BOLOGNA – “L’amore è un cane blu-la conquista dell’Est” è il titolo del nuovo spettacolo di Paolo Rossi che ha fatto tappa anche al Teatro Duse.
“L’amore è un cane blu-la conquista dell’Est” è il titolo del nuovo spettacolo di Paolo Rossi che ha fatto tappa anche al Teatro Duse di Bologna. Un ritorno alle origini con uno show che si muove tra narrazione teatrale e autobiografia,finzione e realtà, invenzione e cronaca, parole e musica. Questa volta il celebre comico ha scelto di farsi ispirare da una terra di confine, che è anche la terra dove è nato, per dar vita ad “una specie di western carsico-balcanico,un concerto visionario popolare lirico e umoristico”, come scritto nelle note di regia, insomma uno spettacolo difficile da definire. “Narra di un tragico smarrimento e di una comica rinascita” dice l’attore ma con Paolo Rossi nulla è statico, gli spettatori partiranno per un viaggio ma non è concesso sapere né la destinazione né quello che succederà durante il percorso. Sul palco con lui i Virtuosi del Carso, con quelle sonorità tipiche delle terre di confine.
Lo incontriamo a teatro in una breve pausa dalle prove poco prima dell’inizio dello spettacolo.
Questo amore è blu, come mai?
Lo spettacolo è nato da un sogno che ho fatto. Stavo tornando in Friuli e ho sognato questo cane blu. Mi hanno poi spiegato che è un mito locale. Io non ricordavo di averlo mai sentito ma essendo nato là può darsi che qualcuno me ne avesse già parlato e io poi l’avessi rimosso. Ma era nascosto lì in un angolo della mia memoria.
Per ora è uno spettacolo teatrale, ma potrebbe diventare un progetto più allargato.
A noi piace contaminare i generi, ci piace fare teatro in televisione e cinema a teatro. Il nuovo progetto riguarderà soprattutto la seconda parte dello spettacolo, l’uomo che vaga alla ricerca della donna perduta cioè il mito di Orfeo. Ci sarà sicuramente una declinazione televisiva.
È no spettacolo molto attuale. Con un occhio di riguardo nei confronti dei giovani che non hanno più punti di riferimento.
Sì. Questo è uno spettacolo trasversale, noi abbiamo un pubblico misto e cerchiamo sempre di dare ai giovani un minimo di speranza.
Come ha conosciuto i Virtuosi del Carso che saranno con lei in scena?
C’è uno zoccolo storico che è Emanuele dell’Aquila, il direttore d’orchestra, poi negli anni si sono aggiunti altri due che sono il contrabbassista e il fisarmonicista sloveno. Io poi sono fatto così, se lo spettacolo parla di una cosa, si va in quel luogo. Quando abbiamo fatto i giocatori di Dostoevskij, siamo stati un mese nei casinò, le devi vivere le cose nel nostro teatro. Nell’arte contemporanea devi essere presente, non puoi raccontare una cosa che non hai vissuto o che conosci poco o solo per sentito dire. Gli altri ho avuto modo di conoscerli andando sul posto,sia come virtuosi che umanamente. È importante quando stai in giro in tournée anche per due o tre anni, come capiterà con questo spettacolo, che ci sia un rapporto affettivo tra tutti noi.
Fa ancora sogni all’incontrario per riprendere il titolo del suo famosissimo monologo?
Quello di questo spettacolo è un sogno a scala a chiocciola quindi è abbastanza all’incontrario.
Com’è cambiata secondo lei la sua Milano nel corso degli anni, da quando lei è arrivato, a come è ora e a come sarà nel 2015 per l’Expo?
Quando io sono arrivato a Milano nel finire degli anni ’70 erano anni duri e bui, però era una città creativamente e artisticamente molto viva. Io credo che gli anni ’70 dal punto di vista teatrale culturale e musicale non siano ancora finiti perché son stati interrotti dalla droga, dal terrorismo e da quello che ne è conseguito. Ancora adesso sia ascoltano le musiche di quel periodo ma non è un revival, è che non c’è più stato nulla di veramente popolare come succedeva allora, purtroppo tutto si era fermato e Milano più di altre città ha risentito di questo blocco. Poi c’è stata “la Milano da bere”, poi tangentopoli e poi il nulla.
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