo WAW significa fare in modo che quanto di buono è stato fatto negli ultimi anni non venga disperso ma, al contrario, prosegua seppur nelle difficoltà.

Invece, in un mondo come quello dell’Afghanistan che, ponendo delle motivazioni proprie, risponde con diffidenza alle influenze occidentali, come può la moda apportare un cambiamento?

La moda è un veicolo di libertà molto forte ma soprattutto è espressione di una cultura e di una civiltà dalla quale non si può prescindere e una dimostrazione forte, in questo senso, è stata fatta proprio da alcune donne afghane che, all’indomani della caduta di Kabul sotto il controllo dei talebani, hanno iniziato una sorta di campagna social facendosi fotografare con indosso gli abiti tradizionali afghani al posto del burqa imposto dal regime. Abiti che sono colorati, gioiosi, opulenti, espressione della ricchezza e della tradizione di una società in cui la donna ha sempre avuto una parte importante che ora rischia di venire nascosta sotto un pesante velo. Una lezione importante che dimostra come la moda possa e debba stare al fianco di queste donne per accompagnarle in un  percorso che sarà sicuramente complesso ma che, con il concorso di tutti, potrà sicuramente portare a qualcosa di buono.

Per una donna sottoposta a violenza, di qualsiasi genere e provenienza, o a cui viene negata la propria libertà di scelta e azione, l’abbigliamento, la moda e la creatività possono dare un supporto o un piccolo d’aiuto nella presa di coscienza della propria condizione e nell’uscita da quella situazione? Se sì, in che modo?

In quanto mezzo privilegiato per esprimere, esteriormente, se stessi la moda è fondamentale per aiutare le donne vittime di violenza di ogni genere a prendere coscienza della propria condizione e ad avere il coraggio per trovare una via d’uscita. La moda è potenzialità, la moda è sogno: unire il concetto della bellezza che è alla base dell’essenza della moda a quello di una donna denigrata richiama il concetto che la donna si possa trasformare e recuperare la percezione di sé stessa e, di conseguenza, la sua dignità perduta.

Come spesso accade, anche la moda è stata definita veicolo di giudizi sessisti e di una visione della donna-bambola che usa il proprio corpo. Alcuni hanno perfino definito talune campagne pubblicitarie (di D&G, per fare solo un esempio fra i tanti) alquanto discutibili o atte ad incitare a stupro o sfruttamento. Lei cosa ne pensa? Che tipo di messaggi andrebbero o non andrebbero lanciati, in riferimento alla violenza contro le donne, attraverso delle campagne di moda?

Essendo un veicolo potente e grazie alla sua capacità di rappresentare valori di inclusione e di individualità, la moda può rappresentare ogni donna, non solo per la sua estetica ma anche per la sua personalità e per la sua storia individuale. La moda, fin dalle origini, è stata fatta dalle donne per le donne e questo potente messaggio di forza, di potere, di capacità, di coraggio che la caratterizza può essere serenamente utilizzato per ricordare il valore intrinseco di ogni donna, di tutte le donne.

 

Parole di grande intensità, cognizione di causa e sincerità. Che, personalmente, mi sento di condividere in pieno.

A tutte le donne che al momento si trovano in Afghanistan e lottano per i propri diritti anche a costo della vita.

Ma soprattutto, a tutte le donne nel mondo, che in questo momento vivono una situazione di oppressione, di violenza emotiva o fisica, di depauperazione della propria femminilità. Opponetevi, anche per le donne dell’Afghanistan che probabilmente non avranno l’opportunità di provarci.

Non lasciatevi convincere di non avere via d’uscita.

Ricordatevi che gli uomini sono figli delle donne e che quindi, il cambiamento, deve partire innanzitutto da noi.

Michela Ludovici

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