Il ruolo della Scuola: necessario ridarle autorevolezza

Il ruolo della Scuola: necessario ridarle autorevolezza

ITALIA – Che ruolo ha la scuola? Che non susciti più il timore reverenziale che affliggeva le generazioni passate è, per fortuna, un dato di fatto. Ma tra la rigidità di un tempo e la debolezza che in alcuni casi la scuola dimostra di avere adesso, forse si potrebbe (e dovrebbe) pensare a una via di mezzo.

Il ruolo della scuola. Partiamo da questo per farci qualche domanda.

Nelle ultime settimane si sono verificati alcuni episodi che dovrebbero farci porre qualche domanda sul ruolo che la scuola, in quanto istituzione, ha assunto negli anni, non solo per gli studenti ma anche, e soprattutto, per le loro famiglie. Sono casi che ci inducono a pensare che la scuola stia perdendo l’autorevolezza che, nell’immaginario collettivo, l’ha sempre contraddistinta.

Fortunatamente, sono lontani i tempi in cui alunni negligenti e poco inclini alla buona condotta venivano fatti inginocchiare sui ceci o mandati in castigo dietro alla lavagna, con relativa umiliazione in pubblica piazza davanti al resto della classe. Umiliazione a cui seguiva, con certezza quasi matematica, la reprimenda dei genitori una volta tornati a casa.

I tempi, dicevo, sono grazie al cielo cambiati; ora c’è sicuramente un maggior dialogo tra studenti e insegnanti. Maggiore attenzione alle necessità degli alunni che non sono solo menti da rimpinzare con date e teoremi, ma soprattutto persone da ascoltare e con le quali confrontarsi per una reciproca crescita.

Vero è che, sentendo alcune notizie o anche chiacchierando con amici che hanno figli che frequentano scuole di qualsivoglia ordine e grado, la sacralità che un tempo veniva conferita alla scuola in quanto istituzione pare essere sempre più debole. Questo va senz’altro a sminuire il ruolo della scuola.

Per quelli della mia generazione, dalla fine del liceo è passato qualche anno, ma ricordo bene il senso del rispetto che si nutriva nei confronti della scuola, probabilmente perché in primis, a far sentire il peso dell’autorità erano i nostri stessi genitori.

Attenzione, non dico che fossimo irreprensibili o che le nostre pagelle fossero sempre un susseguirsi di 8 e 9… Gli studenti probabilmente sono rimasti uguali, perché quella è l’età della ribellione, del desiderio di essere percepiti come anticonformisti e con un’identità indipendente. A essere cambiati, e tanto, mi sembra siano le mamme e i papà; i nostri, a prendere le nostre difese se un professore ci dava un 4 all’interrogazione di latino, non ci pensavano neanche alla lontana.

Adesso è un professore che non ci pensa neanche alla lontana a dare un 4 a uno studente, perché con buonissima probabilità, l’indomani dovrà vedersela con la mamma che pretende spiegazioni sul perché il figlio non sia stato premiato con un voto più alto.

La maestra denunciata dai genitori

Basti pensare al caso, avvenuto quattro anni fa e salito agli onori della cronaca nelle scorse settimane, della maestra di una scuola primaria nel parmense, denunciata da un gruppo di genitori e condannata a un anno e venti giorni per abuso di metodi di correzione, per aver sgridato alcuni bambini che imbrattarono i muri del bagno con le feci.

Ora, senza dilungarsi sulla dinamica dei fatti e sull’ovvio ribrezzo che suscita anche solo immaginare la scena, ma fatico a comprendere come ad avere la peggio in questa storia sia stata la maestra.

Non è forse il caso di fare un passo indietro e lasciare che la scuola adempia al suo compito di formare, oltre che informare, un alunno innanzitutto come persona?

La scuola, contrariamente a quel che evidentemente credono alcuni genitori, non è un parcheggio in cui lasciare i figli mentre loro solo a lavoro. È il luogo in cui, per la prima volta, i bambini riconoscono un sistema che prevede delle regole. L’ambiente in cui smettono di essere il centro del microcosmo che è la famiglia da cui provengono per iniziare a far parte di una comunità. È lì che si impara a stare al mondo.

Ma se da un lato, è colpa di alcuni genitori che concorrono a creare una generazione di rammolliti, dall’altro c’è da dire che talvolta anche la scuola vacilla, palesandosi in tutta la sua debolezza.

Il caso del liceo di Brunico

Notizia di qualche giorno fa, l’episodio avvenuto in un liceo pedagogico in lingua tedesca a Brunico, dove la dirigente Isolde Maria Künig decide di mandare una circolare alle famiglie degli studenti, chiedendo

un abbigliamento appropriato per chi entra a scuola, senza magliette che lascino la pancia completamente nuda”.

Fin qui, io non ci vedo niente di strano. Se non che sia necessario specificarlo. La scuola, così come un ufficio o una chiesa, richiede un dress code consono. È una questione di decoro, di buongusto.

scuola e autorevolezza
Ragazzi con pancia scoperta

L’indomani, invece, le studentesse insieme ad alcuni compagni solidali, vanno a scuola con micro t-shirt in segno di protesta, probabilmente con la complicità dei genitori che li avranno visti uscire di casa non del tutto coperti.

A questo punto cosa fa la preside? Si infuria? Li rimanda a casa invitandoli a mettere qualcosa di adeguato come da precedente richiesta? No. Si scusa. Aggiungendo che forse avrebbe dovuto evitare la lettera e chiedendo agli studenti di

elaborare insieme quello che potrebbe essere un dress code condiviso per la scuola“.

Non me ne voglia la direttrice, ma mi sfugge il senso delle sue scuse. Perché la scuola non riesce a mantenere una posizione, se giusta?

Si tratta di un luogo che richiede compostezza. Se un adolescente non lo comprende è dovere della famiglia prima e delle istituzioni poi, trasmettere il senso del rispetto per i diversi contesti in cui ci si trova.

Se concetti basilari come questo non si apprendono a quell’età, quando è giusto farlo? Quando, qualche anno dopo, una mattina si sveglieranno e reputeranno appropriato andare in ufficio in pareo e infradito?

È un passo indietro che fa perdere di credibilità. La scuola non deve essere autoritaria. Deve essere autorevole.

È un’istituzione, e come tale deve agire per poter così essere percepita. Questa sorta di sudditanza nei confronti di adolescenti pseudo ribelli (perché le rivoluzioni sono un’altra cosa, fidatevi…), ma soprattutto dei loro genitori, non fa bene a nessuno.

Giusto contestare un sistema se scorretto, se iniquo, se non tiene conto delle necessità di tutti ma solo di una parte minoritaria e privilegiata. Ma ci sono regole che non devono essere necessariamente discusse. Vanno spiegate e rispettate. Perché giuste.

E se da un lato ci sono studenti che devono provare a crescere, dall’altro c’è un’istituzione che deve provare a saper svolgere il ruolo per cui esiste.

 

 

Marianna De Mare

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