Roma FF13: nel segno del regista con Tornatore, Martone e Barry Jenkins

Roma FF13: nel segno del regista con Tornatore, Martone e Barry Jenkins

FESTA del CINEMA – Proseguono gli Incontri Ravvicinati con Giuseppe Tornatore che racconta il suo amore per il Noir e Mario Martone che ci porta nel fantastico mondo della scrittrice Elena Ferrante. E i film? Oggi vi parliamo di If Baele Street Could Talk del Premio Oscar Barry Jenkins.

Noir, storia e lezioni di cinema. La Festa del Cinema prosegue sotto il segno delle parole di Antonio Monda alla vigilia della kermesse. Il direttore artistico della manifestazione cinematografica capitolina aveva lasciato una traccia, un segno distintivo di una tredicesima edizione che finora, ha trovato in questi tre filoni i suoi punti di forza. In questi giorni, noi di MyWhere, non ci siamo persi neanche un film e neanche un incontro ravvicinato e ciò che abbiamo imparato a capire è questi 3 filoni, generi, argomenti o come diavolo volete chiamarli, si sono spesso e volontariamente intrecciati tra di loro, creando qualcosa di particolare e di diverso dalle altre kermesse.

Ad esempio, ieri sera, nel meraviglioso Incontro Ravvicinato con Giuseppe Tornatore, l’argomento caldo e più gettonato, è stato proprio il Noir. Il regista Premio Oscar con “Nuovo Cinema Paradiso” e autore di tante grandi storie capaci di affascinarci in questi anni (una su tutte “La leggenda del pianista sull’oceano” ) ha svolto una grande lezione di cinema sul genere, regalando al pubblico alcune chicche davvero uniche.

TORNATORE E IL NOIR

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Giuseppe Tornatore e Antonio Monda

Intanto una premessa: Tornatore è una persona tranquilla, gentile e molto siciliana nell’accezione positiva del termine, sempre che ce ne siano di negative, ma se provate a definire il genere Noir “commerciale”, rischiate davvero brutto: “Per decenni il Noir è stato considerato commerciale, cinema da botteghino – ci racconta Tornatore nell’incontro con Antonio MondaA rivalutarlo furono François Truffaut e la Nouvelle vaugue negli anni ’60. Solo allora fu capito e compreso per il valore artistico. Ecco questa è sempre stata una cosa che mi ha fatto arrabbiare.”

Quello tra Tornatore e il Noir è sempre stato un rapporto intenso, nato da adolescente quando faceva il proiezionista a Bagheria in Sicilia e proseguito negli anni inseguendo la sua passione cinematografica. Il regista siciliano ha definito il Noir “Cinema di tensione” e ha raccontato il suo amore per il genere scegliendo 8 titoli che lo hanno letteralmente folgorato. Tra questi troviamo La fiamma del peccato (1944) di Billy Wilder, La donna del ritratto (1944) di Fritz Lang, Lo specchio scuro (1946) di Robert Siodmak, Crime and Punishment – Ho peccato (1935) di Josef von Sternberg, Le catene della colpa (1947) di Jacques Tourneur, Detour (1945) di Edgar G. Ulmer, il francese Le Trou – Il buco (1960) e infine Il delitto perfetto (1954) di Alfred Hitchcock, su cui maggiormente si è lasciato andare a ricordi personali.

A dirla tutta però, quest’ultimo non è che sia proprio un tipico film Noir, gli fa notare Monda. Tornatore a questo punto incalza: “Gli studiosi di cinema – racconta il regista – non lo inseriscono nel noir, ma per me lo è a tutti gli effetti per quelle tinte oscure, macabre, nere e autodistruttive. Non potevo non citare Hitchcock e questo è il primo film che mi viene in mente se penso a lui. Ricordo che lo trasmisero nel nostro cinema avevo circa 14-15 anni. Facevo il proiezionista e lo vidi 8 volte in 2 giorni. Fu una vera folgorazione, soprattutto per quel finale con l’ispettore che guarda il sospettato dalla finestra e racconta agli altri cosa sta facendo. E’ come un regista che racconta una scena ad un attore.”

La passione di Tornatore per il cinema è nota a tutti ed è talmente forte da far quasi paura. Una passione, come detto, nata quando era ancora adolescente nei periodi da proiezionista a Bagheria: “Per essere un buon regista – conclude – bisogna prestare attenzione a cosa avviene nella vita quotidiana e avere una conoscenza minuziosa della realtà delle cose”.

MARTONE E IL CONNUBIO CON ELSA FERRANTE

Mario Martone a FF13

E se un maestro come Tornatore ci racconta tutto sul Noir, un altro come Mario Martone ci parla del suo cinema e del clamoroso caso editoriale di Elena Ferrante. Andiamo con ordine.

A 23 anni dalla sua uscita, la Festa del Cinema di Roma ha ospitato la versione restaurata de L’Amore molesto di Mario Martone, vincitore di tre David di Donatello (Migliore regia, Miglior attrice protagonista Anna Bonaiuto e Miglior attrice non protagonista Angela Luce) e di un Nastro d’argento (Migliore attrice protagonista). Noi non potevamo perderla, data anche la presenza del grande Martone (a proposito, a novembre esce Capri Revolution, noi l’abbiamo visto a Venezia e ci ha colpito profondamente)

Tratto dall’omonimo romanzo d’esordio di Elena Ferrante, il film fu presentato per la prima volta nel 1995 alla 48ª edizione del Festival di Cannes, ottenendo un grande successo di critica e pubblico.

La trama in breve. Delia torna a Napoli per il funerale della madre Amalia, annegata, e indaga sugli ultimi mesi della sua vita per capirne la morte. Ne ripercorre la vita tormentata dalla gelosia del marito e si imbatte in uomini ambigui e volgari: il presunto amante di Amalia e suo figlio Antonio, lo zio Filippo e il padre. A poco a poco Delia si identifica con la madre in un lucido e doloroso delirio autopunitivo.

Un thriller metropolitano, L’Amore molesto è un film sensuale e misterioso, interpretato da una straordinaria Anna Bonaiuto, Angela Luce, Licia Maglietta e un cast ricco di grandi attori.

“Nella scrittura della sceneggiatura de L’Amore molesto avevo immaginato l’alternanza tra i diversi momenti temporali del racconto attraverso l’uso del colore per il presente e del bianco e nero per le parti del passato – racconta MartoneSuccessivamente, in fase di ripresa, insieme al direttore della fotografia Luca Bigazzi optammo per una decolorazione delle parti del passato che consentisse un passaggio visivo più fluido.
A distanza di tanti anni, e in occasione del restauro complessivo della pellicola, assieme a Bigazzi ci è sembrato interessante provare a tornare all’idea iniziale del bianco e nero, introducendo una rilettura del racconto probabilmente più dura e radicale da un punto di vista estetico, ma più vicina allo spirito originale della sceneggiatura e dello stesso romanzo di Elena Ferrante. Colore e bianco e nero si oppongono quasi con violenza, quella che sottilmente attraversa i personaggi, le vicende e la stessa città di Napoli che nel romanzo, lungi dall’essere una semplice ambientazione, è totalmente protagonista”.

Mario Martone a FF13
Mario Martone, Anna Bonaiuto e il produttore Andrea Occhipinti a FF13

Martone ha raccontato ogni dettaglio del film, in una conversazione con la brillante Concita De Gregorio. Ecco altri estratti: “Non sapevo chi fosse Elena Ferrante, non l’ho mai saputo, ma per me è stato immediato il rapporto con la sua scrittura. Mi era chiarissimo che fosse l’opera di una scrittrice prodigiosa”.

Un’ammirazione totale quella del regista, che arriva a definire la Ferrante, “una scrittrice universale, capace di arrivare a quella universalità attraverso il dettaglio, da un umore al tanfo di un’osteria.”

Elena Ferrante è stata inserita dal Time tra le 100 personalità più influenti al mondo nel 2016 e con Martone ha nutrito un rapporto di profonda stima reciproca come sottolinea il regista: “Elena mi aveva indicato tra i registi che le sarebbero piaciuti per una serie tv dedicata a L’amica geniale”. Mi ha fatto piacere, fu una dimostrazione della considerazione che lei ha per me. Poi la serie l’ha fatta Saverio Costanzo, regista bravissimo”.

Qui le foto di Mario Martone con Anna Bonaiuto e Concita De Gregorio sul red carpet di FF13.

Mario Martone FF13

BARRY JENKINS, NUOVA PERLA SUL RAZZISMO ALLA FESTA DI ROMA

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Stephan James e Kiki Layne nel nuovo film di Barry Jenkins

Beale Street è una strada di New Orleans, dove sono nati mio padre, Louis Armstrong e il Jazz ed è per questo che ogni afroamericano è nato a Beale Street ed è per questo che Beale Street è la nostra eredità”. Citazione iniziale del nuovo film di Barry Jenkins.

Uno dei film più attesi in questa 13′ edizione della Festa del Cinema è stato sicuramente il nuovo lavoro di Barry Jenkins (Premio Oscar per la miglior Sceneggiatura 2017 con Moonlight, anch’esso vincitore della statuetta come Miglior Film) dal titolo “If Beale Street Could Talk”. Un film raffinato come sempre quando si parla di Jenkins, di tatto e con una luce propria. Un film che ha il jazz come colonna sonora di una vita dura, quella della comunità afroamericana negli USA negli anni 70′.

If Beale Stret Could Talk” non è altro che un rifacimento romantico dell’omonimo romanzo di James Baldwin e racconta una storia ambientata ad Harlem nel 1974. Protagonisti Tish e Fonny, una coppia di giovani ragazzi afroamericani che sognano un futuro insieme.

Quando Fonny viene arrestato per un crimine che non ha commesso, Tish, che ha da poco scoperto di essere incinta, fa di tutto per scagionarlo, con il sostegno incondizionato di parenti e genitori. Senza più un compagno al suo fianco, Tish deve affrontare l’inaspettata prospettiva della maternità e farà di tutto per sbloccare una situazione drammatica, aggravata dalla piaga del razzismo americano.

Amo i libri di James Baldwin da quando ero al college – ha raccontato Barry Jenkins alla Festa del Cinema – Amo la sua scrittura, la sensualità della sua voce. E credo che “Beale Street” sia particolarmente rappresentativo del suo stile, perché mette insieme la parte più romantica e sensuale, quella che parla d’amore e di passione, e la parte politicamente schierata e fortemente critica riguardo all’ingiustizia sistemica della società americana”.

Volete la verità? Siamo usciti dalla sala un po’ interdetti. Jenkins, in tutti suoi film, ha sempre diviso il pubblico e la critica. C’è chi lo definisce un genio, chi invece lo accusa di cavalcare l’onda della sensibilizzazione razziale. Noi non crediamo questo, Jenkins affronta una tematica pesante con eleganza, talento e delicatezza ma spesso, a livello stilistico, si dirige troppo verso lidi virtuosistici, al limite dell’estetismo.

Insomma, If Beale Street Could Talk non convince tutti, Barry Jenkins non sarà mai un regista totalizzante, ma riesce a proporre una riflessione pesante, sofferente e personale, che riempie un racconto intimo e struggente con una carica autoriale incantevole. Ricorda Spike Lee, ma è più delicato, meno sporco e spietato.

I NOSTRI APPROFONDIMENTI DELLA FESTA DEL CINEMA DI ROMA

Incontro Ravvicinato con Sigourney Weaver

Incontro Ravvicinato con Martin Scorsese

Il nuovo film di Cate Blanchett

Paolo Riggio

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