SPAGNA – Barcellona è una città che non si dimentica facilmente. Per quanto mi riguarda, buona parte della sua bellezza è creata dal fascino intriso di mistero che ho sperimentato di fronte alle opere di Gaudí, disseminate un po’ dappertutto e che a distanza di un secolo sono ancora oggi i simboli monumentali più rappresentativi della città.
Ci possono essere mille ragioni per raggiungere, visitare, apprezzare la capitale della Catalogna. In definitiva Barcellona è il porto più attivo e consolidato del Mediterraneo. È un grande centro finanziario ed economico. È ricchissima di opere d’arte, la sua parte storica presenta una architettura tutto sommato ben conservata che sembra non risentire dell’invadente presenza della Barcellona contemporanea, i cui grandi edifici emulano il design post moderno tipico delle altri capitali della cultura europea.
Ma se l’economia, gli affari, il turismo e la cultura fanno di questa città, un punto di riferimento per tutte le altre metropoli che si affacciano sul Mediterraneo, la sua specificità a mio avviso è da ricercare altrove. Per esempio, Barcellona è certamente una città solare, gioiosa, mediterranea; al tempo stesso è attiva come può esserlo una città del nord Europa. Ma è anche una città in cui si fanno incontri intrisi di mistero; è una città nella quale si respira una forma di sacralità difficile da trovare altrove.
Io ho sempre pensato che in buona parte questa magia, che vale un viaggio ad hoc, fosse il risultato delle opere di uno degli architetti più inclassificabili che io conosca, sia per la perturbante bellezza degli edifici che progettò e sia per l’originalità della loro concezione. Antoni Gaudí, infatti, trascorse buona parte della sua vita immerso nella costruzione di strutture che oggi danno Barcellona un’originalità al di fuori delle mode architettoniche. Difficile infatti stabilire con certezza se Gaudí sia stato un anticipatore del modernismo o uno strenuo ammiratore del senso di grandezza mistica delle grandi opere architettoniche medioevali. E come classificare il debordante effetto barocco (nel senso che diede Wofflin a questa controversa categoria estetica) delle superfici decorative nei suoi edifici? Mostruosità ornamentali che individualizzano le strutture magnificando la maestria compositiva dell’architetto o tentativo di strappare una volte per tutte l’edificio alla banale funzionalità, immaginandolo come “luogo” in cui la vita ritrova l’elemento mistico narcotizzato dai rumori della città commerciale? C’è dunque chi lo avvicina al revival mistico goticheggiante promosso da J.Ruskin. Altri preferiscono relazionarlo al movimento Art & Craft. Molti critici si trovano d’accordo nell’ancorarlo al simbolismo. Tutte connessioni plausibili ma che urtano con la sua sconvolgente originalità.
La risposta a queste domande dal sapore storicista è resa intrigante da un’altra forma di mistero, questa volta legata allo stile di vita del grande architetto catalano. Gaudì era una persona riservatissima che amava circondarsi di silenzio. Sappiamo pochissimo sulla sua persona e sui suoi pensieri. Indubbiamente era un uomo che riteneva essenziale per la propria visione dell’architettura il fatto che le sue opere non venissero contaminate dalle schegge esistenziali che dal romanticismo in poi accompagnano come una invadente ombra le creazioni degli artisti. Io credo che la sua riservatezza nei confronti della curiosità della gente gli fosse necessaria per proiettare se stesso, le sue passioni, direttamente nelle morfogenesi che caratterizzavano il suo lavoro. L’unico “Gaudí” che lo interessava era quello che si stabilizzava o prendeva forma negli edifici che generava. Forse è proprio in questa volontà di iscrivere la propria visione della vita nel suo lavoro a darci la sensazione della profonda e originale religiosità che promana dalle sue opere. Infatti, e questo è un tratto biografico che ben conosciamo, Gaudí aveva una inclinazione mistica che via via, nel corso della sua vita, divenne sempre più imperiosa. Gli organismi architettonici che la sua esuberante immaginazione configurava, non erano semplici edifici o decorazioni, bensì personalissime visioni sul rapporto gravido di mistero che l’abitare dovrebbe intrattenere con il sacro. Il suo punto di vista sulla natura (imbricata negli edifici che progettava) non era guidata da intenzioni “rappresentative”, bensì doveva animare la pietra come se fosse attraversata da uno spirito “generativo”. Per esempio, la sua predilezione per l’arco parabolico e l’esclusione dell’arco a tutto sesto derivava dalla sua volontà di configurare la forma attraverso una correlazione con le criticità meccaniche della costruzione dell’edificio. Ispirandosi alla natura cercava prima di tutto di intuirne le laggi attraverso le quali gli organismi sostenevano gli elementi che davano ad essi una divina, elegante solidità.In altre parole, la solida metafora apparentemente ispirata da forme organiche dell’architetto catalano, io penso volesse alludere alla necessità di riconsegnare l’edificio al patto con la natura che la civilizzazione (la città) aveva smarrito. Il sentimento del sacro doveva rappresentare il momento proprioaccettivo nel quale il soggetto dell’abitare ricongiungeva le forze primarie della natura (espressione della divina volontà generativa) con le forme della cultura.
Sagrada Familia
L’espressione monumentale della complessità di pensiero che faceva da sfondo alla particolare concezione architettonica di Gaudí è senza dubbio la Sagrada Familia. La basilica venne messa in opera nel 1882. Il primo architetto fu Francisco de Paula del Villar al quale Gaudí subentrò nell’83, dando inizio ad una delle più incredibili avventure architettoniche di tutti i tempi.
Le regole costruttive imposte dall’architetto catalano e l’obbligatorietà del finanziamento solo per donazioni, hanno fatto scivolare i lavori fino ai giorni nostri. Ma il carattere non finito della imponente costruzione per oltre un secolo ha rappresentato uno struggente motivo estetico che solo gli stolti possono sottovalutare. Si può dire che il rispetto per le procedure artigianali di origine medioevale e la sofisticata progettualità di Gaudí, abbiano trasformato la cattedrale in un work in progress che per decenni e per generazioni è servito a mantenere un solido rapporto passionale tra la città e questo potente simbolo della religiosità. L’edificio, concepito in uno stile gotico estremo con punte di delirante follia decorativa, ha dimensioni imponenti. La struttura esterna sarà caratterizzata da suggestive verticalità, Il campanile più alto, dedicato a Gesù, raggiungerà i 170 m., quasi un record se pensiamo ai giorni in cui fu concepito. Attorno ad esso si profileranno altri 4 campanili che avranno il compito di raffigurare i 4 Evangelisti. Un’altro verrà innalzato sull’abside e raffigurerà la Vergine Maria. Intorno a queste enormi strutture Gaudí immaginò altri 12 campanili, di proporzioni più modeste, per far sì che anche gli Apostoli potessero presentarsi come i primi vettori di una alleanza tra cielo e terra. Nella stessa area della basilica Gaudí volle un laboratorio artigianale, come nel Medioevo, nel quale, decoratori, scultori, artigiani avrebbero lavorato insieme per allestire la sterminata narrazione decorativa sia degli interni che degli esterni.
Ho rivisto recentemente la Sagrada Familia e mi sono convinto ancor di più che l’origine della prodigiosa immaginazione dell’architetto catalano fosse la Natura: la basilica con tutte le sue torri sembra alludere a un bosco sacro. E la luce all’interno della chiesa dovrebbe evocare l’illuminazione che filtra tra i rami e le foglie di possenti alberi.
Si può dire che Gaudí lavorò alla basilica per tutta la fase matura della sua vita creativa. Come ho già scritto cominciò nel 1883 e in un modo o nell’altro, attraverso vicissitudini dalle quali scaturirono leggende sul suo modo di concepire il lavoro generativo delle strutture, vi rimase legato fino alla sua morte. Nel 1926 il geniale architetto venne travolto da un tram e per un banale incidente la città perse il personaggio che più di ogni altro aveva lavorato per dare ad essa una profondità che, a distanza di quasi un secolo, ancora oggi apprezziamo.
Park Guell
Se di fronte alla Sagrada Familia si prova un sentimento di stupefacente reverenza, a Park Guell, l’impronta emotiva sostanzialmente cambia. Gaudí voleva creare una sorta di sequenza di giardini per un centro residenziale che non fu mai costruito. Quindi realizzò un sistema di servizi fatti di piazze, viadotti, muri di cinta, padiglioni adibiti a portineria e una grande scalinata, progettati secondo una visione di perfetta armonia tra natura e architettura. Sembra che Gaudí, nel suo tentativo di integrare forme apparentemente contrapposte, sia intervenuto anche a livello di sostanza vegetale del progetto, integrando la flora locale con altre specie come i carrubi, palme, glicini e rosmarini. In questo modo la gioia della eterogeneità decorativa delle forme architettoniche avrebbe avuto nella studiata variazione dei paesaggi vegetali una corrispondenza quasi musicale, generando lo spettacolo percettivo ammirato oggi da milioni di turisti. La scala principale, i padiglioni e i comignoli a forma di fungo sono indimenticabili, e contribuiscono a farci percepire un mondo nel quale magia e favole resistono all’incalzare pseudo razionalistico della rumorosa Barcellona contemporanea.
Casa Batllo e Casa Milá
Passeggiando per Barcellona sulle trecce di Gaudì mi sono reso conto che una parte dei meriti per la bellezza della città, dobbiamo attribuirla alla lungimiranza della committenza. Uno dei generi nei quali l’architetto eccelleva era la progettazione integrale di residenze private: non un singolo oggetto rimaneva immune dalla trasfigurazione imposta dalla sua fantasia creatrice, dalle facciate, alle finestre; dai lampadari alle sedie… Tutto doveva essere plasmato secondo i misteriosi simbolismi creativi ai quali Gaudí attribuiva una valenza quasi mistica.
Delle numerose residenze create dall’architetto che punteggiano il paesaggio urbano di Barcellona, mi hanno fortemente impressionato Casa Batllo e Casa Milá.
La prima fu realizzata tra il 1904 e il 1907. Si trattava di un restauro commissionato dall’industriale Josè Batllo Casanovas. Gaudí per l’occasione sfoderò tutta la sua sapienza tecnica e la follia fantasiosa di cui era capace. Le forme della facciata sono fluide anche se l’impressione visiva avvicinava l’edifico ad un enorme scheletro. Posso facilmente immaginare lo stupore dei barcellonesi quando i lavori furono terminati. E anche la soddisfazione del committente, il quale doveva senz’altro sentirsi ripagato per gli enormi costi sostenuti, dal privilegio di aver contribuito alla realizzazione di un vero e proprio monumento al modernismo, con le inflessioni art nouveau esasperate all’inverosimile, ma sempre coerenti e armoniose. In questa mirabile costruzione spiccano gli interni dell’abitazione della famiglia Batllo, alla quale si accede da una sontuosa scala indipendente. Stupiscono le decorazioni che conferiscono una identità unitaria ad ogni dettaglio, dalla cappella privata al mobilio; e assolutamente geniali sono le soluzioni di illuminazione che Gaudí riuscì a configurare per uno degli edifici più complessi affrontati nella sua lunga carriera.
Probabilmente solo la monumentale Casa Milá regge il confronto progettuale con Casa Batllo. La commissione per progettare un nuovo edificio arrivò a Gaudí dalla ricchissima vedova Rogier Segimon, in occasione del suo secondo matrimonio con il sig. Milá. I lavori cominciarono nel 1906 e terminarono nel 1912. Il protrarsi del progetto suggerisce che tra i committenti e l’architetto sorsero parecchie controversie. Per esempio, è noto che Gaudì, religiosissimo, voleva assolutamente collocare nella parte alta della facciata principale una scultura di 4,5 m. della Madonna.
Il sig. Milà non si fece commuovere dal misticismo debordante dell’architetto e non accettò di trasformare la propria residenza privata in un simbolo religioso. La soluzione di compromesso fu una rosa con una m riportata sopra, assai meno connotativa.
Comunque, pur con attriti e ritardi, il progetto fu completato e ancora una volta i barcellonesi non poterono che stupirsi. Con Casa Milá l’architetto aveva scelto una impressione più severa e rigorosa rispetto ai concetti culminati nella edificazione di casa Batllo. Ma la presenza di inflessioni che rimandavano all’idea del “sacro”, non limitavano la percezione olistica dell’edificio, orientata a sorprendere il pubblico, a generare stupore tra i barcellonesi, e a “elevare” la funzione dell’abitare, trascendendola in un gioco di forme di grande impatto visivo e morale. Non è certo un caso se Casa Milá è divenuto oggi uno dei monumenti architettonici simbolo di Barcellona. Fu l’ultima abitazione privata progettata da Gaudí e si può dire che in essa avesse cercato di elaborare una grande sintesi della sua lunga ricerca, orientata ad armonizzare natura e architettura, tenute insieme da un tratto misticheggiante divenuto nella fase tarda della sua carriera un’atto di fede. Da quei giorni, fino alla fine, Gaudí non avrà altro tempo e interesse che per la Sagrada Familia.
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Gaudi merita un viaggio. Io nell’articolo avrei ragionato anche sulla sua mediterraneità, rivelata dai colori accesi delle decorazioni e dalla sua religiosità.
Le case di Gaudí meritavano una lettura più approfondita.