BOLOGNA – Dal 12 luglio al 20 agosto, nella sede dell’Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna una retrospettiva dell’inviato de L’Espresso racconta, attraverso incredibili scatti, le principali crisi internazionali. Sono stata all’inaugurazione della mostra fotografica dove Roberto Di Caro mi ha illustrato cosa rappresenta per lui ogni immagine.
I lavori sono stati aperti dalla “padrona di casa” Simonetta Saliera, Presidente dell’Assemblea Legislativa della Regione Emilia Romagna, e dal Vicesindaco di Bologna Marilena Pillati. Si è svolta come un’intervista la presentazione della mostra con le domande dell’amico giornalista, curatore della mostra, Sandro Malossini al reporter Roberto Di Caro. All’inaugurazione della Mostra sono intervenute tante personalità della stampa per omaggiare il progetto Taccuino per immagini. È dal nome dell’esposizione che Malossini parte a raccontare l’idea di organizzare questa mostra che raccogliesse immagini dei vari reportage in oltre due decenni di attività. Ma Roberto Di Caro ci tiene a precisare subito che lui non è un fotografo, ma un giornalista che ha avuto la fortuna di vivere la sua professione sul campo, nei vari paesi del mondo.
Il reporter infatti ritrae qui l’Iran degli Ayatollah, le barbarie della guerra in Iraq, il conflitto in Afganistan, il terremoto ad Haiti e la rivoluzione arancione ucraina. Storie tragiche che hanno cambiato per sempre il mondo e che Roberto Di Caro cerca di raccontare nella mostra fotografica Taccuino per immagini, (in esposizione a Bologna fino al 20 agosto). E ci riesce benissimo. Nonostante lui affermi che la strumentazione fosse inadeguata, che girasse con piccole macchinette fotografiche amatoriali e che scattasse solo per avere un “fermo immagine” della storia che stava vivendo, con la finalità di usarle come promemoria prima di trasferirle nella narrazione dei suoi articoli, il taglio di ogni immagine ci cattura e ci immerge nella cruda realtà.
Sandro Malossini racconta quanto sia stato difficile convincere l’amico a fare una selezione di migliaia di foto. “Ogni immagine scartata era un colpo al cuore”, afferma Di Caro. Ma Taccuino per immagini poteva documentare solo una piccola parte del lavoro svolto da Roberto Di Caro in circa vent’anni come inviato del settimanale L’Espresso. In mostra infatti ci sono (“solo”, sottolinea) 50 scatti, e 100 nel catalogo, in cui è sempre ritratta un’atmosfera cruda e toccante e, purtroppo, dannatamente reale. Nei vari e incredibili servizi svolti da Di Caro, il giornalista ha agito sul campo, ponendo domande, ascoltando, discutendo e percependo l’atmosfera che lo circondava.
E Sandro Malossini aggiunge “Di ogni foto Roberto mi raccontava la storia, mi descriveva tutto quello che non traspariva dall’immagine e tutto quello che rappresentava per lui. E’ stata una selezione accurata, lunga, che ci ha portato per serate intere a parlare e discutere sulla possibilità di organizzare questa mostra”.
C’è davvero di tutto, come mi racconta Di Caro durante l’inaugurazione, dai Mujaheddin al fronte ai Talebani di Kunduz, dalle immagini degli attentati di Baghdad al conflitto contro Al Quaeda in Kurdistan, storie terribili e crude molto lontane dalla nostra quotidianità.

Per sapere qualcosa di più sugli incredibili viaggi dell’inviato de L’Espresso, sono andata a fargli qualche domanda durante la bella inaugurazione della mostra.
“Mi sono trovato in situazioni uniche, dove rimanevo sorpreso della quotidianità. Immagini di guerra di cui solo un eco lontano ci è pervenuto negli anni. Molte immagini ce le ho ancora fisse nella mia memoria, e stampare queste immagini mi ha provocato grandi emozioni”. Poi Di Caro aggiunge – “C’erano stridenti contrasti, bambini che giocavano tra territori distrutti dalla guerra. Sorrisi di piccoli guerriglieri che vivono una realtà di guerra e di morte”.
Gli chiedo se le scritte posizionate sopra ogni foto sono semplici didascalie, ma lui mi corregge dicendo “Sono stralci dei miei articoli. Ogni foto appartiene ad un momento storico, ad un fatto che ho raccontato nei miei reportage all’Espresso. Qui ho voluto illustrare tutto proprio come un Taccuino. Il mio lavoro si basa sul raccontare ciò che ci circonda attraverso le parole, ma mi sono anche trovato a scattare fotografie perché il giornalismo è un settore in profonda mutazione da almeno 20 anni. La tecnologia ha cambiato profondamente il nostro mestiere e offre senza dubbio più opportunità. Non me ne vogliano i “veri” reporter, non sono né voglio diventare un grande fotografo, ma rimanere solo un giornalista”.

Un giornalista completo, aggiungeremo noi. Uno scrittore-artista per la capacità di cogliere quel cromatismo o quella luce che è pronta a scuoterci l’immaginario. Così come le sue parole, sempre precise e nitide come le sue fotografie.
ROBERTO DI CARO, QUANDO LE FOTOGRAFIE DIVENTANO UN TACCUINO NARRATIVO
Difficilmente un nome di una mostra è stato così calzante. Perché sì, la fotografia, per l’inviato de L’Espresso, è proprio come un taccuino per immagini, un diario di viaggio personale in cui fissare determinati momenti, quasi sempre scioccanti. E non importa cosa ritraggano quei momenti, non importa se siano volti spaventati, espressioni inequivocabili, azioni violente o situazioni impensabili. Ciò che di cui Di Caro parla è la crudezza, la crudezza della realtà.
Photo copyright MyWhere
In homepage Roberto Di Caro dinanzi ad uno scatto che lo ritrae in un suo reportage di vent’anni fa.

ROBERTO DI CARO Taccuino per immagini
mostra a cura di Sandro Malossini
Dal 12 luglio al 20 agosto 2019

Assemblea legislativa dell’Emilia-Romagna
via Aldo Moro, 50 BOLOGNA
ingresso libero
aperta dal lunedì al venerdì dalle 9,00 alle 18,00
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Bell’articolo per una mostra da non perdere. Di Caro oltre ad essere un bravissimo giornalista dimostra con questa rassegna di immagini una sensibilità notevole per la gente che subisce le conseguenze di guerre e conflitti. Il suo sguardo è lucido, preciso e freddo quanto basta per intuire quando fare clic. Però nello stesso tempo le sue foto scelte per la mostra di Bologna trasmettono partecipazione e un inspiegabile ottimismo. Voglio dire che non vi trovo orrore, trauma bensì una volontà di vita che vista con i nostri occhi lontani da guerre vere, appare sorprendente. In molte immagici scorgiamo certo i segni delle miserie della guerra, ma vederli in sequenza, alternati a bambini che giocano e alla resilienza delle donne, si attenua il loro senso di pura distruzione ed emerge una sorta di dialettica storica dominata dalla danza di vita e morte come destino di una umanità inquieta. Direi che Di Caro interpreta perfettamente il ruolo di testimone oculare, ma l’interesse per le sue foto, forse la loro bellezza, nasce da un emergente supplemento semantico che io immagino dipenda dalle interferenze che suoi valori esistenziali esercitano sul reale.
Grazie Lamberto. Anch’io l’ho vissuta con gli occhi di Di Caro che, come dici tu, interpreta il ruolo di testimone oculare, ma la vera capacità è nella narrazione, che è resa fluida. Non era affatto scontato, per un giornalista dalle indubbie capacità di scrittura, riuscire a emozionare anche con le immagini. Si conferma, come ho già detto, un reporter completo, ma non con la freddezza del documentarista ma con con l’anima del viaggiatore “umano” e sensibile.
Le immagini non si discutono. Però a me sono piaciute soprattutto le dida che hanno trasformato la mostra in una sequenza che mi ha ricordato il film-documentario. Questa alleanza tra parola e immagine l’ho trovata inattuale quanto rilevante.
Com’è vero quello che scrive Antonio! Le parole di Di Caro affiancate alle sue immagini danno tutto un altro valore!
La giornalista parla di un catalogo di 100 immagini. Dove si trova? In libreria? Immagino sia con gli articoli di riferimento. Com’è fatto?
Il giornalismo è un mestiere particolare e speciale, per cui si può perdere la vita. Questo la dice lunga su quanto sia grande la responsabilità di chi lo esercita. Di Caro è un grande professionista e una persona da cui si ha tutto da imparare. Me ne accorsi alcuni anni fa quando, poco dopo averlo conosciuto, dedicò un intero pomeriggio a un praticante giornalista come tantissimi altri. Quel novizio ero io e tanti furono i cobsigli preziosi che mi diede. Una cosa di certo non scontata, che credevo inverosimile.
Beh non per levare merito alle splendida mostra e alle foto di Roberto Di Caro ma credo che il merito vada riconosciuto a Sandro Malossini curatore della mostra, altro grande professionista che ho conosciuto nei miei trascorsi. Deve aver fatto un lavoro certosino! Comunque complimenti ad entrambi, davvero!
Vedo che ci sono anche tante foto di donne coperte dai burka ecc. Vorrei chiedere a Di Caro come ha visto il ruolo femminile in Afganistan e altri paesi. Contribuivano alla guerra o che ruolo svolgevano?
Si, donne e bambini in territori devastati. A volte mi chiedo se per loro vivere in un paese di guerra è vivere la normalità. Se immaginano che esista un mondo diverso dove la mattina, quando esci di casa, non sei certo di rientrare perché la morte è sempre lì dietro l’angolo…
Mi piacerebbe chiedere a Di Caro questo, e qual’e il paese dove ha avuto più paura.
Lo sguardo dell’altro è ciò che ti restituisce un senso aggiuntivo a ciò che fai, e riesce talora a decifrarlo meglio di quanto tu stesso non sia in grado di fare, preso come sei con l’urgenza di chiudere una pagina, rivedere un testo, sostituire una foto, correggere l’ultima bozza.
Ho dunque molto apprezzato innanzitutto l’articolo di Fabiola, assai ricco e preciso, ma poi i commenti cui ha dato luogo: a cominciare da quello di Lamberto, che a sua volta costituisce un magnifico “supplemento semantico” alla mostra.
Antonio e Cinzia rilevano la “inattuale alleanza tra parola e immagine”, per me altro motivo di soddisfazione: il rapporto tra parola e immagine (mi capitò qualche tempo fa di sostenere in un intervento pubblico) è infatti tensione radicale e conflitto tra due nemici giurati che si combattono da sempre con alterne vicende, dal “non ti farai idolo né immagine etc.” nell’Esodo fino alla “civiltà dell’immagine” in cui siamo immersi da cinquanta o forse cent’anni.
Bello leggere la nota di Stefano! E scoprire che piccoli atti, come dedicare tempo a un giovane che evidentemente lo meritava, ha lasciato qualche traccia e forse è stato di qualche utilità. Fatti vivo, Stefano, magari su Instagram, l’unico social su cui sono, da poco, proprio a cominciare dalla mostra, come robertodicaro53.
Bene ha fatto Steve Moss a rimarcare il ruolo di Sandro Malossini: sua è stata l’idea della mostra, la proposta, l’improbo lavoro di scelta delle immagini tra migliaia di foto, la cura e l’allestimento anche materiale, fino all’incollare i supporti per appendere le foto. Senza Sandro non ci sarebbe nessuna mostra.
Devo infine alcune risposte. A Claudio: il catalogo è in distribuzione alla mostra, Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna. Posso forse provvedere. Mi manda per favore (su roberto.dicaro@gmail.com) una mail con i suoi riferimenti?
A Flavio Redhair: in Afghanistan ho incontrato donne combattive in un contesto culturale terribile, ben più esteso della demenza criminale dei talebani; le ho viste mettere in piedi una radio per le donne, ma solo grazie al permesso dei mariti! Ho incontrato subito dopo la guerra le prime ragazze che si avventuravano per strada senza burqa, ma venivano insultate da passanti uomini perché giravano a viso scoperto e perché parlavano con un occidentale…
A Cinzia Fabiani: l’intreccio di guerra e quotidianità in Afghanistan e, per converso, in Iraq la pulsione per un ritorno alla normalità che s’è poi rivelata impossibile, è esattamente uno dei temi della mostra. Ne parlo nell’intervista a Sandro Malossini che apre il catalogo. Se mi manda un suo riferimento cercherò di farglielo avere. Quanto alla paura, che posso dire? In più di un paese mi sono trovato in situazioni critiche, è quasi inevitabile. La paura ti segnala un pericolo, ed è un bene. La mia fortuna (di questo si tratta, non vi è merito alcuno) è che, invece di bloccarmi, mi ha spinto a reazioni rapide. Che si sono rivelate efficaci.
Ringrazio tutti gli intervenuti a questo piccolo forum e, chi vuole, può contattarmi su Instagram.
Roberto Di Caro
Non ho avuto, purtroppo, modo di vedere la mostra ma ho sfogliato il catalogo. E’ molto più di un servizio fotografico: dentro quelle immagini c’è un condensato di esistenze, di spaccati di allucinante quotidianità, di mondi così contradditori e per noi così lontani (non solo geograficamente), che solo la passione e il coraggio, uniti alla grande competenza professionale dell’autore, poteva restituirci in modo così intenso ed immediato. Gli stralci degli articoli affiancati alle immagini fanno da prezioso e sincero corollario al tutto. Chiamare Roberto de Caro semplicemente un inviato di guerra è davvero riduttivo, e non riuscendo al momento a trovare un termine adeguato, vi invito caldamente a visitare questa bellissima mostra!
Ottima l’impostazione dell’articolo su Di Caro, ricco di informazioni e di stimoli per andare a vedere la mostra. Cosa che farò puntualmente.