L’atteso ritorno di Eleonora Abbagnato è accolto da un’affluenza più che prevedibile per l’originale messinscena di Carmen. Il Teatro EuropAuditorium di Bologna ha salutato così una dell’etoile più acclamate nella panoramica internazionale. In programma la straordinaria Carmen da lei interpretata su coreografia di Amedeo Amodìo a riproporre uno dei racconti più celebri, non solo della letteratura francese ma anche di quella operistica: Carmen resta l’indiscussa icona della passione e della libertà a qualunque costo, rappresenta forse un’anarchica vera, come solo una zingara può essere, dal momento che segue solo le sue regole in barba a ciò che la società o il sistema impone.
Un’interessante rilettura questa dell’opera, non di certo una rivisitazione, dove una struttura apparentemente scomposta porta il finale al principio per poi ricomporre a chiusura d’opera il tutto, rimettendo ogni tassello in ordine, conferendo quindi all’opera un tratto poetico e una sorta di riscatto come quasi mai l’indomita sigaraia riesce a ottenere, una maledizione che il soggetto reca con sé e che non risparmiò a suo tempo l’autore stesso, sin dalla sua apparizione.
La stretta collaborazione fra il coreografo e il compositore Giuseppe Calì ha visto intersecare dei commenti musicali dove, pur rispettando i temi bizetiani, vengono modulati alcuni arrangiamenti, affidati talvolta a un unico strumento, come a voler a implementare quanto stava accadendo sulla scena.
Teatro nel teatro, dove i rimandi alla finzione sono plurimi, si gioca con prismatica precisione sfaccettando i tempi e gli spazi, mescolando la storia con la finzione, la realtà con la fantasia, contrapponendo specularmente il pubblico in sala a quello fittizio che viene interpretato a momenti, da alcuni danzatori, come a sottolineare un ideale di femminilità che in Carmen trova una sua iconica rappresentazione, se cambia nei costumi il soggetto non lo fa nell’essenza, questa è la sua forza ed è in ragione di ciò che l’opera-soggetto sarà sempre attuale. Parti che si perdono, poi si ritrovano e si riuniscono restituiscono un prodotto sofisticato dalla grande forza estetica.
La scelta di dare un’impronta diversificata il M.°Amodio l’ha ben documentata durante l’intervista pubblicata a ridosso del debutto bolognese.
Un retropalco che riporta lo stato neutrale a com’era prima dello spettacolo, l’incontro scontro fra una violinista e due addetti del teatro con conseguente rovesciamento di tarocchi, porta i tre a divenire parte dello stesso dramma dove saranno gli attori principali. Non è casuale la scelta che la protagonista ricada su una violinista, come riconoscere proprio nel medesimo strumento, un afflato destinato al sublime e all’innalzamento spirituale, in concomitanza con l’uso delle punte.
L’omaggio della violinista stessa diretto a chissà quale artista – “all’epoca sempre c’erano delle violiniste che andavano a salutare la Callas” ricorda Amedeo Amodìo – forse è diretto verso l’arte in sé, dove le note acute del violino stesso con la loro ascesa commentano la prima idealizzata scena di seduzione, contrapponendosi a quelle più gravi del violoncello presente invece in quella del secondo atto. E’ nel secondo atto infatti che la seduzione si riaccende, ma contrariamente a quanto avvenuto nel primo, qui invece la materia esulta. Carmen si libera non solo delle punte e della loro inutilmente minima adesione al suolo, rimane scalza e sottolinea l’aderenza totale verso la materia. Ora infatti sono le note gravi di un violoncello che commentano quanto avviene. Una scena della seduzione più concreta contro la precedente più ideale. Da lì l’inizio verso la catastrofe.
Una narrazione coreutica raccontata con la classicità delle punte presenti per buona parte dello svolgimento ma tramite la fluida morbidezza delle movenze, dell’eleganza delle forme e delle figure ottenute, riesce a imprimere la solida cifra di uno stile più contemporaneo, pur restando sempre straordinario. Un balletto impreziosito da una grande abilità tecnica che contraddistingue gli artisti in maniera piuttosto decisa, dona allo spettatore un affresco tersicoreo vibrante di passione, in cui i danzatori partecipano con una pronunciata espressività restituendo pienamente il senso del dramma, con il pathos e la forza scenica richiesti dal plot.
La qualità altissima dei danzatori, enfatizza il valore dell’opera in un crescendo di tensione, il climax si raggiungerà con la cancellazione di Carmen, resa eterea anche dall’abito bianco, altri simboli a definire aspetti che in Carmen appaiono come nuovi: il bianco è sia il colore delle spose, essendo però al tempo stesso anche il colore del lutto, o il colore del silenzio, ed è qui che termina lo spettacolo.
Un ottimo lavoro eseguito in maniera magistrale, Eleonora Abbagnato è sicuramente a suo agio in questo personaggio, felina, agile, precisa, scioltissima col piglio energico e tutta la passione che un’artista come lei pone nel divenire Carmen. Ottimi Alexander Gasse (Don José) e l’agilissimo Giacomo Luci (Escamillo) un trio che si sa misurare molto bene, una coreografia intelligente e brillante che muove le corde giuste nell’anima di chi la esegue e di riflesso nello sguardo del pubblico estasiato.
- Mario Biondi il ritorno del mitico crooner – 15 Marzo 2017
- Due: Raul Bova e Chiara Francini al Celebrazioni – 5 Marzo 2017
- Intervista a Marco Vergini prima del concerto alla Rocca di Vignola – 4 Marzo 2017