Ho incontrato Francesco Marchini a Roma durante un Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Giornalisti. Non sono rimasto sorpreso. Mi capita sempre di piùche si presentato con i loro lavori giovani fotografi molto preparati con storie che sorprendono perché costruite con molta riflessione, a cui hanno dedicato tempo, cercando di capire anche perché a volte il fotografo non è gradito. Marchini si è presentato con questo reportage sui graffitari. Li ha seguiti giorni e notti, poi quando i ragazzi si sono fidati ha iniziato a fotografarli. Insieme abbiamo selezionato solo 9 foto dal suo ampio servizio fotografico.
(Mario Rebeschini, giornalista e fotoreporter)
Testo e foto di Francesco Marchini
Ho conosciuto il mondo dei graffiti qualche anno dopo il crollo delle Torri Gemelle, mentre stavo per finire il liceo nella mia città, Roma. Come ebbi modo di capire solo poi, proprio in quel periodo si stava consumando il lento declino – oggi compiuto – della scena romana, gloriosamente sorta nei primissimi anni `90.
Dalle iniziali frequentazioni con i writers della mia generazione, molti dei quali erano amici di scuola, scoprii subito che la storia dei graffiti di Roma era particolare. La città eterna, nell’ultimo decennio del XX secolo, era stata infatti teatro di un movimento artistico-vandalico di significative proporzioni. In particolare, gran parte della fortuna di Roma era dovuta ai depositi delle sue due linee della metropolitana. All’inizio degli anni ‘90 essi erano lasciati tendenzialmente incustoditi, e divennero cosí ben presto il parco giochi di riferimento per una generazione – almeno – di writers. Alcuni, in quei depositi, ci sono tornati per vent’anni: la metro, per loro, è stata un’amore, una fede, una ragione di vita.
La parentesi d`oro dei graffiti romani, con tutte le sue avventure e i suoi personaggi, costituisce un pezzo di storia di cui oggi non rimane più traccia se non nelle poche pubblicazioni rimaste, la maggior parte delle quali è costitutita da fanzine autoprodotte all`epoca. Tutti i racconti che ho avuto modo di ascoltare sui graffiti di Roma negli anni novanta convergevano verso l`idea che quel particolare segmento di storia fosse prezioso, perchè custodiva l`originaria freschezza di un qualcosa che non avrebbe potuto ripetersi, una volta finito. E quando, più tardi nella mia vita, ho avuto modo di incontrare alcuni esponenti del periodo d`oro dei graffiti romani, la sensazione che tale parabola fosse popolata da leggende viventi fu ampiamente confermata.
Di tutto ciò io non avevo avuto modo di godere se non di riflesso, attraverso le vecchie foto, spesso private, e soprattutto grazie agli aneddoti, ai racconti. Cosí, ben presto ebbi la sensazione di aver perso qualcosa di grande e importante che non avevo avuto la fortuna di vivere, ma che avevo potuto solo toccare marginalmente. Vivevo il colpo di coda di una parabola grandiosa, iniziata tempo addietro e in altri Paesi, poi arrivata in Italia e consumatasi nel giro di un ventennio.
Così, quando ho iniziato a fotografare i graffiti, intorno al 2010, avevo alle mie spalle ormai quasi quarant`anni di scritte e un consistente numero di pubblicazioni nazionali ed internazionali. Tra questi, spiccava il monumentale Subway Art di Martha Cooper ed Harry Chalfant, due fotografi che furono tra i primi a documentare la scena newyorkese degli anni `70 e `80. Cosa rimaneva da far vedere?
Queste fotografie, scattate tra il 2012 e il 2014, non vogliono essere altro che il tentativo di ricercare quella freschezza, di mettersi sulle tracce di un fenomeno che ha irretito trasversalmente diverse generazioni di giovani e che nella mia città, Roma, ha avuto una fortuna lunga e particolare. Esse mostrano un mondo complesso, talvolta pericoloso, paradossale – eppure amato, spesso oltre i rischi che possono sorgere.
Graffiti e graffitari




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