Cos’è il Neuromarketing e a cosa serve

Cos’è il Neuromarketing e a cosa serve

MONDO – Ogni giorno ci vengono presentate pubblicità studiate appositamente per noi. Cos’è il Neuromarketing e a cosa serve?

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Diciamocelo, siamo tutti cosumatori. Ogni giorno siamo bombardati da decine, se non centinaia, di messaggi inviati dal marketing e dai pubblicitari. Dunque, cos’è il Neuromarketing e a cosa serve? La risposta non è semplicissima, ma provando a riassumera in poche parole, è l’applicazione delle conoscenze e delle pratiche neuroscientifiche al marketing. Lo scopo è quello di analizzare i processi inconsapevoli che avvengono nella mente del consumatore e che influiscono sulle decisioni di acquisto o sul coinvolgimento emotivo nei confronti di un brand.

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Entriamo più nello specifico. Il termine “Neuromarketing”, coniato da Ale Smitds nel 2002, rimanda all’utilizzo delle tecniche neuroscientifiche per avere una più completa comprensione del consumatore e creare strategie di marketing più efficaci. Questa disciplina emergente propone una soluzione complementare alle ricerche di mercato tradizionali, fornendo una soluzione ad alcuni problemi e limiti associati a queste ultime.

Il Neuromarketing prende spunto, infatti, anche da altre scienze come l’Economia Comportamentale e Psicologia Cognitiva. Negli anni hanno dimostrato la loro utilità per la comprensione del consumatore e di cosa lo spinge a comprare si intrecciano tra loro, hanno permesso agli scienziati di costruire un quadro molto più completo sul consumatore e sulle motivazioni inconsce che guidano le scelte quotidiane.

È proprio da queste discipline che si prefigge lo scopo di perfezionarne la fallacità; negli anni hanno fallito esperimenti fondati su dati teorici e non scientifici permettendo a vergogna, pregiudizi o paura del giudizio altrui di condizionare le risposte a questionari e focus group.

L’autore Martin Lindstrom definisce il Neuromarketing una finestra sulla mente umana, una chiave per aprire la porta sulla nostra “buyology”, l’acquistologia. Secondo l’autore danese, non significa impiantare idee nel cervello delle persone, o costringerle a comprare cose che non vogliono; bensì intende scoprire quello che è già dentro la nostra testa.

È possibile che in qualche modo il prodotto rompa la barriera bidimensionale della pubblicità facendo appello ai sensi a cui l’azienda ancora non ha pensato? La campagna pubblicitaria è brillante, divertente, si prende dei rischi, o è noiosa e subito da dimenticare?

Lindstrom è uno degli esperti di marketing più apprezzati al mondo. Ha origini danesi, ma trascorre solo sessanta giorni l’anno nella sua città, gli altri trecento li passa in giro per le università e aziende a condividere le sue idee pionieristiche attraverso consulenze e conferenze. È riconosciuto specialmente per la pubblicazione del libro Brand Sense, definito dal Wall Street Journal uno dei dieci migliori volumi sul marketing mai pubblicati. Si prefigge il ruolo di esperto di branding e futurologo dei brand, prevede, in effetti, quelle che possono diventare le tendenze future nel consumo e nella pubblicità.

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D’altra parte, come enuncia l’economista comportamentale George Loewenstein, la maggior parte del cervello è dominata da processi automatici, e non dal pensiero deliberato. Molto di quel che succede nel cervello è emozionale, non cognitivo. Fare delle previsioni è possibile, quindi, ma non infallibile.

Quindi, cosa determina quali informazioni arrivano alla nostra coscienza? Cosa determina, invece, quali messaggi finiscono nella discarica industriale del nostro cervello?

Il nostro cervello è perennemente impegnato a raccogliere e filtrare informazioni. Certe arrivano alla memoria, mentre la maggior parte è condannata all’oblio. Questo processo è inconscio e istantaneo, ma è costantemente in atto.

Si è via via andata a perfezionare, dunque, la tecnica con cui gli esperimenti vengono condotti. Tecnologie come fMRI (risonanza magnetica funzionale) e SST (un’avanzata versione dell’elettroencefalografia) vengono messe a disposizione per studiare la reazione del cervello dei volontari alla visione di spot pubblicitari e prodotti commerciali.

Interessante pensare a quanto tempo ci sia voluto ad unire scienza e marketing. La prima esiste da quando l’essere umano si è interessato al comportamento umano; il secondo, seppur più recente, ha formulato le stesse domande per quasi un secolo. È proprio grazie alla scienza che sappiamo che circa il novanta percento del nostro comportamento d’acquisto è inconscio. Dunque, da qui il marketing si impegna a rivoluzionare le modalità di esperimento grazie alle scansioni cerebrali.

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Curioso come il Neuromarketing abbia raggiunto tanto rapidamente enormi realtà come la politica, la polizia e addirittura Hollywood. Dalla campagna elettorale al trailer di un film, questa disciplina si occupa di prevedre in anticipo le reazioni dello spettatore.

C’è bisogno di farsi spaventare da questo approccio apparentemente Orwelliano, che sembra spiare le nostre menti e spingerci all’acquisto di prodotti inutili? Come ogni cosa, bisogna essere parchi e controllati nell’avanzamento di tale teoria. Una volta compreso cos’è il Neuromarketing e a cosa serve, sarà più semplice distinguere ciò che possa apportare dei reali vantaggi, da ciò che non è necessario.

Deve avanzare in maniera controllata la possibilità di prevedere come reagirebbe il pubblico ad una campagna pubblicitaria e/o elettorale.

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La scienza continua a fare passi da gigante, in ogni settore, e non si è mai dimostrata impreparata al cambiamento.

 

Testo di Roberta Canfora

Autore MyWhere

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