Gregory Crewdson e la fotografia narrativa

Gregory Crewdson e la fotografia narrativa

MONDO – Gregory Crewdson, fotografo statunitense, massimo esponente della  staged photography.  Uno dei fotografi  più apprezzati a livello internazionale per la  dettagliata ricerca estetica e per la narrazione delle sue immagini. Al Museo Albertina di Vienna la sua retrospettiva fino l’8 settembre

Per chi non conoscesse Gregory Crewdson una breve presentazione.

Gregory Crewdson nasce a Brooklyn, USA, nel 1962 e studia fotografia alla Yale School of Art. Lì studia il realismo documentaristico dei fotografi americani del primo Novecento, quali Walker Evans e William Egglestonde. Si approccia anche, visitando le gallerie di New York, alle fotografe  Cindy Sherman e a Laurie Simmons che usano la staged photography, ovvero la fotografia allestita.

Che cos’è la fotografia per Crewdson

La sua formazione come fotografo è influenzata dall’infanzia vissuta con il padre psicoanalista. Racconta che nello studio del padre c’erano molti volumi di Freud e uno in particolare lo aveva molto affascinato, il saggio Das Unheimliche tradotto in italiano Il Perturbante (1919).

Crescere con la psicoanalisi dentro in casa, gli ha plasmato il modo di vedere e percepire la realtà. Per l’appunto, il  perturbante freudiano, 

che è quella sorta di spaventoso che risale a quanto ci è noto da lungo tempo, a ciò che ci è familiare.

è percepibile nel suo modo di fare fotografia. Le sue immagini sono dei  mondi costruiti  in cui i soggetti sono alla ricerca di qualcosa di ambiguo.

© Gregory Crewdson
© Gregory Crewdson

Nelle pittoresche cittadine americane si vedono e si “sentono” le tensioni, il mistero, la solitudine, l’alienazione e la malinconia. Un turbine di sensazioni che Crewdson riesce a trasmettere magistralmente con la sua fotografia.

© Gregory Crewdson

Come Crewdson cattura le immagini?

Ebbene i suoi scatti non sono di certo immediati come potrebbe essere una street photography, ma sono costruiti in ogni dettaglio come richiede la staged photography (fotografia allestita).

Vi racconto il lavoro che c’è dietro ad una sua fotografia.

Prima fase: la ricerca di una location che gli susciti un’idea. Quindi Crewdson viaggia per ore  in auto, nel  Massachusetts, alla ricerca di un quartiere di periferia, di una casa isolata, un interno di una casa o un ambiente in mezzo alla natura, prima di allestire un set fotografico.

© Gregory Crewdson
© Gregory Crewdson

Seconda fase: allestimento di un set che per certi versi è cinematografico. Difatti, Crewdson diventa il regista di una grande troupe che lavora in sinergia con lui per ore. Pensate che per una fotografia mediamente impiega 40 ore prima di realizzarla. Una prerogativa essenziale nell’immagine, non esserci alcun  elemento che segni il tempo.  Per questo l’allestimento del set richiede degli interventi e delle modifiche, per esempio la polizia locale interrompe il traffico oppure si toglie una insegna  indicatrice di un tempo definito.

Gregory Crewdson nel set

La questione tempo è importante, per questo formidabile fotografo, in quanto lui vuole che ci sia una sfocatura tra il reale e la finzione. Non è interessato alla documentazione oggettiva, ma piuttosto all’essenza narrativa delle sue immagini,  con un’accezione che definirei poetica.

Terza fase: la scelta delle persone da fotografare nella location. Preferisce persone locali, ma  si avvale anche di attori e attrici. Qui c’è un vero e proprio lavoro di regia, il soggetto viene diretto da Crewdson stesso e  qualsiasi piccolo dettaglio, atteggiamento, posizione ed espressione viene ripetuta finché non si ottenga la completa soddisfazione.

La sua maniacale precisone  ci regala  dei capolavori.

Vedere le sue foto dal vivo in una esposizione è un’esperienza che vi consiglio vivamente. Se quindi volete volare al Museo Albertina di Vienna, potete vedere la sua retrospettiva fino l’8 settembre e così potrete immergervi nei suoi mondi.

Museo Albertina Vienna © Anita Orso
© Gregory Crewdson – Museo Albertina
© Gregory Crewdson – Museo Albertina

Ci sarebbe da stare molto tempo ad osservare ogni minimo dettaglio ad alta risoluzione ed in grandi formati, perché questo fotografo riesce a raccontare con una perfezione estetica, in un’aurea quasi teatrale, una profondità emotiva.

L’importanza della luce e del colore

Il racconto cinematografico, l’intensità della sfera psicologica dei soggetti, l’ambientazione descrittiva sono caratteristiche del lavoro di Crewdson, ma come qualsiasi artista, anche lui trae ispirazioni da altri artisti. Lo fa nel campo cinematografico e pittorico.

Crewdson è attratto dai lavori del regista statunitense David Lynch, che prima di essere il grande regista che conosciamo, è stato anche un pittore. Il film, fonte di ispirazione per l’uso del colore, della luce e  dell’ ombra, è Blu velvet (Velluto blu) thriller del 1986.

© Gregory Crewdson

Per quanto riguarda la pittura, Crewdson ammira i lavori di Edward Hopper (1882 – 1967), le composizioni narrative e le scene domestiche. Ciò che li accomuna è il senso dell’isolamento umano e l’uso della luce e delle ombre per esprimere inquietudine.

Edward Hopper – Stanza a New York 1932
Museo Albertina – © Gregory Crewdson

Gregory Crewdson è un fotografo contemporaneo formidabile, guardare le sue fotografie è quasi ipnotico, pur essendo una bidimensione hai la sensazione di essere incluso e ti viene voglia di parlare con i soggetti ritratti per capire a cosa pensano.

© Gregory Crewdson

I lavori di  Gregory Crewdson sono magistrali, è un grande artista  da seguire !

 

Foto: © Gregory Crewdson e web

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Anita Orso

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