Valerio Mastandrea: troppo bravo! Qualcuno lo fermi!

Valerio Mastandrea: troppo bravo! Qualcuno lo fermi!

ACCADDE OGGI – L’artista romano compie oggi, 14 Febbraio, 50 anni. Nel giorno del suo compleanno ho il piacere di parlare dei suoi successi come attore, regista, produttore, sceneggiatore. Tutto ciò che tocca diventa prezioso.

È stato candidato dieci volte ai David di Donatello ed ha vinto quattro volte il premio. Diventa noto al pubblico televisivo da ragazzo, partecipando come ospite a molte puntate del Maurizio Costanzo Show: Valerio Mastandrea è un giovanotto senza peli sulla lingua che racconta come vede il mondo con quell’irresistibile accento romano. Dal Sistina ha fatto tantissima strada, sbagliando pochissime scelte. Teatro, cinema, tanto studio per arrivare ad essere l’interprete apprezzatissimo che è oggi.

Una carriera luminosa, un uomo che apprezza i giovani e, se può, aiuta quelli fra loro di maggior talento: fa parte del comitato scientifico della Scuola d’arte cinematografica Gian Maria Volontè, un istituto pubblico gratuito che rappresenta un polo formativo di eccellenza per le professioni del cinema.

VALERIO MASTANDREA ATTORE: RUGGINE

torino film festival
Valerio Mastandrea

Valerio Mastandrea ha interpretato molti ruoli e tanti dei suoi film vengono passati spesso in tv. Alcuni sono successi senza tempo come La prima cosa bella, Gli equilibristi, Tutta la vita davanti. La lista è veramente lunga: lui è bravo, convincente, tosto. Parlando del suo talento come attore, mi piace citarlo in Ruggine, una pellicola del 2011 diretta da Daniele Gaglianone. Si tratta di un film tratto dall’omonimo romanzo di Stefano Massaron, una storia che forse ha avuto meno risalto di quanto meritasse.

Verso la fine degli anni Settanta, in un cortile della periferia torinese, un gruppo di figli di immigrati meridionali trascorre le giornate giocando nel capannone di una ditta di recupero materiali ferrosi. Sono bambini svegli e, nonostante l’età, sanno guardarsi bene dai pericoli che li circondano. Quando il Dottor Boldrini, un distinto signore, si trasferisce in zona, capiscono di non potersi fidare: ben presto una di loro viene rapita ed uccisa. Al primo infanticidio ne susseguono altri ed i bambini capiscono chi è il colpevole: il loro pediatra. Senza aspettare la giustizia dei grandi, saranno loro ad infliggergli la massima pena: la morte. Diversi decenni più tardi, tre di loro, Carmine, Sandro e Cinzia, vedranno il torpore della loro quotidianità scuotersi a causa del ricordo di quell’estate maledetta.

A mio parere, l’anima di Mastandrea esce fuori con grande forza all’interno di questo film corale. Interpreta Carmine adulto, un uomo che porta un peso enorme sulle spalle, un tizio stanco che rischia di essere sconfitto dai ricordi. La vicenda è girata benissimo, l’ambiente popolare è fotografato in modo perfetto, i giovani attori sono proprio in gamba. Valerio Mastandrea, però, aggiunge a tutto il contesto quel tocco di realtà che colpisce dritto al cuore. Un ruolo che mostra le insicurezze umane, i ripensamenti. I suoi occhi sembrano interrogarsi dall’inizio alla fine del racconto.

VALERIO MASTANDREA PRODUTTORE: NON ESSERE CATTIVO

Foto dal profilo Instagram @valeriomastandreaworks

Partiamo con il mettere in luce la lungimiranza di Mastandrea nello scegliere i protagonisti di questa pellicola da lui prodotta. Il film è uscito nel 2015. Al tempo, Luca Marinelli ed Alessandro Borghi non erano gli attori corteggiati che sono oggi. Mastandrea ha avuto un grandissimo fiuto nell’affidare i ruoli principali a questi due fenomeni, all’epoca ragazzi, e ad consegnare la regia all’esperto e bravissimo Claudio Cagliari. Purtroppo, il regista malato di cancro già da diverso tempo, è morto poco dopo il termine delle riprese.

Valerio Mastandrea, amico stretto di Cagliari, ha portato a termine il lavoro del regista facendo il possibile per mandare avanti la produzione. Chi ha lavorato al film conferma quanto sia stato di supporto e appoggio a chiunque chiedesse una mano. Personalmente considero questo lungometraggio un capolavoro pasoliniano. Nel 2016 verrà designato come film rappresentante il cinema italiano alla sezione Oscar al miglior film straniero: non vincerà, ma questo poco conta, la storia narrata resta.

Per chi non lo avesse visto, scrivo una breve sinossi: Ostia, Vittorio e Cesare, due giovani delle borgate romane, si conoscono da sempre, amici fraterni. Entrambi si dedicano a varie attività illegali nonché al consumo di stupefacenti. Cesare vive con la madre e con la nipote Debora, figlia della sorella deceduta a causa dell’AIDS. Una sera Vittorio, dopo aver assunto diverse pasticche, ha una serie di allucinazioni e decide perciò di cambiare vita: trova lavoro in un cantiere e va a vivere con Linda e suo figlio Tommaso. Cesare non riuscirà mai a cambiare vita e morirà dopo un tentativo di rapina. Storia di vita, storia possibile, storia vera.

VALERIO MASTANDREA REGISTA: RIDE

Valerio Mastandrea si è cimentato anche nella regia e lo ha fatto bene. Quando è uscito questo film sono corso al cinema, sicuro che fosse un fiasco, doveva esserlo. Ammetto che c’è stato un periodo nel quale lo invidiavo: era troppo bravo ed aspettavo la prima caduta. Invece non è andata così. Anche come regista ha dimostrato d’essere a suo agio e mi ha preso ancora una volta all’amo. Passare dalla recitazione alla macchina da presa non è una cosa così facile, in molti hanno fallito. Lui invece si è mosso come un playboy in un night.

Ride è un film che mi ha colpito per la nitidezza delle immagini, per alcune inquadrature che mettono in luce colori di periferia. Una domenica di Maggio, a casa di Carolina si contano le ore. Il giorno seguente ci sarà il funerale di Mauro Secondari, un giovane operaio morto durante il lavoro. È caduto nella sua fabbrica, in un’azienda che sfama il circondario da ormai tre generazioni. Siamo in una piccola comunità sul mare, a pochi chilometri da Roma. Carolina in casa adesso non è sola, ma lo sarà presto. Mauro era l’amore della sua vita, hanno avuto un figlio insieme e oggi ha dieci anni.

Manca poco al commiato, al saluto del prete, alla processione e tutti si aspettano una giovane devastata che sviene ogni due minuti. La vicenda è piena di spunti, di riflessioni, a suo modo di colpi di scena. Col senno di poi si capisce che il regista è anche un grande attore perché il cast sembra guidato all’unisono verso un obiettivo condiviso.

Come mia abitudine evito di consigliare film inflazionati tipo grossi grassi matrimoni, urli di Chen, collezionisti di ossa, astronavi nucleari che fanno esplodere asteroidi diretti in Nebraska. Per questi colossal bastano trailer faraonici, passaparola, locandine. Considero un dovere fare luce su piccole perle che parlano di società, di sentimenti, di trapezisti che fanno salti mortali senza che nessuno assista ai loro volteggi. Questo film, a mio parere, vale la pena di essere visto e ripensato.

NELLA SCENEGGIATURA, CON LA PROFEZIA DELL’ARMADILLO

Mi chiederete: perché lo invidi? Perché ha fatto anche lo sceneggiatore ed ha contribuito ad un film che ho visto una decina di volte. La profezia dell’armadillo è del 2018 ed è diretto da Emanuele Scarinigi. Si tratta di un adattamento cinematografico dell’omonimo libro a fumetti del fumettista Zerocalcare. Valerio Mastandrea fa parte della squadra di sceneggiatori che hanno lavorato a questa pellicola.

Zero è un giovane disegnatore che vive nel quartiere romano di Rebibbia. In mancanza di un lavoro fisso si arrangia con i lavori più disparati, come le ripetizioni private a uno studente di terza media. La sua vita scorre tra le giornate in periferia, le peripezie con l’amico d’infanzia Secco e le visite alla madre. Quando torna a casa lo aspetta la sua coscienza critica: un armadillo con cui si avventura in irreali conversazioni.

La notizia della morte di Camille, compagna di scuola e suo primo amore, lo costringe a prendere in pugno la sua vita. Fino a quel momento ha vissuto in preda a dubbi e incertezze tipiche della sua generazione di emarginati. Zero si reca così a Tolosa per partecipare a una commemorazione laica in onore dell’amica. Scoprirà che la ragazza è morta per anoressia. Al suo ritorno inizia un lavoro stabile come disegnatore.

Una storia in cui lo spettatore può trovare tutto. L’ansia della disoccupazione, la frustrazione di non riuscire a fare quello che si sogna, l’amicizia certa, il destino infame di tutti quelli che pensano troppo e fanno ogni giorno duri conti con la propria coscienza. E poi c’è l’amore e la domanda più grande sul perché si muore, come si muore, chi decide quando dobbiamo morire. Cito per finire un piccolo ma esilarante cameo di Adriano Panatta che parla del tennis e del rumore soave che facevano le palline quando giocava lui.

I CAPISALDI: LA FEMMINA, IL DENARO E LA MORTAZZA

Foto da Instagram @piottatommaso

Per non beatificare troppo questo attore, che avrete capito, stimo profondamente, lo possiamo accusare di eccessiva romanità. Sono sicuro che a lui farà piacere perché è ovvio che ama la sua città che lo segue praticamente in ogni lavoro. Però mi farebbe piacere vederlo all’opera con un accento meno marcato e lontano dalle mura capitoline. Ricordate quando vi avevo parlato della versione rap di Piotta della canzone romana Lella? Nel video di Supercafone del suo amico rapper Piotta, nel lontano 1988, pronuncia la frase che dà il titolo a questo paragrafo. Troppo coatto, ma esilarante! Dai, non ci riesco proprio a trovare un difetto!

Auguri Valerio! Bravo!

Francesco Danti

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