Tristan und Isolde: al Teatro Comunale di Bologna è il tempo di Wagner

Tristan und Isolde: al Teatro Comunale di Bologna è il tempo di Wagner

BOLOGNA – Il Teatro Comunale di ripercorre la sua storia, ritorna sul suo glorioso passato con un progetto a lungo termine su un repertorio, quello dei capolavori di Richard Wagner, che ha contribuito a rendere eterno il nome del teatro bolognese nel mondo.

Dopo Bayreuth, sacratissimo tempio wagneriano, è Bologna che tiene a battesimo in Italia l’opera di Wagner nel 1871 con Lohengrin. In seguito al  Teatro Comunale debuttarono altre quattro opere: Tannhauser (1872), Il vascello fantasma (1877), Tristan und Isolde (1888) e Parsifal (1914). Da allora l’orgoglio di essere città wagneriana rimarrà saldo a Bologna. E proprio per rinverdirlo l’attuale sovrintendente Fulvio Macciardi ha annunciato che le cinque opere ‘bolognesi’ di Wagner verranno rappresentate consecutivamente nei prossimi cinque anni.

Si è iniziato quest’anno alla grande con una sfarzosa coproduzione assieme al Théatre Royale de la Monnaie di Bruxelles: Tristan und Isolde, ritenuto una pietra fondamentale della civiltà occidentale perché punto di svolta decisivo nell’evoluzione del linguaggio musicale, che traghetta in un balzo verso la modernità.

Qui la musica è l’elemento dominante, l’azione drammatica si annulla di fronte alla musica, ed è Wagner stesso che ci rivela: “Nelle altre opere i temi (musicali) servono all’azione, qui si può dire che l’azione scaturisce dai temi”. Quanto illuminanti sono gli ultimi versi cantati da Isotta: “Questa melodia meravigliosa e sommessa, una voluttà lamentosa che tutto esprime, penetra in me e verso l’alto si libra, e dolce echeggiando intorno a me risuona. Nell’ondeggiante oceano, nell’armonia sonora del respiro del mondo, nell’alitante Tutto…naufragare, affondare…inconsapevolmente…suprema letizia!” Una evocazione perfetta dell’immediata magia che già dai primi accordi dell’onda musicale ci avviluppa, un moto perpetuo con un sussurro che si gonfia e ci sommerge.

Ne consegue l’impervia difficoltà di mettere in scena Tristano che è quasi al 80% un lunghissimo immobile duetto, dove non c’è praticamente azione e la narrazione è tutta nella musica. Molto felice ci è sembrata la scelta di assegnare l’allestimento e la regia a due artisti visivi, i tedeschi Ralf Plegen, regista di teatro e filmmaker, e Alexander Polniz, scultore e visual artist, che hanno reso una lettura totalmente antinaturalistica creando luoghi onirici. “Dal momento in cui i due protagonisti bevono il filtro – dice Plegen – appare loro una nuova realtà perché qualcosa cambia nella loro percezione, nella loro mente. Nel secondo atto i due amanti fanno riemergere alla memoria il passato, addirittura il passato prima della propria nascita: vanno fuori dal proprio Io e vivono un tempo diverso fatto di passato e di futuro assieme dove si apre un universo oltre. E’ il concetto psicologico del Subconscio che Wagner intuisce molto prima della ricerca scientifica. Al di là dell’universale storia d’amore, pensiamo che Tristan und Isolde ci faccia intuire il grande arco dello sviluppo cosmologico dove non esiste un inizio né una fine, ma tutto si sviluppa con un andamento a spirale”.

Da queste dichiarazioni d’intenti sono scaturite le tre istallazioni sceniche totalmente avulse dalla storia narrata, con elementi scenici surreali giocati magistralmente dalle luci che creano forti emozioni visive sempre in parallelo con lo svolgimento musicale. Il Secondo Atto in particolare ci è apparso il più riuscito. Lo scenografo Polzin ha creato una imponente scultura bianca a forma di monumentale radice contorta e ramificata che ruota su se stessa e che lentamente prende vita palpitando: una decina di danzatori mimetizzati, totalmente imbiancati, si muovono torcendosi tra i rami, e ogni spasimo della struttura amplifica gli stati emotivi amorosi di Tristano e di Isotta. Inadeguati però ci sono sembrati i costumi, piuttosto goffi e senza linea, che infagottano i cantanti. In questa lettura astratta anche i movimenti che il regista Plegen impone ai cantanti sono ovviamente antinaturalistici, ma a volte inutili e indecifrabili.

tristan und isolde

Ma la bellezza di questa produzione sta tutta nella superlativa conduzione musicale del giovane maestro slovacco Juraj Valcuha, che ha saputo coinvolgere l’orchestra del Comunale cavando un suono avvolgente, morbido e chiaro: un suono italiano trasparente e solido ad un tempo. I lunghi assolo di clarinetto con i violoncelli e l’arpa sono vera poesia, eseguiti magistralmente, sono il respiro profondo che sottende tutto questo capolavoro. C’è da augurarsi che il maestro Valcuha ritorni presto e spesso a lavorare con l’orchestra del Teatro Comunale.

Crediti foto: Rocco Casaluci

 

Silvia Camerini Maj

One Response to "Tristan und Isolde: al Teatro Comunale di Bologna è il tempo di Wagner"

  1. Lamberto Cantoni
    Lamberto Cantoni   7 Febbraio 2020 at 14:33

    Mi ha sempre incuriosito il fatto che a parte l’inizio e il finale le opere di Wagner risultino di banalità e di una noia assoluta. Altro che azione. Nietzsche all’inizio adorava Wagner. Dopo un po’ cominciò a detestarlo considerandolo una via di mezzo tra l’impostore e il ciarlatano cioè, per usare una sua categoria divenuta un concetto filosofico, lo considerava un nichilista, un fanatico cultore di mitologie basse e popolari tradotte in una musica da pallone gonfiato immediatamente commestibili, digeribili ad uso di menti deboli e insicure.
    Che BOLOGNA a suo tempo, sia stata la città più accogliente, mi da da pensare. Che a distanza di un secolo e mezzo lo santifichi ancora una volta, invece, mi fa ridere.
    Nulla da dire invece sul tuo bell’articolo e in particolare sulle
    notazioni che riguardano le scenografie che, se fossi stato presente all’opera, le avrei vissute come un’ancora di salvezza.

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