Street Art. Banksy Co. L’arte allo stato urbano?

 Testo di Raffaella Del Gaudio Pernice e Sara Coluccino.

Da studioso, amatore, critico, visitatore atipico, legislatore, camminatore della strada: con quale di questi occhi guardare la mostra Street Art. Banksy & Co. L’arte allo stato urbano nelle sale di Palazzo di Bologna?

L’operazione messa in atto dagli addetti ai lavori si propone di ricostruire la storia della Street Art, da un lato, e dall’altro di dar vita ad una riflessione sulla salvaguardia e la musealizzazione di un’arte che nasce da e per la strada.

I pannelli illustrativi nelle sale di Palazzo Pepoli accompagnano il pubblico attraverso la storia del Writing e della Street Art illustrando come questi interventi di affermazione nichilista di un’umanità ribelle nel mondo urbano, abbiano avuto conseguenze sul modo di intendere la città e sul mondo artistico, al punto da considerarli interventi estetici di sapore museale.

Tra lamiere, pannelli in legno di cantieri, cartoni della pizza e vetrine si avverte la versatilità di questa forma d’arte, su cui, personalità come Bansky, Os Gemeos, Faile, Dran, hanno lasciato il loro segno, ora conservato e fruibile. Certo magari la ricezione di un gesto artistico trasformato in opera, sottrae un aspetto distintivo alla città che le ha caratterizzate, perdono quello scambio osmotico della realtà sociale che le ha create.

Da quale prospettiva, allora, guardare le ragioni di un’istituzione museale e la volontà di una parte dei suoi esperti di riconoscere quest’arte urbana come tale accompagnandola ( o rinchiudendola) tra le sale del museo, per evitare che questa venga cancellata da abbattimenti, atti di vandalismo o semplicemente dal tempo?

“Arte allo stato urbano” o arte “da salotto”?

La percezione di questa esperienza ha avuto le più disparate reazioni da parte degli artisti della città di Bologna e del pubblico. Ne è un esempio la “questione Blu”: animo pulsante, un cuore che batte sui muri delle periferie bolognesi, un artista così autenticamente legato alla ritualità della Street Art. da decidere di distruggere le sue stesse creazioni pur di sottrarle alla mercè delle istituzioni. Eppure, lo abbiamo visto vivo e presente quasi allo stesso modo, sulle pareti del museo con opere echitettate come art work, ovvero, lavori nati e pensati per le collezioni private, per le committenze, “per i salotti”, cosi come tanti altri, forse troppi, in una mostra intitolata Street Art.

Caso inverso è Senza titolo di Blu, enorme murales che accoglie il visitatore con la sua imponenza nello spazio aperto della corte del museo, dipinto a vernice su un fianco degli uffici delle ex Officine di Casaralta, edificio prossimo alla demolizione, il cui murales è stato salvato da un’imminente e rovinosa fine.

Interpretato da questo punto di vista l’operazione di recupero sembrerebbe qualcosa di positivo, difficile comprendere la reazione dell’artista allo stacco della sua stessa opera. Atto di recupero e salvaguardia o tentativo di scarnificazione dell’essenza stessa dell’opera? Ecco la grande questione che ha appassionato il pubblico. Non ci si può schierare solo da una parte: se la Street art è arte merita il posto accanto alle opere normalmente considerate artistiche, anche se questo infastidisce l’artista di strada. Invece, se la Street art è essenzialmente espressione di vitalità e estetica, che viva le contaminazioni e i cambiamenti di una città che respira, che cresce, che muta.

Da quale prospettiva, dunque, concepire un atto artistico che metta in conto la possibilità di deteriorarsi, di distruggersi, di cancellarsi, spostarsi e andare in giro trasportato come un vagone di un treno? E se le opere esposte non volessero essere chiamati tali? Se volessero rimanere atti di vitalismo espressivo lasciati al proprio destino sui muri di periferia, su una vetrina di un negozio dismesso, sul grigio di città?

Di fronte ad essi si respira, indiscutibilmente, l’eco di artisti ribelli, impegnati nel sociale che fanno della strada il loro teatro di vita e al tempo stesso il palcoscenico della loro creatività. Non possiamo dimenticare che nella Parigi del XIX secolo, la Parigi degli “artisti maledetti”, la vita e la realtà della città già si fondevano insieme. Pensiamo al Quartiere Latino, a Montmaitre. A questo proposito risulta suggestiva una citazione di Henri Murger, tratta dalla sua opera Scene della vita di bohèmien: “la bohème ha esistito sempre e in ogni luogo”. Il bohèmien “batte il selciato della città, il naso del vento, come un cane che caccia”. Come non rivedere, in questo spaccato di esistenza un writer che con la sua vernice si dirige verso un muro vuoto di una città grigia, tra portici e osterie, che dipinge un ideale, un cambiamento, una voce.

E’ questo, forse, che può evincersi visitando la mostra: rivivere l’energia della strada secondo la logica museale? Ma, se i muri di città, segnati da mani creative, devono essere distrutti e la luce di queste opere portate nel buio delle ceneri, tanto vale ritrovarli in un mueso? Noi pensiamo di no. Incontestabilmente, le opere hanno perso la loro energia poetica.

In definitiva, la mostra Street Art, Bansky & Co. L’arte allo stato urbano, che abbia privato o meno della propria “aura” la libera espressività degli artisti di strada, ha di certo suscitato interesse e curiosità sulle problematiche che ruotano attorno al mondo dell’arte delle città, cercando di ricucire (seppur rischiando di spezzarlo) quel labile filo che lega la strada alle ragioni delle istituzioni e al museo.

Street Art – Banksy & Co. L’arte allo stato urbano

Palazzo Pepoli, Bologna

18 marzo 2016 – 26 giugno 2016

Mostra sostenuta da:

Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna

 Il progetto nasce dalla volontà del Professor Fabio Roversi-Monaco, Presidente di Genus Bononiae, prodotta da Genus Bononiae. Musei nella città e Arthemisia Group 

Curata da Luca Ciancabilla, Christian Omodeo e Sean Corcoran.

Redazione

6 Responses to "Street Art. Banksy Co. L’arte allo stato urbano?"

  1. Rosaria   12 Aprile 2016 at 01:56

    Adoro la Street Art e amo ancor di più i musei ma sono in linea con le considerazioni brillanti di quest’articolo!! Davvero incisivo e diretto, complimenti mywhere!

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  2. Raffaella   13 Aprile 2016 at 13:20

    Articolo interessante e stimolante.
    Devo ammetterlo uno dei migliori finora letti!!complimenti

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    • Fabiola Cinque
      Fabiola Cinque   16 Aprile 2016 at 14:41

      In realtà mi piace vedere che il dibattito aperto sulla street art confronti pareri che partono da diversi presupposti per arrivare a convergere sulla visione d’insieme. E trovo stimolante che quattro redattrici abbiano avuto interesse a raccontare a tutti noi (che al momento non ci troviamo a Bologna), di questo evento che mette in luce un aspetto dell’arte contemporanea che stimola spunti di riflessione ed approfondimento.

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  3. Giovanna   13 Aprile 2016 at 14:02

    Articolo brillante, ricco di contenuti e che stimola la voglia di conoscere la Street art e tutto quello che la circonda!

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  4. Amedeo   13 Aprile 2016 at 14:19

    Per chi ama l’arte è difficile restare indifferenti alle questioni sollevate dalla mostra di Bologna! L’articolo dimostra, senza scadere nel banale o nella vuota retorica, come sia complessa la situzione della street art e la relativa “artisticizzazione”. Complimenti!!

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  5. Niccolò   14 Aprile 2016 at 11:12

    Se ne potrebbe discutere in eterno, la mostra resta un triste e vuoto tentativo di creare un accozzaglia di opere sfruttando il nome della street art. Man mano che si prosegue con la mostra si avverte frustrazione e alienazione per come non sia contestualizzata e giustificata la scelta delle tematiche e delle opere!

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