Lavoro: quando a fare la morale sono i privilegiati

Lavoro: quando a fare la morale sono i privilegiati

Italia – Non si placano le polemiche nate a seguito delle dichiarazioni (discutibili) di Alessandro Borghese, a cui hanno fatto eco quelle dell’imprenditore Flavio Briatore prima e dello chef Filippo La Mantia poi (seppur con posizioni molto diverse), in merito alle difficoltà di reperire personale. Pensare che i giovani adesso siano solo sfaticati che non hanno voglia di lavorare e di sacrificarsi, pare essere lo sport nazionale degli ultimi anni. In alcuni casi, però, mi pare venga omesso un piccolo dettaglio: il privilegio. E non tenerne conto, lasciatemelo dire, è solo una gran paraculata.

Non vi sarà di certo sfuggito il polverone sollevatosi a seguito dell’intervista – rilasciata al Corriere della Sera qualche settimana fa da Alessandro Borghese – nel corso della quale lo chef, e ormai star televisiva, lamentava le enormi difficoltà incontrate negli ultimi periodi nel trovare collaboratori da inserire nel suo staff, nonostante la ricerca sempre attiva. I giovani adesso pare siano solo una manica di arrogantelli viziati che cercano il guadagno facile, che “pretendono di ricevere compensi importanti”, per citare parole sue, e che al fine settimana di sollazzi e bagordi proprio non vogliono rinunciare. Aggiungendo inoltre, correndo il rischio di risultare impopolare, che a suo giudizio imparare un mestiere non voglia dire necessariamente dover essere pagati.

L’intervista continua poi con il racconto strappalacrime di come abbia iniziato lui la sua carriera: anni di privazioni, lunga gavetta a bordo delle navi, anche lui senza uno stipendio oltre al vitto e all’alloggio (che non vuol dire propriamente non essere pagati…).

Insomma una vita di sacrifici che devi fare se vuoi diventare come Alessandro Borghese. Bene.

Tutto bellissimo e commovente. In parte giusto, ma direi incompleto. È stato omesso, ma sarà stata una dimenticanza, una svista innocente ne sono sicura, un particolare che molto spesso fa la differenza. Sapete cos’è? È il privilegio.

Il privilegio che spesso rende difficile, se non impossibile, per chi ne gode, comprendere le difficoltà di chi la sua stessa fortuna non l’ha avuta.

Per carità, per ottenere dei risultati devi lavorare. Devi investire tempo ed energie; a volte devi sacrificare, sì, l’aperitivo o il weekend con gli amici. Su questo siamo d’accordo e non diciamo niente di nuovo.

Ma dobbiamo convenire anche su un’altra cosa. E cioè che non tutti hanno le stesse opportunità, non tutti partono dallo stesso livello. Facile raggiungere l’attico se parti già dal decimo piano e hai pure l’ascensore.

Alessandro Borghese profilo instagram
Alessandro Borghese profilo instagram

Non tutti possono permettersi di imparare un mestiere senza, nel frattempo, essere pagati. Perché magari non c’è una famiglia alle spalle che può mantenerti finché non sei indipendente economicamente; perché forse sei costretto a trasferirti in un’altra città e lì dovrai pagare l’affitto, dovrai andare al supermercato ogni tanto per non morire di fame. So che non è elegante fare i conti in tasca alla gente, ma quando ci si lascia andare a commenti fuori contesto, tocca poi ricordare a qualcuno che non tutti hanno la mamma attrice, il papà imprenditore o, che so, vitto e alloggio pagati.

Il successo non capita per caso. È impegno, studio, passione per quello che fai. Ma siamo onesti. È anche trovarsi al posto giusto al momento giusto; è avere accesso a determinati tipi di studio e di esperienze; è crescere in certi contesti; è incontrare qualcuno che ti dà una possibilità.

Ma il problema è decisamente più ampio. Non è colpa (solo) di Borghese che, a dirla tutta, finché andava in giro per l’Italia a chiedere “quanto abbiamo speso, ristoratori?” mi stava anche simpatico. Il problema è che ancora oggi si possa pensare sia normale lavorare senza essere, in virtù di questo, retribuiti o nella migliore delle ipotesi pagati sì, ma una miseria.

Come avrete già letto, oltre a Borghese, anche lo chef La Mantia ha dichiarato di non riuscire a trovare ragazzi disposti ad andare a lavorare nel suo ristorante (non per svogliatezza ma per un cambio di mentalità), nonostante l’offerta di 22.000 euro annui lordi. Che tradotti in euro netti mensili, con cui vivere a Milano, sono una cifra ridicola. Vuol dire non arrivare a fine mese, a meno che tu non abbia qualcuno che paghi l’affitto per te, che paghi la benzina o il biglietto della metro per te, che ti offra da mangiare. Insomma, a meno che tu non sia un privilegiato.

La notizia è stata ripresa da molti e ho letto qualche commento del tipo “di questi tempi, sono sempre meglio di niente…”. Questa è una trappola.

Il lavoro nobilita l’uomo, recitava un vecchio adagio; ed è vero. Ma per renderlo nobile, a quest’uomo devi lasciare la dignità. Se gli fai accettare condizioni inaccettabili pur di avere uno straccio di lavoro, quella dignità gliela stai togliendo.

E poi basta con questo tormentone stucchevole dei giovani che non vogliono lavorare. Va bene, sarà in parte vero. Ma nessuno che abbia l’onestà intellettuale di dire che ce ne sono tantissimi altri con in mano lauree, master ed esperienze all’estero, che dopo anni di stage e contratti a tempo determinato, se sono abbastanza fortunati riescono a trovare un impiego e a entrare in aziende in cui avranno come capo qualcuno che non solo non ha un titolo superiore al suo, ma neanche equivalente. Magari uno di quelle generazioni passate che tanto hanno da ridire su questa gioventù bruciata. Uno di quelli che pur non avendo studiato presso prestigiosi atenei, pur non conoscendo almeno due lingue, pur non avendo già anni di esperienza alle spalle (ma essere tuttavia sufficientemente giovane), se armato di buona volontà, aveva comunque la possibilità di affermarsi professionalmente e fare strada.

Insomma, un privilegiato.

Marianna De Mare

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