Neurodesign

Neurodesign

MONDO – L’enfatizzazione del Neurodesign che si sta diffondendo, si lega alla pressione che i problemi ecologici hanno riversato sui creativi. L’idea è che il design debba migliorare la vita delle persone accordandosi con i processi naturali che stanno alla base della percezione del benessere.

Premessa

Da alcuni decenni si discute di Neuroeconomia e di Neuromarketing come se fossero veri e propri paradigmi scientifici. La prima, applica ai processi decisionali implicati nelle scelte economiche, l’enorme mole di dati prodotti dalle ricerche sul funzionamento del cervello divulgate dai neuroscienziati. Il Neuromarketing, segue la stessa impostazione, polarizzandosi in modo specifico sulle decisioni di acquisto/consumo della gente, ma bisogna aggiungere che grazie alle neuroscienze anche le modalità di misura della percezione del brand sono state oltremodo affinate, per non parlare del controllo preventivo dell’efficacia di campagne pubblicitarie. Non credo di esagerare se affermo che oggi le più importanti agenzie di consulenza affiancano alla presentazione dei progetti comunicazionali commissionati dalle grandi marche, i test di controllo loro inerenti, test basati principalmente sull’approccio neuroscientifico e interpretato secondo le direttive della psicologia comportamentale (quest’ultima sembra oramai evolvere in stretta correlazione con lo sviluppo delle tecniche d’indagine delle neuroscienze).

Anche se i successi scientifici delle ricerche dei neuroscienziati non convincono proprio tutti, nessuno può negare che oggi abbiamo a disposizione una ricchezza di dati su come lavora il cervello impressionante rispetto al passato. Ma è stato soprattutto il loro impatto mediatico a sollevare l’interesse di soggetti estranei al nocciolo duro di questa sofisticata attività multidisciplinare a vocazione eminentemente sperimentale.

Possiamo prendere come esempio i “neuroni specchio” trovati dal prof. Rizzolatti nel cervello dei macachi. In un battibaleno sono diventati la prova che l’empatia è radicata nel biologico, catalizzando nei suoi dintorni un interesse che questa emozione sembrava aver definitivamente perduto tra gli scienziati. Ma non solo l’empatia è divenuta improvvisamente una categoria centrale in molte branche del sapere. A tutta l’organizzazione del sistema emotivo è stata attribuita la dignità di oggetto di ricerca scientifica, grazie alle neuroscienze. A tal riguardo mi piace ricordarvi il nome di Antonio Damasio e dei sui libri, tra quali segnalo “Emozione e coscienza” (Adelphi, 2000), dal momento che lo considero il neuroscienziato che più di altri ci ha fatto capire la connessione tra sentimenti e il principio di regolazione della vita che ha consentito alla nostra specie di primeggiare.

Ma l’impatto delle neuroscienze non si è limitato ai campi del sapere dell’economia, della psicologia comportamentale, del marketing. Anche le discipline artistiche e l’ambito della creatività è stato investito dalle suggestioni precipitate a cascata dall’idea che si potesse finalmente articolare i prodotti più ineffabili e sofisticati della mente umana al specifico funzionamento di un sostrato biologico che sottoposto a indagini appropriate, producesse risposte, definizioni, modelli interpretativi incontrovertibili. Tuttavia bisogna anche ammettere che sinora gli esiti delle ricerche neuro in questo campo hanno evidenziato più che altro nuove metafore e nuovi livelli di descrizione del fenomeno estetico che spintonano i vecchi approcci all’arte e alla creatività, senza però dare risposte veramente esplicative. Ma rappresentano pur sempre un arricchimento del contesto nel quale la creatività si presenta come struttura emergente.

 

L’elenco di pubblicazioni direttamente e indirettamente legate alle neuroscienze a disposizione del pubblico interessato è divenuto in pochi decenni impressionante, anche se quasi tutti i testi divulgativi presentano lo stesso assetto operativo, sintetizzabile in 4 mosse:

  1. Le conoscenze scientifiche del substrato biologico degli individui, cioè del loro cervello, contribuiscono a fornirci informazioni determinanti sul suo comportamento;
  2. Gli esperimenti empirici dei neuroscienziati sono utilizzati come modelli esplicativi dell’interazione tra processi biologici e culturali;
  3. Le tecnologie di indagine delle attività cerebrali (Brain Imagining) sono utilizzate per trarre informazioni ritenute di valenza scientifica superiore, suscettibili di generalizzazioni; sempre più spesso gli esperimenti sono direttamente collegati a problemi di interesse aziendale:
  4. Si stabilisce che i dati inerenti alle reazioni neuronali, riguardanti un numero limitato di soggetti esposti alle tecniche di Brain Imagine, possono funzionare per induzione come leggi di comportamento di un vasto insieme di individui.

 

È utile ricordare che le Neuroscienze sono diventate un catalizzatore di interessi che trascendono i normali scopi della Scienza da quando grazie a tecniche sofisticate di Neuroimaging  (come la risonanza magnetica funzionale, la Tomografia Assiale a emissione di Positroni, la MagnetoEncefalografia, la Stimolazione MagneticaTranscranica, per citare le più diffuse), sono riuscite a visualizzare sugli schermi del computer i circuiti neuronali attivati dagli stimoli sotto indagine, rendendo possibile la loro quantificazione, la loro mappatura e la ricognizione delle aree cerebrali via via interessate. Con queste tecnologie sono state costruite delle mappe funzionali di particolari aree del cervello correlate allo svolgimento di azioni specifiche.

Quali sono state le acquisizioni più importanti che dalle Neuroscienze sono discese nei territori dell’economia, della psicologia, dell’estetica e del marketing? Possiamo parlare di alcune “scoperte” che sinora hanno contribuito a generare un interesse diffuso nei loro confronti. Quella che sicuramente ha maggiormente colpito l’opinione pubblica è un interesse specifico per le emozioni (a lungo poco considerate dagli scienziati) in virtù del fatto che la loro intima connessione con i processi mentali implicati nelle situazioni di scelta, presentava come effetto una serie di sorprendenti variazioni rispetto alle previsioni codificate dai modelli di decisione razionale dell’economia Ovviamente queste deviazioni dalla supposta norma, appartenendo a risposte biologiche, non potevano più essere considerate semplicemente irrazionali o sbagliate.

Per farla breve, il soggetto dell’economia non si comporta quasi mai in modo razionale (più o meno è quello che mi diceva mio nonno, all’oscuro di conoscenze scientifiche ed economiche). Grazie ad esperimenti spesso ingegnosi effettuati in modalità neuro, si è potuto appurare che le deviazioni da norme considerate “razionali” sono molto più numerose di quanto immaginassero gli economisti di tradizione classica. Le mappature dei neuroscienziati e la localizzazione deile attivitá neuronali, sembravano fornire una eccellente risposta ai dilemmi suscitati a cascata sul perché ci sbagliamo così spesso. La semplicità della risposta è divenuta parte del fascino che ha accompagnato la diffusione del prestigio dei neuroscienziati tra la gente: siamo irrazionali, le nostre percezioni ci ingannano – essi sembrano suggerirci – perché così ci ha fatti l’evoluzione.

Con lo sviluppo e la diffusione dei risultati degli esperimenti dei neuroscienziati è apparsa inoltre la possibilità di indagare il funzionamento del cervello a un livello nel quale l’eterogeneità dei comportamenti poteva ridursi a schemi elementari di reazione di ampia generalizzazione.

C’è da dire che il travolgente impatto delle Neuroscienze e la modellazione scientifica delle reazioni emotive, venne premiata con il Nobel per l’economia attribuito a Daniel Kahnemann il quale pur dichiarando la sua estraneità alla scienza economica, con il suo libro “L’intelligenza emotiva” contribuì a trasformare “economia comportamentale” in una influente branca “della disciplina fondata da Smith e Ricardo, oggi di gran moda tra gli addetti ai lavori. Attualmente infatti gran parte degli economisti e dei professionisti del marketing e della comunicazione si può dire abbiano completamente accettato i metodi empirici dei neuroscienziati e le correlazioni emerse dai loro esperimenti. Anche i manager delle aziende si sono prontamente adeguati al nuovo paradigma, e si può dire che sempre di più il significato operativo configurato a partire dai dati delle ricerche neuroscietifiche, funziona da sfondo di molte delle loro decisioni tattiche e strategiche.

Neuroestetica e Neurodesign

Ho già ricordato che l’impatto delle Neuroscienze ebbe ripercussioni anche sulle discipline artistiche. Il neurobiologo Semir Zeki verso la metà degli anni ‘90 del novecento diede il via a una serie di esperimenti e ricerche che, oggi, giustamente vengono considerate seminali per la fondazione di una Neuroestetica. Dopo di lui, il neurologo indiano Vlayanur S. Ramachandran, propose una teoria neurologica dell’esperienza estetica, di impostazione evoluzionista, culminata nelle 10 leggi universali delle arti. Grazie soprattutto all’influenza di questi due scienziati si sono diffuse un po’ ovunque ricerche che esploravano le aree cerebrali attivate dalla fruizione artistica. Una ondata di appassionata adesione ai dati delle neuroscienze è stata in seguito prodotta dalle scoperte di Giacomo Rizzolatti sui oramai famosissimi “neuroni specchio”.

Dalla Neuroestetica al Neurodesign il passaggio era breve e puntualmente si è verificato sotto il segno del benessere, della sostenibilità e dell’enfatizzazione del sostrato emozionale, immaginato essere il punto di raccordo tra reazioni neuronali (assunte come un a-priori legittimato dalla scienza) e configurazioni della buona/bella forma, di ambienti, oggetti, colori, luci.

D’altronde bisogna considerare che le enormi risorse messe a disposizione dei Neuroscienziati, nel corso di un paio di decenni, hanno prodotto una ricchezza di dati notevole; questi dati trasformati dalla divulgazione in informazioni di qualità superiore, hanno diffuso un po’ dappertutto l’idea che sia possibile conoscere in profondità, i fattori che possono stabilire se un prodotto o un brand piacerà alla gente. Evidentemente anche il suo design poteva essere scannerizzato secondo questi criteri e puntualmente è stato fatto.

A partire da quel  momento il Neurodesign è apparso a molti come un approccio multidisciplinare, necessario per un corretto posizionamento dell’istanza creativa in tutti i settori del design.

Diciamo che è emerso un a-priori concettuale ed etico, trasformato in evidenza biologica grazie a correlazioni con ciò che poteva essere inferito (non senza forzature) dalle ricerche empiriche dei neuroscienziati.

Si è dunque affermata l’idea che il design evoluto avesse come scopo primario ll benessere inteso come adattamento creativo alla “natura”. Domanda: che prove abbiamo sull’effettivo interesse della “natura” riguardo il nostro piacere e benessere? A tal riguardo, per quanto ne so, il disinteresse dei processi naturali nei confronti delle nostre aspirazioni al benessere e al piacere è disarmante. Se questo è vero, allora il Neurodesign corre il rischio di essere meno un nuovo rigoroso paradigma e più una “narrazione” che diffonde una concezione mitizzata della natura, condita da estrapolazioni scientifiche. Una volta definivamo questo approccio “scientismo”. Oggi, nel tempo delle fake news, probabilmente anche audaci induzioni tratte da ricerche rigorose quanto si vuole, ma , in questo caso, di dubbia generalizzazione, sono vissute dal pubblico come qualcosa di certo, di più robusto, efficace, utile per far emergere fiducia e spirito di condivisione.

Un’altro modo per raccontare l’interesse del designer, del creativo, del progettista per le Neuroscienze chiama in causa il desiderio di evadere dal paradigma Forma/Funzione, mantenendo però tutti e due i piedi nella razionalità. Potremmo metterla giù così: dal modernismo in poi i designer hanno spesso narcotizzato l’impatto percettivo/emozionale dell’oggetto, privilegiandone le funzioni e l’elaborazione delle forme secondo canoni o teorie che anticipavano e orientavano l’atto creativo; naturalmente fantasia e immaginazione non venivano cancellate, bensì tenute sotto controllo. La conseguenza sul lungo periodo è stata la sottovalutazione del ruolo che giocano i sensi, le emozioni e i sentimenti sia nel processo creativo e sia  livello di fruizione dell’oggetto. Il motivo era chiaro…mettendo in posizione dominante emozioni e sentimenti si correva il rischio di favorire gli eccessi di soggettivismo e le derive nella irrazionalità, nella stravaganza, nel design delirante che lo accompagnano come un’ombra. Il fatto che pensare e agire nel nome di emozioni o sentimenti alla fine portasse solo a labirintiche, romantiche interpretazioni, dal modernismo in poi cozzava contro la razionalità necessaria al design industriale o seriale, scegliete voi il modo di dire che più vi piace, di decollare su un mercato caratterizzato più da target finanziari e da individui mossi da desideri in qualche modo calcolabili. Non potendo esistere una efficace metrica delle emozioni, così pensavano molti, è il concetto sottoposto a processi elaborativi che lo trasformeranno in qualcosa di materico e formale,  a dominare la visione di come procedere. A un certo punto le scienze cognitive e le Neuroscienze hanno cambiato le carte in tavola imponendo le emozioni come oggetto di ricerca legittimo e scoprendone la valenza in tutti i processi che vede coinvolta la mente e sua maestà il cervello. A questo punto, grazie ad acquisizioni ottenute in laboratorio delle quali conosciamo più che altro i resoconti mirati ad ottenere nuovi costosi finanziamenti,  la dimensione sensoriale non era più il tracciato sintomatico  di una soggettività creativa raggomitolata su se stessa, ma è divenuto lo scenario spettacolare nel quale la scienza decostruisce l’umano per coglierne le dinamiche fino a quel momento inaccessibili ad un sapere certo. È nella logica della situazione che i designer, essendo divenute le Neuroscienze il paradigma di ricerca vincente, si rivolgessero ai suoi risultati per avere qualcosa di solido su cui lavorare in direzione di una fruizione sensoriale in qualche modo prevista o semplicemente per trovare nuovi stimoli creativi.

Consentitemi una digressione. Una maggiore attenzione di designer e progettisti alle implicazioni percettive dell’oggetto non aveva certo avuto il bisogno delle Neuroscienze per apparire negli scenari del design d’avanguardia. In Italia almeno dagli anni ‘70 del novecento personaggi come Castelli sperimentavano colori, materiali innovativi, finiture, basandosi su ragionamenti empirici sul loro impatto percettivo. Queste sperimentazioni rinnovarono il design industriale. Per quanto riguarda la moda ai fini del mio discorso è sufficiente citare grandi creativi come Paco Rabanne definito da Coco Chanel “il metallurgico” per l’uso totalizzante e non decorativo di metalli e plastiche nelle sue famose collezioni. Aggiungerei la Dupont, colosso chimico, che grazie al ricercatore Wallace Hume Carothers, nel 1935, lanciò sul mercato il Naylon ovvero la prima fibra sintetica della storia. Da quei giorni chimica e moda hanno cominciato un riservato e proficuo dialogo sfruttato dagli stilisti per inedite modalità di ingaggio percettivo con la gente. Dove voglio andare a parare? L’oggetto del design è da sempre anche sensoriale (non solo concettuale o formale). Colori, materie e superfici fanno emergere significazioni che dipendono dalla nostra capacità di sentirle dall’interno. Percezione, sensibilità e sentimenti sono dimensioni che entrano in gioco nel calcolo della valenza di un oggetto. Il problema è che la loro metrica (il calcolo della loro efficacia) non era supportata da una teoria potente. Si parlava in termini approssimativi di “qualità”, ci si riferiva vagamente a psicologie controverse, ci si appellava ad esperienze empiriche e a rilievi statistici. Tra l’altro un serio approccio alla percezione credo non fosse contemplato dalla didattica formativa delle scuole di design. Oggi sembra cambiato tutto. Le narrazioni che sono proliferate a partire dai dati prodotti dalle Neuroscienze anno diffuso la credenza che finalmente abbiamo una teoria potente per spiegare come funzionano i processi percettivi e che gli effetti del lavoro dei sensi possono essere calcolati con precisione. Malgrado l’invito alla prudenza dei veri ricercatori, si sono diffuse correlazioni via via sempre più audaci. Ebbene, le correlazioni sono necessarie è vero, ma è l’enfasi in termini di certezze a fare problema.

Quindi, per tornare alla questione in oggetto, con il dominio teorico delle Neuroscienze dal punto di vista pratico cosa è cambiato nelle pratiche del design? Io la metterei giù così: i designer continuano ad usare le proprie intuizioni per creare configurazioni, oggetti, forme. Di solito prima di avere una idea e/o dopo averla avuta, si guardano in giro e confrontano direttamente i propri progetti con quelli fatti da altri colleghi, per calcolare la giustezza di quanto stanno configurando o per correggere il tiro. Usano anche un corpus di regole, di solito assimilate durante gli anni della formazione e durante le prime esperienze professionali, costruite nel tempo come sintesi di esperienze pregnanti, per poter farsi un’idea della valenza di quanto vanno configurando, secondo standard condivisi.

Bene, a tutto questo ora si aggiunge il calcolo di conformità o meno, ai dati provenienti dalle Neuroscienze.

Prendiamo come esempio il design ambientale o di interni. La suggestione delle Neuroscienze viene usata per stabilire un fondo stabile e concreto al problema dell’aumento del benessere della gente.

A tal riguardo si è diffusa la pseudo-certezza che la bellezza, tra le altre cose, sia anti-infiammatoria. Ma cosa intendono per bellezza i Neurodesigner? Intendono una configurazione a dominanza simmetrica, basandosi su affermazioni pseudoscientifiche del tipo: la bellezza è evolutivamente vantaggiosa. A quali condizioni? È sempre vero? Come mai in natura, su scala percettiva umana, simmetria, armonia e ordine risultano così improbabili?

Di passaggio ricordo al lettore che effettivamente la simmetria è uno degli universali dell’arte concepiti da Ramachandran. Ma lo sono anche il contrasto e l’iperbole (cioè una distorsione).

Ecco dunque un primo sintomo di affanno del Neurodesign. Per affermarsi nelle pratiche di ogni giorno ha bisogno di semplificare teorie scientifiche complesse e di produrre vertiginose generalizzazioni.

Facciamo un altro esempio. È senz’altro vero che le ultime generazioni di noi implumi bipedi parlanti passano molto più tempo in ambienti intensionali (chiamo così gli interni chiusi e relativamente circoscritti). Qualcuno parla del 90% del tempo. Un’altra affermazione ad alta densità di verità dice che il nostro cervello è rimasto più o meno lo stesso da migliaia di anni, quando gli esseri umani passavano molto più tempo en plein air.

Che tipo di generalizzazione trae il neurodesigner da queste due affermazioni percepite come vere?

Vediamole in prospettiva euristica:

  1. Quando si progetta un ambiente intensionale si deve tenere in massima considerazione il fatto che il nostro cervello reagisce ai nuovi stimoli percettivi con la regolazione imposta da forze evolutive non ancora adattate al cambiamento della nostra attuale forma di vita (cioè il nostro cervello non è fatto per passare il 90% del tempo in interni intensionali);
  2. Da ciò discende che progettare al posto delle pareti di pietra, delle grandi vetrate che permettono la diffusione di luce naturale, fa percepire l’ambiente attraverso un sentimento di piacevole benessere;
  3. Ma troppo vetro, aggiunto alla pietra e al ferro ( o all’acciaio), aumenta la rumorosità e quindi secondo ricerche neurologiche sugli effetti del rumore, può indurre patologie e inibire la produttività. Il Neurodesign quindi, conoscendo le reazioni biologiche ai materiali e all’organizzazione dello spazio, può progettare ambienti più salutari.

Di passaggio, noto non senza una punta di ironia che tutto il modernismo, la Parigi del XIX sec., secondo questo punto di vista, risulterebbe induttore di patologie (non riscontrate nelle cronache di quei tempi).

Intendiamoci, il sapere che ci illumina su come funziona il cervello per fornire informazioni utili ai designer è senz’altro utile e ragguardevole. Ma a patto di considerare con attenzione i limiti attuali di quanto conosciamo e le difficoltà nel generalizzare gli esiti di ricerche empiriche non sempre presentate secondo criteri rigorosi. Invece noto il diffondersi di un uso disinvolto dell’approccio neurobiologico, interessato più a trasmettere un’immagine di autorevolezza e di pseudo certezza, piuttosto che ipotesi, congetture sulle quali esercitare i controlli che distinguono la scienza da altre discipline. È facile intuire le ragioni dell’enorme successo delle Neuroscienze tra i non scienziati che usano le correlazioni rese possibili da esperimenti quasi mai presentati in tutti i loro dettagli: quando si mette in scena il substrato biologico della nostra mente con tecniche di ricerca sofisticate è difficile per chiunque andare aldilà di un ragionevole scetticismo.

Facciamo un altro esempio di uso disinvolto delle neuroscienze.

Abbiamo visto che si sta diffondendo tra i designer l’idea che simmetria, equilibrio e armonia sono  percepiti dal nostro cervello come vantaggiosi per la sopravvivenza. A conferma di queste affermazioni si citano ricerche comportamentali che dimostrerebbero il potere anti infiammatorio della bellezza.

In senso generale, anche senza l’ausilio di ricerche sofisticate, si può facilmente riconosce quanto il bisogno di ordine sia connaturato con le disposizioni tipicamente umane. Così come la percezione della bellezza di solito suscita sentimenti di reverente partecipazione emotiva capaci di farci dimenticare per un attimo gli affanni della vita ordinaria. Quando le neuroscienze certificano con un approccio scientifico (controllabile, ripetibile, misurabile) questi effetti, tracciandone i percorsi cerebrali, localizzando le attività neuronali specifiche in determinate aree, certamente ci offrono informazioni preziose.

Ma cosa “spiegano” le visioni computerizzate delle scariche neuronali che annunciano le nostre reazioni emotive? A tal riguardo un designer o un artista cosa deve pensare? In che modo queste informazioni retroagiscono sul suo lavoro creativo? Deve assolutamente credere che il sentimento di bellezza dipenda solo da simmetria, ordine, equilibrio, dal momento che un rizoma di neuroni presenta alcune densità in aree specifiche, in presenza di una forma o di uno stimolo piuttosto che altri?

Immaginiamo di accettare la lettura riduzionista che privilegia i tre fattori elencati sopra. Come faccio a comprendere tutta o quasi l’arte del novecento, chiaramente orientata verso asimmetrie, entropie visive, disordine? Devo forse pensare che generazioni di artisti abbiano usato il loro talento per farci ammalare?

Anche il design grafico e fashion ha spesso agito distruggendo tutto ciò che possiamo archiviare nei termini di bellezza simmetrica. Perchè mai, se veramente sono in gioco leggi evolutive legate alla sopravvivenza, queste anomalie hanno avuto tanto successo?

Come mai la bellezza, nelle scelte e nei discorsi della gente è molto più eterogenea, molteplice, plurale di quanto dichiari il punto di vista neurobiologico? Sì certo, possiamo dire che i processi culturali non ricalcano quelli biologici. Ma a questo punto dovremmo immaginare il disordine come un prodotto della cultura che urta una natura tutta bellezza e simmetria. Esasperando l’analisi, emergono ragionamenti paradossali che ci invitano a tornare sui nostri passi per trovare sentieri diversi. Per esempio prendere sul serio l’ipotesi che la “natura” così come viene significata dall’attuale Neurodesign semplicemente non esiste, è troppo impregnata di romanticismo. Un’altra ipotesi dice che approccio romantico alla natura più assunzione acritica (in alcuni casi dogmatica) dei dati (fatalmente parziali, limitati, riduzionisti) delle neuroscienze, crea visioni distorte che accentuano la distanza tra cultura e realtà fisico/biologica, allontanandoci dunque dagli scopi primari che animano i neuroscienziati duri e puri. Quali sono questi scopi? La metterei giù così: le neuroscienze sono un grande tentativo di integrare ciò che noi definiamo cultura con i processi basilari che organizzano la vita degli esseri umani.

Ma ritorniamo per un momento all’ultima domanda che ho evidenziato sopra. Forse l’ostacolo della eterogeneità della bellezza tra la gente, può aiutarci a capire in parte, il perché il nuovo paradigma del Neurodesign attrae un numero crescente di addetti ai lavori.

Le attività estetiche a stretto contatto con il sistema produttivo di oggetti di consumo, vivono con ansia l’eterogeneità percettiva degli individui in relazione a ciò che classifichiamo come “bello”. Se ciascun individuo fosse vincolato a impressioni di bellezza private o personali, come si può risolvere il problema di creare oggetti e forme aventi la proprietà di essere percepite in risonanza da una moltitudine di soggetti? Ovviamente i trend del mercato con la freccia del tempo rivolta al passato ci rassicurano. Ci sono oggetti e forme che mettono d’accordo tutti o quasi. Addirittura alcune di queste forme, si dice, acquisiscono la proprietà di raffigurare lo spirito dei tempi ovvero caratterizzare un’epoca. Ora, uno dei problemi che un designer inserito nel processo produttivo deve risolvere è di sapere in anticipo quali configurazioni progettuali avranno propensione a diffondersi. Ovviamente a questo progetto di condivisione anticipata con il pubblico, collaborano anche altri. Per esempio i manager responsabili del prodotto, per i quali la centralità della previsione delle tendenze è probabilmente più sentita e cruciale rispetto al designer. Bene, lasciamo il gioco delle tendenze agli algoritmi dei Big Data, ai trend setter o agli sciamani di turno, e torniamo alle neuroscienze. Non ci vuole molto a capire che il loro fascino, risiede nel fatto che, lasciano supporre l’esistenza di un livello logico che di fatto annulla l’eterogeneità.

L’abbiamo detto prima: il nostro cervello non è affatto cambiato da migliaia di anni. Quindi se si agisce coerentemente con i suoi principi, allora, possiamo immaginare di poter creare qualcosa dotato di effetti deterministici validi per chiunque.

In altre parole, una lettura di parte delle neuroscienze ha fomentato l’illusione di poter conoscere e prevedere le reazioni primarie di un individuo sottoposto a qualsiasi prodotto.

Seguendo questa linea di pensiero, bellezza e gusto, possono dunque essere declinate secondo universali, strappandole così alla vischiosa eterogenea soggettività.

L’attuale sviluppi delle neuroscienze autorizza o legittima questa credenza?

Rispondo dando la parola ad un grande Neuroscienziato: possiamo ora immaginare una definizione neurobiologica del bello? Scrive Jean-Pierre ChangeuxNon siamo giunti ancora a questo punto. Ma questi saperi irrobustiscono, diversificano, arricchiscono il nostro rapporto con l’opera d’arte.

Interpreto queste parole come un invito alla prudenza.

Tuttavia sappiamo anche senza l’ausilio delle neuroscienze che in noi sono presenti entrambe le disposizioni. Siamo biologicamente simili agli altri, ma anche portatori di singolarità per via della nostra esposizione ad esperienze private in contesti specifici.

La scommessa del Neurodesign privilegia i dati forniti da ricerche empiriche che coinvolgono il sostrato biologico. E quindi tende a sopravvalutare simmetria ed equilibrio, interpretandole come qualità naturali.

Ma in realtà, tutto ciò che sappiamo della natura, ci invita a prendere sul serio un livello di complessità nel quale l’ordine si presenta scosso da fluttuazioni. Dal punto di vista categoriale possiamo rappresentare l’ordine fluttuante creando tensività tra i concetti (e non isolandoli).

È la tensione tra simmetria e asimmetria, tra equilibrio e la sua rottura, tra ordine e disordine ad aver plasmato le forze evolutive. La nostra sopravvivenza è stata orientata dalla capacitazione del nostro organismo a cogliere gli “scarti dalla norma”, a reagire all’inatteso, al mutamento.

Con queste parole non intendo negare il potente bisogno di ordine che ci anima. Voglio solo calarlo nel contesto giusto.

Gli esperimenti scientifici detestano la complessità. Il loro riduzionismo è certo favorevole all’isolamento e all’individuazione di determinanti tratti che si desidera indagare. Ma al tempo stesso li allontana dai processi materiali che intenderebbe imbrigliare in leggi o principi, controllabili, misurabili, generalizzabili.

Ci sono buone ragioni che consentono di capire il perché un esperimento debba circoscrivere e ridurre l’oggetto di ricerca. Ma al tempo stesso, questa necessità dovrebbe renderci prudenti nel gioco di generalizzazioni e correlazioni rese possibili dall’interpretazione dei dati.

Il Neurodesign infatti corre il rischio di esagerare con le induzioni cioè di passare con troppa disinvoltura dal particolare al generale.

Chi non è a digiuno di buone letture filosofiche certamente conosce i dubbi e le critiche che il metodo induttivo ha scatenato tra i filosofi. Ma non è questa la sede per approfondire questo aspetto.

Mi preme piuttosto proporvi alcuni esempi di induzione e di audaci correlazioni molto diffuse tra i neurodesigner.

Partiamo dall’assunto che spazio e arredi possano influenzare creativitá, immaginazione e benessere degli individui.

A partire da questo presupposto il neurodesigner sulla scorta di dati neuroscietifici, trae l’evidenza che soffitti alti e piante verdi migliorano in processo creativo.

Leonardo da Vinci, che per creatività non era secondo a nessuno, mi pare sostenesse esattamente il contrario. Ma forse il nostro grande artista operava come un ricercatore (cioè arte, scienza, esperimenti, progetti erano tenuti assieme da una potente disposizione al vero).

Ebbene, secondo gli adepti del Neurodesign, i soffitti bassi e spazi ristretti, sarebbero ideali per la ricerca scientifica. Vi chiedo: siete mai entrati in un laboratorio scientifico? Io di soffitti bassi non ne ho mai visti, gli ambienti erano spaziosi. Dobbiamo forse pensare che in laboratorio non serva l’attenzione, la concentrazione?

Un’altra pseudo regola intrisa di neutoscientismi è questa:

Desiderate uno spazio che favorisca la creatività e il benessere? Riempitelo di piante verdi e di arredi legnosi. Evidentemente io devo essere assai poco creativo e un vero disadattato, dal momento che provo piacere a starmene il più possibile in un ambiente dove ci sono solo libri, carte, quaderni, per giunta seduto su una vecchia Kartell di plastica cattivissima (antecedente alle plastiche biodegradabili). Però mi consola il fatto di non essere stressato, visto che tutto il bagnetto dello studio e buona parte degli arredi sono di un rosso decisamente energico. Si perché un’altra delle pseudo regole del Neurodesign suona così: evitate di dipingere di rosso le pareti di una stanza abitata da persone stressate; potrebbero sentire accentuati i loro malesseri.

Ancora un esempio. Il neurodesigner di razza, con enfasi parascientifica cercherà di convincerci che se vogliamo convivialità e zero conflitti, dobbiamo optare per tavoli tondi, evitando come la peste mobili con troppi spigoli vivi. Chissà, ho pensato mentre leggevo questa pseudo regola,  forse era anche per via della rettangolare e quindi spigolosa tavola di famiglia, che mio padre durante i pasti era sempre incazzato. Ah!, quante delusioni la mamma poteva risparmiarsi se solo avesse avuto qualche nozione di Neurodesign! …E chi potrà mai apprezzare la sedia Zig-zag di Gerrit T. Rietveld? Un masochista cronico? Dal momento che è stata progetta negli anni trenta del novecento e a distanza di generazioni continua ad essere prodotta e venduta, cosa dovremmo pensare? Perché le migliaia di clienti che l’hanno comprata non hanno denunciato influenze negative sull’umore?

E se io mi fossi dotato di luci neurocompatibili, cioè bianche di giorno e gialle di sera, invece del rosso night club in camera da letto, quante nottate insonni mi sarei risparmiato. Per non parlare di tappeti e tende, i migliori alleati, dicono i neurodesigner, per tenere sotto controllo i rumori. Comprenderete il mio imbarazzo: non ho mai avuto tappeti e per il rumore in eccesso pensavo fosse sufficiente spegnere musica e Tv.

Secondo i ND, la convivialità è stimolata dal tavolo tondo; la soluzione con angoli è portatrice di istanze percettive orientate al conflitto

 

Neurodesign
Per assecondare le disposizioni del cervello, durante il giorno si dovrebbero usare luci bianche, di sera quelle gialle.

Chiedo ovviamente scusa al neurodesigner se mi sono permesso di ironizzare sui rivoluzionari concetti con i quali lavora. Ma dubito che le regole citate, immaginate essere la derivata di osservazioni scientifiche rigorose, possano avere la valenza universale che si enfatizza.

Consentitemi ora di cambiare scenario. Dal design d’interni alla moda. Osservate i look delle immagini che ho postato. Sono stati creati da stelle di prima grandezza della moda: Vivienne Westwood, Martin Margiela, Kawakubo, Gvasalia.

Definisco amorevolmente questi look, fashion’s monster, mostri della moda, dal momento che disarmonia, imperfezioni di proporzione e di concetto, sembrano prevalere e dare scacco all’attesa del bello (simmetrico e armonioso). Eppure questi look sono stati più di una tendenza e hanno scatenato emulazioni e passioni sfrenate tra i modanti sparsi in tutto il mondo.

Se la bellezza è anti infiammatoria e la simmetria vantaggiosa per l’evoluzione, ammetterete che la diffusione di questi look appare enigmatica.

Da sinistra, Vivienne Westwood e Gvasalia

 

Neurodesign
Da sinistra, Infinity of Taylor Kawakubo e Martin Mariangela Spring 2000 RTW

Sempre nel contesto moda è stata People of Shibuya la prima azienda del settore a presentare un capo d’abbigliamento la cui configurazione è stata creata in stretta correlazione con tecnologie neuroscientifiche. Si tratta di un giaccone la cui efficacia commerciale è basata sul calcolo delle informazioni sensoriali e percettive ottenute testando gli elementi strutturali, tessuti, bottoni, zip, cerniere, l’accesso alle tasche, l’indossabilità. Da quello che ho potuto capire nella dimostrazione a Pitti giugno 2019, stabilito con un’interpretazione audace quali fossero le aree neuronali immaginate essere la traccia biologica del benessere, attraverso cavie sottoposte a indagine neuro, venivano selezionate le opzioni congruenti con la mappatura. Ovviamente, per i manager dell’azienda, a questo punto era chiaro che la qualità di comfort promessa dal loro giaccone sprofondava nell’evidenza biologica.

Quanti neuroscienziati rigorosi sottoscriverebbero la catena di correlazioni utilizzate dall’azienda moda per raggiungere i propri obiettivi? Io qualche sacrosanto dubbio me lo sono portato dietro. Di conseguenza ho avuto il sospetto di aver assistito allo sfruttamento delle neuroscienze per strappare la mitizzazione della moda dai soliti contesti d’immagine, e avvicinarla alla dimensione della scienza/spettacolo, fonte sicura di rassicurante stupore per i creduloni di turno. Insomma, aggiungete il prefisso neuro a qualsiasi cosa e…”improvvisamente la sua rispettabilità schizzerà alle stelle, diventando più convincente, perché la gente avrà l’illusione di cogliere un forte nesso causale”. Le ultime parole sono una citazione tratta dal libro di Nassim Nicholas Taleb intitolato “Antifragile. Prosperare nel disordine” (il Saggiatore, 2013), dal quale mi piace estrarre anche questa frase:”Qualunque teoria contenga un riferimento ai circuiti cerebrali appare più scientifica e convincente, anche quando non sono altro che psiconeurobubbole prese a caso”.

Intendiamoci, la giacca Kintsugi, apparsa un po’ prima del giaccone citato sopra e la prima ad essere direttamente collegata a modalità creative orchestrate dai dati neuro, è un prodotto di grande qualità, per giunta elegante, funzionale, efficiente: il dispositivo di regolazione del calore interno di sicuro, in una giornata fredda e umida, induce piacere, comfort, benessere. Ma abbiamo bisogno delle neuroscienze per capire l’utilità di capi d’abbigliamento che si adattano alla temperatura esterna?

Si dice che il Neuromarketing e il Neurodesign ci mettano nelle condizioni di fare previsioni certe sul comportamento al consumo della gente. Non dubito che in queste affermazioni ci sia un frammento di verità. Ma più ci si sposta dai laboratori dei veri neuroscienziati a quelli approntati per soddisfare il bisogno di certezze delle aziende, aumenta la fastidiosa sensazione che alla fine tutto si riconduce a profezie ammantate di scienza che si auto-avverano perché sfruttano il capitale di fiducia che gli scienziati veri hanno diffuso.

Intermezzo

Consentitemi ora di presentarvi un artista certamente che certamente non conosceva le neuroscienze ma che cercò in tutti i modi correlazioni psicofisiche come fondamento delle forme artistiche. Nei primi decenni del novecento gli scienziati che studiavano il cervello non avevano a disposizione le tecnologie attuali. Non potevano quindi produrre teorie interessanti per un artista come Kandinsky, rigorosamente intenzionato ad agire in conformità a leggi formali o di composizione di valore universale. Vedeva l’arte come un’espressione dello spirito realizzata attraverso effetti fisici. Di fronte ad un’opera la prima reazione sono sensazioni momentanee registrate sulla retina, ma poi intervengono effetti psichici (vibrazioni dell’anima) che la rendono pregnante. In altre parole, gli effetti psichici, oggi diremmo il significato interiore di un’opera o l’emozione che ci provoca, sono determinate dalle qualità percettive della composizione. Per esempio i colori possono avere un odore, un suono, un sapore. Conoscendo le risonanze interiori delle sensazioni fisiche prodotte da colori e forme, l’artista può orchestrare i suoi mezzi per ricreare a livello di fruizione la medesima emozione cioè, per usare il linguaggio dell’artista, creare una risonanza spirituale.

Bene, osservate la composizione nella immagine sottostante.

Neurodesign
At Rest, Wassily Kandisky, 1942

Si tratta di un Porto sul mar Baltico, forse Odessa. Kandinsky sosteneva di aver raffigurato una qualità percettiva del porto che lo aveva impressionato ovvero la “tranquillità”.

Personalmente faccio fatica a sentire la “tranquillità” come centrale per la composizione. È vero che l’impressione di ordine è tangibile come del resto lo sono le forze dinamiche.

Tuttavia sappiamo da alcune lettere che nello stesso periodo un altro grande artista. Paul Klee, suo amico e collega al Bauhaus aveva raffigurato lo stesso Porto che vi presento nell’immagine che segue:

Neurodesign

Penso di poter sostenere, vista l’entropia visiva della sua composizione, che Klee non fosse partecipe del sentimento provato dall’amico. Tuttavia se tengo sullo sfondo l’immagine di Klee, comprendo cosa intendeva Kandinsky, e persino la mia fruizione cambia e il sentimento di “tranquillità” sembra appropriato.

Cosa voglio dire con questa specie di apologo? Se si prende in considerazione il contesto, in questo caso il fatto che Kandinsky conoscesse l’interpretazione di Klee, le relazioni qualitative che emergono dagli elementi in gioco, cambiano.

Per ritornare al Neurodesign, a me pare che per presentarsi in modo assertivo (che diamine! Parliamo del funzionamento del cervello come lo descrivono gli scienziati!), si narcotizzino spesso i contesti che caratterizzano le informazioni complesse (troppo rischiose) e i vari livelli dell’analisi.

Estrapolare un sapere dogmatico da esperimenti su soggetti che spesso hanno addosso dispositivi di controllo ingombranti facendo finta che le modalità stesse della situazione non modifichino la normale risposta percettiva, a me sembra particolarmente ingenuo. Certo capisco che è una scelta obbligata rendere partecipe la cavia al contatto con le tecnologie di Brain Imaging. Se vogliamo la misurabilità e la visualizzazione dei processi interni al cervello, lo scotto da pagare è una certa distorsione percettiva che va calcolata. Sono convinto che gli scienziati conoscano benissimo questo problema e le possibili soluzioni.

Ma questo argomento dovrebbe convincere gli utilizzatori dei dati ad essere oltremodo prudenti nelle correlazioni e nelle generalizzazioni.

I contesti contano; la reazione in un laboratorio non può essere identica a un’esperienza nella vita reale: cambia l’assetto percettivo e probabilmente le nostre reazioni risultano più sfumate.

 

Quadretto finale

 

Per lungo tempo, scienziati e pensatori, non hanno attribuito molta importanza ai sentimenti. Il problema che li allontanava era rappresentato dalla difficoltà di spiegare misurare con rigore ciò che proviamo e sentiamo.

Con le Neuroscienze abbiamo trovato modi ingegnosi per osservare il funzionamento delle emozioni a livello del sostrato biologico dei processi mentali. Abbiamo capito che esistono centri di controllo che, senza l’ausilio della piena coscienza, pianificano il processo che da una percezione o una sensazione mette in movimento il corpo. Da questo punto di vista non apparirebbe improprio l’utilizzo del concetto di algoritmo per descrivere i fenomeni emozionali.

Noi bipedi parlanti ci distinguiamo da tutti gli altri esseri viventi per aver creato un mondo incredibilmente ricco di oggetti, di pratiche, di conoscenze.

La scuola ci ha abituato a concepire tutto ciò come il prodotto della mente e dei suoi strumenti più importanti ovvero i linguaggi.

Le Neuroscienze hanno allargato la nostra visione sulle attività umane, sia quelle inconsce e sia quelle più sofisticate. Ma soprattutto ci hanno fatto capire che anche attività complesse, tra le quali colloco le euristiche del Design, iniziano dai sentimenti, dalle emozioni o almeno traggono da essi informazioni sostanziali che ci permettono di descrivere la creatività anche a partire dalle nostre percezioni interne. Dunque è senz’altro positivo che il Design, sulla scorta delle Neuroscienze, in tutte le sue espressioni cominci a pensarsi come una attività umana immersa nel biologico. Senza però dimenticare che noi non siamo solo reti di neuroni che esplodono illuminando parti dello schermo di un computer. Siamo esseri che per vivere esplorano ambienti, si interfacciano con un mondo che sembra detestare la semplicità.

Come la biologia dialoga e aiuta le nostre culture a prosperare è forse uno degli interrogativi più affascinanti del nostro tempo.

Proprio per questo dovremmo capire con precisione le risposte provvisorie che ci arrivano da esperimenti, riflessioni, calcoli che spesso ci presentano un ordine di fatti lontano dalle osservazioni ordinarie. Stabilire di colpo la veridicità di ogni correlazione e generalizzazione rese possibili dallo “strano ordine di fatti” che emerge dall’analisi neuroscientifica, sembra un azzardo.

Non c’è dubbio che le attuali tecnologie neuro, ci permettono di misurare con più precisione, forse più in profondità, l’impatto di uno spot o di un oggetto di design sul pubblico.

Ma non si dovrebbe sottovalutare che la scientificità di questa misura viene ottenuta in laboratorio grazie a un pubblico insignificante come numero e con tecniche/tecnologie che alterano l’assetto percettivo in formato ambiente. I comportamenti di un cluster di qualche decina di persone sono molto diversi da ciò che emerge dall’interazione di un milione di individui.

Infatti quando cambiano il contesto, le dimensioni, il numero delle interazioni…e gli oggetti o le persone interagiscono in assetto ambiente ordinario, l’ingaggio percettivo con ciò che li circonda o che attiva la loro attenzione, può subire notevoli cambiamenti rispetto ai test compiuti in laboratorio; in ambienti stranianti il fascio di percezioni e le emozioni che traducono per il corpo l’esperienza sottoposta ad osservazioni, possono ricevere, proprio a livello biologico, una diversa modulazione. Senza contare che le interferenze sulle nostre percezioni delle strutture emergenti del cervello che chiamiamo ricordi, conoscenza, sapere, rendono fluida l’esperienza percettiva e spesso ne cambiano senso o traiettoria.

Il Neurodesign esprime una tensione giusta verso forme di creatività ispirate dalla costante crescita delle informazioni su “noi stessi”, sulle nostre azioni, quando siamo colti lungo la linea di confine tra natura e cultura.

È una tensione che condivido. Non condivido invece la confusione di scala tra biologico e processo culturale. Il sostrato biologico del sistema mente/cervello, sottoposto allo sguardo intrusivo della scienza ha il suo assetto provvisorio che discende dalle scoperta di regole di funzionamento dei suoi organi ed elementi che per convenzione, diventano rigide e universali (fino a prova contraria).

I processi culturali non possono avere regole o definizioni rigide. Con la cultura entriamo nel regno delle regolazioni. Avere la regolazione giusta, di un arredo, di una immagine, di un look…Ecco un obiettivo che può strappare il Neurodesigner dalla cieca condiscendenza a mode culturali ammantate di scienza e collocarsi là dove il biologico aiuta il suo lavoro a prosperare.

Lamberto Cantoni
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136 Responses to "Neurodesign"

  1. Siria Vaselli   18 Gennaio 2021 at 15:00

    Penso che il neurodesign come il neuromarketing e la neuroeconomia siano aspetti curiosi che si stanno districando e scoprendo ultimamente, legati appunto ad una maggiore coscienza e conoscenza di noi stessi.
    Sono sicuramente studi settoriali ovvero che si avvalgono di un determinato numero di persone campione. Già questo definisce credo l efficacia di un esperimento perché la scelta dei campioni credo definisca infinite variabili di risultato se si considera fasce di età differenti, culture diverse, zone geografiche distinte, sesso ecc.
    Tutto questo perché siamo persone, esseri viventi con un cervello sviluppato che ha un pregresso sociale e culturale che dipende da migliaia di fattori diversi. Alcuni sono puramente caratteriali e credo difficilmente sperimentabili per avere una visione collettiva unificante.

    Questi studi servono non per delineare una lista di regole da seguire indistintamente per qualsivoglia scopo (economico o di design che sia) ma delineano comportamenti o reazioni comuni tra soggetti similari.
    Nella comunicazione è fondamentale tenere conto del ricevente del messaggio che deve essere studiato prima di propinargli un qualunque messaggio; va studiato anche il mezzo con il quale si comunica, che è di fondamentale importanza.
    Credo che questi studi possano dare una sorta di linea guida generica che si può liberamente scegliere di seguire o di evitare totalmente.
    Prendiamo alla cromoterapia. È caratterizzata da studi percettivi emozionali che scaturiscono difronte a determinate cromie e che hanno generato una sorta di conoscenza comune riguardo l’uso dei colori ed i suoi effetti.
    È ovvio che creando per es una comunicazione sui toni del blu si sappia che puntiamo al lusso, all’affidabilità e alla calma e sicurezza ma vi sono persone che possono associare il blu alla tristezza e a un senso di freddezza che diventa scomodo e ostile.
    Questo perché siamo esseri soggettivi eterogenei principalmente ma con elementi omogenei per natura.
    Credo che non si potrà mai definire una regola o uno studio unificato che decodifichi in modo univoco e unilaterale i nostri pensieri,emozioni e sensazioni legate ad un qualcosa di tangibile e non; perché siamo troppo articolati e diversi per poter creare un livello guida generico.
    Ma possiamo utilizzare tali studi a scopo informativo e cosciente sapendo che gli studi ed esperimenti realizzati sono stati applicati ad un determinato gruppo di persone con altrettante caratteristiche che hanno dato come risultato un certo studio.
    Se i nostri riceventi combaciano con tale gruppo allora è molto probabile che tener conto di quegli studi possa aumentare l’efficacia di ciò che realizziamo.
    Non dobbiamo renderci omogenei e cercare di assomigliarci gli uni agli altri, dobbiamo semplicemente capire come comunicare in modo univoco e farci capire poi si spera di condividere gli stessi pensieri ed emozioni ma non ne saremo mai sicuri al 100%.
    Dobbiamo puntare su quello che ci accomuna per natura e il bello sarà appunto avere un messaggio chiaro capibile per chiunque nonostante la nostra eterogeneità.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto   21 Gennaio 2021 at 16:20

      Una volta erano curiosità, oggi sono i saperi più di moda tra le aziende.
      Sono d’accordo con il tuo intervento.

      Rispondi
  2. Silvia Pedrelli   18 Gennaio 2021 at 17:37

    Nonostante le attuali informazioni sull’argomento non siano ancora esaustive, parliamo di uno studio che ha sempre affascinato l’umanità, dagli artisti che attraverso l’uso del colore hanno da sempre cercato di comunicare sensazioni (dal rosso Tiziano al blu Klein), al marketing di oggi, dove per rendere efficace la vendita dei prodotti diventa sempre più importante l’utilizzo del colore sia per rendere il prodotto identificabile (come nel caso di Tiffany), sia quando ha il compito di caratterizzare una determinata impresa (come il rosso Valentino) rendendo i prodotti comunicativi più efficaci.
    Ovviamente non siamo tutti uguali, gli studi di Neurodesign non sono legge, è quindi possibile constatare in differenti persone una differente percezione. Continuando a prendere in analisi come esempio la percezione del colore, essa può suscitare diverse emozioni in diverse persone, ma può anche creare differenti emozioni nello stesso individuo variando a seconda dell’umore, generando quindi un significato emotivo che influenza percezione e pensiero.
    Le ipotesi provenienti dal Neurodesign, come ribadisco, non sono legge ma possono essere funzionali per creare linee guida comuni per la maggior parte delle persone, per avere una comunicazione univoca, qualcosa che ci accomuni.
    Diventa quindi sempre più essenziale per il design tenere conto di queste ricerche, non solo del gusto o della moda, lavorando quindi sugli oggetti ma anche sulle persone, ponendo lo spettatore al centro. Come afferma il designer Frank Chimero «Le persone ignorano il design che ignora le persone».

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto   22 Gennaio 2021 at 03:07

      Interpretazione interessante, ma ricordati che la scala utilizzata dalle neuroscienze non è la persona ma il neurone. Forse arriverà il giorno nel quale il Chimero di turno pontificherà più o meno così: le persone ignorano il design che ignora i neuroni. Per ora non è possibile affermarlo.

      Rispondi
  3. Sofia Toccaceli   18 Gennaio 2021 at 18:48

    A mio avviso i dogmi indiscutibili delle neuroscienze sono appunto da prendere con le pinze, essendo praticamente sempre volti a studi sviluppati in ambito di maggioranza. Infatti sono d’accordo nel dire che le diverse culture sono una variante fondamentale che può destabilizzare
    le teorie che ci propongono.
    Presumo che i neuroscienziati in sè sfornino ogni teoria con una mano sul fuoco e l’altra dentro una bacinella d’acqua, in quanto sono in ogni modo un ambito ancora nuovo per quanto possa essere preciso.
    Tuttavia tali parametri non si possono ignorare se oggigiorno si vuole lavorare nel design e nel marketing… i quali soprattutto sono campi che tengono ben aggiornati quando si parla di una soluzione che può aiutare a catturare in maniera più vantaggiosa ed immediata possibile il consumatore universale.
    E’ ovvio a parer mio che infatti ognuno di noi sia catturato maggiormente da impulsi sinestetici che implichino un’emozione… se non ci fosse l’empatia e la ricerca del benessere nell’uomo, cos’altro farebbe si che esso lo fosse?
    Certe persone per esempio si possono sentire identificate nel look di Vivienne Westwood che appare nell’articolo, io invece diversamente mi trovo a disagio solo nel guardarlo.
    Non esisterebbero le mode se non ci fossero diversi generi di sensibilità nella popolazione.
    Con il termine “benessere” direi che si va a toccare un concetto molto delicato; la nascita di nuovi parametri non significa che allora non si cercasse nei prodotti ed il design precedenti di unire la funzionalità con l’estetica. Sono però entrati in campo nuovi layout visivi che si sviluppano e si regolano verso una via sempre più efficace e sintetica possibile.
    Con ciò intendo che lo studio neuroscientifico, indagando i parametri migliori per il coinvolgimento della mente umana, sta portando i campi del design e del marketing in territori con potenziali di fruizione mentale più veloce ed impattante possibile. Questo non significa però che essi siano universali e di piacere comune, sono quindi delle generalità percettive convenzionali.

    Rispondi
  4. Lucia Morigi   19 Gennaio 2021 at 14:14

    Il neaurodesign, quindi, è una disciplina che applica le ricerche delle neuroscienze e della psicologia per creare nuovi tipi di design più efficaci. Basandosi sulle neuroscineze quindi ci si aspetta che questa sia una disciplina abbstanza esatta, ma quando di parla di mente e emozioni, anche a livello neuronale, non so quanto si possa essere esatti. Non perché non credo nel “potere della scienza” ma più che altro è il fatto che l’uomo è essenzialmente imprevedibile. Tutti noi abbiamo una storia, abbiamo desi trascorsi, abitudini e contesti sociali diversi, che complicano il modo in cui noi vediamo il mondo. Ma in realtà l’uomo si fa trasportare dal caso e all’irrazionalità.
    Alla fine, parliamo di processi che coinvolgono la vendita e quando si parla di economia e dell’essere umano, al diffusori dei sentimenti, si ha per la maggiorate delle volte, delle scelte guidate dal’irrazionalità, che in parte provengono dia culture, usi e costumi diversi.  In primis gli stereotipi culturali diffusi nel mondo in cui parliamo, è emerso infatti che i racconti e perfino le canzoni rinforzano questa tendenza; poi vediamo che l’irrazionale genera una sorta di eccitazione che rinforza questa tendenza, oppure che pensando irrazionalmente si possano ottenere vantaggi a breve termine. Questo ci può far capire quanto sia difficile decifrare o andare a predire il comportamento che potrebbe avere una persona, difronte ad un’oggetto, un’azione o contesto.

    Rispondi
  5. Beatrice Ricci   19 Gennaio 2021 at 16:13

    L’essere umano fin da epoche più remote ha sempre avuto la necessità di enunciare sistemi simbolici condivisi a cui fare riferimento e riconoscersi, come ad esempio icone, religioni, convenzioni morali e comportamentali ecc..; Questo bisogno intrinseco nell’uomo con l’avvento di nuove tecnologie, scambi commerciali e di informazioni si è amplificato notevolmente portando, di conseguenza, alla standardizzazione di questo fenomeno.
    Ora come non mai è evidente come l’industria, il mercato e il design abbia fortemente influenzato il nostro modo di pensare e percepire le cose negli ultimi secoli, spingendoci sempre di più verso l’uniformazione; non a caso oggi, essendo abituati all’industria ed a prodotti tutti uguali, dinanzi ad una merce che presenta anche un solo piccolo difetto estetico siamo portati a pensare che quell’articolo non funzioni bene come gli altri, anche se magari non è così, e lo lasciamo lì a favore del prodotto che non presenta alcun effetto di fabbrica.
    Per questo motivo studiare i comportamenti umani della società di massa è diventato fondamentale per creare qualcosa di successo all’interno di un mercato ormai saturo, globalizzato con una concorrenza spietata.
    Il Neurodesign all’interno di questo contesto si è rilevato un’importante risorsa per poter creare qualcosa in grado ottenere successo e di incrementare le vendite nel mercato mediante lo studio di meccanismi neuronali che condizionano positivamente la nostra risposta ad un determinato prodotto e ci spingono a sceglierlo rispetto ad un altro.
    Al fine di comprendere al meglio i comportamenti delle persone il web si è rivelata un’altra risorsa fondamentale dove raccogliere dati per poter studiare strategie e prodotti ad hoc per determinate fasce di popolazione; si è infatti visto che miliardi di utenti usano applicazioni e social network, fornendo dati preziosi per numerose aziende.
    Altrettanto interessante per lo sviluppo e l’efficacia commerciale di determinati prodotti o servizi digitali è stata la scoperta del meccanismo che si innesca nella mente umana quando si utilizzano interfacce digitali; infatti, come ha dichiarato Nicholas Kardaras, uno dei maggiori esperti americani nella cura delle dipendenze, applicazioni, social network ecc sono in grado di creare dipendenza portando le persone a farne un consumo sempre più ossessivo a causa della dopamina che porta una sensazione di appagamento nelle persone mentre usufruiscono di queste tecnologie.
    Nonostante ciò bisogna comunque tener conto che gli studi neurologici e comportamentali sono utili fino ad un certo punto poiché bisogna anche tener conto all’immaginario collettivo ed al regime percettivo della determinata epoca in cui viviamo, poiché quello che per noi adesso funziona magari nel futuro no, quindi è fondamentale tenere presente della società e della storia in quanto il tempo e il luogo sono in grado di cambiare radicalmente il modo in cui un pezzo di popolazione pensa.

    Rispondi
  6. Alice Colombari   19 Gennaio 2021 at 16:54

    Secondo Bridge, il neurodesign “è una nuova disciplina che applica le intuizioni delle neuroscienze e della psicologia per creare nuovi tipi di design più efficaci”.

    Oggi il designer oltre alla sua esperienza, può avvalersi dell’aiuto di queste nuove neurosceinze (neuromarketing e neurodesign), poiché gli consentono di fare previsioni sul comportamento al consumo della gente.
    È fondamentale attirare l’attenzione di utenti distratti continuamente da migliaia di stimoli continui che li circondano; il designer in un quale modo deve riuscire a trovare una soluzione per catalizzare l’interesse e allo stesso tempo entrare nella mente degli utenti, riuscire a far imprimere i suoi pensieri nei suoi fruitori.
    In linea di massima è possibile conoscere ciò che rende un prodotto o un brand piacevole o meno agli occhi dello spettatore. Oggi, si tende a puntare su simmetria, equilibrio e armonia, proprio perché percepiti positivamente dal cervello. Tuttavia, non possiamo generalizzare ‘il potere anti infiammatorio della bellezza’, proprio perché quest’ultima, risulta essere soggettiva ad ogni utente.

    Rispondi
  7. D.TAURO   22 Gennaio 2021 at 14:05

    Leggendo questo articolo è evidente che si parli di uno studio che ha sempre affascinato un campo vasto, in ambito artistico e non solo. Il neaurodesign, è una disciplina che applica le ricerche delle neuroscienze e della psicologia per creare nuovi tipi di design più efficaci. Infatti è stata trattata in vari ambiti artistici , per esempio nel mondo del design, della moda, dell’arte, della psicologia della medicina ecc..

    Sostengo che sia evidente che il colore funge da sempre un ruolo importante. Non a caso il colore è considerato un elemento importante in ambito artistico, psicologico e non solo. Faccio un esempio banale, nell’ambito artistico, basta guardare Picasso un’artista noto per i suoi dipinti il quale ha attribuito un ruolo importante al colore, infatti alcuni periodi della sua vita sono caratterizzati dal colore. I famosi ‘’periodi’’ di Picasso. Il periodo Blu, Il periodo Rosa. Un altro esempio banale, è un esempio nell’ambito medico, non a caso i camici dei chirurghi e dei infermieri sono verdi perché il sangue è rosso.! Infatti, il rosso è un colore che balza all’occhio; questo significa che il cristallino deve compiere una manovra di messa a fuoco per vederlo. Tale operazione, del tutto involontaria, fa sì che il colore permanga sulla retina per molto tempo. E in effetti l’attenzione del cervello è magnetizzata da questo colore che, proprio per questo motivo, è stato considerato importante e “autoritario” da molte culture. Non a caso il rosso è il colore del semaforo o di qualunque altro segnale che deve richiamare l’attenzione, ma anche quello del mantello di cardinali e re. A differenza del rosso, il verde viene invece focalizzato dal cristallino dell’occhio proprio sulla retina e quindi senza nessun particolare sforzo. Dunque il verde è un colore che non affatica la vista. Nelle sale operatorie i camici di chirurghi e infermieri, e i teli che coprono i pazienti, sono verdi proprio perché fanno scomparire quell’”immagine residua” che viene creata dal rosso del sangue sulla retina. Se si usassero stoffe bianche, gli addetti continuerebbero a vedere insistentemente le macchie di sangue anche staccando lo sguardo dalla ferita. E questo disturbo renderebbe più faticoso il loro lavoro. Il bianco, indice di pulizia, è riservato invece alle infermiere.

    Dopo aver affermato tutto ciò ritengo che il neurodesign infatti ha varie opinioni e ideali, ma nessuno possono essere considerate veritiere o sbagliate. Per questo motivo, ritengo importante l’approfondimento sullo studio del neurodesign, e ritengo che per il design questo concetto sarà sempre più essenziale.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   23 Gennaio 2021 at 16:46

      Interessanti notazioni sulla percezione dei colori. Un tema sul quale ci interroghiamo da sempre, senza aver trovato una teoria generale che soddisfi tutti.

      Rispondi
  8. Rebecca Rizzo   24 Gennaio 2021 at 11:46

    Sono dell’idea che gli approcci scientifici non vadano ad inibire la creatività, anzi siano una nuovo modo di affrontare il mercato, da quello dell’economia fino a quello del design. Danno una visione diversa delle strategie di marketing, lavorano sull’inconscio e sulla memoria aprendo le strade per un nuovo approccio basato sulla percezione e la persuasione. Si sottolinea la differenza tra sentimenti ed emozioni, tra stereotipi ed archetipi. Al giorno d’oggi parliamo anche di neurobranding, ovvero quell’attività di posizionamento di un prodotto o di un servizio nel cervello del cliente attraverso le tecniche di neuromarketing. Si usano i principi delle neuroscienze per comunicare al meglio ai consumatori l’identità di marca di un brand e per modellare il comportamento degli acquirenti. Ovviamente penso che le neuroscienze non debbano essere prese come “comandamenti”, bensì come una base teorica necessaria dalla quale iniziare perché è sempre importante usare anche il proprio intuito, le proprie esperienze personali, … questo perché di fatto siamo anche noi per primi consumatori.
    Ad ogni modo, le neuroscienze sono una branca destinata ad espandersi ed a diventare fondamentale ed in quanto tale, come in ogni cosa, bisogna trovare il giusto connubio tra creatività e scienza.

    Rispondi
  9. Aurora Verdone   24 Gennaio 2021 at 16:44

    A mio avviso, pensare di poter stilare delle regole universali per prevedere la reazione di un certo pubblico ad un prodotto è un’utopia. Al massimo, quello che si può fare è influenzare la percepzione del pubblico fino a renderlo preparato ad accogliere quel prodotto con una reazione aspettata.

    Le arti visive, ma anche il design, sono una “droga ad assuefazione” come diceva Duchamp. Somministrando un nuovo concetto ad un gruppo di persone le si può spingere, prima a piccole dosi e poi a frequenza sempre maggiore, ad accettarlo come normale e perfino a trovarlo di gusto, nonostante all’inizio possa essere totalmente straniante, sbagliato o disgustoso. è in questo modo che Duchamp ha segnato l’inizio dell’arte contemporantea, facendo credere ad un intero pubblico di persone in visita ad un museo che un semplice scolabottiglie potesse essere visto come vera e propria opera d’arte con un valore economico.

    Questo può verificarsi soprattutto perché a noi umani il cambiamento in un modo o nell’altro piace, come una boccata d’aria fresca. Anche se all’inizio può essere traumatico, alla fine si finisce sempre per adattarsi, per un naturale “spirito di sopravvivenza”. Per questo motivo per esempio i designer che hanno introdotto l’asimmetria nei loro lavori sono diventati popolari, nonostante si pensi che la simmetria sia l’apice della bellezza. Perché alla fine tutto viene a noia e diventa stagnante, senza un nuovo stimolo e l’azzardo di nuove idee mai provate prima. e l’asimmetria, rispetto alla simmetria rappresenta un cambio di stimolo notevole, che spinge i nostri sguardi in un movimento continuo, dinamico, che inizialmente sembra disordinato, ma che alla fine delinea pur sempre un nuovo tipo di ordine.

    Rispondi
  10. Antonio Bramclet
    Antonio   24 Gennaio 2021 at 18:42

    Sono d’accordo con la citazione di Taleb. Non ho letto il suo libro ma ritengo sia giusto definire “pseudobubbole” gli esempi di Neurodesign citati nel testo.
    Che la tavola circolare possa essere un simbolo di un’unione, condivisione, lo sapeva anche Re Artù che non mi pare leggesse di neuroscienze. Gli angoli vengono percepiti dal cervello come incitamento a interazioni conflittuali? Non lo so, effettivamente se dovessi disegnare un simbolo di conflitto tratteggerei un cuneo e non un cerchio. Ma lo farei per cultura, credo più che per biologia.

    Rispondi
  11. Federico Battistoni   25 Gennaio 2021 at 12:26

    Il neuro design quindi è una nuova disciplina che applica le intuizioni delle neuroscienze e della psicologia per creare nuovi tipi di design più efficaci per far coincidere le sensazioni e i pensieri degli utenti nella loro esperienza con un oggetto con quello che il designer voleva effettivamente suscitare.
    il neurodesign quindi sfrutta il modo con cui il cervello processa gli stimoli visivi per prendere delle decisioni.
    Ma quanto possiamo affidarci al neurodesign e le neuroscienze? Il cervello é una macchina molto complicata e soggettiva, con miliardi di impulsi, doversi l’uno dall’altro. Ogni singolo soggetto ha vissuto esperienze e sensazioni diverse, quindi per quanto puó essere precisa la neuroscienza, non potrá mai essere perfetta, a meno che, per ogni soggetto vado a studiare ogni singola sensazione e come lavora il suo cervello. Quindi secondo me, la neuroscienza e il neurodesign lavora sul generico e non sul singolo.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto   27 Gennaio 2021 at 06:51

      Con il tuo intervento hai fatto emergere questioni importanti. Siamo liberi di scegliere? Esistono le preferenze individuali oppure sono solo una illusione? Quanto conta, per le logiche del design, ciò che ci divide dagli altri, rispetto al dato biologico che omogenizza le singolarità?

      Rispondi
  12. Veronica   28 Gennaio 2021 at 12:38

    Secondo me, in alcuni ambiti “la legge non può essere uguale per tutti”.
    Nell’ambito delle discipline artistiche è impensabile trovare regole per prevedere la reazione dei fruitori, ma si può lavorare sulla suggestione e la percezione andando a calcare un po la mano.
    Il neurodesign sfrutta il modo con cui il cervello processa gli stimoli visivi per prendere le decisioni, ad esempio di fronte ad un oggetto la prima cosa che un essere umano percepisce è il colore poi successivamente la forma e il suo significato, ma esso è percepito da ogni individuo in modo diverso, in base al proprio background culturale.
    Per alcuni il nero è un colore elegante e raffinato, per altri è un colore negativo e triste;
    Ad oggi è molto complesso attirare l’attenzione dei fruitori perché siamo bombardati tu colori, suoni, immagini e forme e tutto ciò ci distrae.
    Ci sono però alcuni brand che hanno creato un impero sulla propria cromia, tra i più famosi abbiamo il color Tiffany, il rosso Ferrari, il rosso Valentino, il rosso Coca Cola, il giallo Post-It, il rosa Schiaparelli e così via.
    Le scelte cromatiche dei brand vanno lette con attenzione perché ogni nuance di colore ha un significato preciso e contiene un messaggio, non si tratta quasi mai di vezzo, ma di una scelta consapevole e motivata dalle strategie di marketing.
    Da poco abbiamo assistito al cambiamento del packaging di Barilla, che ha voluto utilizzare una tonalità di blu più “Italiana”.

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  13. Paolo Teodonno   30 Gennaio 2021 at 16:24

    Percepiamo il mondo e gli oggetti attorno a noi attraverso il nostro corpo, che interpreta le sue percezioni e costruisce significati.
L’uomo però non è un osservatore distaccato dal mondo.
    La visione fornita dalle scienze sottolineano l’idea di oggettività, affermando che le caratteristiche dell’osservatore non entrano nella descrizione dell’osservazione.
    Questa è una corrente predominate nel mondo accademico, essa è molto utile a livello operativo, ma non è vera.
    Ognuno vive una propria realtà diversa da tutte le altre e percepirà l’ambiente intorno a sé in modo unico e diverso dagli altri, la percezione non è un’accoglienza passiva di informazioni, ma è una vera e propria attribuzione di significato: quando percepiamo, interpretiamo il mondo che ci circonda a partire da ciò che siamo, dal nostro vissuto, dalla nostra cultura e da tantissimi altri fattori.
    Un esempio che potrei fare è come un sopravvissuto ad un conflitto, che ha riportato in seguito disturbi da stress post-traumatico, potrebbe percepire immagini relative ad una guerra, rispetto ad una persona che non ha mai provato sulla sua pelle gli orrori di essa. (Quest’ultima potrebbe al massimo provare ad immedesimarsi in un’altra visione diversa dalla sua).
    Le esperienze passate e uniche, andranno appunto a modificare la propria percezione del mondo.
    Ricollegandomi al Neurodesign e al Neuromarketing, quindi, li considererei dei metodi di approccio al design e alla vendita generalisti, da non prendere come verità assolute, poiché ci sono troppi fattori da tenere in considerazione e che variano da persona a persona, per stilare una linea guida precisa su come debba essere realizzato un oggetto di design o venduto e che corrisponda ad una percezione “universale” di esso.

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  14. Sara Mascherucci   17 Febbraio 2021 at 14:20

    Le Neuroscienze hanno allargato la nostra visione sulle attività umane, sia quelle inconsce e sia quelle più sofisticate. Ma soprattutto ci hanno fatto capire che anche attività complesse, tra le quali colloco il Design, iniziano dai sentimenti, dalle emozioni.
    I graphic designer da sempre hanno usato la loro intuizione nella creazione di progetti e hanno tentano di comprendere quale fosse la forma migliore per raggiungere il cliente, ma il neuro-design è in grado di dare molte informazioni progettuali che hanno una valenza scientifica. Non sono guidate dal soggettivismo del “a me piace così” ma dal pragmatismo delle ricerche sulla decodifica del mondo esterno da parte del nostro cervello.
    La maggior parte dei brand si avvale, per il proprio logo e i prodotti da vendere, di un colore preciso, a seconda del tipo di emozione che intende comunicare. Difatti i colori possono trasmettere impressioni emotive diverse e tra loro distinte; non c’è da stupirsi che la Apple abbia scelto per il suo logo e per i suoi prodotti una commistione cromatica di bianco e grigio, i quali denotano professionalità e trasparenza.
    Ma tutte le emozioni e sentimenti sono percepiti allo stesso modo da ogni individuo ?
    io credo di no, ognuno ha un proprio bagaglio e interpreta le emozioni e sentimenti in modo diverso. A mio parere esistono delle preferenze individuali che possono essere soggettive per tanti fattori; al giorno d’oggi chi pensa in modo diverso viene spesso messo in discussione perciò tendiamo ad essere tutti uguali e coloro che la pensano diversamente rimangono una minoranza.

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  15. federica forte   18 Febbraio 2021 at 14:15

    “Dei tempi che stiamo vivendo non può venire di certo a meno l’impatto di informazioni esterne su noi stessi…”. Le ricerche dei neuroscienziati hanno dato la possibilità, fino ad oggi, di conoscere dati su come lavora il nostro cervello. Per quanto riguardano gli studi delle Neuroscienze in merito al Marketing e alla comunicazione emergono correlazioni tra i dati che essi propongono e il lavoro dei professionisti finalizzato a decisioni strategiche, tanto che grazie a due neurologi é stato possibile compiere alcune ricerche sulle aree cerebrali interessate alla fruizione artistica.
    Con il passare dei decenni, proprio tali ricerche hanno permesso di arrivare fino a stabilire se un prodotto o un brand piacerà allo spettatore. Prendendo come esempio alcuni designer, le Neuroscienze vanno a implementare quello é il processo creativo di un individuo, utilizzando dati di conformità che vanno a concretizzare le prime fasi di lavoro raggiungendo l’intenzione di quel brand/oggetto. Il risultato può dimostrarsi efficace, sia a livello percettivo e di benessere di chi lo guarda.
    Le Neuroscienze propongono canoni che possono facilitare la percezione di ciò che si a di fronte, ma non necessariamente compiono qualcosa di assoluto e controllabile. Non é certamente possibile che le reazioni emotive coincidano sempre con i loro risultati di ricerche effettuate.
    Grazie alle Neuroscienze abbiamo scoperto però, il sofisticato meccanismo che sta dietro alle emozioni, che nell’essere umano é il protagonista di una prima analisi percettiva.

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  16. Silvia Savioli   22 Febbraio 2021 at 09:29

    A livello neuroscientifico, il neurodesign sfrutta il modo con cui il cervello processa gli stimoli visivi per prendere delle decisioni. Negli esseri umani, la percezione avviene attraverso un sistema gerarchico in cui si passa necessariamente dal lobo occipitale per avere poi una distribuzione degli stimoli al resto del cervello. Di un oggetto, per prima cosa il cervello percepisce il colore. La conoscenza dei meccanismi della percezione si rivela, a questo riguardo, decisiva. Il supporto delle tecniche di imaging cerebrale, permettono di localizzare con precisione le singole aree del cervello attive nell’esperienza del bello. Determinate qualità estetiche attivano sensazioni piacevoli, comuni a molti di noi perché il nostro cervello è organizzato secondo strutture molto simili.
    A tal riguardo, farò riferimento a Frank Chimero, designer che ha compreso l’importanza di progettare inserendo l’utente al centro del processo. Questo comporta anche capire cosa provano le persone quando fanno uso di un determinato prodotto o quando vedono e aprono un packaging. Le emozioni che il designer intende suscitare corrispondono veramente a quello che prova l’utente? L’applicazione delle neuroscienze al design, può essere utile ai professionisti poichè fornisce interessanti spunti riguardo all’ottimizzazione del design di packaging e di prodotti. Per esempio, quali caratteristiche portano un prodotto a essere decodificato come esteticamente “bello” dal nostro cervello?
    A mio avviso c’è un concetto chiave che deve essere tenuto in considerazione, quello della multisensorialità. L’esperienza del fruitore avverrà sulla base di una serie di stimoli sensoriali diversi che possono essere di natura visiva, tattile o olfattiva. Il tutto però, dipende anche da emozioni e sensazioni che il prodotto è in grado di suscitare nell’utente. Un progetto di design deve essere riconosciuto sul piano intellettuale, ma deve soprattutto attivare uno sguardo inedito della realtà, deve emozionare, anche creando scompiglio.

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  17. mauri   22 Febbraio 2021 at 16:51

    Mi sorprende la messa in discussione della simmetria come principale indiziata della bellezza. Pensavo fosse qualcosa di confermato dalla scienza. La moda del neurodesign non mi sorprende. In ogni epoca il sapere dominante ha travalicato i suoi confini invadendo le altre discipline. Sono d’accordo anche nel sostenere che quasi sempre le invasioni di campo non portano da nessuna parte.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   23 Febbraio 2021 at 18:26

      In effetti, per molti scienziati, la natura sarebbe portatrice di un suo stile artistico le cui caratteristiche sarebbero fondamentalmente due: 1. La simmetria, ovvero l’amore per l’armonia, l’equilibrio e la proporzione; 2. L’economia, ovvero la propensione alla sovrabbondanza di effetti con mezzi limitati.
      Secondo lo scienziato (premio Nobel) Franck Wilczeck i principi che regolano il funzionamento dei processi naturali avrebbero un legame con la bellezza.
      Il suo libro “Una bellissima domanda” è dedicato a presentare questa struttura profonda dei fenomeni naturali, nella quale emerge la bellezza simmetrica.
      Personalmente non sono convinto dell’enfasi data dall’autore ad una qualità dell’esperienza quant’altro mai soggettiva e dinamica. Io vedo un mondo dominato da imperfezioni, cioè da qualcosa che oltraggia la bellezza statica, costringendoci ad intervenire sui modelli immaginati corrispondere a fenomeni in sostanziale mutamento. Senza creatività cioè la messa in discussione del provvisorio, la bellezza evapora. Quindi sostengo che simmetria, equilibrio e ordine non spiegano tutto della bellezza.

      Rispondi
    • enzo   25 Febbraio 2021 at 08:38

      La simmetria è bellezza. Non è banale trovare prove di una sua base biologica.

      Rispondi
      • anna   25 Febbraio 2021 at 12:05

        bellezza = simmetria, armonia e ordine. Non c’è molto altro da dire. La codifica nei neuroni è del tutto prevedibile.

        Rispondi
  18. james   24 Febbraio 2021 at 19:16

    Le pseudo regole del neurodesign elencate nell’articolo sono più che altro intuitive. Non c’è bisogno di analizzare il cervello per capire che uno spazio decorato con piante verdi rasserena e ci dà equilibrio. Così come certi colori e luci ci danno la sensazione di ordine. Penso anche che questo genere di percezioni sia molto personale e che sia difficile enunciare regole generali valide per tutti.

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  19. Lamberto Cantoni
    Lamberto Cantoni   25 Febbraio 2021 at 19:54

    Wittgenstein nelle Ricerche filosofiche (pubblicate nel 1953) si chiedeva se potevamo generalizzare le nostre sensazioni a quelle di altre persone. Egli ammetteva che ciascuno di noi ha esperienze emotive e percettive, ma negava che potessimo descriverle cioè generalizzarle con il linguaggio ordinario. Insomma per dirla con la sua terminologia, i giochi linguistici privati non sono possibili, anche se possiamo riferirci con profitto a oggetti esterni. Noi non possiamo parlare di mondi interni privati…possiamo solo, con le parole, modellare stati del mondo. Le nostre sensazioni hanno significato solo in termini di comportamento.
    Con le neuroscienze abbiamo la possibilità di osservare con precisione cosa succede nel nostro cervello sottoposto a stimoli. Ora,immaginiamo di avere davanti agli occhi la mappatura dell’attivazione neuronali configurata dal neuroscienziato. Possiamo sostenere di aver risolto il problema della coscienza? Possiamo sostenere ora, di sapere cosa fa la nostra coscienza? Possiamo ora confrontare sensazioni private al di fuori del comportamento esplicito? Io credo che possiamo solo parlare di probabilità di un certo stato di coscienza e questo mi fa pensare che la mente non coincide perfettamente con l’attività neuronali (cervello).

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  20. luc97   25 Febbraio 2021 at 23:53

    Non credo ci sia bisogno delle neuroscienze per verificare che la gente di solito trova più bellezza nelle composizioni simmetriche. Anche equilibrio e ordine vengono prima di altre qualità. La scienza in questo caso conferma e rende certa una intuizione facile da verificare tra la gente.

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  21. Lamberto Cantoni
    Lamberto Cantoni   26 Febbraio 2021 at 12:08

    È complicato affrontare la bellezza con definizioni rigide. Tra l’altro quasi tutta l’arte che ha fatto la differenza nel novecento non possiamo certo affrontarla con concetti come simmetria, equilibrio, ordine.
    Faccio un solo esempio: Mondrian nel1924 inviò a Prampolini un breve saggio nel quale sintetizzava il nuovo paradigma estetico che con i suoi colleghi del gruppo De Stijl difendeva contro i tradizionalisti. Il titolo era “Abbasso l’armonia”. Vi cito le parole iniziali…”Tutto ciò che proviene realmente dallo spirito nuovo, ossia dal futuro, altro non è se non una disarmonia per il sentimento di conservazione”.
    Cosa sta teorizzando Mondrian? Per gli artisti che esplorano dimensioni nuove della configurazione estetica, le normali percezioni del bello rappresentano un fardello che devono rimuovere. Ecco allora che le loro opere possono apparire come disarmoniche, anche se in realtà in esse risuona qualcosa di più puro ed essenziale che annuncia una nuova articolazione di ciò che percepiremo come armonico.

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  22. Fedor Beserra   13 Marzo 2021 at 16:40

    Partiamo dalla domanda che ogni designer, a parer mio, si pone: ‘quale tra due alternative di design piace di più agli utenti e perchè?’

    Per rispondere a questa domanda il neurodesign ci viene in aiuto, creando nuovi tipi di design che arrivano direttamente agli utenti facendo coincidere le loro sensazioni e pensieri con quello che il designer voleva effettivamente suscitare.

    A parer mio questa disciplina è fondamentale, dato che analizza e risolve il problema principale che il consumatore ha durante un’ esperienza con un qualsiasi design, cioè la facilità d’uso!
    Più sarà facile usufruire di un prodotto più avrà successo, è più sarà piacevole fruirne!

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  23. Giorgia Baldassari   16 Marzo 2021 at 15:16

    Trovo molto interessante il tema del neurodesign , tutta via credo che questo vada a espandere le sue teorie generalizzando troppo, perché per quanto si facciano ricerca e test gli esseri umani, questi non sono tutti uguali, quindi si troveranno sempre reazioni diverse a stimoli diversi, in base all’età, all’etnia, alla cultura etc. Nella comunicazione ad esempio, sicuramente un aspetto importante tener conto del ricevente del messaggio, il quale deve essere studiato per un determinato target, quello a cui noi puntiamo, e studiare come arrivare in modo diretto e corretto a determinato target.
    Gli studi effettuati dunque posso farci da linea guida, ma bisogna comunque a tener a mente le possibili eccezioni. Tuttavia trovo sia corretto comunque prenderli come riferimento e andare a lavorare e approfondire tale conoscenza, ma non potremo mai avere una certezza al 100% che cliente 1 e cliente 100 percepiscano lo stesso prodotto allo stesso modo. Un esempio banale lo possiamo fare con il colore, per noi occidentali il vestito bianco viene usato per le cerimonie nuziali e quello nero per quelle funebri, in Giappone è il contrario il bianco è un colore che non rispecchia la felicità ma il passaggio ad una nuova vita. Quindi il Neurodesign sicuramente ha un fondo di verità, ma questa verità vale per una parte della popolazione, per la restante bisogna, a mio parere personale, studiare e capire come certe forme e colori possano essere viste dal cliente, quindi si effettuerà sempre una ricerca singola e personale, non generalizzata.

    Rispondi
  24. Noemi Nevola   16 Marzo 2021 at 15:36

    Articolo molto sviluppato e interessante, che mi ha permesso di ampliare il mio concetto di neuroscienze e soprattutto di neurodesign.
    Prenderò in considerazione ora i concetti appresi.

    Come già detto i successi scientifici delle ricerche dei neuroscienziati non convincono proprio tutti ma è innegabile che oggi abbiamo a disposizione una ricchezza di dati su come lavora il cervello a dir poco impressionante in confronto al passato.

    Sappiamo in oltre che l’impatto delle neuroscienze non si è sviluppato solo nel campo economico, psicologico o del marketing, ma si è diffusa anche in ambito artistico e creativo.

    Con il suo sviluppo la possibilità di indagare il funzionamento del cervello e così produrre stimoli riducibili a elementari reazione è diventata più concreta e con maggior facilità si è potuto raggiungere il cambiamento emotivo attraverso diversi stimoli. In questo modo vengono creati in campi come quello del marketing, strategie di vendita e diverse tattiche decisionali.

    Arriviamo al Neurodesign. Nell’articolo viene inizialmente detto che l’idea evoluta del suo scopo primario sia il benessere inteso come adattamento creativo alla natura. Ora i designer continuano ad utilizzare le proprie intuizionei per creare configurazioni, oggetti, forme. Poi guardandosi intorno e osservando i colleghi calcolano la giustezza del lavoro.

    Credo sia giusto il fatto di semplificare teorie scientifiche complesse e a volte generalizzare, questo permette anche di far addentrare nell’argomento differenti individui.

    Il fatto che attraverso il neurodesign e quindi anche attraverso una sorta di uso disinvolto delle neuroscienze, si diffonda l’idea che simmetria, equilibrio e armonia siano percepiti dal nostro cervello come vantaggiosi per la sopravvivenza e quindi l’affermazione che dimostra l’effetto anti infiammatorio della bellezza, sono argomentazioni interessanti e per quel che mi riguarda veritieri.

    Il design “giusto” è quello che pone le basi per la risoluzione di eventuali problematiche e questa è un ulteriore argomentazione.

    La generalizzazione data dal neurodesign potrebbe essere una sorta di classificazione adottata ancora una volta dal nostro cervello. Forse abbiamo bisogno di concetti semplici e generalizzazioni proprio perché non influenzano ma determinano ad un unico stato il nostro cervello.

    Come in Matrix: pillola rossa o pillola blu. Rimanere nelle proprie convinzioni classificate come normali e abituali oppure arrivare alla svolta, qual è la verità se ci sono altre opzioni, spremere le meningi e dare spazio alla paura dell’ignoto.

    È sempre più semplice ritrovarsi in qualcosa che già si conosce, il design con il pensiero spiegato prima nell’ambito della bellezza con le sue varie configurazioni, cerca di coinvolgere attraverso questo stato di sicurezza e stabilità.

    Beh possiamo sempre prendere in considerazione il disordine, contrario di equilibrio come una parte intrinseca di noi. Chi risente maggiormente di esso ricerca l’equilibrio, quasi maniacalmente.

    Potrei non essere più inerente alle argomentazioni precedenti ma le neuroscienze spaziando in diversi ambiti, permettono di ramificare ampiamente l’argomento.

    Nonostante il fatto che l’equilibrio sia qualcosa di stabile e perfetto, la mente umana cerca sempre vie diverse, è forviante alla nostra stessa esistenza.

    C’è qualcos altro da dire, il neurodesign probabilmente si adatta anche a diverse tendenze, ai tempi. Ricordiamoci sempre del design e la sua attinenza alla comunicazione, alla visione delle cose in periodi storici diversi.
    Collegandomi alla sezione dell’articolo dove parla delle soluzioni adottate per gli ambienti o oggetti da utilizzare per lavorare in ambienti confortevoli e non conflittuali, voglio dire che la maggior parte dei concetti rivoluzionari hanno validità ma come tutto bisogna sempre valutare o vi sono comunque molti esempi contradditori.
    Questi si basano anche sulla persona: almeno io non mi sognerei mai di lavorare su una scrivania non ordinata, mentre in molti si trovano a loro agio in un ambiente disordinato e non particolarmente gradevole alla vista.

    In conclusione credo che lo sviluppo delle neuroscienze sia fondamentale, il fatto che presenti lacune o contrapposizione è frutto della sua stessa esistenza, come ogni altro concetto o studio o scienza.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   15 Aprile 2021 at 10:55

      Uno dei problemi che danno le neuroscienze quando sono applicate fuori contesto, è legato all’abuso di procedure induttive cioè la leggerezza con la quale si propongono generalizzazioni da fatti particolari ad affermazioni o addirittura leggi generali.
      Perché è un problema? Lo dico con le parole di Karl Popper: “sostengo che le procedure induttive semplicemente non esistono…l’induzione non risulta giocare nessuna parte autonoma nel metodo della scienza…”.

      Rispondi
  25. Emanuele Maraladi   19 Marzo 2021 at 12:10

    Il designer mette sempre in questione e in dubbio l’efficacia e la funzionalità di un proprio progetto soprattutto nella sua fase conclusiva cercando sempre soluzioni migliori che permettano un maggiore coinvolgimento emozionale dell’utente fruitore. Proprio per questo motivo spesso può essere utile fare affidamento alle strumentazioni e metodologie del Neurodesign. Credo sia una disciplina fondamentale da considerare e da studiare per chi lavora nei settori creativi, ma nonostante ciò è importante non definirla una scienza esatta quindi cercare di non affidare completamente il proprio iter progettuale ad essa. È importante quindi non farsi solo guidare dai dati sperimentali ricavati dai test e dalle scoperte scientifiche ma considerare anche l’aspetto più soggettivo ed emotivo del singolo individuo/fruitore che spesso e per fortuna si distacca o non rientra all’interno delle analisi degli neuroscienziati ma che vive dinnanzi ad un prodotto di design un’esperienza percettiva singolare e non classificabile.

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  26. Antonio Fagnocchi   23 Marzo 2021 at 09:27

    Mi giunge spontaneo associare la lettura dell’articolo, soprattutto dopo il suo “intermezzo”
    dedicato a opere tarde di Vladimir Kandinsky (1866-1944) e di Paul Klee (1879-1940), ad un
    celebre lavoro letterario ad esse contemporaneo ovvero il Doctor Faustus di Thomas Mann,
    iniziato nel 1943 e concluso nel 1947. Esso rappresenta una grande riflessione sull’excursus storico della bellezza nel linguaggio musicale (Mann fu aiutato in questa riflessione dal filosofo T.W. Adorno), letta in un disegno evoluzionistico nel quale campeggiano quei contrasti, presentati nell’articolo, che governano continuamente le forme d’arte, indipendentemente dal loro linguaggio – sonoro, visivo e letterario – ossia la continua tensione dialettica dell’uomo tra
    componenti tra loro contrastanti. Scrive Mann nel XXII capitolo del suo romanzo dedicato al
    metodo di comporre con i dodici suoni: “Già, la dialettica della libertà è insondabile. Ma in quanto plasma l’armonia, non si può dire che sarebbe libero”; “Le forme di vita più interessanti hanno sempre questo volto bifronte di passato e avvenire, sono sempre forme progressive e regressive ad un tempo. Esse rivelano l’ambiguità della vita stessa”; “Ragione e magia s’incontrano e diventano una cosa sola in quello che chiamiamo sapienza, iniziazione, nella fede che abbiamo nelle stelle, nei numeri…”.
    Si arguiscono di qui i contatti con quanto svolto nel corso dell’articolo, in particolare sul cervello
    dell’uomo che non sembra avere subito particolari mutamenti radicali e sul continuo rapporto tra
    razionale e irrazionale, tra materiale e spirituale, su cui le forme storiche della bellezza, hanno
    continuamente mutuato le esperienze precedenti modulandole continuamente a seconda della
    storia. Non si poteva, ad esempio, chiedere a Kandinsky e a Klee nell’Europa malata dei
    totalitarismi e all’alba della seconda guerra mondiale, di esprimere altro che i frammenti della
    razionalità: punti, linee e superficie in Kandinsky e reticoli a matita in Klee, ben lontani dalle
    esplosioni di colori e di forti gesti curvilinei nel primo richiamanti la grande stagione
    dell’espressionismo viennese, oppure le polifoniche scacchiere nel secondo richiamanti le fughe di Bach. Ecco i campi di fluttuazione nei quali anche il Neurodesign si trova quotidianamente a
    convivere nella sua scommessa tra “ragione e magia” che richiama immagini di uno straordinario designer ante litteram, Albrecht Dürer, in particolare con la sua Melencolia I (1514), una mappa di simboli molteplici in quella che può essere considerata l’opera più enigmatica di tutta la storia
    dell’incisione.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   23 Marzo 2021 at 09:47

      Commento audace e molto interessante, ricco di suggestioni e pensieri laterali.

      Rispondi
  27. Giorgia Caroni   24 Marzo 2021 at 12:44

    Ho sempre trovato particolarmente interessante tutto ciò che fosse legato alla neurologia (neuro-immagini, neuro-marketing…). Sono aspetti curiosi del nostro cervello e ultimamente se ne parla sempre di più. Ovviamente, tutti gli articoli che si possono leggere riguardante questo argomento, i quali ci forniscono dei dati, sono legati a degli studi fatti su un numero limitato di persone prese come campione. Questo “piano di azione” ovviamente ha delle conseguenze.
    Mi spiego meglio.
    La scelta dei campioni non definisce l’intero popolo perché ogni individuo è diverso in base: al sesso e all’età che ha; se ha o meno una determinata cultura e se ha deciso di seguirla; a dove abita e alla sua zona geografica…E questo cosa ci fa capire? Che ognuno di noi è una persona fine a sé stessa, siamo sviluppati a livello sociale e culturale in modo equo, ma l’influenza di base è diversa. Addirittura penso che gli studi caratteriali siano proprio fini a sé stessi, in quanto penso che il carattere si formi anche sulla base delle proprie esperienze.
    Quindi teniamo a mente che questi studi non definiscono una lista di regole, ma delineano comportamenti o reazioni comuni tra soggetti comuni.

    Nella comunicazione è fondamentale tenere a mente il “codice condiviso”, il quale ci permette di comunicare con un’altra persona, e bisogna tenere a mente anche il mezzo con cui si comunica. Perciò da questi studi si ha solo una linea guida generale che si può essere liberi di seguire oppure ignorare.
    Faccio un esempio pratico riguardate la teoria che c’è dietro ai colori, che trovo anche essa molto interessante.
    Ci viene detto fin da piccoli che, e qua prendo qualche colore come esempio, il giallo/arancione/rosso sono colori caldi ed io, personalmente, ho sempre collegato fin da piccola questi colori all’idea di famiglia, di protezione (non saprei dire precisamente perché); mentre ci viene detto che il blu/azzurro/viola sono colori freddi, che infatti io collego a qualcosa di triste, di lontano (anche qui non saprei dire bene il perché).
    Studiando grafica ho scoperto, però, che il blu ad esempio è un colore che NELLA MEDIA, e sottolineo nella media, viene associato alla sensazione di fiducia e sicurezza, mentre il rosso è collegato all’energia e all’urgenza, infatti il blu lo ritroviamo nei loghi delle banche mentre il rosso è solitamente il colore per indicare i saldi dei vari negozi.
    Questo perché? Perché ognuno ha le sue emozioni e sensazioni e non ci sarà mai uno studio univoco a tutti quanti.

    Rispondi
  28. Gessica Hima   30 Marzo 2021 at 13:49

    Ho trovato la tematica del Neurodesign, per quanto ampia effettivamente sia, esposta in più ambiti, capace di dare anche al lettore meno informato una visione generale sull’argomento.

    Il Neurodesign dimostra che la mente dell’individuo, di fronte ad una particolare situazione di bellezza, provi benessere.

    Gli studi si avvalgono delle neuroscienze per dare una forma di bellezza che sia più oggettiva possibile, d’altronde il Neuromarketing o qualsiasi strategia comunicativa non tiene conto del singolo individuo ma cerca le similitudini del proprio target per definire una bellezza oggettiva e successivamente cercare di venderla come “unica e vera bellezza” al proprio pubblico.

    Sagmeister sulla bellezza afferma:”beauty is part of human being”.

    Tutti sono d’accordo su qualcosa che oggettivamente è bello; la simmetria del Partenone di Atene venne leggermente modificata per poter risultare bella all’occhio umano e quindi alla percezione. I Greci sicuramente non conoscevano gli studi delle neuroscienze, ma dal momento che non viviamo nell’antica Grecia, conoscere anche dettagli apparentemente inutili come questi e approfondire ricerche di Neurodesign ci permette di avere un riscontro più verosimile alla società nel quale si vive.

    Ricercare la bellezza nell’arte significa addentrarsi nel pensiero dell’artista e l’artista, in quanto tale, esprime se stesso, quindi la sua idea di bellezza può coincidere con la mia così come potrebbe risultare l’opposto.

    Le avanguardie artistiche certamente ancora oggi non fanno parte dell’immaginario comune di bellezza, ma non sono nate per proclamarsi come tali, bensì volevano introdurre qualcosa di diverso e fermare l’immaginario citato poco fa.

    Credo che il neurodesign sia uno strumento potentissimo che ogni designer dovrebbe conoscere per poter progettare con maggiore consapevolezza della mente umana e di come reagiscano i neuroni di fronte a date situazioni, ma certamente non è da considerare come l’assoluto.

    Sapere che il nostro cervello non si è evoluto per poter leggere ma semplicemente adattato, la fa pensare lunga sulle potenzialità che possiede ancora a noi nascoste.

    Vedo il Neurodesign per i designer non come risposta ma anzi, come domanda capace di prevedere le affordances e di regolare in partenza il tiro della comunicazione.

    Rispondi
  29. francesco bertozzini   1 Aprile 2021 at 15:53

    Essendo la mente, ancora in gran parte un mistero, non possiamo considerare la Neuro-scienza una scienza esatta, possiamo definirla funzionale perché agisce sul generico e non sul singolo. Infatti, ogni progetto interagisce con un sostrato sensibile che deriva dal possesso di un comune patrimonio genetico.
    La percezione del bello è possibile grazie alla ricettività del sistema nervoso, predisposto a questo tipo di esperienza e che è sostanzialmente identico per ogni essere umano. Determinate qualità estetiche attivano sensazioni piacevoli comuni a molti di noi perché il nostro cervello è organizzato, appunto, secondo strutture molto simili.

    La Neuro-scienza non è guidata dal soggettivismo del “a me piace così” ma dal pragmatismo delle ricerche sulla decodifica del mondo esterno da parte del nostro cervello.

    Rispondi
  30. Claudia Varano   3 Aprile 2021 at 16:21

    Il neurodesign sfrutta il modo con cui il cervello processa gli stimoli visivi per prendere delle decisioni, ma visto che le persone non ragionano tutte allo stesso modo, a mio parere non si potrà mai definire una regola che possa valere universalmente per interpretare il pensiero umano o per prevedere con certezza la reazioni che un cervello avrà davanti a un qualcosa.

    Credo però che questi studi possano dare delle direttive utili a far si che il messaggio che vogliamo mandare venga recepito al meglio e da più persone possibili, perché anche se non possono essere regole universali che valgono per tutti e applicabili in ogni ambito poiché siamo tutti diversi, abbiamo psiche, personalità e gusti diversi, individuali, collegati alle nostre esperienze e culture, allo stesso tempo ci sono anche fattori che ci rendono simili, almeno in maggior parte.

    Rispondi
  31. Daniela Panuta   5 Aprile 2021 at 22:17

    L’obiettivo del design è colpire positivamente l’utente, conquistarlo/a grazie alla bellezza e alla funzionalità. Ma cosa significa veramente?
    Che si parli di utensili, auto, arredamento di ambienti o packaging pubblicitario, ogni dettaglio dev’essere elaborato in base agli obiettivi, al target di riferimento, alle emozioni e ai valori che si desidera evocare.
    L’obiettivo del neurodesign è considerare, nelle fasi di progettazione, tutti gli aspetti psicologici e neurologici che condizionano la percezione della realtà. Unire sempre meglio, quindi, estetica e funzionalità, un obiettivo importante per i designer.
    Se qualcuno immagina il neurodesign come un settore del tutto “commerciale”, mirato soprattutto a realizzare prodotti che “vendano bene”, deve considerare un altro aspetto. Progettare secondo il funzionamento della nostra mente significa pensare anche al benessere dell’utente.  
    Se pensiamo all’applicazione del neurodesign al packaging questa connessione forse non appare subito evidente. In tal caso, il settore studia elementi come le emozioni attivate da un determinato tipo di confezione, o il ruolo della multisensorialità (ad esempio l’interazione tra i colori e l’aspetto tattile). Se consideriamo però che il neurodesign si applica anche all’interior design, alla progettazione di ambienti pubblici e privati, capiamo meglio le possibili implicazioni di questa disciplina sulla vita quotidiana.
    Gli spazi in cui trascorriamo molto tempo, dalla casa al luogo di lavoro, possono influenzare in maniera profonda la mente.
    Oggi noi passiamo circa il 90 per cento del nostro tempo all’interno di edifici, cosa che non succedeva secoli fa, ma il nostro cervello è rimasto pressoché lo stesso e non ha avuto tempo di adeguarsi
    Sapere come funziona il cervello può fare un’enorme differenza e darci l’opportunità di fare scelte migliori e in armonia con i fondamenti biologici. Molti di noi considerano bello il Rinascimento, ebbene, le neuroscienze ci dicono che equilibrio e simmetria sono “letti” dal nostro cervello come vantaggiosi per la nostra sopravvivenza. E ricerche recenti mostrano che la bellezza può avere effetti antinfiammatori notevoli
    Il gusto individuale è di solito collegato a ciò a cui siamo stati esposti all’inizio della nostra vita, ma è forse più interessante rilevare che ci sono molti più fattori in cui siamo molto simili. La simmetria e l’equilibrio sono tra quelli. La natura, è un altro. Anche i colori hanno effetti simili per tutti. Rosso e arancione attivano il sistema nervoso simpatico (lotta o fuga); verde e blu quello parasimpatico aiutando il relax e il recupero”.
    Dipingere le pareti di rosso a una persona molto stressata può non essere una buona idea, così come prevedere troppi spigoli vivi sui mobili che, al contrario delle forme rotonde, sono percepite come più minacciose. Tuttavia tutti, indistintamente, abbiamo bisogno di equilibrio e di componenti come la luce del giorno, lo stare insieme, la creatività e la concentrazione, i luoghi per il riposo e la connessione con la natura
    L’olfatto è il senso più fortemente connesso alla parte del cervello che elabora le emozioni e sono tanti gli studi che dimostrano che i profumi ci influenzano nel modo più diretto. Aromi “naturali” e diffusi come ad esempio quello del caffè fresco possono avere un effetto positivo sul nostro umore.

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  32. Elisa Tito   6 Aprile 2021 at 12:44

    Negli ultimi anni le conoscenze riguardanti il neurodesign/neuroscienze hanno fatto grandi passi, anche se i processi mentali siano ancora un mistero.
    Ma Il designer può avvalersi dell’aiuto di queste nuove neuroscienze (neuromarketing e neurodesign), poiché gli consentono di fare previsioni sul comportamento al consumo dei consumatori per creare linee guida , che è un aspetto molto importante.
    Infatti nella comunicazione è fondamentale tenere conto del potenziale cliente che deve essere studiato prima di propinargli un qualunque messaggio/prodotto.
    Il gusto è solitamente individuale, ma ci sono molti fattori in cui siamo simili la simmetria e l’equilibrio è uno di questi ma prendiamo in considerazione un’altro fattore importante e comune; che interessa anche i designer: i colori, questi hanno effetti simili su tutti.
    Arredatori, stilisti e artisti sanno bene che i colori possono produrre reazioni emotive.
    Infatti i colori hanno effetti mentali ed emotivi sulle persone.
    Ad esempio I colori caldi, come il rosso, il giallo e l’arancione, possono suscitare diversi tipi di emozioni che vanno dal comfort al calore all’ostilità e alla rabbia.
    I colori freddi, come il verde, il blu e il viola, spesso suscitano sensazioni di calma o tristezza.Il colore viene costantemente utilizzato nel tentativo di stimolare i sensi delle persone.
    Così come le forme ad esempio, come anche citato nell’articolo, la morbidezza/spigolosità delle forme hanno un impatto emotivo sulle persone, elementi fondamentali a livello di percezione emotiva.
    le forme spigolose vengono associati alla paura, rigidità … a differenza di quelle tondeggianti.
    In conclusione sostengo che questi studi scientifici sono di grande aiuto per il mondo del marketing e design.

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  33. Aurora Fabbri   7 Aprile 2021 at 12:11

    Penso che il neurodesign sia alla base di tutto oggi giorno. Si tratta, infatti, di una nuova disciplina che applica le intuizioni delle neuroscienze e della visione psicologica per arrivare a creare un design più efficace e impattante.
    Al giorno d’oggi un designer è molto fortunato a potersi avvalere di queste nuove neuroscienze perché gli permettono di comprendere, al meglio e a pieno non solo i comportamenti delle persone sul web ma anche il tipo di consumo verso il quale sono più indirizzati.
    Nella comunicazione è fondamentale studiare il cliente prima di proporgli un qualsiasi messaggio, oggetto e prodotto, sopratutto in un’era come questa in cui si è costantemente bombardati da messaggi e annunci continui. Tutto tende a distrarci.
    Penso che sia stato rivoluzionario il gesto di molto aziende e brand che hanno creato una propria identità visiva basandosi più che sulla forma, su delle cromie specifiche. Dico questo perché, il nerurodesign sfrutta il modo in cui il cervello processa gli stimoli visivi per prendere decisioni, e con degli studi si è arrivati a determinare che il colore è la prima cosa che le persone comuni guardano in un oggetto o in un messaggio, di seguito poi tutti gli altri elementi che lo compongono e determinano.
    Si possa pensare, ad esempio, al color azzurro della linea di gioielli ‘Tiffany & co’, come da questo colore si sia creato un immenso impero e addirittura una vera e propria cromia.
    Bisogna, però, fare molta attenzione perché ogni singolo colore ha una propria strategia di marketing ed un proprio messaggio.
    Sorge spontanea, però, una domanda: Tutti questi brand, queste cromie e questi messaggi sono percepiti allo stesso modo da ogni singolo individuo?
    A mio parere no. Ognuno ha una propria strada, un proprio credo, delle esperienze uniche che lo contraddistinguono dagli altri e che gli permettono di fruire con dei sentimenti specifici e contraddistinti un particolare prodotto e messaggio.
    Penso, quindi, che il neurodesign e il neruomarketing siano fondamentali oggi giorno prevalentemente per chi lavora sul generico, ma non lo siano per chi lavora sul singolo; quest’ultimo ha bisogno di un’attenzione particolare.

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  34. Pasqualini Cristiana   9 Aprile 2021 at 15:38

    Quando psicologia, neuroscienze e design si incontrano, nasce il neurodesign, una disciplina che studia il miglior modo per progettare, creare oggetti, grafiche e complementi d’arredo. La filosofia è quello di progettare basandosi sul concetto di benessere dell’utente finale.
    Quindi bisogna tenere conto di come il cervello umano interpreta gli stimoli, associa forme e colori e concepisce il bello. Non tutti hanno gli stessi gusti e lo stesso concetto di armonia, quindi si dovrebbe studiare ogni singolo caso, nonostante ciò è presente in noi una forte base comune.
    In un oggetto ad esempio, il nostro cervello percepisce come prima cosa, il suo colore per poi seguire la sua forma e infine riconosce l’oggetto attribuendone il suo significato.
    Per far si che questo avvenga bisogna seguire dei fondamenti nella progettazione per poter attirare l’attenzione dello spettatore.
    Lo scopo dei neurodesigner quindi è cercare di attirare l’attenzione degli utenti distratti dalla loro poca attenzione, andando a migliorare aspetti come il coinvolgimento emozionale che un oggetto può creare.
    Uno dei primi è la semplicità, si parla quindi di creare un design minimal, il quale aiuta gli utenti a percepire nell’immediato ciò che sta guardando senza che il suo cervello si sforzi molto.
    Un altro principio è quello delle forme stondate, ovvero seguire la progettazione di curve e linee, cercando di eliminare angoli e tagli, quindi di far percepire armonia tramite andamenti curvilinei.
    Segue il principio della simmetria, considerata da diverso tempo più attraente e stimolante per il cervello.
    Ed in fine, ma non per importanza il colore, il quale ci influenza molto la nostra condotta e il nostro comportamento. Giocano un ruolo fondamentale nel nostro sistema nervoso, basti pensare solo ai suoi contrasti come creano in noi un’attrazioni irresistibili.
    Credo quindi che il neurodesign sia un’arma molto importante che tutti i designer debbano conoscere per cercare di progettare sempre al meglio ciò che voglio trasmettere all’osservatore.

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  35. sebastiano baratta   16 Aprile 2021 at 10:46

    È complicato affrontare la bellezza con definizioni rigide/accertate/confermate, nel corso dei secoli ogni movimento artistico-culturale aveva creato la propria idea di “bellezza”, non esiste una bellezza che possa essere accettata da tutti, però a mio parere esiste.
    Purtroppo la mente dell’uomo è un argomento molto difficile da affrontare, ancora oggi non si conosce praticamente nulla, non sappiamo il motivo perché certe cose ci danno piacere e altre no, per capire questo le neuro scienze potrebbero dare una mano però testando su individui coscienti di essere testati cambia già il modo in cui percepiscono quello che dovrebbero percepire, sono stati influenzati. Sicuramente esistono delle regole dei canoni che definiscono la bellezza però siamo ancora molto lontani, più che pensare in avanti bisognerebbe studiare il passato dell’umanità e capire perché oggi siamo arrivati a questo. Un esempio pratico potrebbe essere il colore verde, il verde secondo gli studi dovrebbe rilassare, rigenerare, la spiegazione potrebbe essere che l’uomo dall’alba dei tempi era abituato a vedere con i suoi occhi per l’80% cromie di colore verde, i geni del primitivo sono dentro di noi, è come se avessimo una memoria da sbloccare ma non sappiamo come. Detto ciò le neuroscienze potrebbe dare una buona mano a risolvere questi problemi ma è ancora lungo il percorso.

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  36. Jessica Mazzola   18 Aprile 2021 at 11:13

    Trovo il Neuromarketing un argomento molto affascinante ma soprattutto utile. Il Neuromarketing non fa sì che le persone facciano cose che non vogliono. L’arte e la scienza della vendita sono sempre esistiti e per sempre esisteranno. La scienza può aiutarci a visualizzare meglio ciò che accade all’interno del cervello dei consumatori ed è grazie a ciò che possiamo diventare non solo migliori nella vendita, ma migliori nel creare relazioni reali con i nostri clienti, sulla base di una reale connessione emotiva. Il Neuromarketing migliora il risultato per il cliente.
    Il 95% della maggior parte delle decisioni avvengono in maniera non conscia, come ha sostenuto lei all’interno del suo articolo. Martin Lindsrom, grande esperto in materia e autore del libro “Neuromarketing – Attività cerebrale e comportamenti d’acquisto”, parla di seduzione delle merci. Il consumatore va verso il prodotto, seguendo una traiettoria emozionale che può essere misurata. Il Neuromarketing perciò cerca di misurare i percorsi inconsapevoli dell’inconscio. Il desiderio del consumatore si trasforma in una equazione misurabile. Il Neuromarketing e tutte le sue ulteriori branche sottostanti permettono di anticipare i tempi, coinvolgere emozionalmente i consumatori nel modo più efficace e ottimizzare la progettazione.

    Possiamo sicuramente chiederci se sia etico o meno esaminare il cervello al fine di spingere sempre più le vendite di prodotti e utilizzare tecniche di marketing per generare una reazione da parte dei clienti. Dovremmo avere paura del neuromarketing? “Non stiamo mettendo l’etica da parte” sostiene Lindstrom, questa ricerca, o meglio questi studi, non puntano a vendere sempre più prodotti, ma a una comunicazione migliore e più efficace.

    Vorrei porle un’ulteriore citazione di Daniel Goleman, altro esperto in materia e autore del bestseller sull’Intelligenza emotiva “Mi sono chiesto se sia etico, per esempio, esaminare gli stati cerebrali, e direi che non è né più né meno etico di qualsiasi altro tipo di studio di marketing. Ha probabilmente sia molti difetti che benefici – dice Goleman – Ma sono opportuni degli avvertimenti. Per esempio, per fare uno studio sul cervello, si mette una persona in una situazione artificiale e si vede come il suo cervello reagisce alla marca X o Y. Ma non può essere una replica reale di come agiranno effettivamente. E il consumatore deve sapere quello che sta succedendo: in ogni marchio ci deve essere trasparenza al 100%. Non si può più agire dietro uno specchio oscurato, sperando che nessuno noterà quello che sta succedendo in una stanza nascosta sul retro. Come consumatori non c’è molto che possiamo fare. La buona notizia, però, è che se siamo consapevoli, subiamo meno le influenze”.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   19 Aprile 2021 at 10:20

      Le notazioni di Goleman che hai citato ridimensionano gran parte delle ricerche neuroqualcosa, supposte essere l’elemento scientifico della catena induttiva che, alla fine, per gli stolti, funzionerebbero come vere e proprie leggi del comportamento.

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  37. Sara Bocchini   26 Aprile 2021 at 21:35

    Al giorno d’oggi, nel ventunesimo secolo il Neurodesign è alla base di ogni cosa.
    Secondo Bridge, il neurodesign “ è una nuova disciplina che applica le intuizioni delle neuroscienze e della psicologia per creare nuovi tipi di design più efficaci”. Grazie a queste neuroscienze il designer ha la possibilità di poter prevedere il comportamento al consumo delle persone. Pertanto vanno a dare una visione diversa delle strategie di marketing, lavorano sull’inconscio e sulla memoria aprendo le strade per un nuovo approccio basato sulla percezione e la persuasione generica dell’uomo. L’obiettivo del neurodesign è considerare, nelle fasi di progettazione, tutti gli aspetti psicologici e neurologici che condizionano la percezione della realtà. Unire sempre meglio, quindi, estetica e funzionalità, un obiettivo importante per i designer.
    Se qualcuno immagina il neurodesign come un settore del tutto “commerciale”, mirato soprattutto a realizzare prodotti che “vendano bene”, deve considerare un altro aspetto. Il problema di base per ogni neurodesigner è attirare l’attenzione in un mondo di utenti distratti da migliaia di stimoli e con poca attenzione, ottimizzando aspetti come il coinvolgimento emozionale che l’oggetto può creare e la sua salienza visiva. Il problema di base per ogni neurodesigner è attirare l’attenzione in un mondo di utenti distratti da migliaia di stimoli e con poca attenzione, ottimizzando aspetti come il coinvolgimento emozionale che l’oggetto può creare e la sua salienza visiva. La conoscenza dei meccanismi della percezione si rivela, a questo riguardo, decisiva.

    Rispondi
  38. martina tinti   28 Aprile 2021 at 11:07

    A proposito di neuroscienze a servizio dell’arte, mi ha fatto venire in mente un algoritmo che è stato sfruttato da Pierre Huyghe nella sua installazione del 2019, UUmwelt, alla Serpentine Gallery di Londra. All’interno dell’opera erano presenti delle immagini che venivano proiettate su uno schermo. La cosa interessante e sulla quale mi vorrei soffermare erano proprio queste immagini che apparentemente si manifestavano come delle opere astratte surrealiste fatte al computer. In realtà quelle immagini erano il risultato di un algoritmo messo a punto dal neuroscienziato Yukiyasu Kamitani all’università di Tokyo. In sostanza l’algoritmo funziona in questo modo: viene effettuata prima una risonanza magnetica funzionale all’individuo, mentre avviene la risonanza si chiede all’individuo di pensare ad una determinata cosa o di guardare direttamente una fotografia. I risultati di questa risonanza vengono poi rielaborati dall’algoritmo che ne produce un’immagine. È come la ricostruzione visiva di un pensiero. Anche quando veniva mostrata la stessa fotografia a tre persone diverse, l’immagine che risultava dall’algoritmo era comunque diversa in ogni soggetto, con forme e colori diversi. Sicuramente in tutti i risultati vi erano elementi riconoscibili che li rendevano simili ma erano comunque immagini evidentemente interpretate e rielaborate in maniera diversa. L’input era dunque lo stesso ma l’output era sempre diverso in base all’individuo. Osservando dunque i risultati di questi esperimenti, si può comprendere come sia estremamente soggettivo il modo di percepire e di rielaborare a livello empirico il mondo che ci circonda. Sicuramente esistono caratteri che hanno una valenza più o meno universale, ma la percezione, la fruizione è sempre soggettiva. Ed in questo caso, le neuroscienza ha dimostrato esattamente quest’ultimo aspetto.

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  39. Giorgia Verdini   28 Aprile 2021 at 12:10

    Leggendo questo articolo mi ha fatto venire in mente un episodio di una serie tv con protagonista lo straordinario Robin Williams chiamata “The Crazy Ones”. La serie segue le vicende di Simon Roberts, stravagante titolare di un’agenzia pubblicitaria di Chicago, e dei suoi dipendenti. In un episodio viene messo in gioco la scienza nel campo dell’advertising. Veniva messo in discussione come una ricerca scientifica sulle emozioni e le preferenze di una persona producesse un prodotto, come un poster, basato su basi scientifiche risultava agli occhi di una determinata persona “studiata” molto più affascinante di un prodotto creato solo in base alla creatività. Ora, non so se questo “esperimento” possa essere giusto riguardo all’articolo del neurodesign in questione, ma spero che questo breve riassunto sia comprensibile.
    Il neurodesign applica le scoperte delle neuroscienze per creare prodotti di design più efficaci, prendendo come base come il cervello reagisce a determinati stimoli. Noi siamo miliardi di esseri umani, ma non siamo tutti uguali, quindi milioni e milioni di cervelli che non funzionano e reagiscono allo stesso modo, quindi mi vien da dire che un determinato tipo di design funziona per uno ma non per tutti.

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  40. Enya   30 Aprile 2021 at 12:08

    Trovo che la disciplina del neurodesign e gli studi che lo circondano siano a dir poco affascinanti, sorprendente il continuo progresso ed evoluzione dove la società contemporanea si dirige ogni giorno senza sosta. Applicare un qualcosa di cosi razionale come gli studi delle neuroscienze e la psicologia a una disciplina cosi apparentemente opposta come il design va a creare una coppia dicotomica che non può far altro che funzionare. È consono specificare che sono pur sempre studi che si basano su dei comportamenti di maggioranza, ciò implica di aver a che fare non con una scienza esatta, ma con teorie attendibili e applicabili per la maggior parte della popolazione. Nonostante ognuno di noi sia diverso e abbia un proprio ed unico modo di pensare, penso che quest’ultimo sia caratterizzato specialmente dal proprio trascorso e dall’insieme delle esperienze fatte, esperienze che possono essere simili e condivise da più individui della medesima età, e di conseguenza avendo esperienze e trascorsi simili potremmo essere accomunati anche da un pensiero comune, da quì penso si originino gli studi dei comportamenti di massa.
    Questo per dire che per quanto ognuno di noi si avvalga della propria specificità, ci sono comunque esperienze comuni a tutti noi che possono influenzare varie correnti di pensiero rendendole simili, il neurodesign si serve quindi di questi parametri per cercare di trovare soluzioni marketing che possano catturare l’attenzione del consumatore medio in maniera vantaggiosa, universale ed immediata. Affascinante.

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  41. Camilla Zanotti   30 Aprile 2021 at 16:16

    Apprezzo molto questo ‘nuovo’ mondo nel neurodesign, apprezzo il grande processo che sta dietro ad ogni analisi e apprezzo il risultato di questa grande macchina.
    Tuttavia, noi umani abbiamo una capacità relativa di comprendere per esempio il ‘perché ci piacciono certe immagini’.
    E questo perché gran parte del lavoro del nostro cervello è subconscio, ne siamo semplicemente inconsapevoli, più ci evolviamo, più siamo abituati ad avere reazioni sempre più rapide, una soglia dell’attenzione sempre più bassa.
    Ad esempio, scorrendo un qualsiasi social ci soffermiamo su un’immagine, quel giorno in base al nostro umore ci piacerà, sarà gradevole ai nostri occhi, il giorno dopo possiamo ritenerla di cattivo gusto, non rilevante.
    Queste prime impressioni super veloci e subconsce influenzano poi i nostri pensieri e le azioni successive relative a quel progetto.
    Tutto questo per dire che il Neurodesign può essere una grande macchina per la strategia marketing ma non sarà mai affidabile al 100%.
    Il lavoro del Neurodesign non è quello di sostituire la creatività, l’ispirazione ma, anzi, quello di aiutare questo processo di creazione.
    Il designer avrà solo più certezze su come i consumatori risponderanno ai suoi prodotti, alle sue idee.
    Non riesco a vedere nessuna competizione tra questi due campi, anzi, penso che un grande risultato si possa ottenere solo con una grande collaborazione tra questi.

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  42. Marco Caporrino   7 Maggio 2021 at 11:24

    Io personalmente difenderò sempre la scienza, la ricerca scientifica e tutti i suoi risultati, ma non sempre può essere applicata su tutti i campi. Il neurodesign sicuramente da una mano al designer, al fashiondesigner o al grafico ma non credo che certe regole possano essere applicate su ogni singolo individuo. Ognuno di noi è diverso, con esperienze diverse alle spalle e non è concepibile generalizzare certi aspetti. E’ giusto dire che in un ambiente con tante piante verdi e ampi spazi aperti una persona è più creativa?? Io personalmente sarei più produttivo in un ambiente così ma non posso dire la stessa cosa del mio vicino di casa che magari è più produttivo in un ambiente ristretto.
    Per quanto riguarda l’ambito della moda (dal mio punto di vista, ovvero il punto di vista di uno che non ci capisce nulla) penso che se un grande marchio medie in commercio una cosa di conseguenza diverrà alla moda, mentre se fosse stato un marchio sconosciuto non avrebbe riscosso tanto successo, con o senza l’aiuto delle neuroscienze!
    Quindi secondo me le neuroscienze aiuto molto il campo del design per ricerca e quant’altro ma non sono sicuramente una certezza!

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  43. Martina P   7 Maggio 2021 at 23:58

    In questi anni parlare di “neuroscienze cognitive” è diventato un fenomeno piuttosto diffuso, è infatti un tema molto affascinante. Il neurodesign è quindi, l’uso delle ricerche e delle esperienze delle neuroscienze e della psicologia nella creazione di progetti e prodotti comunicativi più efficaci. Utilizza infatti anche altre scienze per creare dei progetti che sappiano colpire cerebralmente il cliente.
    La differenza con il lavoro di un graphic designer sta nel fatto che non si basa semplicemente sull’intuito o sul gusto personale, bensì su informazioni progettuali che hanno una valenza scientifica. E’ stato infatti riscontrato che esistono delle “leggi” dell’arte che danno motivazioni scientifiche sul perchè alcuni immagini ci piacciono più di altre, come per esempio un’immagine con colori a contrasto tra di loro può risultare piacevole perchè ci salta subito all’occhio.
    Rimango però dell’idea che queste leggi non siano applicabili in maniera universale, in quanto ogni essere umano è diverso e può quindi apprezzare cose diverse, anche in base al background culturale che ha. Certamente però va detto che questi studi possono risultare molto utili da un punto di vista di strategia di marketing perchè è importante avere uno studio accurato del potenziale cliente, ed è quindi ormai inevitabile che il campo del design e del neurodesign viaggino a pari passo.

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  44. Anzhelika Komarova   9 Maggio 2021 at 13:53

    Il neurodesign come sappiamo sfrutta il modo con cui il nostro cervello processa gli stimoli visivi per prendere delle decisioni. Cioè, di un oggetto noi per prima cosa percepiamo il colore, poi la forma e il riconoscimento e infine gli attribuiamo un significato. É vero che questa scienza aiuta capire meglio come attirare l’attenzione di un utente, ma allo stesso tempo, secondo me, bisogno tenere presente che siamo tutti diversi. Abbiamo gusti e preferenze diversi, è questo non e da sottovalutare. Quindi secondo me si, può aiutare per il suo scopo di creare nuovi tipi di design più efficaci, ma bisogno ricordare la complessità e le differenze nelle persone.

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  45. Greta Lodi   11 Maggio 2021 at 15:40

    A livello neuroscientifico, il neurodesign sfrutta il modo con cui il cervello processa gli stimoli visivi per prendere delle decisioni.
    Negli esseri umani, la percezione avviene attraverso un sistema gerarchico in cui si passa necessariamente dal lobo occipitale per avere poi una distribuzione degli stimoli al resto del cervello. In pochi casi si attivano vie neuronali più veloci, soprattutto quando è in ballo la nostra sopravvivenza e bisogna decidere immediatamente se attuare una reazione di fuga o combattimento.
    Di un oggetto, per prima cosa il cervello percepisce il colore. Seguono poi, in ordine successivo, la forma e il riconoscimento con l’attribuzione ad esso di un significato.
    Il problema di base per ogni neurodesigner è attirare l’attenzione in un mondo di utenti distratti da migliaia di stimoli e con poca attenzione, ottimizzando aspetti come il coinvolgimento emozionale che l’oggetto può creare e la sua salienza visiva.
    La conoscenza dei meccanismi della percezione si rivela, a questo riguardo, decisiva. Essa permette infatti di ottimizzare ognuna delle tre fasi della percezione che abbiamo appena visto.
    Quindi, il neurodesign è particolarmente guidato dai dati sperimentali ricavati dai test e dalle scoperte scientifiche. In modo analogo all’UX design, è necessario formulare delle ipotesi sull’esperienza utente e testarle con gli strumenti e le metodologie delle neuroscienze.
    Un ruolo fondamentale riveste poi il concetto di multisensorialità, ossia di un approccio che tenga conto di tutti gli organi di senso coinvolti nell’esperienza che fa l’utente.
    Un esempio lampante è la bottiglia dell’aranciata “Orangina”, che è realizzata con una superfice ruvida che ricorda la buccia d’arancia per ricordare il sapore del prodotto e usare oltre alla leva visiva (il colore dell’aranciata) anche la sensazione tattile del frutto da cui è prodotta.
    Gli psicologi Susan Fiske e Shelley Taylor hanno definito il cervello un avaro cognitivo per sottolineare la tendenza degli esseri umani a cercare la spiegazione più semplice e meno faticosa. Quando affrontiamo un problema, cerchiamo sempre di risparmiare risorse.
    Gli psicologi Susan Fiske e Shelley Taylor hanno definito il cervello un avaro cognitivo per sottolineare la tendenza degli esseri umani a cercare la spiegazione più semplice e meno faticosa. Quando affrontiamo un problema, cerchiamo sempre di risparmiare risorse.
    La nostra memoria di lavoro ha infatti capacità limitate, e se il flusso di dati e in formazioni è eccessivo va facilmente in tilt. Per descrivere la quantità di risorse necessarie al cervello a eseguire un compito assegnato, gli psicologi Gopher e Donchin hanno creato il termine: “carico cognitivo”.
    Inutile dire che minore sarà il carico cognitivo richiesto all’utente, maggiormente positiva sarà la sua user experience, risultando il compito che gli chiediamo più facile e più piacevole.
    La strumentazione neuroscientifica (elettroencefalogramma, eye-tracker) consente di misurare e valutare il carico cognitivo, dando quindi un contributo potenzialmente notevole nella progettazione di qualsiasi interfaccia o oggetto.
    Tra gli esempi di applicazione pratica, ricordiamo la valutazione del carico cognitivo condotta da alcune società di ricerca con tecniche di neuromarketing nel car design per valutare l’ergonomia dei cruscotti di guida delle autovetture.
    Vero e proprio nuovo credo del XXI secolo, il termine User Experience descrive l’esperienza complessiva che l’utente ha avuto interagendo con un oggetto o un’interfaccia. Il neurodesign ha mosso i suoi primi passi proprio partendo dalle prime ricerche in questo campo.
    Elettroencefalogramma ed eye-tracker permettono infatti di comprendere in maniera approfondita le emozioni e le decisioni che un utente prende quando deve svolgere specifici compiti con un oggetto, e in conclusione a descrivere la qualità positiva o negativa dell’esperienza avuta.
    Tramite dei test di neurodesign sapremo quindi immediatamente se un prototipo funziona o meno, e dove eventualmente migliorarlo.
    Il neurodesign pare qualcosa con cui progettisti, grafici, creativi e illustratori devono cominciare a fare i conti nel prossimo futuro. “Un buon design è evidente, il grande design è trasparente” (Joe Sparano); e il neurodesign sembra proprio fornirci gli strumenti che ci servono per creare oggetti che più si avvicinano al quel senso dell’ovvio che piace agli utenti.

    Rispondi
  46. Lamberto Cantoni
    Lamberto   10 Luglio 2021 at 11:28

    Ribadisco a tutti i partecipanti a questa discussione che non ho nulla in contrario alle neuroscienze. Pongo semplicemente il problema della loro mitizzazione.

    Rispondi
  47. michele   25 Agosto 2021 at 11:15

    Ho trovato molto interessante questo articolo che ci pone la questione della mitizzazione delle neuroscienze. Come ogni volta che leggo, anche qui mi vengono in mente diversi argomenti inerenti che vorrei affrontare: uno è un libro strettamente collegato a questo argomento dal titolo “Guardare Pensare Progettare – neuroscienze per il design “ di Riccardo Falcinelli, e l’altro è un esempio reale di come viene attuato il neurodesign.

    Ricordo che quando iniziai a studiare grafica comprai tantissimi libri del settore, tra cui quello citato precedentemente.
    All’interno di questa lettura si trattano diversi macro argomenti tra cui: l’occhio, il cervello, alcune teorie di percezione visiva, colori, illusioni ottiche ecc..
    e penso che alla fine, come si dice all’interno della lettura, i neuroni hanno qualcosa da insegnare a noi designer e artisti, non tanto perchè la scienza è una disciplina rispettata, ma perchè con le nozioni che il neurodesign e la neuroestetica possono darti, di consequenza tu grafico, avrai maggiore consapevolevva nella scelta di un colore, di un font, di un layout ecc..

    Per collegarmi alla teoria soprastante, ricordo di aver letto da qualche parte di un’ operazione di neruodesign applicata al mondo del packaging molto interessante: la Tesco, un gigante della grande distribuzione realizzò uno dei primi packaging con lo scopo di coinvolgere il cliente e a fargli acquistare un prodotto sia in termini di design puro, verifica della piacevolezza della confezione, (Le superfici ruvide risultano più piacevoli coinvolgendo il senso del tatto), della comodità d’uso della stessa e di facilità a reperire le informazioni necessarie.
    Tra le scoperte più significative del neurodesign sul packaging ricordiamo l’importanza dell’esperienza tattile per il consumatore , in particolare la preferenza per le superfici con un pattern ben preciso, ad esempio ruvide, satinate o lucide.
    Questo tipo di superficie attiverebbero maggiormente la corteccia somatosensoriale, anticipando il piacere associato al tocco dell’oggetto in questione.

    Poi vi è l’eye-tracker con cui è possibile individuare le aree di attenzione di una confezione, ossia su quali elementi maggiormente cade l’occhio di chi la guarda. In questo modo si riesce a comprendere se gli utenti guardano effettivamente dove il designer vuole che guardino, individuando eventuali elementi grafici che creano distrazione o disturbo.
    (Es. packaging insalata Bounduelle).
    Spero di aver approfondito ulteriormente l’articolo, con materiali utili e interessanti.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   31 Agosto 2021 at 11:05

      Intervento prezioso, ricco di informazioni che fanno riflettere. Non ho letto il libro che citi, ma i contenuti sembra interessanti.

      Rispondi
  48. Corinne Balelli   30 Novembre 2021 at 16:50

    Il neurodesign è l’uso delle ricerche e delle esperienze delle neuroscienze e della psicologia nella creazione di progetti e prodotti comunicativi più efficaci per colpire il cliente.
    Scopo delle neuroscienze è di studiare il funzionamento del cervello e l’obiettivo del neuromarketing è di affinare strategie che permettano di comprendere perché i consumatori compino certi tipi di scelte per riuscire poi a muovere un utente all’acquisto di un prodotto.
    Il neurodesign dunque deve partire da questi assunti per arrivare a proporre degli oggetti che siano giudicati esteticamente rilevanti.
    Un oggetto è percepito come “bello” se un utente capisce come poter utilizzare un oggetto e in quale contesto, quanta libertà può avere per sfruttarlo al massimo grado, se i suoi sensi sono stimolati e la sua immaginazione potenziata.
    I designer devono quindi stimolare l’interazione tra utente e oggetto attraverso la forma del prodotto interessato, la sua superficie e su tutto ciò che può servire ad alimentare l’attenzione del consumatore e gratificare la sua immaginazione. Il discorso vale anche per il packaging. Una delle strategie è il lavoro a livello cromatico. Difatti i colori possono trasmettere impressioni emotive diverse e distinte, dalla vitalità di colori caldi come il rosso e l’arancione, alla fiducia che possono trasmettere tonalità fredde come il blu o il verde, alla professionalità e trasparenza che infondono il bianco e il grigio.
    Obiettivo principale dunque di un professionista del neurodesign è di creare ricordi ed esperienze positive nel cervello del consumatore poiché un ricordo positivo fa tornare le persone da un brand e acquistare altri prodotti.
    Ma tutte le emozioni sono percepite allo stesso modo da ogni individuo?
    A mio parere no, ognuno di noi interpreta le emozioni e i sentimenti in modo diverso. Quindi per quanto possa essere precisa la neuroscienza, non potrà mai essere perfetta, lavora sul generico e non sul singolo.

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  49. Annalisa Branchetti   2 Dicembre 2021 at 13:40

    Il neuro design come il neuro marketing e tutte le discipline ad esse similari trovo che siano degli studi molti interessanti e molto utili ma che vadano presi con le pinze, ossia sì è vero che applicando questi studi un nostro prodotto può avere maggiore visibilità o apprezzamento ma non è detto che funzioni sempre dal momento che questi studi vengono fatti su un tot numero di persone usate come campionario e per cui i risultati che ne conseguono sono limitati al gruppo di persone più simili a quelle usate per l’indagine, nel mondo sia circa 7 miliardi di persone che provengono da luoghi diversi, che hanno avuto esperienze diverse e che sono cresciuti in ambiti culturali diversi e studi così particolari e “personali”possiamo capire come questi risultati non possono valere per tutta la popolazione in maniera uguale. E’ ovvio poi che ci siano invece alcune percezioni che per natura ci accomunano maggiormente ad esempio se citiamo la Gestal e le teorie da essa enunciate penso che siamo d’accordo sul dire che determinati colori o determinate forme scaturiscano in noi le stesse emozioni anche se proveniamo da due lati opposti del mondo. Per fare un’ altro esempio possiamo prendere la luce ovunque si vada nel mondo quando entreremo in un’ ospedale o in un luogo sanitario ci troveremo di fronte ad una luce bianca poichè questo ci darà l’idea di igiene mentre se entriamo dal panettiere troveremo una luce più calda. Detto ciò credo che si, può essere utile attingere alle informazioni nate da questi studi, ma non bisogna certo usarle come verità assoluta e bisogna inoltre stare molto attenti e aggiungere ad esse un nostro studio/indagine personale se possibile poiché rischieremmo altrimenti di realizzare prodotti basati su questi leggi che una volta usciti nel mercato magari non ottengono il risultato sperato o immaginato soltanto perché il nostro bacino di utenza è differente rispetto al target di persone utilizzate per i test neuroscientifici.

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  50. Gaia Candeli   4 Dicembre 2021 at 11:31

    Il cervello è una ‘’macchina’’ di per se affascinante. Quando si vuole unire un concetto scientifico ad un concetto artistico bisogna analizzare bene le due parti e cercare di equilibrarle. Se l’arte ha il compito di porre domande di certo non possiamo trovare risposte all’interno dei quadri, ma solo diverse interpretazioni a seconda di chi guarda; quindi analizzando la parte quasi conclusiva di questo articolo, dove si parla di Kandinsky e Klee, mi verrebbe da dire che il sentimento di ‘’tranquillità’’ potrebbe variare da persona a persona in quanto la rigorosità e l’essenzialità delle forme, potrebbe trasmettere tranquillità ad una persona che preferisce la logica alla creatività; Klee ad esempio recuperà nei suoi disegni quell’approccio infantile che ricorda forse un po’ la tranquillità dell’infanzia che ci viene tolta da adulti. A mio parere non ci sono ne interpretazioni scorrette ne corrette, si tratta di punti di vista. Per quanto riguarda il neurodesign e le neuroscienze penso che non sia tutto riducibile ad un neurone o più semplicemente un numero come nel caso delle forme sintetiche, non può tutto ridursi ad una forma matematica, in quanto la psiche umana è ampia, piena di sapere e sentimenti. Indubbiamente le nostre esperienze cambiano il nostro modo di vedere ma soprattutto di affrontare le cose, quindi se tutto fosse riducibile ad un numero, questo dovrebbe essere uguale per tutti quando è ovvio che le mie esperienze non potranno mai essere uguali a quelle di qualcun altro. La scienza aiuta il processo di creazione del design, non lo sintetizza. Concludendo se tutto è riducibile ad un numero, cosa che non escludo, esso subisce comunque dei cambiamenti quando si ha a che fare con l’umano.

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  51. michele malerba   4 Dicembre 2021 at 17:55

    Le neuroscienze rappresentano lo studio scientifico del sistema nervoso.
    Il neurodesign è una disciplina che applica le intuizioni delle neuroscienze e della psicologia per creare nuovi tipi di design più efficaci.
    Il neurodesign sfrutta il modo con cui il cervello processa gli stimoli visivi per prendere delle decisioni. Il colore, la forma, l’odore, la superficie dell’oggetto viene percepita dall’uomo in un modo e se più persone sviluppano una sensazione positiva queste caratteristiche vengono utilizzate anche per altri oggetti.

    La Gestalt ha cercato di comprendere come l’uomo percepisce le cose e anche se risultano ormai obsolete, le leggi sviluppate sono alla base della percezione visiva e tuttora vengono insegnate. Le neuroscienze, grazie a degli strumenti più complessi e moderni indagano in maniera più approfondita il nostro modo di percepire le cose. Però come per la Gestalt alcune “leggi” possono essere vere per i più, ma per altri non sono cosi evidenti, questo per dire che non esiste una verità assoluta nel modo di percepire le cose.

    La presunzione delle neuroscienze di comprendere in modo universale come le persone percepiscono quindi mi sembra eccessiva, proprio perché come si è dimostrato nel corso della storia, le leggi che avevano la “presunzione” di essere universali sono sempre state confutate.
    Magari le neuroscienze riescono a trovare un comune denominatore nel come le masse percepiscono le cose ma ciò non può essere universalizzato per ogni persona. Questo non nega la potenzialità che ha la neuroscienza nel comprendere prima di un lancio di un oggetto come verra percepito quest’ultimo in modo da comprendere il target delle persone a cui venderlo e come verrà percepito dalle persone. Bisogna però fare attenzione a basare un lancio di un prodotto solo su degli studi proprio perché un n°finito di persone a cui è piaciuto l’oggetto non identifica l’intera popolazione.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   5 Dicembre 2021 at 09:17

      Apprezzo il tuo commento, ma non ho capito fino in fondo l’innesto della teoria della Gestalt. Comunque hai ragione quando scrivi che l’approccio neuronale possiamo considerarlo un approfondimento delle teorie psicologiche. Tuttavia io la metterei giù così: le Neuroscienze come paradigma scientifico legato al più ampio campo delle scienze cognitive è in forte contrasto con i gestaltici.
      Ti faccio solo un esempio. Per i neuroscienziati il concetto base è la “rappresentazione mentale” con il suo correlato biologico cioè la “rete neuronale” posta come implicazione necessaria per comprendere rigorosamente il meccanismo “naturale” che produce azioni e significanza.. Il funzionamento del parallelismo mente/biologico presuppone il concetto di inferenza. Quindi non si parla di Gestalt (totalità), di isomorfismo e nemmeno di immediatezza percettiva.

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      • Antonio   6 Dicembre 2021 at 12:35

        Io trovo invece che la citazione di Maurizio della Gestalt possa essere, involontariamente credo, giusta. Non si potrebbero considerare i neuroni specchio come una prova che le teorie gestaltiche avevano visto giusto? Anche lo stesso Damasio citato dal prof. potrebbe essere letto in questo modo.

        Rispondi
  52. Margherita Scialla   6 Dicembre 2021 at 18:54

    Le neuroscienze studiano il sistema nervoso. Il neurodesign è l’uso delle ricerche delle neuroscienze nell’ambito del design.
    Il neurodesign sicuramente ci accenna a cosa, e fin dove, ci spingeremo in campo scientifico e artistico in futuro, ma quest’innovazione potrebbe non diventare necessariamente qualcosa di utile o di ben strutturato. Ci sono vari esempi, anche in questo articolo, di come abbiamo già sperimentato quest’unione tra design e neuroscienza, ma non sempre questi abbinamenti sono azzeccati. L’utilizzo di nuove tecnologie in certi ambienti non equivale direttamente a un miglioramento.
    Detto ciò, trovo personalmente molto interessante vedere e partecipare a queste sperimentazioni e campire cosa la tecnologia e la scienza possono migliorare e cosa invece andrebbe lasciato com’è, perché troppo complicato da gestire prendendolo solo scientificamente senza tener conto di altre influenze.

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  53. Matilde   6 Dicembre 2021 at 21:30

    Il contributo del neuro design a mio parere tratta di un’alleanza tra discipline. Sapere come funziona il cervello può fare un’enorme differenza e darci l’opportunità di fare scelte migliori e in armonia con i fondamenti biologici. Molti di noi considerano bello il Rinascimento, ebbene, le neuroscienze ci dicono che equilibrio e simmetria sono “letti” dal nostro cervello come vantaggiosi per la nostra sopravvivenza.

    Le neuroscienze ci insegnano che i processi decisionali sono guidati dalle nostre sensazioni. Questa scoperta ha portato allo sviluppo del concetto di progettazione emotiva, che pone al centro cosa prova l’utente manipolando o usando l’oggetto che abbiamo creato.

    Il problema di base per ogni neurodesigner è attirare l’attenzione in un mondo di utenti distratti da migliaia di stimoli e con poca attenzione, ottimizzando aspetti come il coinvolgimento emozionale che l’oggetto può creare e la sua salienza visiva.

    Le neuroscienze ci confermano alcuni principi fondamentali già conosciuti da tempo dai designer, come ad esempio un design minimalista attrae e ha sempre più successo di uno complicato; il nostro cervello ama risparmiare energie e odia dover processare troppi dettagli.
    Inoltre proviamo attrazione per ciò che conosciamo e ci è familiare. Il motivo è sempre legato alla necessità del cervello di fare economia, che lo spinge a scegliere pattern già conosciuti e sperimentati.
    Un oggetto, un colore o una forma familiare sono inoltre percepiti come rassicuranti, mentre qualcosa di nuovo desterà si curiosità, ma potrebbe anche essere una minaccia.

    Un esempio è quello del packaging.
    Il packaging è stato pesantemente indagato sia sotto il profilo del neuromarketing – e quindi della capacità successo di un certo tipo di confezione a coinvolgere un cliente e a fargli acquistare un prodotto – sia in termini di design puro – verifica della piacevolezza della confezione, della comodità d’uso della stessa e di facilità a reperire le informazioni necessarie.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   7 Dicembre 2021 at 00:25

      Il tuo intervento mi è piaciuto. Non sono d’accordo sulla tua affermazione relativa alla superiorità del minimalismo. Ti faccio solo un paio di esempi: Gaetano Pesce per il design, Gehry per l’architettura…Non mi pare che siano passati inosservati…Non possiamo negare il loro successo.

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  54. luca dellapasqua   6 Dicembre 2021 at 23:10

    Certamente lo studio delle Neuroscienze non ha potuto fare altro che influenzare l’estetica e il design, d’altronde entrambi si basano sulla percezione, che a sua volta sottintende un processo neurale che porta a provare delle emozioni o fare dei pensieri.
    Credo però che ancor prima della Neuroscienza lo studio comunque di un qualcosa di simile (per lo meno per quanto riguarda il design o l’arte in generale) fosse già in atto: l’arte ha sempre avuto come scopo quello di provocare una qualche sorta di emozione o di suscitare un pensiero, dunque prima o dopo l’avvento del Neurodesign il risultato non cambia; quello che cambia, a mio avviso, è il mezzo. Di sicuro lo studio delle Neuroscienze ci ha aiutato enormemente in questo, ma personalmente non mi sentirei di utilizzare il termine Neurodesign come nome di una disciplina “tutta nuova” perché alla fine non è altro che il design che già conosciamo, ma guardato sotto una lente diversa.

    Come dice più volte nel suo articolo, le Neuroscienze sono ancora in una fase “embrionale” se si pensa a ciò che potranno diventare negli anni a venire, questo mi fa riflettere sul fatto che essendo una scienza relativamente nuova, la gente e soprattutto le persone che lavorano nei settori influenzati, abbiano un focus particolare su questo tipo di nuove nozioni, ma mi viene da riflettere anche sul fatto che, con l’avanzare degli anni, questo tipo di scienza possa diventare solo che più e più accurato e affidabile sotto tutti i punti di vista.

    Riguardo al graphic e al fashion design che agiscono distruggendo l’ideale di bellezza simmetrica mi viene da pensare che, come esistono i movimenti di rottura nell’arte, magari anche nei due campi citati si era creata una situazione di questo tipo; d’altronde lo si può notare anche nella vita di tutti i giorni: tendenzialmente i capi più comuni sono relativamente semplici e simmetrici (che poi possano essere considerati più o meno belli), quando si vede un capo un po’ più particolare, ci si ferma per dargli una seconda occhiata.

    Come ci dimostra con l’esempio del confronto tra Kandinsky e Klee, il contesto è fondamentale nella fruizione di un opera. Per questo penso che l’aridità del Neurodesign, dovuta ovviamente al bisogno del numero minore possibile di variabili durante gli esperimenti scientifici, stia un po’ stretta alla contaminazione disciplinare intrinseca al design: come si può togliere tutte le variabili possibili a ciò che di natura ha bisogno di un contesto? come si può rendere sterile ciò che nasce contaminato?

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  55. Lamberto Cantoni
    Lamberto Cantoni   7 Dicembre 2021 at 00:29

    Ho trovato l’Intervento di Luca autorevole, gravido di buon senso. Certamente prima del Neurodesign le psicologie si erano interessate alla qualità estetica. Le teorie sull’empatia di fine ottocento e la psicologia della Gestalt avevano dato un notevole contributo. Con le Neuroscienze l’approccio scientifico si fa più serrato, ma per ora non vedo grandi progressi per quanto riguarda la spiegazione della bellezza.

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  56. Diego Cavalieri   7 Dicembre 2021 at 01:31

    Il neurodesign parte dal fatto che la nostra mente incosciente sta elaborando ciò che vediamo e modellando le nostre reazioni. Questo vuol dire che nella valutazione di un prodotto non basta più chiedere al pubblico cosa pensa, il più delle volte non è consapevole dei meccanismi che sono avvenuti nel loro cervello per preferire un colore al posto di un altro o una forma al posto di un’altra. Anche per questo oggi, si tende a puntare su simmetria e armonia, proprio perché percepiti positivamente dal cervello. Ma quanto possono essere affidabili neurodesign e neuroscienze? Il cervello é una macchina molto complessa e soggettiva. Ogni singolo soggetto ha vissuto esperienze e sensazioni diverse, quindi per quanto può essere accurata la neuroscienza, non potrà mai essere precisa. Certamente va detto che questi studi possono risultare molto utili da un punto di vista di strategia di marketing essendo molto importante avere uno studio accurato del potenziale cliente.

    I graphic designer da sempre hanno usato le loro intuizioni e il loro impulso nella creazione di progetti per capire quale fosse la forma più efficace per raggiungere il cliente, ma il neurodesign è in grado di dare molte informazioni progettuali che hanno una valenza scientifica.
    Come anche nel campo della moda, la maggior parte dei brand si avvale, per il proprio logo e per i propri prodotti, di un colore specifico, a seconda del tipo di emozione che intende comunicare. Difatti i colori possono trasmettere impressioni emotive diverse.

    Credo però che questi studi possano dare delle direttive molto utili a far si che il messaggio che vogliamo mandare venga recepito al meglio e che arrivi ad un target di persone specifiche.

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  57. Melisa Sarajlic   11 Dicembre 2021 at 13:28

    Il Neurodesign e il Neuromarketing sono nuove branche di ciò che già esiste, oltre a porsi la domanda di quali tra le alternative proposte piace di più agli utenti, si chiedono il perché, studiando la parte inconscia del cervello.
    Lo scopo del marketing, come ben sappiamo è quello di influenzare le persone, indurle all’acquisto di determinati prodotti rispetto ad altri. Queste scelte sono inconsce, ma in realtà sono emozioni e percezioni a guidarle.
    Lo stesso avviene per il design che fa utilizzare gli oggetti in un determinato modo, influenzando quindi il comportamento. Un esempio: le interfacce dei social media, che spingono gli utenti a passare il più tempo possibile sulle piattaforme, questo avviene perché anche il design di essi suscita emozioni e induce specifici comportamenti.
    Se la scienza in futuro sarà capace di dare delle risposte a questo, comportamenti, scelte, preferenze, credo che potrebbe essere soltanto qualcosa di positivo, in quanto, il Neurodesign sfrutta il modo in cui gli stimoli visivi vengono processati dal nostro cervello per prendere delle decisioni.
    Sicuramente non si possono dare soluzioni semplici a problemi così complessi, quindi, non possono essere leggi universali. Cultura, gusto personale, conoscenze, mode influenzano tutto questo. Ma essendo teorie ancora “nuove”, non mi sentirei di escludere a priori la veridicità di queste, se il loro obiettivo potrebbe essere anche quello di apportare un maggiore benessere alle nostre vite.

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  58. Alice Montanari   14 Dicembre 2021 at 12:07

    Il Neurodesign e il Neuromarketing sono nuove branche di discipline già esistenti, che, oltre a porsi la domanda di quali tra le alternative proposte piace di più agli utenti, si chiedono il perché, studiando la parte inconscia del cervello.
    Il Neurodesign è l’uso delle ricerche e delle esperienze delle Neuroscienze e della psicologia nella creazione di progetti e di prodotti comunicativi per far si che siano il più efficaci possibili; mentre lo scopo delle Neuroscienze è quello di studiante il funzionamento del cervello, mentre l’obbiettivo del Neuromarketing è quello di riuscire a perfezionare le strategie di marketing che permettono di comprendere al meglio le scelte e le azioni dei consumatori. Quindi si può, in linea di massima, dire che l’obbiettivo principale di un professionista che lavora nel campo del Neurodesign è quello di riuscire ad imprimere nel consumatore ricordi ed esperienze positive in modo tale da potersi assicurare un ritorno da parte del consumatore.
    Sorge quindi spontaneo chiedersi se tutte le emozioni sono percepite allo stesso modo da ogni individuo? La risposta, secondo me è no in quanto ognuno è diverso e quindi ciò che a me può portare a provare emozioni positive ad un’altra persona può provocare tristezza, rabbia ecc. quindi credo che la Neuroscienza non possa essere una scienza perfetta poiché non si concentra sull’individuo ma sulla massa. Così come il Neuromarketing e tutte le discipline ad esse correlate, credo sia studi interessanti ma non utili del tutto; ma come in tutto ci sono delle eccezioni come ad esempio la Gestal e le teorie da essa enunciate.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   19 Giugno 2023 at 09:24

      Melissa e Alice, avete usato le stesse parole nella prima parte del vostro commento. Probabilmente le avete prese da qualche parte. Niente di sbagliato. Ma è più corretto e onesto citare le fonti.

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  59. Matteo Mazzotti   27 Settembre 2022 at 17:15

    Il neurodesign deve farsi spazio in un mondo di persone con sempre meno attenzione, bombardate da stimoli sempre piu’ incalzanti cercando di usare le emozioni e il coinvolgimento visivo.

    Credo che l’ottimo punto di incontro tra la poca attenzione degli utenti e il design sia l’ordine.
    Il nostro cervello e’ sempre in modalita’ ECO, meno energie usa meglio sta, per questo un design troppo complesso e caotico spesso ha poco successo, mentre un design minimalista parte meglio, ma col tempo anche esso stanca o non fornisce stimoli a sufficienza.
    Un design anche complesso ma ordinato, (non in senso generale, basta che il fruitore ci trovi un suo senso di ordine) ha le possibilita’ migliori a mio avviso

    Prendiamo in esempio il packaging degli attuali smartphone: all’esterno semplice, pulito, chiaro. Il meccanismo di apertura, spesso infernale o che richiede di scuotere la confezione dando una sensazione di insicurezza; il contenuto disposto in modo molto ordinato e preciso, ricevere informazioni sull’utilizzo del dispositivo invece spesso risulta complesso, lungo per alcuni irraggiungibile tanto da chiedere ad altre persone il come fare.

    La parte piu’ soddisfacente solitamente e’ scomporre il “puzzle” ordinato dei vari componenti dentro la scatola;
    l’esterno pulito e chiaro ideato per andare incontro alla scarsa attenzione;
    le istruzioni, complesse, lunghe spesso finiscono o nel cestino piu’ vicino o direttamente dentro la scatola per paura di perdere la garanzia.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   29 Settembre 2022 at 09:41

      Mah! Se fosse vero che il nostro cervello è sempre in modalità ECO allora lo stress non dovrebbe esistere. Osserva il mondo e i processi vitali: il bisogno di ordine è evidente come lo è l’aumento di entropia (disordine). La storia del design raffigura da sempre questa dialettica tra ordine/disordine. La semplicità, l’essenzialismo, il minimalismo entrano in tensione con derive barocche, post moderne nelle quali imperfezioni, eclettismi e distonie sembrano dominare la “funzione” degli oggetti. Non credo che si possa sostenere che solo l’ordine abbia un correlato biologico.

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  60. Lorenzo Dellapasqua   16 Novembre 2022 at 13:16

    Credo che ormai sia di uso comune pensare che la diatriba tra scienza e arte sia qualcosa di radicato nella nostra storia. Sono entrambi prodotti della mente umana, ma con apparenti scopi diversi. La scienza si basa sul raziocinio come dogma assoluto e l’arte sull’irrazionalità (intesa come espressione del soggettivo non comparabile ad altro che se stesso). Probabilmente possiamo descrivere il primo scontro di questi giganti concettuali dall’avvento della scienza come spiegazione empirica degli avvenimenti naturali, che ha spiazzato le credenze radicate nella mitologia (un testo mitologico è in tutto e per tutto un opera d’arte, nel senso stretto del termine, cioè una storia creata e narrata da umani per altri umani oltre se stessi). La domanda è perchè siamo costretti oggigiorno a vedere questi due colossi come staccati l’uno dall’altro, e soprattutto perchè dobbiamo vederli occupati a rappresentare cose diverse? Credo che il processo di simbiosi tra scienza e arte sia una chiave necessaria per l’evoluzione della nostra specie. Così come un artista fenicio si procurava la porpora dai capi artigiani della sua comunità (inventori di tecniche uniche, specifiche e riproducibili per l’estrazione delle secrezione del murice) per colorare vestiari all’ultima moda del tempo, così People Of Shibuya si procura dati di Brain Imaging per creare una nuova linea di capispalla. Non sono restio dall’affermare che ogni singolo passo (sia da un verso che dall’altro) verso questa egemonia, se così la vogliamo chiamare, sia assolutamente da premiare e riconoscerne gli ottimi risultati. Questa “simbiosi” tra scienza è arte dovrebbe essere di pari importanza alla ricerca di un legge universale che coniughi la fisica quantistica con la relatività generale. Siamo essere viventi alla costante ricerca di un senso più che un ordine assoluto delle cose (che per qualche individuo potrebbe essere proprio l’ordine stesso! E’ questo il bello), e in quanto tali abbiamo bisogno di collegare ciò che pensavamo incongruente per scoprire qualcosa di noi stessi, degli altri, sul nostro passato, presente e sopratutto futuro (che nella nostra società occidentale ci opprime come mai nella storia dell’umanità).

    Per concludere con un altro pensiero scollegato dal resto che riflette sulla nostra società e sul mercato: I brand che hanno più bisogno di innovazione tecnologica sono i nuovi competitor delle grandi marche già affermate sul mercato. Un brand come Gucci ha meno bisogno di nuove tecnologie rispetto a People Of Shibuya perchè possiede una cifra stilistica propria così forte da non poter essere paragonato a nient’altro (figlia essa stessa di anni di lavoro sull’originalità della propria arte rispetto ad altre). I nuovi brand che hanno invece bisogno di spiccare in originalità proprio per proporre nuove possibilità e mondi non toccati dalle grandi marche, e si avvalgono di qualsiasi ispirazione scientifica e non per risaltare e procurarsi anche solo una minima possibilità di poter competere. Vedo questo pensiero cucito nel destino degli accademici come noi, che vogliono (e quasi devono) ritagliarsi uno spazio nello spicchio di mondo che hanno scelto di approfondire studiando. Tutto è ispirazione, e tutto è scienza.

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  61. Annalisa Balsamini   21 Novembre 2022 at 19:31

    Annalisa Balsamini Laba
    Il Neurodesign è una nuova disciplina che si basa sull’uso delle ricerche e delle esperienze delle neuroscienze e della psicologia per realizzare nuovi prodotti comunicativi più efficaci, facendo riferimento anche all’economia comportamentale, estetica, analisi semantica ecc… per realizzare progetti che riescano a coincidere con le sensazioni e i pensieri dei clienti nelle loro esperienze con degli oggetti o delle interfacce.
    Potrei fare l’esempio dell’architetto Oki Stato, fondatore dello studio di design Nendo, il cui obbiettivo è quello di suscitare emozioni negli utenti e lavorare su di esse ( sfruttando anche la complessità della percezione umana e gli inganni che da essa ne derivano).
    Il neurodesign sfrutta quindi il modo in cui il nostro cervello processa gli stimoli visivi rendendoli poi delle decisioni .
    Negli esseri umani principalmente la percezione si basa su un sistema gerarchico, lo stimolo passa quindi prima attraverso il lobo occipitale fino poi ad arrivare ad una distribuzione al resto del cervello. Per prima cosa in un oggetto percepiamo il colore (elemento ritenuto fondamentale), forma e in fine il riconoscimento con l’attribuzione ad esso di un significato.
    Il problema per un neurodesigner è riuscire ad attirare l’attenzione, è quindi molto importante la conoscenza dei meccanismi della percezione, perché permettono di ottimizzare ognuna delle 3 fasi (dette prima) della percezione, questo è di fondamentale importanza se facciamo riferimento al mondo in cui viviamo oggi, migliaia di persone distratte da miliardi di stimoli tutti diversi tra loro.
    Fatta questa premessa non so se sia realmente possibile trovare un punto comune a tutti. Mi spiego meglio, si parla comunque di studi realizzati in maniera generica e non sui singoli individui. Può quindi accadere che magari si ha un 99% di persone indirizzate verso qualcosa lasciando quindi una variabile, quel 1% , che può sembrare non significare molto, ma comunque incide. Non siamo tutti uguali, ognuno di noi ha il proprio vissuto, interessi ecc… quindi non mi verrebbe di definire tutto questo come una legge universale e sicura.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   19 Giugno 2023 at 10:04

      Stimata Annalisa, ti ho letto con interesse. Mi permetto di ricordarti che abbiamo anche una percezione che nasce dall’interno del nostro corpo responsabile della creazione di mappe e immagini il cui senso è “sentire qualcosa” secondo un registro di piacere/dolore. Hai descritto con termini neurologici per sommi capi come la percezione di oggetti e azioni presenti nel mondo esterno si trasformano in immagini grazie alla vista, all’udito, all’olfatto e al gusto. Non c’è dubbio che questo genere di stimoli dominano i nostri stati mentali. Tuttavia molte immagini non provengono dalla percezione del mondo esterno bensì, come ho già detto, ci arrivano dal mondo interno e sono diverse da quelle mentali. I dispositivi biologici che le creano non si limitano a ritrarre il nostro mondo viscerale…è più corretto dire che si ancorano ad esso. In altre parole, producono una reazione chimica (non solo microelettrica) che genera una intima interazione a doppio senso. Il risultato sono degli ibridi che normalmente chiamiamo “sentimenti”.
      Altra questione. Noi traffichiamo spesso anche con i ricordi di oggetti, azioni e sentimenti. Anch’essi si presentano in forma di immagini la cui percezione implica percorsi fisiologici specifici.

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  62. Ivana Doldi   22 Novembre 2022 at 00:13

    Ho trovato questo argomento di grande interesse e ricco di curiosità. È stato affascinante scoprire come molto di ciò che viene creato oggi sembrerebbe seguire un filo scientifico a livello neurologico. Mi viene da pensare, però, che spesso la stessa natura, la stessa arte e così la creatività abbiano dimostrato, in moltissimi casi, il caos visivo più completo. Le neuroscienze, indubbiamente, possono essere prese in considerazione per la valutazione e la progettualità di creazioni per determinate categorie di persone. Spesso ho trovato inconcepibile, ai miei occhi, il disordine ambientale, emotivo e sociale che circondava alcuni individui che, nello stesso tempo era, per questi ultimi, ragione di esistenza equilibrata.Rimango aperta alle future scoperte nel settore anche se con un pochino di diffidenza. Se fosse tutto così prevedibile non ci sarebbe, per un designer, il “brivido” emozionante di aver colpito e fatto centro attraverso il fiuto della sua creatività.

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  63. Noemi   22 Novembre 2022 at 10:26

    Penso che il neurodesing sia una nuova materia che applica le intuizioni per arrivare a creare un design più efficace e d’impatto. Oggi il designer è potuto crescere grazie a queste neuroscienze perché gli permette di capire meglio le persone. I loro comportamenti per esempio.
    Sebbene ogni persona sia diversa nella personalità,nei gusti, nell’individualità, nell’esperienza sia culturale che personale per via della loro esperienza personale con il mondo il neurodesing sfrutta il modo in cui il cervello processa questi stimoli visivi per prevedere le reazioni che avrà davanti a qualcosa. In pratica,questi studi possono dare delle direttive utili e conferire a un neurodesing un obbiettivo. Facendogli considerare tutti gli aspetti psicologici/neurologici per sfruttare al massimo l’estetica e la funzionalità che sfocia sia nel packaging e interior design. Il suo scopo è farsi amico il cliente,regalandogli la visione estetica più piacevole . Se gli crea una stanza con le pareti verniciate di rosso o arancione questo scaturirà un desiderio di fuga, quindi negativo. Diversamente da ciò deve creare un ambiente luminoso,che dia equilibrio (fondamentale) che sia connesso con la natura e che diventi un luogo facilmente riposante. Penso che tutte queste caratteristiche siano state messe a dura prova durante la pandemia in cui eravamo confinati nelle nostre case e tutti quanti smagnavano per avere un giardino o un balcone. Perché? Il giardino è collegato alla natura che ha un effetto positivo su di noi. E il balcone? Illude di una libertà che però ti permetteva di sentire il sole. Chi non aveva nessun dei due erano confinato in una casa, con un arredamento uguale che ti faceva desiderare di rinnovarlo perché a forza di vedere le stesse identiche cose, ogni giorno, aveva iniziato a dare fastidio. Ed è anche da questo che gli studi del neurodesing e il designer si sono evoluti per comprende meglio cosa succederà nella testa delle persone.

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  64. Cristian Serani LABA   22 Novembre 2022 at 11:36

    Sin dalla sua nascita, il Design si poneva lo scopo di realizzare una serialità di prodotti ponendo la propria attenzione principalmente sulla tecnica. Con il progredire degli strumenti tecnologici e gli avanzamenti degli studi sul neurodesign, la disciplina si è evoluta con un’attenzione anche verso gli aspetti culturali e semantici dei prodotti stessi. Che si tratti di forma, colore o qualsiasi strumento capace di vincolare l’empatia, è possibile riconoscerne uno stesso denominatore comune che ha visto emergere, tra le competenze richieste al Design, quella più propriamente legata agli aspetti fisici, psicologici e sociali, e dunque al “fattore umano”.
    L’erroneo concetto di standarizzazione imposto dal mondo dell’industria viene accantonato per lasciare spazio a prodotti che tengano conto delle diversità fisiche e/o cognitive dell’utente. Facendo ciò, l’essere umano è stato capace di porsi al centro del processo creativo e a diventare anch’esso oggetto di studio. A questo nuovo cambiamento del Design si sono quindi susseguiti i progressi in altri ambiti della conoscenza, e in particolare quelli legato allo studio dell’uomo come essere biologico, prima e psicologico poi. Questa nuova presa di posizione rischia però di portare il Design ad ingannare il consumatore o a sfruttare risposte meccaniche attribuite al suo cervello, come viene mostrato, seppur in chiave satirica, all’interno di Essi Vivono.

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  65. Michela Naldi LABA   22 Novembre 2022 at 17:25

    Il Neurodesign utilizza gli studi della neuroscienza e del della psicologia per creare e modellare progetti che sappiano entrare dentro al cervello delle persone; ovvero il suo scopo è quello di rendere un oggetto più efficace dal punto di vista visivo e attrattivo.
    Allo stesso modo, anche il neuromarketing si serve delle ricerche e scoperte scientifiche per influenzare l’acquisto di un prodotto da parte della società.
    In entrambi i casi si è convinti che se la parte conscia della mente percepisce una cosa, in realtà la parte inconscia elabora un qualcosa di differente, e proprio partendo da questa idea, si creano delle regole da seguire per rendere un prodotto più “appetibile”.

    Sicuramente questi nuovi studi aiutano il design nella progettazione di un prodotto o nella creazione di un manifesto o di un arredamento, ma allo stesso modo credo che in alcuni casi ci si basi molto sulla simmetria delle cose (inteso equilibrio che crea bellezza) e si tenda, forse per difetto, a dare per scontate alcune cose.
    Ad esempio, se io fossi una designer e progettassi una stanza secondo le regole del Neurodesign e del Neuromarketing, potrei dare per scontato che una stanza rossa crea confusione e stress nell’animo di chi ci vive; e se invece al futuro abitante di questa stanza il rosso crea sensazione di amore e tranquillità perché magari suscita in lui ricordi piacevoli e rilassanti?

    Nel passato il graphic designer creava e progettava secondo le proprie intuizioni, le proprie ricerche e le proprie emozioni e nonostante ciò nel corso della mia vita ho comunque visto oggetti molto funzionali e interessanti.
    Probabilmente, così come in altri ambiti, credo sia giusto creare un equilibrio tra il vecchio e il nuovo, quindi collegare la propria intuizione alle nuove scienze e alle nuove scoperte, creando un equilibrio che al tempo stesso sia pieno di emozioni (magari cercando di capire nel profondo anche ciò che piace al consumatore come singolo individuo dotato di una sua identità, e non solo come persona considerata all’interno di un campione) e intuizione, sia di regole che possano guidare il pensiero e l’idea.

    In conclusione vorrei concludere la mia riflessione con una tipica frase, ossia “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”; credo che queste parole esprimano perfettamente l’idea che la bellezza è soggettiva, quindi non possiamo aspettarci che quello che piace a noi, sia poi effettivamente bello anche agli occhi di una terza persona. Se nella mia idea di bellezza c’è il concetto di contrasto o di casualità, non è detto che per qualcun altro sia lo stesso, magari per una terza personale l’idea di bellezza è l’estrema simmetria e perfezione nelle cose, nel colore e negli abbinamenti.
    Ho sempre percepito l’idea di bellezza, profondamente legata alla nostra vita, alle nostre emozioni e ai nostri ricordi; sin da piccola ho sempre amato guardare il cielo stellato, motivo per cui il soffitto di camera mia è dipinto di blu notte con brillantini argento, e questa decorazione mi piace moltissimo, mi rilassa e questo perché suscita in me ricordi ed emozioni molto piacevoli.

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  66. Federico balboni   22 Novembre 2022 at 18:26

    Secondo me è importante continuare lo studio su questo tipo di argomento, c’è da scoprire molto di più di quello che sembri, parte tutto dal fatto che quando noi osserviamo qualcosa, qualsiasi cosa, il nostro cervello la elabora inconsciamente e da questa elaborazione nascono delle emozioni, che possono cambiare in base alle nostre esperienze e dalle nostre abitudini, quindi grazie a questi studi scientifici, è possibile capire quali possono essere delle determinate nuove caratteristiche, per creare nuovi tipi di design più efficaci, scoprendo per quale motivo certe cose ci piacciono meno di altre, ci può anche aiutare a fare previsioni sui mercati futuri e sulle nuove tendenze che possono venire d’aiuto ai graphic designer, che grazie a questi studi possono avere una grossa mano su cosa sia giusto fare o non fare, e creare anche nuove strategie di marketing. A mio parere però questi studi, devono avere un giusto peso ed essere considerati più che altro come delle tracce da seguire e non prese troppo alla lettera, perché l’uomo sa essere molto imprevedibile e irrazionale, siamo in un periodo dove va tutto di fretta e le cose possono cambiare da un giorno all’altro come la moda o cibo fino ad arrivare ai pensieri della gente. C’è da dire anche che basandoti su questi studi riesci a colpire solo una fetta di gente che è accomunata da qualcosa come per esempio può essere la cultura.

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  67. Alyssa T   22 Novembre 2022 at 21:13

    Iniziando il discorso parlando di neuroscienze, studi scientifici condotti sul sistema nervoso, e citando il professor Rizzolati per la sua scoperta dei cosiddetti “neuroni specchio”, l’autore porta alla nostra attenzione nuove realtà quali il concetto di Neuroeconomia e Neuromarketing. Queste, rubando il suffisso “neuro” alle precedenti, puntano a coniugare alle leggi economiche, le competenze che abbiamo riguardo il funzionamento della mente umana ottenendo così dati e previsioni sul consumo/acquisto della gente.

    E’ quindi breve il passo per arrivare a parlare di Neurodesign e con esso dell’ “idea che il design evoluto avesse come scopo primario il benessere inteso come adattamento creativo alla “natura” ” rimarcando i concetti di simmetria e rigore. Sono però le stesse arte e moda, con le loro forme e colori improbabili, sproporzionati e caotici a ricordarci che non sempre ciò è effettivamente vero.

    Vediamo l’applicazione di questi processi, per esempio, nell’azienda People of Shibuya che se ne è servita per il lancio di una nuova giacca. Come però sottolinea ironicamente l’autore “la qualità di comfort promessa dal loro giaccone sprofondava nell’evidenza biologica”
    Penso sia proprio qui che si concentra il nucleo dell’intero discorso. Ritengo che le persone, pubblico e venditore/realizzatore di un prodotto, si dicano certi della valenza di questi processi proprio a causa del famoso suffisso; è certamente utile e interessante osservare l’applicazione delle neuroscienze al fine di comprendere meglio il funzionamento delle nostre menti, coi suoi schemi e meccanismi, ma di fatto se ci fermiamo a riflettere ci renderemo conto che siamo già in possesso di numerose informazioni utili alla realizzazione di elementi in grado di attirare.

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  68. Nicola   22 Novembre 2022 at 21:19

    Il neurodesign si propone di indagare i meccanismi alla base delle nostre decisioni, delle nostre reazioni e dei nostri comportamenti, al fine di sviluppare soluzioni che favoriscano un maggior benessere e una migliore produttività. Un esempio è che i neuroscienziati hanno scoperto che il cervello umano è estremamente sensibile alle stimolazioni ambientali. Infatti ho letto in un articolo che è stato dimostrato che la luce può influenzare il nostro umore, la nostra capacità di concentrazione e la nostra produttività. Sulla base di queste scoperte, i neurodesigner stanno sviluppando soluzioni per migliorare l’illuminazione degli ambienti di lavoro e di vita, in modo da favorire un maggior benessere e una migliore produttività.
    Ma ritengo anche che questa disciplina non possa essere considerata come dogmatica in quanto il cervello umano sia diverso da persona a persona, non esiste una “regola generale” per tutti gli individui, si tende infatti a generalizzare il risultato di uno studio basato sulle percezioni di molte persone. Questo poiché ogni soggetto ha percezioni, idee, pensieri diverse che portano ad una differenziazione di gusti ed opinioni, ragione per cui la neuroscienza non potrà mai essere precisa al 100%.

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  69. Tommaso   22 Novembre 2022 at 23:05

    Personalmente penso che, sia la neuroeconomia che il neuromarketing, siano il presente e sicuramente il futuro del design, dell’economia e di altri innumerevoli campi non ancora studiati secondo le regole della neuroscienza. Il solo pensiero che esista uno studio scientifico che analizzi e interpreti i segnali neurologici del cervello per rilasciare dati oggettivi relativi alla bellezza e altre emozioni percepite dalle persone è rivoluzionario. Soprattutto nell’ambito economico, grazie allo studio delle emozioni e dei processi di scelta, i neuroscienziati sono riusciti ad individuare zone del cervello e deviazioni razionali che non sembravano essere veritiere agli occhi degli economisti.
    A parer mio poi, le regole del neurodesign, che permettono di costruire ambienti salutari, sono regole importanti si ma un po’ fini a se stesse, se così le possiamo definire, poichè non sono universali e non caratterizzano tutte le persone e gli artisti ma solo alcune ideologie. Questo per collegarsi direttamente con l’affermazione relativa all’eterogeneità della bellezza per diversi individui. Sostengo che sia pressochè impossibile trovare una forma/colore che possa rispettare tutti i canoni del 100% della popolazione mondiale a significare la diversità di noi esseri umani, anche se concordo che ci siano alcune forme in risonanza con la totalità delle persone (numerosi sono gli esempi nella moda e di famosi designer).
    Riassumendo il problema: gli studi e gli esperimenti neuroscientifici sono stati effettuati solamente su un ristretto campo di persone che ovviamente non rappresentano la totalità dei gusti, delle opinioni e sicuramente non daranno risultati univoci e universali da utilizzare in seguito come regole fisse. Anche se, personalmente, potremmo basarci su un numero sempre maggiore di dati, derivanti da altrettanti studi, effettuati su gruppi di persone dalle culture e abitudini differenti per individuare delle macro aree di interesse e di reazioni neuronali che ci permetteranno di individuare il canone di bellezza per queste persone.

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  70. Linda Laba   23 Novembre 2022 at 09:05

    Il termine “neuroscienze” deriva dalla volontà di abbattere le barriere tra le diverse discipline scientifiche per avvicinarsi ad una piena comprensione della complessità del funzionamento cerebrale.
    Le neuroscienze rappresentano una scienza interdisciplinare che comprende svariati tipi di studi.
    Recentemente, gli studi della Neuroscienza stanno trovando innumerevoli campi di indagine e applicazione, tra questi ci sono quelli legati all’arte ed alla creatività.
    I designer hanno le proprie idee ed intenzioni per creare oggetti, essi si confrontano per verificare le affinità con regole tecniche che fanno parte del loro bagaglio formativo. Ultimamente, però, utilizzano anche le neuroscienze.
    Ad esempio, manager di aziende utilizzano i dati delle ricerche neuroscientifiche per decisioni strategiche al fine di vendere un prodotto o un brand.

    Credo che questi studi siano importanti per dare informazioni utili nel funzionamento del cervello.
    Ma questo non ci può dare l’illusione di poter conoscere e prevedere le reazioni di una persona sottoposta ad un determinato prodotto, non si può generalizzare. Devono essere presi in considerazione i diversi stili di vita ed ogni divergenza; la percezione è soggettiva.
    La neuroscienza dovrebbe analizzare il singolo, non generalizzare dando per scontato che gli individui non abbiano aspetti differenti.
    Le nozioni del neurodesigner possono dare maggiore conoscenza e consapevolezza in alcune scelte.
    Ma non possono nascere da affermazioni generiche e non si possono mitizzare le nuroscienze.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   23 Novembre 2022 at 19:14

      In effetti è proprio così. Neuroscienze è un neologismo proposto nel1962 da un fisiologo americano che si chiamava Francis O.Smith. Sostanzialmente la pensava in questo modo: per spiegare il comportamento in termini di attività del cervello occorre la collaborazione di scienziati di diversa formazione. Smith non divenne famoso per i risultati delle sue ricerche, ma la sua idea di interdisciplinarità era giusta e divenne uno standard anche a livello accademico.

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  71. LT   23 Novembre 2022 at 10:26

    L’articolo si apre con la presentazione del neurodesign e del neuromarketing che si distinguono per l’area che studiano, ovvero il design e l’economia. In generale però le neuroscienze mappano il nostro cervello, scoprendo così le emozioni hanno un’intima connessione con i processi mentali implicati nelle situazioni di scelta.
    Proprio per questo quando parliamo di design evoluto si intende quello che ha come scopo primario il benessere inteso come adattamento creativo alla natura.
    Così affermando sorge la domanda: “Che prove abbiamo sull’effettivo interesse della “natura” riguardo il nostro piacere e benessere?” E la risposta viene da se’ perchè è evidente un disinteresse dei processi naturali nei confronti delle nostre aspirazioni, perdendo così la certezza del neurodesign che muta quasi a una narrazione.

    Dal punto di vista pratico il designer continua a farsi ispirare da ciò che lo circonda, ma prima o dopo l’ispirazione confronta il proprio lavoro con i colleghi per calcolare la giustezza e nel caso correggere il tiro, ovviamente è presente anche un corpus di regole che l’artista apprende di trame la sua formazione.
    La perfezione è irraggiungibile però perché la bellezza viene intesa come una configurazione a dominanza simmetrica, ma anche a contrasto e distorsione, quindi si dovrebbe scendere a semplificare teorie scientifiche che si trasformerebbero in semplici generalizzazioni.

    Tutto ciò che ho affermato fino ad ora non sminuisce l’utilità del neurodesign perché senza questo studio, quindi alla conoscenza di relazioni biologiche ai materiali e all’organizzazione dello spazio, così progettando ambienti più salutari. Sorge anche una difficoltà, in particolare per i settori che si occupano maggiormente di oggetti di consumo, perché soffrono di un ansia per il bello. Per riuscire a vendere un prodotto bisogna sapere in anticipo cosa avrà propensione a diffondersi.

    In conclusione bisogna interpretare questo studio come un aiuto a progettare oggetti o ambienti, ma non come una ferma verità, perchè non si è certi delle previsioni ogni che si fanno e ogni individuo percepisce in modo diverso.

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  72. Tommaso Morandi   23 Novembre 2022 at 15:13

    L’articolo appena letto ha come argomento principale il Neurodesign, partendo però prima citando la Neuroeconomia, che unisce i processi decisionali in campo economico ai dati prodotti dalle ricerche sul funzionamento del cervello divulgate dai neuroscienziati e il Neuromarketing, il quale unisce questi dati alle decisioni di consumo e acquisto della popolazione.
    Le Neuroscienze però vengono utilizzate anche nelle discipline artistiche e nell’ambito della creatività, tuttavia queste non hanno ancora portato a vere e proprie soluzioni e risposte.
    Tutt’ora gran parte degli economisti e dei professionisti del marketing e della comunicazione hanno accettato i metodi empirici dei neuroscienziati e le correlazioni emerse dai loro esperimenti, così come i manager delle aziende.
    Un altro punto a parer mio importante di questo articolo è la parte che afferma che il design moderno abbia come scopo principale il benessere e inoltre che il design, creando bellezza, abbia un effetto “anti infiammatorio”.
    Le Neuroscienze ci hanno permesso di controllare il funzionamento delle nostre emozioni e ci hanno fatto capire che anche attività complesse, come il Design, iniziano dai sentimenti, dalle emozioni.
    In conclusione penso che le Neuroscienze ci diano un grande aiuto anche in campi come il design, per apprendere nuove informazioni utili, anche se secondo me non ci si deve basare totalmente su di esse.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   23 Novembre 2022 at 19:05

      Attenzione. I designer non hanno di certo atteso i neuroscienziati per capire che il loro mestiere aveva implicazioni sullo stato delle emozioni di un cliente. Diciamo che gli esperimenti in laboratorio basati sulla riduzione dei fenomeni mentali a effetti neuronali ha indotto tra i creativi due pseudo certezze: 1) è possibile avere dati oggettivi su come funzionano le emozioni 2) è lecito immaginare che dati dalla valenza biologica suggeriscano regole costruttive o creative generalizzabili cioè valide per ogni essere umano.
      Entrambe le induzioni sono tutt’altro che certe.

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  73. annaluna   23 Novembre 2022 at 16:19

    Parlando di neurodesign, possiamo dire che si tratta di una disciplina che applica le intuizioni delle neuroscienze e della psicologia per creare design più efficaci in grado di far combaciare le sensazioni provate dagli utenti con quello che il designer voleva far suscitare.
    Pertanto il neurodesign sfrutta il modo con cui il cervello elabora gli stimoli visivi e ciò ha portato allo sviluppo del concetto di progettazione emotiva che posiziona al centro cosa prova l’utente utilizzando l’oggetto creato.
    I designer tendono quindi a focalizzarsi sull’aspetto emozionale dell’oggetto.
    Il problema riscontrato con gli studi neuroscientifici però, è quello del generalizzare. Non ci si può basare sull’esperienza emotiva di un gruppo ristretto di persone in quanto l’emotività è soggettiva.

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  74. Alice Massari LABA   23 Novembre 2022 at 19:26

    Personalmente ho trovato l’articolo molto interessante e molto attuale. Il neurodesign è un tema sempre più diffuso ma forse lo si conosce ancora poco perciò credo che l’articolo appena letto costituisca un buono spunto di riflessione a riguardo.

    Credo che il neurodesign rappresenti un passo in avanti, qualcosa che permette di conoscere in maniera più approfondita la società e credo costituisca un’occasione di sviluppo nei diversi ambiti che può condurre ad un maggior benessere per le persone però ritengo sia fondamentale non generalizzare di fronte ad una società che tutto è tranne che omogenea.
    Bisogna infatti sottolineare, secondo me, che le “regole” e i principi elaborati dai neuroscienziati possono giovare solo ad una parte della società, magari la stragrande maggioranza, ma ci sarà sempre una minoranza che di fronte a tali “regole” non avrà la stessa sensazione di benessere.

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  75. Sinfonia giornale scommessa   24 Novembre 2022 at 10:53

    Molto interessante l’articolo. Se non ho compreso male, quest’ultimo parla di come si possa applicare lo studio delle neuro scienze in altri campi come per esempio il marketing, il design e la moda. L’articolo oltre che suscitarmi interesse, mi ha fatta sentire in linea con ciò di cui parla; io credo abbastanza nella scienza e nei relativi studi.

    Al giorno d’oggi, grazie agli innumerevoli studi che sono stati fatti, abbiamo a disposizione un’ampia ricchezza di informazioni riguardanti il cervello, le quali possono essere usate a nostro vantaggio integrandole con altri campi, creando così nuovi concetti come la neuromoda e il neurodesign.

    Io però mi sento di aggiungere che si, è giusto prendere in considerazione gli studi neurologici, ma senza eccedere perché quando si parla di gradimento non si può generalizzare troppo in quanto ogni persona si differisca dalle altre e già la mente è complessa in se per se, moltiplicando questa complessità per otto miliardi di persone non si può arrivare a conclusioni ben precise ma a semplici linee generali.

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  76. Aurora   24 Novembre 2022 at 11:14

    Il neurodesign è l’uso delle ricerche e delle esperienze delle neuroscienze e della psicologia nella creazione di progetti e prodotti comunicativi più efficaci.Il neurodesign utilizza anche altre scienze per modellare dei progetti che sappiano colpire cerebralmente il cliente, per esempio l’analisi semantica delle immagini per analizzarne la composizione ottimale, l’economia comportamentale, la psicologia evolutiva, l’estetica. La scoperta dei neuroni specchio e del neurodesing penso che sia una scoperta straordinaria e all’avanguardia; purtroppo non ancora conosciuto al 100%. Purtroppo questi studi non danno risultati tutti uguali, perché tutti noi abbiamo una personalità, comportamento… diversi come lo è il nostro cervello. Infatti come ha spiegato un’altro prof il desing non si basa sul piacere; per esempio di un prodotto, ma bensì sul funzionamento. Il piacere è soggettivo come è soggettivo: il nostro piacere, il colori, il pensiero eccetera.

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  77. Benedetta   27 Novembre 2022 at 10:12

    Personalmente ritengo che il neurodesign e tutte le discipline di questo tipo siano molto interessanti, ma sulle quali non vada fatto troppo affidamento, poiché sono studi che vengono svolti su un certo numero di persone e dunque non sul totale.
    L’obiettivo di un lavoratore nell’ambito del neurodesign è quello di assicurarsi il ritorno del consumatore lasciando a quest’ultimo ricordi positivi, dunque lavorare sull’aspetto psicologico del cliente. Ma ogni persona è unica e irripetibile, quindi ciò che può suscitare felicità ad un individuo può non suscitare la stessa emozione ad un altro individuo. Alla luce di ciò credo dunque che la neuroscienza non sarà mai una scienza perfetta poiché gli studi si concentrano sulla maggioranza, non sul singolo individuo.

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  78. Pekins Laba   27 Novembre 2022 at 14:53

    Nell’articolo letto si parla della Neuroscienza cioè tutte quelle discipline che studiano la struttura e il funzionamento del sistema nervoso, disciplina applicata poi nel ambiente economico e marketing per individuare i canali più diretti ai processi decisionali d’acquisto. Ponendo quindi l’attenzione del veditore su tutto ciò che attira, stuzzica e suscita emozioni al possibile acuirete.

    Questa disciplina ha avuto modo di affermarsi anche nel modo del design, quindi nell’utilizzo dell’esperienze, degli studi neuroscientifici e della psicologia per realizzare prodotti comunicativi più efficaci.
    Questi studi risultano estremamente efficenti per quelle startup o piccoli Brand intenti ad affermarsi in un mercato così vasto o a anche per Brand o Aziende più grandi in cerca di raggiungere nuovi clienti o semplicemente per mantenere il proprio posizionamento nel mercato.

    Il problema di queste discipline sta nel “generalizzare” tali informazioni, il cervello umano ragiona e reagisce in modi assolutamente imprevedibili, per cui non possono esistere regole dogmatiche che determinano la reazione di un soggetto sottoposto ad un determinato stimolo. Colori, luci, forme e persino odori suscitano in un soggetto sensazioni ed emozioni tali per quell’unico individuo.
    Pertanto nonostante la sua potenzialità la neuroscienza non può essere considerata una legge solida, ma una sorta di linea guida su ciò che può piacere o meno, sempre in grandi linee.

    Rispondi
  79. V.M. LABA   1 Dicembre 2022 at 11:23

    Penso che il neurodesign, come il neuromarketing e la neuroeconomia, siano aspetti che sono stati scoperti da poco, e sono legati a una maggiore consapevolezza e conoscenza di noi stessi. Questo perché siamo esseri soggettivi diversi ma con elementi simili per natura, e proprio per questo credo che non si potrà mai definire una regola o uno studio unificato che decodifichi in modo unico e unilaterale i nostri pensieri, emozioni e sensazioni perché siamo troppo diversi per poter creare un livello guida generico. Infatti io credo che lo scopo di questi studi non è delineare un elenco di regole da seguire indistintamente per qualsiasi scopo, ma piuttosto delineare comportamenti o reazioni comuni tra soggetti simili. Perché nella comunicazione è fondamentale considerare il destinatario del messaggio, e anche il modo in cui le persone comunicano, che è molto importante per far arrivare al destinatario tale informazione. In conclusione penso che questi studi possano fornire una linea guida generale che ogni individuo è libero di seguire o no.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   2 Dicembre 2022 at 09:03

      Quando si ragiona basandoci sul livello biologico ovvero su presunte cause radicate nel funzionamento dei neuroni, il concetto di libertà diventa problematico. Sì certo, siamo liberi di scegliere un punto di vista diverso, ma se crediamo ad una sorta di determinismo implicato da certe reazioni neuronali allora i termini di riferimenti non sono più le singolarità ma presunte leggi che generalizzano gli effetti.

      Rispondi
  80. martina giamperoli   23 Dicembre 2022 at 10:41

    il neurodesign è sicuramente un argomento molto complesso e interessante che ci può fornire vari punti su cui ragionare. Tuttavia penso ogni individuo abbia dietro di se esperienze completamente diverse da quelle che potrebbero essere di un altro soggetto. Basarsi su questi studi quindi non permette di arrivare a conclusioni che possono essere generali, ma solo specifiche di certi utenti. A parer mio i designer potrebbero essere aiutati dalle neuroscienze, ma nello svolgere il loro lavoro si dovrebbero comunque basare su quelle che sono le loro sensazioni, il loro intuito, per colpire in modo efficiente il mercato che li circonda. La scienza non è sempre una perfetta soluzione in ogni campo, soprattutto se parliamo dell’ambito creativo

    Rispondi
  81. Asia Borio Laba   28 Dicembre 2022 at 11:43

    Mi trovo in accordo con la critica fatta nell’articolo riguardante l’efficacia degli studi relativi al neuro-design: oggi si cerca sempre di trovare un modello o uno schema che sia valido per tutti, in molti casi sembrerebbe una strategia vincente, ma nell’arte ciò è impossibile in quanto è per sua natura quanto più varia e soggettiva.
    Questo tentativo di uniformare l’arte, quindi anche il design, secondo regole scientifiche, risulta inefficace a causa dell’imprevedibilità della volontà dell’uomo.
    Infatti, la scienza e i suoi studi possono senza dubbio indicare all’uomo cosa sia meglio per lui ma non può sapere e comprendere quale sia la sua volontà. Questa stessa differenza la si trova nella scelta: non sempre quella giusta è quella che desideriamo prendere.

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  82. laura rontini LABA   29 Dicembre 2022 at 15:54

    Ho trovato questo argomento complesso, ma allo stesso tempo molto interessante e ricco di curiosità.
    L’articolo afferma che per lungo tempo, scienziati e pensatori, non hanno attribuito molta importanza ai sentimenti, e secondo me questo è un peccato perché, anche se sono consapevole della difficoltà di misurare ciò che proviamo e sentiamo, lo trovo lo stesso un dato fondamentale nell’analisi dei dati.
    Penso che le Neuroscienze siano una svolta visto che hanno trovato modi ingegnosi per osservare il funzionamento delle emozioni umane a livello biologico.
    Infatti, sono proprio esse che ci distinguono da tutti gli altri esseri viventi e che hanno allargato la nostra visione sulle attività umane a partire da quelle inconsce fino ad arrivare a quelle più sofisticate.
    La parte più interessante dell’articolo è quando parla del Design come una attività complessa, una attività che inizia da sentimenti ed emozioni. Sono pienamente d’accordo quando afferma che il design è qualcosa di positivo e che è un’attività umana immersa nel biologico, senza però dimenticare che noi in quanto esseri viventi esploriamo sia lo schermo di un computer che ambienti.

    Rispondi
  83. laura rontini LABA   29 Dicembre 2022 at 16:03

    Ho trovato questo argomento complesso, ma allo stesso tempo molto interessante e ricco di curiosità.
    L’articolo afferma che per lungo tempo, scienziati e pensatori, non hanno attribuito molta importanza ai sentimenti, e secondo me questo è un peccato perché, anche se sono consapevole della difficoltà di misurare ciò che proviamo e sentiamo, lo trovo lo stesso un dato fondamentale nell’analisi dei dati.
    Penso che le Neuroscienze siano una svolta visto che hanno trovato modi ingegnosi per osservare il funzionamento delle emozioni umane a livello biologico.
    Infatti, sono proprio esse che ci distinguono da tutti gli altri esseri viventi e che hanno allargato la nostra visione sulle attività umane a partire da quelle inconsce fino ad arrivare a quelle più sofisticate.
    La parte più interessante dell’articolo è quando parla del Design come una attività complessa, che inizia da sentimenti ed emozioni. Sono pienamente d’accordo quando afferma che il design è qualcosa di positivo e che è un’attività umana immersa nel biologico, senza però dimenticare che noi in quanto esseri viventi esploriamo sia lo schermo di un computer che ambienti.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   5 Gennaio 2023 at 09:03

      Sì certo, esploriamo sia schermi di computer che ambienti…come una volta guardavamo mappe e percorrevamo territori inesplorati. Penso che quei primi esploratori sapessero benissimo che per sopravvivere dovessero tenere presente che la mappa non è il territorio. Da ciò concludo che lo schermo del computer non è l’ambiente.

      Rispondi
  84. Alice M. LABA   3 Gennaio 2023 at 13:24

    A mio parere questo testo è stato un po’ intricato ma contemporaneamente gradevole.
    Penso che oramai sia quasi basato sulle neuroscienze sia con i propri pro e contro.
    Consenso l’articolo riguardo al Design perché penso sia fondamentale, in un argomento così vasto e pieno di sfumature, avere come ‘iniziativa’ i sentimenti e le emozioni.

    Rispondi
  85. Rosa   4 Gennaio 2023 at 18:29

    Il neurodesign come si può capire dall’articolo é una nuova disciplina che applica le intuizioni delle neuroscienze e della psicologia per creare nuovi tipi di design più efficaci , ovvero in grado di far coincidere le sensazioni e i pensieri degli utenti nella loro esperienza con un oggetto o un’interfaccia con quello che il designer voleva effettivamente suscitare. Questo a parer mio è fantastico perché è sicuramente un aiuto che permette ai designer di capire cosa potrebbe piacere e perché.

    Rispondi
  86. Federica   7 Gennaio 2023 at 15:37

    Il neurodesign è l’uso delle ricerche e delle esperienze delle neuroscienze e della psicologia nella creazione di progetti e prodotti comunicativi più efficaci. Sfrutta il modo con cui il cervello elabora gli stimoli visivi e ciò ha portato allo sviluppo del concetto di progettazione emotiva che posiziona al centro cosa prova l’utente utilizzando l’oggetto creato. Il problema riscontrato con gli studi neuroscientifici però, è quello del generalizzare. Penso che ogni individuo abbia dietro di sé esperienze completamente diverse dalle altre persone. Non ci si può basare sull’esperienza emotiva di un gruppo ristretto di persone in quanto l’emotività è soggettiva, ogni persona è unica e irripetibile. La neuroscienza non sarà mai una scienza perfetta considerato che gli studi si concentrano sulla maggioranza, non sul singolo individuo. Bisogna tenere presente che siamo tutti diversi. Abbiamo gusti e preferenze diversi, è questo non è da sottovalutare.

    Rispondi
  87. Manila P   12 Gennaio 2023 at 15:06

    Ho trovato questo articolo sulla tematica dl Neurodesign davvero molto interessante, nonostante fosse un argomento comunque complesso da capire a fondo. E’ interessante come il cervello di ogni essere umano percepisca le cose alla stessa maniera, nonostante poi alla fine ognuno di noi si fa una propria idea distinta. Basti pensare ai colori, come ad esempio i colori chiari e tenui come il bianco, il beige, emanino un senso di pace e tranquillità e quasi ordine aggiungerei, mentre invece colori più accesi come il rosso, il blu diano quasi un senso di movimento, mentre il nero sia un colore abbastanza vario, perchè se si pensa di fare un muro nero, una piscina dal fondale nero, da un senso profondo di angoscia, mentre invece nel campo della moda sia un colore di estrema eleganza. Ma non solo i colori, anche la forma degli oggetti suscita diverse sensazioni ed emozioni, come una forma morbida e circolare, sia più piacevole da guardare piuttosto che qualcosa dalla forma rigida con degli angoli spigolosi. Questo concetto fa anche capire coma l’ambito artistico che va dall’arte alla moda, fino al design stesso, siano estremamente legati alla psicologia, ed è affascinane come la psicologia governi il mondo. Infine penso che ogni designer debba conoscere questo argomento per avere successo, perchè è una conoscenza che puo’ portarne il suo successo; a mio parere uno dei principali designer che ha sfruttato a pieno la scienza del neuro design è sicuramente Steve Jobs, che con i suoi design minimalisti, dalle forme sempre arrotondate, ha conquistato il 90% del mondo con i suoi prodotti marchiati Apple, portando un successo incredibile sin dal primo prodotto che fece uscire, e andando avanti con gli anni, si trova con sempre piu successo.

    Rispondi
  88. Atena Tomasetti   2 Febbraio 2023 at 18:10

    Trovo che il neurodesign sia una disciplina molto utile e funzionale, il fatto che l’unione di due opposti come psicologia e scienza abbia creato questa disciplina è sorprendente.
    Il neurodesign ora come ora è la base del commercio, grazie ad esso un designer ha la possibilità di prevedere il livello di consumo delle persone, perchè anche se ovviamente ognuno ha i propri gusti ci sono cose come i colori o le forme geometriche che suscitano le emozioni simili a tutti (si può fare esempio ai quadri di famosi pittori come Van Gogh che utilizzava spesso il blu per esprimere inquietudine e tristezza o Mustaki che rappresenta la rabbia con il colore rosso e tratti decisi).
    Ma mi viene in mente che basandosi solo sui gusti generali delle persone possa poi appiattirsi tutta la creatività e non arrivare alle innovazioni.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   3 Febbraio 2023 at 09:26

      Trovo esagerata la tua affermazione sul neurodesign divenuto “la base del commercio”. L’utilizzo delle ricerche neuro da parte di manager e creativi di vari comparti è certamente un “fatto”, ma rappresenta ancora un fenomeno di contaminazione culturale per élite manageriali di brand d’avanguardia. Condivido invece il tuo ragionamento finale.

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  89. Weronika Andretta   15 Febbraio 2023 at 18:07

    A livello neuroscientifico, il Neurodesign sfrutta il modo con cui il cervello processa gli stimoli visivi per prendere delle decisioni. Negli esseri umani, la percezione avviene attraverso un sistema gerarchico in cui si passa necessariamente dal lobo occipitale per avere poi una distribuzione degli stimoli al resto del cervello. In pochi casi si attivano vie neuronali più veloci, soprattutto quando è in ballo la nostra sopravvivenza e bisogna decidere immediatamente se attuare una reazione di fuga o combattimento. Anche se il Neurodesign è una disciplina appena nata, le applicazioni sono già molteplici e di sicuro interesse per designer, grafici, illustratori, architetti e progettisti. Il Neurodesign è l’uso delle ricerche e delle esperienze delle neuroscienze e della psicologia nella creazione di progetti e prodotti comunicativi più efficaci.

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  90. martina celli laba   22 Febbraio 2023 at 20:50

    Parto col dire che questo articolo è stato molto interessante in quanto parla di contenuti molto all’avanguardia e che riguardano il giorno d’oggi. Si può dire che il neurodesign aiuta ricerche delle neuroscienze e della psicologia nella creazione di progetti e prodotti comunicativi più efficaci. Il neurodesign attraverso la scienza modella dei progetti che sono in grado di colpire dal punto di vista celebrale il cliente. I designer da tempo ideano il loro progetto secondo il gusto personale delle persone “a me piace così” , ma con il neurodesign , che è un passo più avanti ci si inizia a basare proprio sulla “decodifica” del mondo esterno del nostro cervello. Non si tratta più quindi di un concetto soggettivo. La cosa triste è che , come riportato dall’articolo, gli scienziati per molti anni non hanno dato peso alle emozioni umane, ma per fortuna grazie al neurodesign non ciò accade più. Secondo me questa “disciplina” diventerà una delle basi fondamentali del marketing, della moda e del design.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   23 Febbraio 2023 at 10:32

      Sì, grazie alle neuroscienze saremo più consapevoli di cosa significhi per il soggetto senziente provare benessere, armonia con se stessi, provare piacere, soprattutto per quanto riguarda la coscienza omeostatica (che ci dona le mappe neuronali delle regolazioni e/o controlli dei principi base della vita). Per quanto riguarda la coscienza estesa,formata dalle immagini di cultura create dalle esperienze sociali e archiviate nella memoria, i calcoli sono assai complicati. Ciò che per un determinato cluster di soggetti è benessere può divenire fonte di qualcosa di ambiguo che sconfina nel suo opposto.
      Ti faccio un solo esempio: la prima volta che andai ad un rave (ero un “osservatore”), il disordine cinestetico e prossemico del pubblico, unitamente ai decibel mi provocarono una immediata sensazione di disagio molto vicina al dolore; per contro, intorno a me, migliaia di giovani si trovavano perfettamente a loro agio. I 120 decibel provocavano in loro, piacere e disinvoltura. Ora, al netto delle pasticche di ecstasy che probabilmente circolavano, si può dire che in quell’ambiente percettivo, quei giovani trovassero benessere. Cosa significa questo esempio? Insomma, i dati delle Neuroscienze non vanno proiettati alla lettera, ma richiedono riflessioni che escano dai confini specifici del laboratorio specialistico e si aprano a ulteriori approfondimenti.

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  91. Rebecca Ferri   28 Febbraio 2023 at 15:06

    Ritengo che il Neurodesign sia una disciplina molto utile e interessante, come si può comprendere dall’articolo il Neurodesign è l’uso delle ricerche delle neuroscienze e della psicologia nella realizzazione di progetti e prodotti comunicativi più proficui. Proficui per il semplice fatto di far coincidere le impressioni e le idee degli utenti nella loro esperienza con un oggetto o un’interfaccia con quello che il designer voleva realmente cagionare. Il Neurodesign sfrutta il modo in cui con cui il cervello sviluppa gli stimoli visivi per prendere delle decisioni. Di un oggetto per prima cosa il nostro cervello avverte il colore, in seguito la forma e infine si dà l’assegnazione ad esso di un significato. Il problema per un Neurodesigner è appunto quello di attirare l’attenzione in un mondo di persone distratte da infiniti stimoli e con scarsa attenzione.

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  92. Elisa B LABA   10 Marzo 2023 at 18:02

    Non conoscevo il Neurodesign prima di leggere questo articolo, e lo trovo un argomento molto interessante. Ho notato maggiormente i suoi lati positivi, come la possibilità grazie ad esso di creare ed inventare prodotti più efficaci e più consoni al target. Il Neurodesign probabilmente va in parte a togliere la soggettività e il gusto personale, in quanto da ciò che ho capito, porterebbe a prodotti un po’ più anonimi, ma che funzionano per tutti. Questo è un doppio lato interessante della medaglia a mio parere. Fortunatamente gli scienziati, grazie a questo concetto stanno iniziando a dare maggior peso all’emotività umana, e grazie a questa disciplina il marketing si evolverà esponenzialmente.

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  93. Alanis C. LABA   10 Marzo 2023 at 19:28

    Molto interessante l’articolo. Se non ho compreso male, quest’ultimo parla di come si possa applicare lo studio delle neuro scienze in altri campi come per esempio il marketing, il design e la moda. L’articolo oltre che suscitarmi interesse, mi ha fatta sentire in linea con ciò di cui parla; io credo abbastanza nella scienza e nei relativi studi.

    Al giorno d’oggi, grazie agli innumerevoli studi che sono stati fatti, abbiamo a disposizione un’ampia ricchezza di informazioni riguardanti il cervello, le quali possono essere usate a nostro vantaggio integrandole con altri campi, creando così nuovi concetti come la neuromoda e il neurodesign.

    Io però mi sento di aggiungere che si, è giusto prendere in considerazione gli studi neurologici, ma senza eccedere perché quando si parla di gradimento non si può generalizzare troppo in quanto ogni persona si differisca dalle altre e già la mente è complessa in se per se, moltiplicando questa complessità per otto miliardi di persone non si può arrivare a conclusioni ben precise ma a semplici linee generali.

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  94. Chiara D. LABA   2 Aprile 2023 at 20:02

    NEURODESIGN

    Penso che il neurodesign in parte teorica, aiuti ad applicarci nella ricerca approfondita della neuroscienza e renderci informati su come saper impostare e progettare un determinato progetto. Il gioco sta anche saper individuare il linguaggio del target, in cui il consumatore è interessato e saper soddisfare ogni sua richiesta. Per molti può sembrare banale, ma anche i colori fanno la loro parte fondamentale, il prodotto dovrebbe suscitare “benessere” per chi lo sta comprando.
    Il Neuromarketing, una strategia che studia i processi decisionali d’acquisto, mediante l’uso di metodi che sono legati alle scoperte delle neuroscienze, hanno la possibilità di studiare cosa accade nella mente del cliente, quando sceglie un brand piuttosto che un altro.

    A volte capita che ci sia della manipolazione neurale, che può sembrare inquietante, ma i consumatori ne sono già influenzati, poiché i professionisti del marketing si preoccupano di qualcosa in più della semplice misurazione delle preferenze dei clienti, cercando di cambiarli a loro insaputa.

    In conclusione, questo articolo mi ha aiutata ad essere ancora più consapevole non solo del design in sé, ma anche indirizzarmi verso a tutto il lavoro che c’è dietro a ogni prodotto.

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  95. Emma Laba   3 Aprile 2023 at 12:30

    Le Neuroscienze ci permettono di capire che ogni azione che viviamo fa crescere in noi pensieri ed emozioni, si sono sviluppate infatti in diversi campi tra cui quello psicologico e del marketing ma anche in ambito artistico e creativo.
    Collegato a questo si ha il Neurodesign una disciplina che applica le intuizioni delle Neuroscienze e della psicologia per creare diversi e nuovi tipi di design molto più efficaci; ovvero far coincidere le sensazioni degli utenti nella loro esperienza con un oggetto con quello che il designer voleva appunto suscitare in essi. Il lavoro di un neurodesigner è quello di attirare l’attenzione su un prodotto attraverso l’emozione che un oggetto può creare ad un utente tenendo conto che questo oggetto deve superare un mondo di altre distrazioni.
    Diverse sono le tecniche usate per far funzionare questo sistema e devo ammettere che è un argomento davvero interessante perché leggendo articoli come questo si riesce a capire il grande lavoro e i particolari che ci portano a preferire un oggetto rispetto a un altro.
    La neuroestetica permette di renderci conto dell’importanza del “bello” poiché penso che l’importanza dell’aspetto estetico degli oggetti per il Neurodesign deriva dal fatto che le persone ne sono molto influenzate ed è per questo che gioca un importante ruolo nelle decisioni di acquisto di un oggetto.
    Ritengo questo discorso interessante perché solo conoscendo questi aspetti possiamo avere una visione completa di come si può effettuare un acquisto e cosa ci spinge a farlo.
    A questo punto posso affermare che il Neurodesign si possa trovare in ogni oggetto o situazione e lo ritengo un fatto affascinante e utile.
    Secondo il mio pensiero però la scienza aiuta il mondo del design ma non riesce a sintetizzarlo poiché avendo a che fare con dei numeri si potranno avere dei risultati ma che non saranno mai affidabili al 100% perché abbiamo a che fare con cambiamenti continui nel nostro cervello e nel nostro modo di vedere il mondo.

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  96. Martina Ceccaroli   28 Aprile 2023 at 12:19

    Sostanzialmente neurodesign è un concetto complesso che unisce il design alla psicologia, esso permette di arredare un ambiente basandosi sulle neuroscienze.
    Ciò sta a significare che il designer terrà conto delle metodologie di neuroscienze per ottenere una possibile reazione dall’utente e dei dati oggettivi sulle emozioni.
    Ognuno di noi percepisce in maniera differente il concetto di bellezza e armonia ma in tutti noi ci sono risposte che il cervello da in maniera automatica e universale.
    Ciò che è dritto, in linea o simmetrico secondo il cervello è in ordine, un luogo facile da capire e da analizzare sarà sicuramente un posto sicuro.
    Ad esempio il designer giapponese Oki Sato utilizza i principi del neurodesign applicando i meccanismi mentali universali basati sulla percezione in ognuno di noi e ci porta ad interpretarli personalmente tramite esperienze sensoriali.
    Nonostante ciò tengo ad esprimere il mio personale pensiero che anche l’arte ha sempre avuto la particolarità e l’intento di generare emozioni e sentimenti in colui che la osserva e ne capisce il significato, perciò il neurodesign è sicuramente un metodo che riporta a ciò che in passato l’arte già suscitava.

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  97. Chiara Benamati   8 Giugno 2023 at 10:10

    Leggendo questo articolo penso che il Neuro Design sia una disciplina che applica le ricerche delle neuroscienze e della psicologia per creare nuovi tipi di design più efficaci, non a caso viene utilizzato in diversi campi artistici ma non solo , anche psicologici .
    Gli studi sul neuro design si suddividono in settori , con un numero di persone , già questo potrebbe aver influito l’efficacia di questa scienza; anche il colore influisce sullo studio , poiché il colore occupa un ruolo importante nell’arte prendo in esempio Mondrian con il quadro “ Composizione in rosso blu e giallo”, questo quadro è basato sulla perfezione delle forme quindi dei quadrati / rettangoli, e il colore al suo interno.
    La psicologia del colore secondo il mio parere può essere legato alla Neuro design , il nostro cervello percepisce ad esempio un pericolo con il colore rosso perchè il cervello percepisce questo colore come pericolo, e poi perchè ha bisogno di sforzarsi per metterlo a fuoco e pensare che il sensore della macchina fotografica è più suscettibile al rosso ; ho fatto una ricerca perchè ero curiosa di sapere quale colore il nostro occhio percepisce meglio , ed ho scoperto che è molto suscettibile al verde, per le lunghezze d’onda la sfumatura che si crea corrisponde al verde.
    La neuro scienza interviene su questo dicendoci che non tutti percepiscono il significato del colore come il nostro , prendiamo in esempio il nero , alcuni definiscono questo “ colore “ (il nero non è un colore) come qualcsa di triste cupo , altri invecec come l’eleganza , nei paesi orientali ad esempio le nozze orientali il colore dell’abito è rosso e non bianco perchè significa lutto , quindi questo vuol dire che la percezione del colore cambia non solo da persona a persona ma anche culturalmente.
    Altra cosa chi ha colpito leggendo questo articolo è stata l’irrazionalità/razionalità del nostro cervello ; molto spesso quando si acquista qualcosa la scelta poche volte è razionale mentre molte volte è irrazionale , cioè lo acquistiamo perché ci piace non perchè ne abbiamo strettamente bisogno.
    Arrivo alla conclusione dicendo che il Neuro design sia una disciplina talmente ampia che è impossibile definire quali regole siano più vere delle altre , ma trovo giusto che ognuno trovi la sua opinione e ideologia , quindi trovo affascinante questa scienza.

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  98. Beatrice Canè   12 Giugno 2023 at 15:22

    Il termine “Neurodesign” si riferisce a un campo interdisciplinare che combina principi di neuroscienze e design per creare prodotti, servizi o ambienti che siano efficaci dal punto di vista cognitivo. L’obiettivo principale del Neurodesign è quindi quello di utilizzare le conoscenze sul funzionamento del cervello umano per guidare e ottimizzare il processo di progettazione, in modo da migliorare l’esperienza degli utenti. Questo campo trova applicazioni in diversi settori, come il design di prodotti, architettura, design degli spazi ma anche nel design del packaging per influenzare le decisioni degli acquirenti.
    Se ti arriva a casa un prodotto in una scatola dagli angoli rotti, con all’interno una semplice busta di plastica, ricompreresti da quel negozio? Io non credo. Se invece ti arriva una scatola decorata e in ottime condizioni, con all’interno polistirolo per proteggere l’oggetto, degli sticker, un biglietto di ringraziamento e chi ne ha più ne metta? Sono sicura, come lo sono anche gli addetti al marketing, che ricompreresti.
    Utilizzare il Neuromarketing credo quindi sia una delle migliori soluzioni che i marketer hanno. E’ geniale vedere come semplicemente andando a far leva su determinate emozioni, riescano ad influenzare le masse per far comprare loro quel prodotto. D’altronde, il marketing emozionale, esiste per una ragione…
    Tuttavia, per riprendere quello che ha scritto la mia compagna Chiara nel commento precedente, ha senso utilizzare le neuroscienze quando si parla dei colori più opportuni per un ufficio, per la camera da letto, il soggiorno o un negozio? La percezione dei colori può variare in base alla cultura. Ciò è dovuto al fatto che la percezione è influenzata da fattori sia biologici che culturali come la lingua, le tradizioni e le associazioni simboliche.
    Per farne un esempio: alcune lingue hanno un numero limitato di parole per descrivere i colori, mentre altre possono avere una gamma più ampia per le diverse tonalità. Un esempio interessante è la lingua dei Himba, un popolo indigeno della Namibia. Gli Himba hanno una parola, “zoozu”, che descrive i colori che in altre lingue occidentali verrebbero considerati come “blu” e “verde”. Per loro, i colori che rientrano in questa categoria sono considerati parte dello stesso spettro.
    Oppure prendiamo la percezione dei colori simbolici: il bianco è generalmente associato alla purezza e all’innocenza in occidente, mentre in alcune culture asiatiche può essere associato al lutto e alla morte. Quindi, andare a dire che non si dovrebbe utilizzare il rosso nella propria camera se non si vuole generare stress, non vuol dire che sia corretto per tutti. Infatti, alcune culture asiatiche percepiscono il rosso come fortuna e auspicio, al contrario della cultura occidentale che ne associa pericolo o energia. Le Neuroscienze, dovrebbero quindi ampliare i loro orizzonti, e non far credere che le loro regole siano universali, derivate da osservazioni scientifiche dettagliate.

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  99. Alessia P. LABA   18 Giugno 2023 at 12:04

    Personalmente ho trovato l’articolo molto interessante e molto attuale. Il neurodesign è un tema sempre più diffuso ma forse lo si conosce ancora poco perciò credo che l’articolo appena letto costituisca un buono spunto di riflessione a riguardo.
    Al giorno d’oggi, grazie agli innumerevoli studi che sono stati fatti, abbiamo a disposizione un’ampia ricchezza di informazioni riguardanti il cervello, le quali possono essere usate a nostro vantaggio integrandole con altri campi, creando così nuovi concetti come la neuromoda e il neurodesign
    Credo che il neurodesign rappresenti un passo in avanti, qualcosa che permette di conoscere in maniera più approfondita la società e credo costituisca un’occasione di sviluppo nei diversi ambiti che può condurre ad un maggior benessere per le persone però ritengo sia fondamentale non generalizzare di fronte ad una società che tutto è tranne che omogenea.

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  100. Daniela M.   18 Giugno 2023 at 19:23

    L’obiettivo principale del neurodesign è quello di utilizzare le conoscenze sul funzionamento del cervello umano per migliorare l’efficacia, l’usabilità e l’esperienza generale di un prodotto o di un ambiente.
    Il neurodesign si basa sul concetto che il design influenzi il nostro cervello e le nostre percezioni in modi specifici.
    Attraverso la neuroscienza, è possibile ottenere una comprensione più approfondita dei meccanismi neurali e delle risposte cognitive ed emotive degli utenti di fronte a determinati stimoli.
    il neurodesign aiuta a creare esperienze e prodotti che siano centrati sull’utente, coinvolgenti e in grado di soddisfare le loro esigenze e aspettative. Attraverso l’applicazione delle scoperte della neuroscienza nel campo del design, è possibile migliorare l’impatto e l’efficacia delle soluzioni progettuali.
    Il neurodesign può rappresentare un’enorme opportunità per creare prodotti, servizi e ambienti che siano ottimizzati per le capacità cognitive e le preferenze degli utenti.
    Un esempio di neurodesign potrebbe riguardare lo sviluppo di un’interfaccia utente per un’applicazione mobile. Utilizzando principi di neuroscienza cognitiva e design centrato sull’utente, l’obiettivo sarebbe quello di creare un’esperienza utente ottimale basata sulla comprensione delle risposte cognitive ed emotive degli utenti.
    Nonostante il neurodesign offra soluzioni interessanti è importante considerare anche alcune possibili limitazioni, un esempio è il limite dell’attuale conoscenza neuroscientifica essendo che la neuroscienza è ancora una disciplina in evoluzione e ancora tutta da scoprire.

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  101. Francesca saccone Laba   19 Giugno 2023 at 18:10

    L’ambito del neuro design si occupa dello studio del funzionamento del cervello dell’uomo, con l’obiettivo di andare a “colpire” il cliente in maniera diretta.
    Il neuro design può essere applicato in qualsiasi oggetto che possiamo trovarci di fronte , o sul web. È davvero incredibile pensare a quanto davvero possiamo essere influenzati dall’estetica di un determinato prodotto , in base alle nostre inclinazioni o sentimenti. Il nostro cervello riceve stimoli in continuazione, durante l’intera giornata; se provo ad analizzare la mia esperienza dal punto di vista personale, spesso mi accorgo di come è facile “cadere in tentazione” di un prodotto solo per il packaging. Prendiamo come esempio una studentessa che ha necessità di acquistare un’agenda per appuntarsi i propri impegni scolastici , inizia a cercare su Amazon : da quale prodotto verrà colpita ? Dal noioso libretto dalla copertina nera , senza nessun tipo di dettaglio o dalla fantasmagorica agendina ricca di illustrazioni, scritte e dai colori piacevoli ? A parità di prezzo, la risposta direi che è ovvia. Può esserci pure il caso in cui la ragazza in questione sia appassionata al minimalismo e opti comunque per l’agenda nera , ma credo che il numero di volte in cui verrà aperta la pagina relativa al libricino variopinto sarà nettamente maggiore. Quali sono, allora, le conseguenze concrete del neuro design ? Stimolazione dell’immaginazione e spinta all’azione e all’interazione

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  102. ilaria c laba   19 Giugno 2023 at 20:17

    Personalmente l’articolo mi è sembrato molto interessante e attuale.
    In quanto penso che il neurodesign come il neuromarketing e la neuro economia siano aspetti curiosi che si sono scoperti ultimamente, legati appunto ad una maggiore coscienza e conoscenza di noi stessi.
    Questo complesso di tecniche di marketing porta a sfruttare le scoperte e i metodi delle neuro scienze per riuscire a determinare delle nuove vie di comunicazione, più veloci e dirette, che andranno successivamente a ricadere sui processi decisionali dell’individuo venditore.
    Queste tecniche di comunicazione a parer mio, vanno studiate e prese in ogni singola parte per riuscire a creare dei messaggi, strumenti mirati alla comunicazione che è la parte centrale, messa in rilievo.
    Questi strumenti possono essere più o meno influenzanti perché ogni individuo avrà un influenza soggettiva rispetto agli altri in quanto tutti siamo esseri unici.

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  103. Valentina S   19 Giugno 2023 at 20:21

    Il neuro design si sviluppa attraverso l’uso delle ricerche e delle esperienze delle neuroscienze e della psicologia nella creazione di progetti e prodotti comunicativi più efficaci; è un approccio multidisciplinare che combina le neuroscienze con la progettazione e ha come scopo quello di comprendere meglio come la mente umana percepisce e interagisce con l’ambiente costruito.
    Sono dell’idea che quando si parla della mente umana, sensazioni ed emozioni, non è, perlomeno ancora, possibile arrivare a conclusioni veritiere e sempre valide.
    In campo creativo, dove si è soliti mettersi continuamente in discussione, dove la perfezione diventa utopia, la ricerca di un modello che possa essere valido per tutti se a livello di vendita sembrerebbe una strategia vincente, a livello artistico risulta del tutto controproducente oltre che impossibile, data l’arte essere di natura soggettiva e sempre mutevole.
    Le esperienze, le memorie e le relazioni, diverse da individuo a individuo, saranno sempre una parte fondamentale da considerare nello studio della mente umana, di cui ancora sappiamo estremamente poco. Visto come una linea guida da cui partire, il neuro design può indicare una via giusta da seguire, non potrà, però, mai stabilire che questa sia la migliore per l’individuo interessato.

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  104. Siria LABA   21 Giugno 2023 at 12:25

    Il Neurodesign è un campo che combina Neuroscienza cognitiva e design per comprendere come il cervello umano percepisce e risponde all’ambiente visivo.
    Le decisioni del design sono guidate da risposte cognitive ed emotive del cervello umano, questo, consente di poter creare spazi che soddisfino gli individui, sottolineando l’importanza non solo su aspetti estetici ma anche sulle risposte delle persone, che sono essenziali per creare ambienti che favoriscano il benessere mentale e l’interazione sociale.

    Personalmente, trovo affascinante come il Neurodesign combini principi scientifici con l’arte del design per creare ambienti e prodotti che abbiano un impatto positivo sul benessere e sull’esperienza delle persone, mi affascina anche la possibilità di utilizzare la nostra conoscenza sulla funzione cerebrale per plasmare l’ambiente in cui viviamo e migliorare la nostra esperienza quotidiana.
    É incredibile anche che un uso consapevole dei colori, forme e della luce ha la capacità di creare ambienti rilassanti e terapeutici che stimolano la concentrazione e la creatività, e quindi influenzare il nostro stato d’animo.
    Mi ha colpito anche l’applicazione pratica del Neurodesign in diversi settori, come nell’interior design, la progettazione degli ambienti sanitari e l’interfaccia di prodotti digitali.
    Nel complesso, ritengo che il Neurodesign sia un campo interessante e promettente che offre un potenziale modo per migliorare l’esperienza umana attraverso un design consapevole e basato sulla scienza, ed é soprattutto un approccio innovativo che ci permette di superare i limiti del design tradizionale.
    Tuttavia, ritengo anche che il Neurodesign debba essere applicato con responsabilità ed etica: é interessante sfruttare la conoscenza per migliorare il design ma é fondamentale evitare la manipolazione e il controllo delle persone.

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  105. MichelaS   22 Giugno 2023 at 08:57

    Il termine “neurodesign” si riferisce all’applicazione dei principi delle neuroscienze nel campo del design. Combina concetti provenienti dalla neuroscienza cognitiva e dalla psicologia con l’obiettivo di comprendere come il design influenzi la percezione, l’esperienza e il comportamento delle persone.

    Il neurodesign è uno strumento prezioso per chi lavora nel nostro campo. Ci fornisce dati utili per progettare e creare esperienza più coinvolgenti. Tuttavia, è importante notare che il neurodesign è ancora un campo relativamente nuovo e in continua evoluzione.

    Proprio per questo un designer non deve sentirsi vincolato a progettare secondo per le sue idee e soprattutto seguendo le proprie intuizioni. Penso che Neuro design, in un lontano futuro ci potrà dare tanti strumenti per aiutare il nostro cliente a trovare soluzioni adatte caso per caso.

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  106. Filippo   25 Giugno 2023 at 18:23

    Nell’articolo vengono sollevati dei punti validi riguardo alle sfide e alle limitazioni dell’utilizzo delle neuroscienze nel design e nel campo della moda. È importante considerare attentamente le correlazioni e le generalizzazioni che vengono fatte, tenendo conto dei contesti e delle reazioni nella vita reale. Non possiamo trascurare il fatto che siamo esseri umani complessi, influenzati da molteplici fattori che vanno oltre l’attività neurale. È fondamentale mantenere una prospettiva critica e prudente quando si traggono conclusioni dai dati neuroscientifici. Allo stesso tempo, l’approccio del neurodesign offre un interessante spunto per esplorare la connessione tra biologia e creatività, cercando una regolazione appropriata che consenta al lavoro di prosperare. È importante considerare entrambi gli aspetti, biologico e culturale, in modo equilibrato per ottenere risultati significativi e apprezzabili.

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  107. Carmelo V   26 Giugno 2023 at 22:57

    Lo studio delle neuroscienze e di conseguenza il neurodesign sono senz’altro una materia di studio interessantissima che pone una chiave di lettura completamente nuova sul funzionamento del cervello umano. Sapere che le scelte fatte da un determinato individuo sono causa di una reazione scientifica all’interno del nostro cervello, ben calcolata, matematica, è sicuramente una cosa che può rassicurare perché rende un determinato comportamento o reazione a un qualcosa prevedibile. Allo stesso tempo credo che però non si possa utilizzare ancora la totalità di questi studi e applicarla, in neurodesign, come un modo per rendere più centrato un determinato prodotto. Il cervello umano e le singole persone sono piene di sfaccettature, ognuno di noi ha un trascorso diverso che magari porta due umani campione, di fronte allo stesso oggetto, a provare sensazioni completamente diverse. Questo andrebbe ad annullare la premessa di utilizzare il neurodesign come strumento per creare qualcosa che possa essere in grado attirare più persone possibili.

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  108. Perla Laba   9 Ottobre 2023 at 10:17

    Il campo del Neurodesign rappresenta un’interessante, complessa ed anche un po’ inquietante convergenza tra le neuroscienze, il marketing e il design. Oggi, sempre più spesso, vediamo come l’impiego delle neuroscienze nell’ambito del marketing e del design sia diventato una realtà e come questa sia destinata a crescere in futuro. Questo legame ha il potenziale di offrire nuove prospettive e opportunità, ma allo stesso tempo solleva pensieri e preoccupazioni riguardo alla possibile evoluzione e alle conseguenze che può comportare.
    Le neuroscienze forniscono una comprensione dettagliata del nostro cervello e delle sue funzioni cognitive ed emotive. Attraverso una varietà di tecniche (di cui io personalmente non sono un’esperta e non vorrei dire cavolate), gli scienziati possono studiare le risposte cerebrali in relazione a determinati stimoli o esperienze. Queste informazioni possono essere utilizzate per comprendere meglio come i consumatori percepiscono e reagiscono ai prodotti, alle pubblicità e all’esperienza di design in generale.
    Da qui nasce il concetto di Neurodesign, che si occupa dell’applicazione delle scoperte neuroscientifiche nei processi di design, al fine di migliorare l’esperienza sensoriale e emotiva degli utenti. Questo approccio si basa sulla premessa che i prodotti e le esperienze che sono in grado di stimolare positivamente il nostro cervello e di suscitare emozioni piacevoli, siano più attraenti e maggiormente desiderabili.
    Il legame tra neuroscienze, marketing e design è evidente quando ci si focalizza sulle strategie di persuasione e influenzamento che vengono utilizzate per spingere i consumatori verso determinati comportamenti d’acquisto. Grazie alle neuroscienze, i professionisti del marketing e del design sfruttano le nostre conoscenze sul cervello per creare prodotti e messaggi pubblicitari che riescono ad attivare le aree cerebrali coinvolte nell’emozione, nella ricompensa o nel desiderio.
    Tuttavia, questa creazione di esperienze coinvolgenti e persuasive solleva anche questioni etiche e morali. La manipolazione delle emozioni e dei desideri dei consumatori può essere considerata una forma di controllo mentale o di sfruttamento delle vulnerabilità umane, personalmente vorrei evitare un futuro dove ogni cosa che mi circonda è puramente manipolazione.
    Infatti, un pò preoccupata dopo aver letto questo articolo, ho navigato un pò sul web e a darmi conferme è stato, fra i tanti, Martin Lindstrom.
    Uno dei principali esperti internazionali di branding e sostenitore del Neurodesign, Lindstrom afferma che stiamo vivendo un vero e proprio “brainwashing globale” in cui le aziende cercano sempre più di manipolare le nostre decisioni d’acquisto agendo direttamente sul nostro cervello. Secondo Lindstrom, questa manipolazione delle emozioni e dei processi cerebrali per spingerci a comprare determinati prodotti o a rispondere a certi stimoli, potrebbe portare a una società in cui le scelte dei consumatori vengono in qualche modo prese al posto loro.
    In conclusione, il legame tra le neuroscienze e il design rappresenta una realtà emergente, che offre nuove possibilità nel campo della persuasione e dell’esperienza delle persone. Tuttavia, l’applicazione delle neuroscienze al marketing e al design deve essere gestita con cautela, considerando gli aspetti etici, le preoccupazioni sulla privacy e il potenziale di manipolazione delle emozioni e dei desideri dei consumatori. È fondamentale che le norme e gli standard vengano definiti per garantire che questa evoluzione sia guidata in modo eticamente corretto, favorendo l’innovazione e il progresso senza compromettere il rispetto dei singoli individui.

    Rispondi
    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   9 Ottobre 2023 at 17:37

      Intervento autorevole con apprezzabili notazioni etiche.

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  109. Martina T LABA   27 Febbraio 2024 at 19:25

    L’articolo offre un’interessante visione dell’intersezione neuroscienza e design, illustrando come queste ultime si uniscano per dare vita ad un qualcosa di più coinvolgente e persuasivo per l’individuo. La neuroscienza infatti, attraverso lo studio del cervello e del sistema nervoso, ci permette di comprendere al meglio il funzionamento del nostro cervello e di come conseguentemente influenzi il nostro corpo e il nostro comportamento, portandoci a pensare ed interagire in un determinato modo nei confronti di particolari situazioni o contesti. Questi studi trovano applicazione in diversi ambiti, tra cui marketing, moda o design, dove appunto il concetto di neurodesign prende forma. Il neurodesign si propone di creare oggetti, spazi ed esperienze in completa linea con il modo di pensare ed interagire dell’individuo. Questo approccio infatti, prende in considerazione risposte cognitive e sensoriali dell’utente nei confronti di determinati colori, forme, materiali o texture, attraverso le quali tenta di ottimizzare il benessere dell’individuo e stimolarne la creatività. Tuttavia, trovo che il neurodesign non debba essere considerato come verità assoluta, poiché le nostre percezioni ed interazioni non sono soltanto conseguenze del nostro cervello e del nostro sistema nervoso, ma in gran parte anche dalle nostre emozioni momentanee, esperienze personali e conoscenze pregresse, che sono ovviamente differenti in ognuno di noi. Concludendo, il neurodesign offre un approccio innovativo e promettente, ma con un fattore fondamentale da tenere in considerazione, che è quello di mantenere una prospettiva critica e aperta alle diversità individuali.

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  110. Jenni   28 Febbraio 2024 at 09:59

    Vorrei iniziare prendendo spunto dalla seguente frase all’interno dell’articolo: “Si dice che il Neuromarketing e il Neurodesign ci mettano nelle condizioni di fare previsioni certe sul comportamento al consumo della gente”. Tuttavia, ritengo che in certi contesti sia difficile ottenere previsioni sicure, poiché il Neurodesign si concentra sul pensiero di massa anziché sul singolo individuo. Ognuno di noi ha vissuto e vive esperienze e sensazioni diverse. Inoltre, le reazioni agli stimoli variano a seconda di fattori come età e cultura.
    Parlando di differenze culturali, possiamo notare grandi disparità tra Oriente e Occidente:
    Nell’arte: nell’Oriente, le rappresentazioni iconografiche religiose, come quelle del Buddha, sono caratterizzate da un’espressione serena e distaccata, mentre nell’Occidente, le espressioni sono spesso più emotive e realistiche, con un’enfasi sul pathos e sulla sofferenza umana.
    Nel design: nell’Occidente, si preferiscono spesso mobili con linee pulite e funzionali, realizzati con materiali come legno massiccio e metallo. Al contrario, nell’Oriente, si trovano spesso mobili con forme curve e dettagli decorativi, riflettendo un’estetica più tradizionale e ornamentale.
    Nella moda: nell’Occidente, l’abito nero è associato alle cerimonie funebri, mentre il bianco è tradizionalmente indossato alle nozze. In Oriente, questa convenzione è esattamente opposta.
    Sebbene gli studi sul Neurodesign possano offrire una guida, ritengo sia sempre necessario considerare le eccezioni. Pertanto, non credo che le previsioni siano mai certe al 100%.

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  111. Martina Tumedei LABA   3 Marzo 2024 at 11:02

    Ho trovato abbastanza difficile la totale comprensione di questo testo rispetto agli altri, nonostante ciò, rileggendolo più volte sono giunta ad una mia personale conclusione.
    Il fatto che le neuroscienze si siano sviluppate a tal punto da comprendere anche campi così vasti come può essere quello del design da un punto di vista è fantastico. All’inizio, mentre leggevo, mi veniva difficile comprendere come fosse possibile utilizzare le neuroscienze all’interno del campo del design, perché mi sembrava un qualcosa di troppo soggettivo ed emozionale, ma poi continuando con la lettura sono riuscita a comprenderlo.
    Siamo quindi giunti ad un punto in cui i designer utilizzano tecniche come l’eye tracking, che valuta su quali aree lo sguardo dell’utente si posa, ed il facial Action Coding, che analizza le emozioni attraverso i movimenti muscolari del viso (ho fatto qualche ricerca online per capire meglio, fonte: eyestudios.it) per realizzare oggetti, interfaccia web ed altro per arrivare dritti dritti al bisogno ed al volere del consumatore.
    Come detto in precedenza, da un lato questo sviluppo è incredibile perché ovviamente tramite le neuro scienze è possibile controllare e scoprire parti del nostro cervello che vanno a condizionare la nostra quotidianità e, di conseguenza, questo “controllo” si ripercuote sulle nostre vite.
    Non è tanto il controllo a spaventarmi quanto il fatto che tutto questo venga utilizzato, non so se sia giusto, ma al posto del cervello dei creatori? In questo caso possiamo dire che, sapendo esattamente cosa la gente cerca, da cosa più è attratta mentre fruisce una determinata cosa, la creatività si va a limitare? I designer, grafici, di interni o quel che sia, limitano la loro mente poiché sanno già ciò che sarà più venduto, in questo caso si bloccherebbe anche la creazione del “nuovo”?
    Ho paura che tutte queste minuziose ispezioni delle aree del nostro cervello porteranno ad un blocco, ed ancora di più ad un inseguimento del consumismo cronico, come se non ci fossimo già dentro fino al collo.

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    • Lamberto Cantoni
      Lamberto Cantoni   6 Marzo 2024 at 09:51

      L’ambiente condiziona i comportamenti. Gli esseri umani traggono dall’esplorazione percettiva del contesto fisico nel quale si muovono le informazioni decisive per restare vivi. Le attività percettive dipendono dal sistema mente-cervello. Nulla di strano se le persone più curiose ogni tanto riflettono sul perché ci siamo evoluti in questa direzione. Di queste persone sempre più rare vista la ineffabile prevalenza del cretino, i più interessanti sono gli scienziati che studiano il funzionamento dell’ammasso neurale che chiamiamo cervello. Il risultato di questi studi tra i non addetti i lavori induce la fatale illusione di cogliere i meccanismi vitali nella loro genesi. Sulla scorta di queste informazioni costitutive, temi come il benessere o le motivazioni più intime dei soggetti possono essere affrontate con maggiore efficacia. Fin qui nulla di particolarmente nuovo: la scienza collabora da sempre con le questioni che potremmo definire umanistiche. I problemi nascono quando si generalizzano i dati degli esperimenti. La moda di considerare le correlazioni veloci tra dati di ricerche e il riconoscimento di tratti universali del genere umano, secondo un’aura di certezza sbandierando presunte leggi come fossero un Vangelo, non è scienza bensì scientismo. Le correlazioni scientifiche sono lente, falsificabili, vincolate ai limiti che presuppone ogni esperimento. E in definitiva sono teorie e non atti di fede. Nel mio script ho tentato di descrivere sia il ruolo dominante delle neuroscienze nello studio della condizione umana e sia i rischi che discendono dall’uso tattico delle provvisorie certezze che dai laboratori si diffondono tra le agenzie e i soggetti che ne sfruttano le tecniche, i modi, i risultati, il prestigio.

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