Viviamo nell’epoca della specializzazione

Viviamo nell’epoca della specializzazione

MONDO – Viviamo nell’epoca della specializzazione, ma bisogna dare spazio anche a chi è ancora in cerca della propria direzione.

Specializzazione, sull’enciclopedia Treccani, viene definita come l’acquisizione di una particolare esperienza e capacità in un determinato settore di studio, di lavoro, di attività.

Nella storia della cultura, prende il significato di divisione del campo delle conoscenze, secondo oggetti e metodi diversi. Tale processo, già delineatosi nel mondo greco, si è fatto sempre più netto e articolato nella cultura moderna, in rapporto con il progressivo ampliarsi del sapere.

Ad oggi la specializzazione presta il nome al fenomeno ancora diverso, il quale insegue l’idea secondo cui bisogna dedicarsi ad un’unica disciplina per poter ottenere un riconoscimento in tale ambito.

Malcolm Gladwell, famoso giornalista del Washington Post, nel suo libro “Fuoriclasse”, si dimostra fautore di tale punto di vista. I fuoriclasse di cui si parla sono proprio quelle persone giunte all’apice del successo. Dai campioni dello sport ai geni della scienza, dai virtuosi della musica agli uomini d’affari multimilionari. Qui l’autore ne analizza le doti individuali ma anche e soprattutto i dettagli delle loro biografie.

Malcolm Gladwell

Il libro prende in esame anche numerosi esperimenti già precedentemente svolti su casi simili; particolarmente curioso è il caso della “regola delle diecimila ore”, il quale dimostra che se una persona riuscisse a dedicare diecimila ore ad un’unica disciplina, studiando ed esercitandosi senza distrazioni, diventerebbe imbattibile in quell’unico campo.

Secondo Malcolm Gladwell, quindi, il talento non esiste. L’unica certezza che abbiamo per riuscire in un determinato ambito è l’esperienza. Esperienza che deriva da studio, allenamento e pratica.

Questa teoria specialista esclude ogni possibilità di indecisione.

Il problema di una società fondata sulla specializzazione potrebbe nascere nel momento in cui, per portare avanti chi ha trovato il proprio terreno di gioco, viene lasciata ai margini quella categoria di persone che (ancora) non ha saputo darsi una direzione.

Lo schema sociale, dunque, si mostra ostile nei confronti di chi non ha avuto la capacità di comprendere in autonomia quale fosse la propria strada da percorrere. Non sembra voler dare un’opportunità anche a quella fetta della popolazione che non ci è ancora arrivata, o che non trova soddisfacente la propria scelta.

Chiunque cambi idea durante il processo, che sia universitario, accademico o pratico, viene definito “inconcludente”, che abbandona qualcosa solo perché troppo difficile.

Immagine da Pexels

Durante il periodo scolastico, lo studente avrebbe bisogno di essere guidato nel processo dello studio e della scoperta di sé stesso.

A diciannove anni si dovrebbe aver già capito quale direzione ci si addice, ma senza nessuno che spieghi come e dove trovarla. Bisogna buttarsi da soli, in totale autonomia, sperando di aver preso la decisione giusta.

Oltre alle discipline canoniche che l’istruzione italiana ha inserito nel programma scolastico, servirebbe, specialmente in vista degli ultimi anni, una guida che possa permettere al singolo studente di conoscere quello che potrà avere a sua disposizione in seguito.

Le conseguenze di un mancato riferimento  saranno, quindi, persone che prendono scelte sbagliate troppo presto, cosa di cui si renderanno conto troppo tardi.

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Iniziare ad approcciare a una determinata disciplina spaventa chiunque. Chi è più paziente e testardo, riesce anche in settori inizialmente ostici. Chi ha meno fiducia in sé stesso, si lascia abbattere dai primi fallimenti, che portano a mettere in discussione ogni minima decisione presa fino a quel momento.

Come cita Nietzsche ne La gaia scienza:

«Pochi uomini in generale hanno fede in sé stessi, e di quei pochi gli uni la ricevono in sorte come un’utile cecità o un parziale oscuramento del loro spirito (che cosa scorgerebbero se potessero vedere sé stessi fino in fondo!); gli altri se la devono prima di tutto guadagnare: tutto ciò che essi fanno di buono, di valente, di grande è in primo luogo un argomento contro lo scettico che alberga in essi: si tratta di convincere o di persuadere costui, e perciò occorre quasi del genio. Questi sono i grandi insoddisfatti di sé».

Impiegare più tempo nella scoperta di sé stessi e della propria strada non dovrebbe rappresentare un ostacolo tanto insormontabile per la società.

Tutti si specializzano in qualcosa prima o poi; ma, come dimostra David Epstein in Generalisti. Perché una conoscenza allargata, flessibile e trasversale è la chiave per il futuro, per conseguire qualunque risultato nessun metodo è più efficace che trasformare la propria vita in un continuo esperimento.

Epstein è un giornalista investigativo di ProPublica, prima testata online a vincere un premio Pulitzer. Generalisti si impegna ad avvalorare la tesi per cui una specializzazione non precoce, preceduta da una serie consistente di tentativi ed errori, è in genere alla base della realizzazione.

Anche questo volume presenta una serie di studi su esperimenti che analizzano la vita e la carriera di atleti, musicisti, imprenditori e scienziati affermati. Qui, però, si parla di quanto perfezionarsi in un solo campo possa a volte risultare un limite. Si parla di come i momenti di crisi e di improvvisazione possano essere i più utili e che, se dedicare parte del tempo ad attività e compiti non immediatamente monetizzabili è “inefficiente”, allora l’inefficienza è un obiettivo da perseguire con tenacia.

David Epstein

Esemplare è l’episodio che ha permesso la nascita del linguaggio binario. Claude Shannon, il padre della teoria dell’informazione, inizia la sua carriera da matematico e ingegnere elettronico e porta avanti diversi studi sulla realizzazione dell’analizzatore differenziale. Spinto dalla curiosità e dalla fame di conoscenza, l’ingegnere si iscrive ad un corso di Filosofia. È proprio durante questo corso che viene folgorato da un esperimento citato in un libro di George Boole, in cui venivano raggruppate le risposte dei pazienti in vere e false; alla risposta falsa corrispondeva uno zero, alla risposta vera corrispondeva un uno. Da qui, Claude Shannon comprende che attraverso l’alternarsi di zero e uno si sarebbe potuta immagazzinare qualsiasi tipo di informazione. Il resto è storia.

Dunque, a che conclusione giungeremo, una volta presa in esame ognuna delle due teorie?

Potremmo definire banalmente inefficace non concedere a chi ha avuto bisogno di più tempo per sperimentare, il giusto spazio nella società moderna. Bisogna avere fiducia nel processo di generalizzazione, che presto o tardi vedrà la foce in una più consapevole e precisa specializzazione di sé.

Da che mondo è mondo, noi uomini abbiamo una coscienza dualista, per cui non ci sarà mai una verità, una soluzione giusta tra le due teorie. La verità si trova sempre nel mezzo.

L’uomo è di per sé un animale imperfetto. Perenne sarà, quindi, la ricerca della completezza dell’essere. Se da un lato si tende a inseguire un unico obiettivo per tutta la vita, da contrappeso ci sarà l’insoddisfazione che regna sovrana nella mente umana.

“L’unica cosa certa è l’incertezza“, enuncia Zygmunt Bauman nel suo Modernità Liquida.

La metafora della liquidità, da quando Bauman l’ha coniata, ha marcato i nostri anni ed è entrata nel linguaggio comune per descrivere la modernità nella quale viviamo. Individualizzata, privatizzata, incerta, flessibile, vulnerabile, nella quale a una libertà senza precedenti fanno da contraltare una gioia ambigua e un desiderio impossibile da saziare.

Zygmunt Bauman

Non è possibile escludere dalla propria vita la possibilità di cambiare strada, di netto o in minima parte. Innumerevoli le cause che potrebbero portare a tale decisione, che sia una crisi esistenziale, un episodio traumatico o, più banalmente, una frase fuori programma letta o ascoltata che però ha smosso qualcosa in noi.

È già dai tempi della filosofia illuminista del settecento che l’Io non si pone come qualcosa di statico, ma come attivo. Un Io attivo, infatti, si rappresenta come uno spirito in perenne mutamento, al quale non sarà possibile affidare un’unica modalità d’azione.

Facendo affidamento su tale teoria, i cui suoi tre secoli non la rendono affatto obsoleta, concederei alla visione Generalista più spazio, in modo tale da non aggiungere, a chi non riesce a trovare la propria strada al primo tentativo, ulteriori angosce.

Testo di Roberta Canfora

Autore MyWhere

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