Raul. Davanti a certe opere d’arte è necessario sospendere il giudizio, lasciarsi alle spalle i preconcetti, i piani passati, i tormenti logorroici, i lamenti ipocondriaci. Di fronte a certe immagini che cannibalizzano completamente ogni singolo atomo della testa, è necessario non indugiare e fare un passo in avanti diretti verso ciò che ci sta divorando. È il coraggio di chi un’opera d’arte la vive di pancia, ne viene assorbito, amato, compreso, risucchiato, mangiato, digerito e poi risputato fuori al mondo con una violenza estrema. Se mai vi doveste trovare di fronte al gigante Eva di Gardaland all’ingresso di una grossa bocca intravedendone la cavità, con tanto di denti canini, il mio consiglio è: fatevi divorare.
Ma non fatevi sbranare velocemente, la velocità lasciamola ai futuristi. Noi, godiamoci lo spettacolo lento e profondo, lasciamo che le gambe abbiamo un leggero cedimento, i muscoli una sospetta tensione, gli occhi un notevole riempimento e poi, ascoltiamo il battito che ci sembrava smarrito nel bosco disincantato e lasciamolo correre in un susseguirsi di emozioni che vanno dallo stupore alla incredulità, dalla meraviglia allo sbalordimento, dalla sorpresa al disorientamento. Lasciate che il tempo si fermi per pochi attimi, che il diaframma si riempia d’aria, che le farfalle facciano capriole dentro allo stomaco. Solo dopo tutto questo, sarete pronti per affrontare la sfida dei mille volti di Raul (Pescara 1980). Solo dopo aver attraversato tutta una serie di sensazioni che tendono il cervello con una tenaglia, arricciano la pelle con una scossa, inturgidiscono con una doccia gelata, allora sarete pronti a specchiarvi e farvi strada verso l’idea dell’infinito che si ha nell’incontro con l’altro e il suo volto, che in fondo è anche il vostro. A Thousand face è una danza tribale dove i ballerini sono chiamati a togliersi la maschera svelando la loro identità senza problemi raziali, fisiognomici o estetici. I volti soli li, sono fonti di riconoscimento in quanto le forme singolari sono impregnate di senso e di valore che rimandano all’identità dei soggetti che Raul incontra nei suoi viaggi. I suoi volti rivelano, nel loro essere carne dipinta su carta o tela, nel loro farsi parola, nella loro urgenza di comunicare. Quei volti che guardiamo e che ammiccano lo sguardo costituiscono un’apertura nella membrana dell’essere, sono una presenza viva, un’espressione che sapientemente prende forma.
Il volto è rivolto verso di noi, ci guarda, ma chi guarda chi? Ciò che vediamo potremmo pensarlo come un gioco di sguardi; è nel gioco degli sguardi che chi guarda dà senso, cioè attribuisce qualcosa di più della mera esistenza, così il guardato ammicca o restituisce lo sguardo allo spettatore rinviandogli di nuovo senso. In altre parole, vedere o guardare si dà a partire da almeno due soggetti. Non si può supporre un solo sguardo, perché non c’è nulla capace di sostenere il solo sguardo, non si può in ogni caso sfuggire alla penetrazione o al rispecchiamento. In entrambi i casi chi è in gioco è l’Altro da sé.
In ogni caso chi è coinvolto è il nostro volto e il volto dell’altro.
A Thousand face siamo noi, tutti noi.
[1] W. Wenders, L’atto di vedere, Ubulibri, Milano, 1992
Cock ‘n’ Bull Gallery, Tramshed,
5 Marzo 2015 – 17 Aprile 2015
32 Rivington Street,
EC2A 3LX London, United Kingdom
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