Se c’è una cosa per cui vale la pena di lottare è la libertà
Footloose, portato in scena nel 1998, è il musical di successo che conosciamo dopo che il film omonimo, già campione di incassi nel 1984, aveva spianato la strada ad una produzione teatrale maggiormente incentrata sulla danza e sulla musica; al pari del film anche il musical (Tom Snow et al.- Dean Pitchford) ha avuto un riscontro di pubblico imponente indipendentemente dalle varie versioni che dello stesso esistono. Footloose è un soggetto particolarmente caro agli spettatori sempre pronti e numerosi ad accogliere le eventuali versioni che di esso vengono fatte.
L’edizione vista al Teatro Duse di Bologna è stata presentata dagli artisti-allievi della prestigiosa Bernstein School of Musical Theatre, diretta da Shawna Farrell e con le coreografie di Gillian Bruce, coreografa più che apprezzata di fama internazionale. La direzione musicale di Shawna Farrell si avvale del congruo contributo dei musicisti della BSMT sotto la conduzione di Maria Galantino.
I testi originali sono stati tradotti e adattati dall’inglese ad opera di Michael Anzalone.
Una storia con una trama lineare, quella di Footloose, basata per alcuni versi su di una storia realmente accaduta in Oklahoma. Protagonista della vicenda il giovane ed esuberante Ren (Andrea Di Bella) che lascia suo malgrado Chicago per stabilirsi a Bomont. Definire tranquilla la sua nuova destinazione è un eufemismo, a Bomont per di più vige un forte controllo sociale: “ci sono occhi ovunque, occhi che mai si chiudono” nonché un codice etico “moralista” posto al di sopra di tutto dove la musica rock, il ballo e tutto ciò che può corrompere la moralità della cittadina sono assolutamente proibiti, paladino di questa nuova crociata dei costumi il Reverendo Shaw (Andrea Giovanni Busato).
Una società che ancora si rivela essere retaggio di un ambiente puritano che bollava coloro che non avessero ottemperato ai diktat sociali. Seppure nello specifico alcune attenuanti non manchino, Ren subirà analogo trattamento essere quindi considerato ribelle e fuori gli schemi dai suoi nuovi concittadini. L’outsider per nulla intimorito farà tutt’altro che starsene con le mani in mano e lasciare che la vita gli passi davanti senza reagire: “se sei sulla bici pedala e vai” anzi, il ballo sarà solo il pretesto per portare alla ribalta diverse altre priorità, costringendo le persone a guardarsi dentro per poi cercare un cambiamento.
Si giunge così al riscatto ottenuto e sostenuto a passo di danza e al ritmo del “famigerato” rock per poi reintegrare entrambi nella vita cittadina poiché:
C’è un tempo per ogni cosa sotto il cielo… un tempo per ridere, un tempo per piangere, un tempo per soffrire e c’è un tempo per danzare. Questo è il nostro tempo per danzare, il nostro modo per festeggiare la vita, così com’era agli inizi, così com’è sempre stato ed è così che dovrebbe essere adesso.
Poche ore prima dello spettacolo ho modo di incontrare Mauro Simone il regista di questa versione di Footloose. Mauro Simone, che dopo il grande successo di Avenue Q aveva interpretato il ruolo di Igor in Frankestein Junior, è impegnato in Cabaret nel ruolo di Cliff presso la Compagnia della Rancia. La stessa Compagnia dove aveva debuttato diciottenne in Grease, sotto la regia di Saverio Marconi che l’aveva voluto accanto a Lorella Cuccarini e Giampiero Ingrassia.
Mauro Simone alterna l’attività di performer a quella di regista, di sé dice di non essere un “regista troppo imperativo” con i suoi artisti preferisce optare per un metodo diverso per “accompagnarli alla messa in scena” coinvolgendoli fino a “creare insieme (per ndr) arrivare insieme a una soluzione scenica” facendoli “sentire partecipi e attivi nel processo creativo”, un modo questo che dovrebbe assicurare qualche vantaggio, di sicuro dando un maggiore senso di responsabilità al singolo, si riesce a ottenere un risultato migliore nella prospettiva dell’insieme.
Di seguito quanto ci siamo detti durante la nostra conversazione, qui integralmente trascritta.
Footloose è un musical apparentemente semplice, la critica si è spesso divisa, perché il plot è considerato un po’ fragile senza grandi sviluppi, ma come per tutte le cose apparentemente semplici ci possono essere dei risvolti impervi. Qual è la tua opinione riguardo?
Guarda in realtà dipende da come viene affrontato il testo, in apparenza Footloose sembra fragile ma non lo è. Intanto perché è tratto da una storia vera, Footloose non è un musical che parla della danza, ma in realtà (è un musical che ndr) parla delle fragilità delle relazioni famigliari: questo è il vero nodo o il fulcro dello spettacolo. Perché tutto parte dalla perdita di questi ragazzi a Bomont, loro durante un incidente di cui si racconta sia avvenuto cinque anni prima della vicenda a Bomont, il Reverendo che è il fulcro del paese perde il figlio sedicenne, da quel momento avviene questa restrizione (proibire il ballo e la musica nel paese ndr) ma in realtà, per come ho affrontato lo spettacolo ho cercato il più possibile di entrare in questa dinamica famigliare, evidenziando come il reverendo non voglia vedere il suo dolore.
Ti schieri quindi apertamente dalla parte del Reverendo che solitamente non attira le simpatie, è visto più come figura negativa dato il ruolo, no?
Non è (la parte del Reverendo ndr) negativa, il problema del reverendo è che soffre talmente tanto che non riesce a guardare il suo dolore, cosa che invece riesce a fare sua moglie perché Vivian ha accolto il dolore della morte del figlio, quindi il reverendo perché ritorna a rivivere questo dolore? Perché c’è un ragazzo (Ren ndr) che in qualche modo gli ricorda suo figlio. Quindi Ren costringe il Reverendo a guardare la sua ferita e nel momento in cui il pastore guarda la sua ferita dice una battuta bellissima: “ho fatto qualcosa che non facevo da tanto tempo ho posato il mio carico.” Lì praticamente c’è la trasformazione, il Reverendo capisce che non stava guardando a questo dolore e che non era il solo a soffrire, perché dirà:“ognuno di questa comunità ha perso qualcuno quella notte” .
La regia l’ho improntata proprio in questo modo cioè su un percorso di trasformazione che tutto il paese fa. Perché Ren arriva che è solo perché ha perso suo padre e il reverendo ha perso suo figlio. Quindi c’è un’altra battuta bellissima fra Rem e il reverendo in cui Ren gli dice: “siamo tutti e due solo, abbiamo perso tutti e due qualcuno”. Quindi ho basato tutto su questo aspetto per far capire alla gente che il desiderio di ballare parte da un desiderio di trasformazione, non perché “devo ballare” poi rispetto alle solite versioni di Broadway e del West End ho inserito – grazie anche alla Direzione Musicale di Shawna Farrell – un brano che di solito viene tolto “I confess” in cui il reverendo dopo il dialogo con Ren, una volta che questo è andato via, lui (il reverendo ndr) ripensa a suo figlio Bobby e quel brano rappresenta il processo che lui fa verso sé stesso, lì lui dice “confesso che non so qual’è la strada giusta, ho sempre affidato tutto nelle mani di Dio”
Appunto e lì lui va in crisi.
Sì va in crisi. Dice infatti: “basta! Sono stanco.” Quello che facciamo noi uomini, quando non riusciamo a cambiare con intelligenza cambiamo perché siamo stanchi, perché abbiamo ricevuto troppe bastonate e quindi il Reverendo a quel punto dice: “Basta, sono stanco. Devo cambiare” e quando Shawna mi ha detto “bisogna inserire questo brano perché è troppo bello”, lo abbiamo ascoltato insieme e abbiamo deciso che essendo molto bello, non potevamo inserire la reprise di “Heaven help Me” che solitamente è il brano che inseriscono, in quanto non avrebbe risolto, perché non aiutava il pubblico ad arrivare al passaggio finale.
Com’è stato lavorare con questi ragazzi?
La preparazione della BSMT è talmente alta che Gillian Bruce, Shawna e io, in queste tre settimane, ci siamo comportati come ci si comporta in un allestimento normale, tenendo gli stessi tempi, non abbiamo cambiato assolutamente nulla. Questa è una scuola di formazione, gli allievi si ritrovano così a dover già vivere quello che faranno poi al di fuori. Semplicemente perfino partendo dall’ordine del giorno (…) Io e Gillian abbiamo fatto un lavoro di pre-produzione dove abbiamo stabilito in che modo coreografia e regia dovevano andare insieme, stessa cosa è stata fatta con la scenografa. Abbiamo sistemato tutto in modo tale che fosse il più professionale possibile perché noi facciamo questo di mestiere!
Due parole su Footloose presentato dalla BSMT
Un esordio più che positivo che con Footloose ha inaugurato presso il Teatro Duse di Bologna l’annuale rassegna sul musical unica nel suo genere e ormai giunta alla sua IV edizione.
La prima è stata infatti salutata da un pubblico numeroso, vivace e molto partecipe. Uno spettacolo ben diretto e altrettanto costruito, presentato con disinvolta schiettezza grazie al buon livello di preparazione dimostrato dagli artisti impegnati. Il profilo che caratterizza la BSMT si dimostra tradizionalmente alto, anno per anno, se poi consideriamo che la BSMT è una scuola i risultati sono molto più che apprezzabili.
Bravi gli interpreti nel portare avanti ruoli impegnativi che oltre alle richieste doti canore (vedi le “madri” Concetta Castagnozzi e Priscilla Bellino) devono anche dimostrare di recitare affrontando anche ruoli di “maturi” molto lontani anagraficamente da loro stessi, essendo tutti ancora piuttosto giovani.
Inoltre Footloose esige da certe figure di saper ballare con un’evidente dose di energia, come ad esempio per il ruolo di Ren ma non solo in quello.
Molto belle anche le scene di ballo collettivo dove la crew mostra una buona visione di insieme.
Ottimo l’accompagnamento musicale diretto da Maria Galantino.
Dinamica ma molto appropriata la scenografia di Giada Abiendi che accanto alle luci di Emanuele Agliati hanno saputo giocare alla pari con il testo.
La coreografia di Gillian Bruce sempre accattivante, quasi taylor made, riesce a mettere in luce le qualità degli artisti per uno spettacolo che avrebbe meritato di rimanere in cartellone più giorni.
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