Anna Mancini e l’arte della chitarra

Anna Mancini e l’arte della chitarra

NAPOLI – Oggi conosciamo una giovane chitarrista dal talento unica. Si chiama Anna Mancini, è un astro nascente, una musicista completa dal cuore napoletano e dall’anima terribilmente e meravigliosamente dark. Ecco la nostra intervista con lei. 

Immaginate un bosco di notte e il silenzio rotto da note irriverenti.

Note ribelli.

Suoni che nascono dall’oscurità, suoni forti, suoni nuovi.

Corde di una chitarra.

6 corde accarezzate, 6 corde graffiate.

6 corde che sprigionano lunghi lamenti poetici e infinite e deliziose melodie visionarie.

Sei nel bosco ipnotizzato dalla melodia, sembra che essa nasca dalla viscere della terra,

ti guardi intorno.

Vedi lunghi capelli neri e mani veloci che sono un tutt’uno con una chitarra.

Un amplesso di note, una musica nuova.

Una musica del passato proiettata verso il futuro.

Le mani non si limitano a suonare, non si limitano al perimetro dello strumento musicale ma vanno oltre.

Oltre, sempre di più, fino in fondo.

Fino all’anima della chitarra.

Mani che indagano gli angoli più oscuri di un pentagramma per regalarci emozioni fino ad allora sconosciute.

Ecco la creatrice di queste emozioni, Anna Mancini. Sarebbe riduttivo chiamarla solamente chitarrista. Lei è una creatrice di suoni nuovi, vive di esplorazioni musicali che poi trasforma in meravigliose melodie con la sua chitarra.

L’INTERVISTA 

A che età ti sei avvicinata alla musica e perché? Autodidatta o un percorso di studi musicali?

 Non ho avuto una vera e propria formazione musicale, quand’ero piccola volevo suonare la batteria ma mi mandarono a lezioni di piano e mi annoiavo a morte quindi per un po’ di tempo accantonai l’idea di avvicinarmi realmente ad uno strumento finché un’estate, tra i 16 e 17 anni, non scoprii i Led Zeppelin e corsi subito a comprarmi la mia prima chitarra.

Il tuo stile è caratterizzato spesso dall’uso di percussioni sulla chitarra; suoni con le entrambe le mani da sopra il manico della chitarra e fai anche uso dell’archetto del violino. Ci spieghi esattamente il tuo stile e la tua tecnica?

La tecnica di cui parli è il tapping, reso celebre da Van Halen che ne è considerato il pioniere, e consiste nel suonare la tastiera con entrambe le mani; nel mio caso la utilizzo per creare talvolta delle polimetrie, alternando la linea melodica alla linea di basso. Faccio un uso percussivo dello strumento trasformando la cassa armonica in una sezione ritmica, e per avere più spinta utilizzo dei dischi da incastrare tra le corde che suono con delle bacchette. L’archetto mi serve per dare più colore alla chitarra che ritengo sia uno strumento dalle infinite risorse.

Chi sono i chitarristi a cui ti ispiri?

Mi sono avvicinata alla chitarra perché mi piacevano i Led Zeppelin quindi in primis Jimmy Page, ho ascoltato a lungo Ritchie Blackmore e in tutte le sue formazioni. Tecnicamente ho preso molto da Preston Reed che ritengo sia un pilastro della chitarra contemporanea soprattutto per quanto riguarda le sue composizioni che vanno oltre quei virtuosismi a mio avviso fin troppo abusati…

A ogni modo credo che ogni chitarrista sia stato, direttamente o indirettamente, influenzato da Jimi Hendrix.

Oltre a suonare, ovviamente ascolterai musica; che tipo di musica ascolti? I tuoi musicisti/cantanti preferiti?

Principalmente rock e derivati, punk, dark, new wave. I miei musicisti preferiti? Sarebbe difficile raggrupparli in un mucchietto… Su due piedi mi verrebbe da citare Nirvana, The Cure, Black Sabbath e Led Zeppelin.

Hai fatto parte del tour Storia di un impiegato di Cristiano De André, dove hai suonato le musiche delle canzoni di un mostro sacro della musica italiana, Fabrizio De André. Quali sono state le tue sensazioni?

Questa è stata un’esperienza molto bella sia per quanto riguarda lo spettacolo in sé che per le persone che ho conosciuto durante il tour e il pubblico al quale mi sono affacciata. Oltretutto sono da sempre un’estimatrice di Fabrizio De André.

So che adori le esibizioni live; perché?

La musica dal vivo può trasmettere quelle sensazioni che dall’ascolto di un disco spesso risultano meno percettibili; mi piace l’esperienza del live soprattutto perché è uno scambio di emozioni tra il pubblico e l’artista.

Nel 2014 il tuo primo disco “Anna Mancini”, come è nato?

Anna Mancini è una raccolta delle mie prime composizioni, una serie di brani suonati in acustico, sicuramente meno elaborati rispetto a quello che propongo adesso.

Phaenomena  invece è il tuo recente disco uscito a maggio di quest’anno e in esso hai inciso per la prima volta la tua voce leggendo una poesia di Baudelaire. Dicci di più.

Ho finito di registrare Phaenomena poco prima dell’emergenza e l’ho pubblicato a fine lockdown; contiene 4 brani strumentali e una ballata sulla quale ho letto una poesia tratta da I Fiori del Male di Baudelaire. E’ un disco di stampo minimalista con delle cadenze dark e new wave.

La musica italiana, soprattutto quella live, ha subito una profonda scossa con la pandemia da Covid-19; come vedi il suo futuro.

Sono convinta che una botta fosse giunta a prescindere dalla pandemia sebbene l’emergenza abbia indubbiamente contribuito ad accrescere ulteriormente un problema che però era già palese, quindi credo sia difficile fare delle ipotesi.

Ultimamente alcuni tuoi quadri sono esposti al Complesso Monumentale di Tor Tre Ponti, Latina, per la rassegna MAD Donna 2020; raccontaci della tua passione per il disegno.

Ho sempre disegnato a tempo perso, soprattutto mostri e ritratti. A scuola mi divertivo a fare le caricature dei miei insegnanti durante le lezioni. Quella di Latina è un’esposizione di una serie di fumetti inchiostro su carta che hanno per protagonista Disturbia, il mio personaggio autobiografico.

 Io ho paragonato Anna ad una novella Rimbaud; ma chi è Anna esattamente?

Ti ringrazio per la lusinga anche se per quanto maledetta mi ritengo più che altro imbranata. Fondamentalmente sono una musicista per caso, volevo fare il marinaio ma in Marina non mi hanno voluto quindi sono finita a suonare in giro, perché suonare è tra le poche cose che sapevo fare davvero.

Pasquale De Falco

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