CambiaMenti in Cucina: il Master di Chef Campoli ci guida in un viaggio tra le Arti Culinarie

CambiaMenti in Cucina: il Master di Chef Campoli ci guida in un viaggio tra le Arti Culinarie

ROMA – Mercoledì 14 luglio alle 16:30 presso l’Auditorium del CAR – Chef Campoli presenta il nuovo rivoluzionario progetto formativo CambiaMenti in Cucina, l’esclusivo Master di Alta Formazione sulle Tecniche e Arti Culinarie. Scopriamo di cosa si tratta.

Un Master esclusivo e innovativo a cura di Chef Fabio Campoli che indaga sulla relazione tra il gesto del cucinare e il prodotto alimentare. Il risultato? Una vera e propria rivoluzione culinaria.

CambiaMenti in Cucina si svolgerà il 14 luglio all’Auditorium del CAR – Centro Agroalimentare Roma (Via Tenuta del Cavaliere 1 – Guidonia Montecelio, Roma) e vede la collaborazione dell’ANPA – Accademia Nazionale Professioni Alberghiere, dal 1993 prima Scuola-Albergo d’Italia.

Chef Campoli – che qui ci spiega come cucinare la zucca – ci guiderà in n progetto didattico innovativo perché volto alle sperimentazioni culinarie, che vuole porsi come nuovo punto di riferimento formativo per il mondo del food nazionale ed internazionale, a dimostrazione che l’Arte della Cucina e le sue Tecniche di lavorazione, possono e devono essere insegnate attraverso una nuova polifunzionale e tridimensionale ottica.

Il Master ha già ottenuto la concessione di importanti patrocini. Alla conferenza stampa di presentazione del Master prenderanno parte i rappresentanti degli organismi patrocinatori del progetto formativo, con i quali Cristina Ciferri Presidente dell’ANPA e Fabio Campoli animeranno uno stimolante dibattito e confronto sull’importanza della cultura, della ricerca e dell’esperienza in cucina, quali strumenti imprescindibili per accrescere la conoscenza e riappropriarsi della forza del “ragionamento”, indispensabile per riuscire a trattare e cuocere il cibo all’insegna di una “libertà di azione” che partendo dal sapere e dal saper fare, possa condurre, oltre ogni convenzione, ad una “libertà creativa e di pensiero”.

OLTRE LA CUCINA: LE STRADE PARALLELE DI FABIO CAMPOLI

Con oltre trent’anni di esperienza attraverso poliedriche attività incentrate sulla cultura, ricerca e progettazione gastronomica, e ben venti anni ininterrotti in tv sulle più note reti televisive, ha coniato un modo di fare cucina “semplicemente differente”, sospinto sempre da inesauribile curiosità e sete di conoscenza. In questo articolo vi riproponiamo una nostra vecchia intervista allo Chef Fabio Campoli che racconta la sua carriera e il suo amore per i fornelli.

Come ha capito che la cucina avrebbe rappresentato la sua vita?

Ho vissuto un’infanzia indimenticabile nell’entroterra laziale, crescendo in campagna, tra ogni sorta di profumi e sapori, che, dall’orto alla cucina, sono alla base della mia “biblioteca dei sapori”, cresciuta giorno dopo giorno, esperienza dopo esperienza. Credo che la vocazione culinaria sia stata per me un connubio tra l’ambiente in cui sono cresciuto e un’innata sensibilità al gusto, che è parte di tutti coloro che vivono di autentica passione verso di essa. E’ anche vero, però, che al mestiere dello chef ho presto affiancato nuove attività, già dal 1998, credendo in altre strade parallele attraverso le quali uno chef potesse esprimere sia la propria professionalità che la propria creatività.

Libri best seller, convegni, show televisivi. La sua carriera da chef è sempre stata volta verso l’innovazione e in questo senso rientrano perfettamente due suoi grandi progetti, la testata Prodigus e il canale YouTube Fabio Campoli. Ci racconta queste due realtà?

La comunicazione in ambito food sul web riceve sempre una maggiore attenzione, e conquista ogni giorno nuovi utenti, grazie alla possibilità di fruire dei contenuti dovunque ci si trovi, in qualsiasi momento lo si desideri e utilizzando svariate tipologie di dispositivi. Un’occasione tutta da cogliere, anche per me ed il mio gruppo di lavoro: ogni giorno lavoriamo sul supporto al marketing e alla comunicazione delle aziende agroalimentari, sulla loro promozione, ma soprattutto sulla trasmissione di “messaggi giusti”, che spesso vanno contro tendenza per portare alla luce la cultura del cibo e della cucina autentica, oggi annebbiata dal dilagare di “like” per gli accattivanti ma deleteri junk food, dagli scatti foodporn di preparazioni ricche di coloranti e additivi (oramai utilizzati non solo dalle industrie, ma anche da tanti chef e pasticceri), ideali per ottenere un ”effetto wow” visivo online, ma non altrettanto per preservare sia la salute che il nostro senso del gusto, che diventa sempre più omologato a livello globale. I nostri obiettivi per una “buona” comunicazione sul web si concretizzano non solo attraverso i progetti portati avanti con gli enti e le aziende che sposano la nostra filosofia (per le quali ci occupiamo di video making, photo shooting e cura di contenuti redazionali e prodotti editoriali), ma anche mediante il mio canale Youtube e la testata giornalistica online Promotori Di Gusto (www.prodigus.it) di cui sono fiero di essere direttore editoriale (Fabio Campoli è giornalista iscritto all’Albo Speciale della regione Lazio, ndr). Attraverso queste due realtà virtuali, la nostra mission è quella di coinvolgere gli utenti in modo “semplicemente differente”, sfatando le fake news, regalando sempre nuove pillole di cultura enogastronomica, e divulgando non solo ricette ma anche le migliori tecniche di cucina alla portata di tutti, che hanno contraddistinto anche la mia presenza ventennale in tv e sono oggi un grande punto di forza che porta alla graduale conquista di sempre un maggior numero di followers.

NON CONVENZIONALE

Fabio Campoli

Qual è stata la più grande soddisfazione nel corso della sua prestigiosa carriera?

La mia più grande conquista e soddisfazione personale ad oggi è quella di essere una figura sì legata al mondo gastronomico, ma in modo non convenzionale: la mia vita professionale quotidiana porta il nome di Campoli Azioni Gastronomiche (www.azionigastronomiche.it), non un ristorante, bensì un’azienda di servizi “oltre la cucina” che conta su più di vent’anni d’esperienza ed è fiera di poter dimostrare che attraverso la cultura, la ricerca, il costante aggiornamento e le giuste sinergie con tanti altri professionisti, un cuoco può esprimersi anche in modo differente e al di fuori del suo “ambiente classico”. La differenza è fatta da un mix di costanza, caparbietà, studio, passione, curiosità e sete di novità giornaliere, il tutto concentrato in una professionalità differente, costruita attraverso le più svariate esperienze di lavoro, dalla consulenza alla formazione, dalla cura di grandi eventi all’intrattenimento e al food design (Fabio Campoli collabora anche con grandi case cinematografiche, per le quali cura personalmente la realizzazione dei piatti di scena, da Mission Impossible III a Mangia, prega e ama, il remake del colossal Ben Hur e l’ultimo film con Checco Zalone Tolo Tolo, ndr).

C’è una cucina internazionale che più di altre in questo momento è in grande fermento? Insomma, l’Italia è ancora il luogo dove si mangia meglio al mondo?

L’Italia non è il solo paese al mondo dove è ancora possibile mangiar bene: di certo è tra i migliori candidati, grazie ad una cultura del buon gusto che persiste nell’essere ben radicata, dall’ambito ristorativo fino a quello domestico, a differenza di tanti altri paesi che oggi basano sia la loro offerta turistica che il proprio stile di vita alimentare su prodotti pronti, rapidi, precotti. Basta fare un giro all’interno di un supermercato del centro-nord europeo (senza riferirci sempre e solo all’esempio americano) per rendersi conto di quanto la scusa della “mancanza di tempo” stia rapidamente uccidendo il mercato dei prodotti freschi. Cucinare è una buona abitudine che fa parte degli esseri umani sin dalla loro origine (anche se inizialmente si trattava di un semplice “cuocere”): fa bene all’umore oltre che al benessere, e penso sia proprio questo il messaggio che l’Italia può lanciare con forza nel mondo intero. Il concetto del “dove si mangia meglio” è stato superato anche grazie ai tanti cuochi italiani che oggi lavorano all’estero e riescono a garantire qualità, avendo esportato non solo ricette, ma soprattutto il modo di prepararle, attraverso il prediligere ingredienti più genuini e il perseguire nel volerli trattare personalmente con le proprie tecniche, più tradizionali o più innovative, ma che consentono comunque di offrire ai clienti un pasto sempre “unico” perché contraddistinto dalla persona che lo ha preparato (senza aprire barattoli pronti di ragù e di salsa béchamel per preparare una teglia di “lasagne alla bolognese” e avere l’ardire di chiamarla con questo nome sul menù!).

I TALENT E GLI CHEF DEL FUTURO

In un’intervista di gennaio lo chef Massimo Bottura ha criticato aspramente gli show di cucina in tv definendoli lontani dal vero mondo della cucina. Lei, che alla tv “culinaria” prende parte con successo da più di 20 anni con programmi tv e radiofonici, cosa si sente di dire in questo senso?

Se fino alla fine del XX secolo era esclusivamente all’interno delle cucine che si potevano scorgere alti cappelli bianchi, è dai primi anni 2000 che la figura del cuoco è andata incontro ad una diversificazione, aprendo nuovi orizzonti alla professione anche fuori dai suoi più classici ambienti. Accanto a Bottura, sono diversi i cuochi, i giornalisti e gli opinion leader che si sono “schierati contro” la spettacolarizzazione del food in tv e la possibilità di un ruolo differente per chi fa della cucina il proprio mestiere. Dopo avervi raccontato la mia esperienza di vita, partita dalle cucine italiane e internazionali e poi andata modificandosi grazie ad altre attitudini personali, dal mio punto di vista i “tv chef “ sono diventati vittime di uno stereotipo perché si è data voce mediatica a troppi, che spesso hanno trasformato le partecipazioni televisive in occasione di compiacimento per se stessi, concentrandosi raramente sulla trasmissione al pubblico di contenuti realmente utili per la cucina della vita di tutti i giorni. Ma non si può far di tutta l’erba un fascio, perché esistono professionisti che, proprio come me, sono andati incontro al destino di diventare comunicatori della cucina. Un conto è essere ospiti occasionali in studio o di registrazioni esterne mandate in onda durante i più svariati programmi televisivi e persino al termine dei telegiornali; un altro conto è diventare parte realmente integrante del food show business, diventare produttori, autori e conduttori di format propri. Una strada che sembra solo apparentemente correre in parallelo alla vita da chef, ma che in realtà è molto diversa, perché consiste sia in differenti capacità personali che in studi e formazione specifici che vanno oltre i fornelli, che toccano anche gli ambiti del marketing, della comunicazione, della produzione di contenuti editoriali multimediali. Un lavoro dunque, quello dello chef mediatico, del quale andrebbe semplicemente riconosciuta l’esistenza, senza necessità di innescare diverbi, discussioni e “giochi di supremazia” con chi cucina e serve tutti i giorni la propria arte in tavola in ristoranti, hotel e bistrot.

Che consiglio darebbe ad un giovane cuoco?

Oltre all’imprescindibile invito ad un avvicinamento alla cultura che va oltre l’ingrediente o la tecnica dettata dalla moda del momento, il mio consiglio ai giovani cuochi prende il nome di “volontà di gavetta”. Forse sembrerà un discorso scontato, ma, oggi più di ieri, vi assicuro che non lo è. Anzi, è piuttosto un concetto dimenticato, e non solo nell’ambito della ristorazione, perché viviamo in un mondo dove tutto sembra “essere dovuto”, senza che i giovani sentano il bisogno di dimostrare prima di che pasta si è fatti. Non aiutano di certo i tanti genitori orgogliosi degli studi alberghieri dei propri figli, ma che dovrebbero comprendere quanto sia controproducente per l’inserimento lavorativo autodefinirsi chef nel curriculum all’età di 19 anni e pretendere il ruolo di capo partita senza alcuna esperienza effettiva sul campo. Chef si diventa dopo tanta esperienza sul campo, imparando a rispettare le regole dei “superiori” delle brigate di cucina di cui si entra a far parte, vivendo questo difficile mestiere con uno spirito che definirei quasi “da militare”. Bisogna conoscere e attenersi al massimo alle regole prima di padroneggiarle e potersi permettere il lusso di infrangerle.

L’ENOGASTRONOMIA AL TEMPO DEL COVID

Fabio Campoli

Concludiamo con l’attualità. In questi mesi di emergenza il settore enogastronomico risulta sicuramente tra i più colpiti. Ha un giudizio in merito? C’è un modo per risollevare uno dei motori del nostro paese?

Purtroppo, il concetto di ristorazione in pochi mesi è mutato rapidamente; chef e imprenditori si sono trovati improvvisamente a dover fronteggiare una nuova realtà, dove non ci sono “scappatoie” dalla necessità di un cambiamento epocale, per ora restrittivo e soffocante, che ha portato (e ancora porterà) inevitabilmente alla chiusura di tante aziende ed esercizi commerciali. Ma è proprio in momenti storici come quello attuale che l’importante è secondo me riuscire a fare rete tra operatori, e non mi riferisco alla “ricette”, che erano al fulcro delle attenzioni in un vicino passato, ma alla condivisione di idee, soluzioni e risorse economiche nell’ottica di incentivare un nuovo stile di lavoro, dalla cucina al servizio. La mia speranza, naturalmente, resta quella di poter tornare presto ciascuno alla sua normalità quotidiana. E chissà che non ci volteremo indietro verso il passato rendendoci conto di aver sviluppato nelle difficoltà anche nuove “tradizioni”, come fattore di sviluppo ed ammodernamento del settore. Nel frattempo, secondo il mio personale parere, l’asporto e il delivery rappresentano la strada giusta da percorrere, ma solo se si è davvero disposti a modificare la propria offerta in modo funzionale a questo tipo di servizio: con questo mi riferisco al fatto che molti piatti sono di loro natura appetibili solo se serviti al momento, ma esiste una fetta di mercato ancora inesplorata, che consta di pietanze più semplici ma non per questo di minor bontà e qualità per il cliente finale.

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Paolo Riggio

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