BOLOGNA – Un uomo totalmente immerso nella sua passione per l’arte e per la salvaguardia della stessa. In questo incontro-intervista, Sandro Malossini racconta la sua storia e la sua battaglia per la valorizzazione del ricchissimo patrimonio artistico del capoluogo emiliano.
Un uomo raro nella Bologna di oggi, interamente appassionato all’arte e agli artisti della sua città: è Sandro Malossini dai modi gentili e dall’atteggiamento mite, ma nel fondo determinato e tenace. Da tempo si è votato alla riscoperta degli artisti bolognesi e più in esteso emiliano romagnoli che hanno operato, e molti ancora lavorano, in Regione.
Purtroppo Bologna attualmente ha la memoria corta e si comporta da matrigna nei confronti di tanti artisti, pittori, scultori, grafici, che hanno vissuto nel suo territorio durante gli ultimi decenni. Ovviamente ci si ricorda di Giorgio Morandi, anche se ancora non possiamo dire di aver visto davvero un bel Museo Morandi, magari alloggiato per conto suo con tutti gli optional di un museo moderno. Ma tutti gli altri, quelli che nel corso del Novecento hanno lavorato e sperimentato l’arte nelle diverse e urgenti istanze del loro contemporaneo? Giacciono isolati nei depositi del museo, nelle collezioni private, nei magazzini delle gallerie. Non così succede in altre città come Torino, Milano, Roma, Venezia che hanno sempre favorito, sostenuto e difeso anche sul mercato i propri artisti a livello nazionale e oltre.
“Si rischia di dimenticare tutto. Bologna dagli anni Cinquanta diventò una vetrina dell’arte contemporanea in Italia, e non solo per Morandi che fa caso a sé, ma soprattutto per la presenza vitale e impegnata di Francesco Arcangeli, straordinario studioso e critico che fu capace di vivificare il dibattito artistico e di approfondire gli orizzonti della ricerca estetica. E poi l’animata attività critica di Renato Barilli, Pier Giovanni Castagnoli, Claudio Spadoni, Flavio Caroli, Adriano Baccilieri, Giovanni Maria Accame, che hanno saputo portare l’arte bolognese nelle vetrine più importanti. Bologna era una meta per l’arte contemporanea in Italia.
Fino agli anni Novanta, prima delle pesanti crisi e della mutazione totale dei modi di comunicazione avvenuta con Internet, a Bologna c’era una vivace vita culturale fatta di frequentazione degli studi degli artisti e delle gallerie che spesso allestivano mostre importanti, oggi improponibili soprattutto per i costi, e di spazi pubblici che mostravano ciò che succedeva intorno.
Era un mondo fervido e aperto all’incontro, dove l’attività preferita era la calorosa discussione artistica, e così spesso gli artisti suggerivano le mostre ai galleristi. I collezionisti poi avevano un rapporto di fiducia e di amicizia con i galleristi che seguivano la crescita delle collezioni dei loro clienti e li consigliavano”.
IL MIO INCONTRO CON SANDRO MALOSSINI
Adesso il gallerista è una figura marginale, quasi scomparsa. Chi vuole comprare arte lo fa per solo investimento economico e preferisce frequentare le aste. Certo oggi ci sono le mega gallerie del villaggio globale, quelle poche e sempre quelle che si ritrovano alle grandi fiere dell’arte mondiali, delle macchine da guerra, e che in realtà sono società finanziarie che trattano le opere d’arte come un qualsiasi prodotto del mercato finanziario borsistico internazionale. Siamo molto lontani dal vecchio rapporto tra mercante e cliente, e anche tra cliente e opera d’arte, che quasi sempre viene vista solo in foto e conservata al buio in caveaux di qualche banca.
“Ho frequentato fin da ragazzino l’ambiente artistico di Bologna e mi sento di dover riproporre per vedere con gli occhi di oggi le opere di quei periodi, così da renderci conto di cosa accadeva. Spesso ho avuto sorprese insospettate”.
Nelle diverse mostre, collettive e personali, che hai curato in questi anni, emerge una tensione vibrante, che pervade e sottende il tutto. Come nella recente sorprendente mostra Un’idea di pittura a Bologna dal 1950 al 1970 tenutasi a Crespellano Valsamoggia.
“Ho voluto ripresentare i sedici artisti che nel 1957 esposero al Circolo di Cultura di Bologna: ho costruito un immaginario arcipelago andando a visitare anche le isole più piccole e lontane e così facendo ho scoperto gioielli di un’arte meno appariscente e pubblicizzata.
In quegli anni la presenza di artisti bolognesi nelle principali gallerie d’Italia come ad esempio il Milione e il Naviglio di Milano, l’Attico di Roma è stata costante, segno dell’interesse per quanto accadeva da noi.
Allo stesso tempo nascevano in città le prime gallerie private strutturate come luoghi di esposizione, di incontro, di proposta e di mercato: La Loggia, la Sanluca, Il Cancello, la Duemila, la De’ Foscherari. E’ allora che si formò un primo collezionismo, ma gli enti pubblici cittadini non sono riusciti a coglierne l’eredità”.
Sostenere e divulgare fuori dalle mura i nostri artisti “locali” è una strategia di politica culturale e anche di mercato che la nostra amministrazione non ha mai percorso, forse per eccesso di esterofilia, o per un assurdo complesso di inferiorità.
“In campo culturale artistico si preferisce importare che esportare, ci si esalta per quello che viene da fuori, tralasciando quello che si è prodotto all’interno. E’ ora che i bolognesi provino un po’ di orgoglio per i propri artisti”.
Con la tua attività decennale hai una conoscenza profonda dell’arte bolognese moderna e contemporanea. Da ormai tre anni nella sede della Regione Emilia Romagna sotto l’egida della presidente dell’Assemblea Legislativa Simonetta Saliera, allestisci nei moderni spazi delle Torri dell’architetto Tange mostre personali di artisti bolognesi ed emiliano romagnoli. E’ una considerazione dei pregi e un riconoscimento dovuto. Però manca un adeguata pubblicizzazione agli eventi.
“In quegli uffici che nascono come ambiente di lavoro ho allestito mostre per focalizzare l’attenzione su quanto successo negli anni da noi, per ricordare e valorizzare la vita artistica del nostro territorio. Purtroppo oggi da noi nessuno lavora più per supportare gli artisti del luogo. La politica culturale dell’amministrazione pubblica non fa nulla: il Mambo e la Villa delle Rose sono orientati verso altri progetti totalmente estranei alla recente storia artistica bolognese”.
I privati, le fondazioni bancarie, sono più attivi e presenti. Poi mi sembra che il territorio esterno alla città risponda con maggiore interesse.
“Infatti io trovo interlocutori fattivi a Bazzano, con la sua magnifica Rocca di Bentivoglio, che finito il restauro in corso diventerà un enorme spazio espositivo, a Crespellano, a Monzuno, a Castel Guelfo, a Marzabotto, a Longiano, a Marina di Ravenna, a Tolè”.
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Bella intervista ad un eroe culturale del nostro tempo. La sua difesa delgli artisti del territorio in un mondo fatto di mappature globali è da onorare. L’idea di valorizzare sedi decentrate come la Rocca di Bazzano nei tempo darà i suoi frutti.
Ho visto tempo fa la mostra di Di Caro orchestrata da Malossini. Tra le altre cose è un curator di grande sensibilità.