Essere Gianluca Grignani

Essere Gianluca Grignani

ITALIA – Gianluca Grignani ha fatto il suo ritorno sulle scene nell’ultimo Festival di Sanremo, seppur come ospite. Il cantautore milanese, invitato da Irama a cantare la famosissima La mia storia tra le dita nella serata delle cover, dopo un periodo di assenza dalle scene cantate si è ripalesato sul palco dell’Ariston per far ciò che gli riesce meglio: cantare. Ma cosa è successo dopo? 

Gianluca Grignani a Sanremo 2022 lo ha fatto al suo meglio, cantare. Spingendosi verso il pubblico, stracciando la ritualità rigida del galateo della kermesse sanremese provocando con ciò, inutile a dirsi, polemiche sterili e commenti beceri sul suo presunto alterato stato di coscienza dai fumi dell’alcool. Niente di più sciocco e insignificante, ma del tutto comprensibile per chi si sofferma solo sull’immagine degli eventi e non sulla loro materialità. Sul loro significato connotato.

GIANLUCA GRIGNANI, CANTAUTORE DI UNA GENERAZIONE

Cantare significa anche coprire uno spazio con il movimento, inciderlo, riempirlo di senso, accompagnare la parola cantata con la prossemica e la dinamica del corpo, studiare una distanza come fatto comunicativo. C’è una perfetta linea di congiunzione tra la voce di Gianluca Grignani e la sua andatura, un po’sbiascicata, ciondolante, sapientemente emessa ma virtuosamente incontrollata, disattenta, genuinamente sguaiata. Nella fisicità di Gianluca, così come sottolineava Edmondo Berselli parlando di Vasco Rossi, si può trovare il segno di chi si sa perdonare i propri eccessi e nonostante tutto è tollerante con se stesso.

Bisogna partire dal fatto che Gianluca Grignani è un grande cantautore. Non un passante, non una meteora, non un miracolato che ha imbroccato un solo pezzo fondandoci una carriera, ma un grande cantautore. Se prendiamo in esame la sua più famosa e conosciuta canzone, ovvero Destinazione paradiso, ci rendiamo conto di come quella canzone fosse perfetta per quella fase lì. Destinazione paradiso è una canzone adolescenziale, che racconta magistralmente le inquietudini e i tormenti senza voce di una generazione smarrita, perduta all’orizzonte, incapace di normarsi, darsi uno statuto proprio, che subisce lo tsunami del rigurgito degli anni ’80 e ’90.

LA PARADISE CITY ITALIANA

Già in questa ballata si poteva scorgere un significativo indizio riguardo alla sua intrinseca attitudine rock, che tra le movenze coinvolgenti cela una sorta lettera di commiato di due amanti prima del suicidio: la paradiso città citata più volte sul finale del testo non può far altro che richiamare Paradise City dei Guns N’ Roses, protagonisti sul finire degli anni ’80 di quel rock caotico e rumoreggiante, volutamente maledetto, che tanto ha fatto storcere il naso ai puristi del genere.

Destinazione paradiso, insieme a Vita spericolata e Certe Notti, è una canzone generazionale che ha quindi il merito di eternare in sé la sua contemporaneità, è un lascito testamentario per tutti quei giovani incapaci di dar struttura al loro senso di vuoto e solitudine, che alla rinascita della speranza possono solo la dissolvenza del dolore, la dimensione auto ed etero-distruttiva. Prendendo in prestito Foscolo, possiamo dire che Grignani ha rappresentato al meglio l’accettazione dell’infelicità come condizione per sentire più degli altri, più intensamente, più profondamente senza darsi tregua.

Gianluca ha compreso che il rock è prima una dimensione culturale ed esistenziale, elaborata e sostanziale, e solo successivamente musicale. Il rock è uno stato d’animo, una percezione del mondo, un modo di sentire, un’armonia distorta e straniante capace di stupefacere chi lo riceve ma di dannare chi lo fa. Gianluca Grignani, passando tra i carboni ardenti delle maldicenze e delle maledette malelingue, ha spiegato che il rock affinché sia tale non vada fatto. Prodotto. Perché non è una formula pentagrammata.

Claudio Troilo

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