Il bel volume Portraits 2016 a cura di Benedetta Donato, recentemente uscito per Silvana Editoriale segue un itinerario figurativo dell’opera di Maurizio Galimberti, uno dei più acclamati fotografi della panoramica mondiale. Il volume raccoglie le opere prodotte dal fotografo lungo una verticale artistica che va dagli esordi sino all’anno in corso.
Portraits 2016 -come suggerisce il titolo – presenta in 239 pagine una rassegna di ritratti dell’artista-fotografo, considerato insuperabile secondo la definizione della critica Giuliana Scimé la quale parlando di Galimberti dice che «Nessuno al mondo è in grado di fare quello che fa lui e come lo fa lui» aggiungendo poi come Galimberti sia «Imitatissimo, a volte incompreso, rimane unico al mondo».
Il volume suddiviso in cinque parti ognuna presentata da un diverso autore ovvero Benedetta Donato, Maria Teresa Cerretelli, Denis Curti, Roberto Mutti e Giuliana Scimé. Nel testo si considerano vari aspetti a cui si può ricondurre l’opera di Maurizio Galimberti, instant artist per antonomasia e indiscusso maestro del mosaico, tecnica messa da lui a punto dai primi anni Ottanta e che consiste nell’accostamento di più immagini scattate con la Polaroid suo privilegiato mezzo espressivo. L’artista sin da quegli anni è restato fedele all’analogica a discapito del digitale di cui non pare ostentare simpatie. La Polaroid resta infatti una sua costante, la macchina-compagna di cui lui ha investigato ogni possibilità, una sorta di protesi o di “prolungamento del suo sguardo” (pag.17)
Maurizio Galimberti sin dai primi esperimenti aveva precedentemente approfondito lo studio della storia dell’arte rivolgendo uno sguardo più attento alle grandi avanguardie del XX secolo. E’ innegabile infatti come il Cubismo, il Dadaismo e il Futurismo abbiano lasciato un solco profondo nell’opera dell’autore. Confluendo magistralmente nella sua opera i grandi “ismi” le hanno conferito quell’inequivocabile cifra stilistica che è solo di questo artista. Maurizio Galimberti si è dedicato con molta caparbietà alla sperimentazione, vagliando ogni possibilità che la tecnica potesse garantirgli, giungendo a impossessarsi della scomposizione, riappropriandosi del ready-made, del ritmo e di quel tipico dinamismo ascrivibile alle sue immagini, istantanee che sin dal primo acchito il fruitore riesce a ricondurre a lui. Fra i ritratti a mosaico di cui Galimberti è famoso tante le celebrities quali Johnny Depp (al cui mosaico il Time Magazine di Londra nel 2003 ha dedicato una copertina) o George Clooney, Carla Fracci, Lady Gaga, Lucio Dalla, Andrea Bocelli, Eleonora Abbagnato, Umberto Eco, Maria Grazia Cucinotta, Monica Bellucci, Robert De Niro, Ennio Morricone e Vittorio Sgarbi solo per citarne alcuni, una rassegna di “immagini in perenne divenire, percepite come mutanti dal soggetto allo spettatore”. (pag.11)
Maurizio Galimberti è un artista che sembra persino scrutare l’animo delle persone mentre ne cattura i ritratti sulle pellicole, per poi smontarli in parti e ricomporli secondo una personale visione del soggetto-oggetto, una visione simile a quella di Henri Cartier-Bresson per cui anche Galimberti può dire «Cerco soprattutto un silenzio interiore… cerco di tradurre una personalità e non un’espressione». Ordine, precisione, meticolosità sembrano i principi cardine sottoposti a una cartesiana geometria estetica alla quale l’artista aderisce in toto.
Ho incontrato Maurizio Galimberti in occasione di un finissage di una sua mostra fotografica a Palazzo Pepoli Campogrande a Bologna e ho avuto modo di parlare con lui della sua geometria assoluta e del suo rigore formale che lui insegue nell’opera riconducibile pare alla precisione meticolosa tipica del disegno industriale di cui lui invece dice: «Guardo alla mia storia personale: il rigore e la pulizia del papà del suo lavoro, i miei studi da geometra e da quasi architetto. L’ossessione del quadrato Polaroid: anche nelle mie immagini c’è questo rigore formale anche quando lavoro scompongo e ricompongo i lavori degli altri li porto dentro di me però il rigore e la geometria ci devono sempre essere, perché probabilmente è nel mio DNA». Sono questi aspetti che ho notato nel suo lavoro e che mi hanno fatto rompere il ghiaccio, di seguito riporto la trascrizione della nostra conversazione.
La prima cosa che salta all’occhio vedendo le Sue opere è il rigore e la precisione geometrica alla massima potenza, da cosa dipendono?
Probabilmente avendo io una formazione da geometra, la precisione deriva da quello: sia dalla precisione dei ponteggi nei cantieri che nei disegni. Mio papà era un maniaco della pulizia nei cantieri ed era un impresario edile e nelle mie fotografie c’è una pulizia totale come nelle case che abito o nella mia auto. Tutto questo rigore si lega molto anche all’estetica che io amo e se non c’è l’estetica niente può essere bello.
La Polaroid era uno di quei classici regali da comunione o cresima più o meno in voga negli anni ’70, ai bambini si davano due cose impossibili pensando di agevolarli: una era la Polaroid e l’altra i pennarelli, fare un bel disegno con i pennarelli è praticamente impossibile per un bambino, allo stesso modo l’utente medio realizza cose mediocri con la Polaroid. Com’è mai è nato in Lei questo amore per la Polaroid? Quando ha intuito che la velocità di sviluppo del mezzo poteva prestarsi alle creazioni che Lei ha realizzato?
Diciamo che io amavo molto fotografare e stampavo le foto perché non mi piaceva aspettare: io volevo tutto e subito, perché io sono nato in un orfanotrofio, ci sono stato cinque anni e poi da quando me ne sono andato perché sono stato adottato da Galimberti ho sempre avuto paura del buio, ho sempre avuto delle ossessioni e Non ho mai amato aspettare e ho sempre avuto paura del buio e quindi vuol dire che in camera oscura non ci stavo bene. E poi “tutto e subito” perché ho aspettato i genitori che mi dicevano erano in America e poi non ho più voluto aspettare, né potevo fare il bianco e nero perché soprattutto c’era da stare al buio allora nel 1982 ho iniziato a fare delle Polaroid…anche se il mezzo era veramente scarso, vedendo l’esempio dei grandi che la facevano mi dicevo: “perché io non ci devo riuscire?” Quindi cercando di creare un percorso culturale anche fisico di usare la macchina, partendo dalla “fisicità” dell’utilizzo. Quasi un rapporto simbiotico con la tua compagna che in questo caso è la macchina e pur nella sua debolezza tu se ci credi riesce ad arrivare a livelli altissimi. Volere è potere: se tu riesci a utilizzare gli strumenti che hai anche con una macchina da poco sono riuscito a fare dei lavori anche importanti perché ci ho creduto (nelle potenzialità della Polaroid ndr) mi ci sono messo dentro anch’io.
Quando ha capito le potenzialità della Polaroid e quello che si poteva fare di così atipico, come Lei ha poi realizzato?
Quando ho visto le cose di Mario Giacomelli che lui metteva insieme con lo scotch allora ho detto: “se lui fa quelle foto lì allora anch’io posso usare la Polaroid”.
Per quanto concerne la conservazione invece, le Sue sono opere anche di un certo valore, quali sono i nemici che possono rovinarle?
Basta non esporle ai raggi diretti del sole, l’ideale sarebbe mettere un vetro davanti anti U.V. , però comunque stiamo parlando di ossessione: basta che non siano colpite dalla luce del sole, io ne ho di trent’anni e non ci sono problemi!
INFO
Lingua:Ed. trilingue italiano / inglese / francese
ISBN/EAN:9788836633708
Prezzo: 49,00 Euro
- Mario Biondi il ritorno del mitico crooner – 15 Marzo 2017
- Due: Raul Bova e Chiara Francini al Celebrazioni – 5 Marzo 2017
- Intervista a Marco Vergini prima del concerto alla Rocca di Vignola – 4 Marzo 2017