Rocco Papaleo al Duse

Rocco Papaleo al Duse

5 Dicembre- Teatro Duse. Mancheranno almeno venti minuti all’inizio dello spettacolo ma già il teatro è pieno, motivo di questo è la presenza di Rocco Papaleo e la sua band formata dai musicisti Francesco e Jerry Accardo (chitarra e percussioni), Guerino Rondolone (contrabbasso) e Arturo Valiante, un sestetto composto però da cinque elementi, impegnati qui fino a domenica ne “Una piccola impresa meridionale”.
L’impresa che sto vivendo io – al momento – è solo quella di trovare il mio posto, poiché il corridoio principale è impraticabile per la presenza dell’attore stesso, in mezzo a un folto gruppo di persone, radunate attorno a lui che intanto firma già autografi, scambia battute, si presta agli scatti siano o no selfie. Vicino a me, anche Gianni Morandi, in procinto ora, di raggiungere lo stesso Papaleo per fare anche lui la sua brava foto. Il palco ha un accenno di arredo, e come lo stesso Papaleo mi aveva detto – meno di un’ora prima (vedi intervista NdR) – si vedono le decorazioni da festa di paese o patronale, tipiche del sud Italia. Lì però è come se fossero in fase di sgombero: la festa là c’è già stata, ma per noi qui presenti la festa starebbe per incominciare adesso.
“Vi pregherei” annuncia il Nostro “di non spegnere il cellulare e se vi chiamano rispondete pure!”. Papaleo ama sicuramente i paradossi, rincara la dose poi, dicendo che semmai la musica fosse troppo alta, gli interessati chiedano pure di abbassarla, alfine di non disturbare la loro conversazione in corso.
Questo è stato solo l’inizio, ma rivela nettamente come lui sia un attore con la battuta pronta che sa quando cogliere l’attimo e non disdegna l’improvvisazione: “Appena Morandi avrà finito di farsi fotografare, cominciamo”.
Rocco Papaleo e la sua band stanno dando un taglio diverso a questo recital; intanto il fatto stesso di essere già là in mezzo alla gente – a suo dire – decurta il carisma che la distanza conferisce a chi resta invece, lontano sul palcoscenico. Lui – al contrario – ha deciso di ribaltare i cliché, polverizzando in parte, le consuetudini.
Durante lo spettacolo, alternerà la recitazione al canto e alla musica, proporrà testi suoi ma anche altri celeberrimi come “Fly me to the moon” di Sinatra, “Storming weather” e altri. Una farandola di argomenti, forniranno la piattaforma a situazioni comiche, tragicomiche quando non apertamente grottesche. Si affronta di tutto: l’amore, il sesso, la famiglia, le vacanze, la solitudine; il tutto è visto da un punto di vista che ribalta i luoghi comuni, come nel caso “dell’uomo-cactus”, essere solitario senza amore e senza famiglia, ma che in fondo sta benissimo racchiuso com’è nel suo solipsismo in cui non rischia niente, né di soffrire per l’abbandono della donna che non ha mai avuto, nessun figlio di cui preoccuparsi, o altro perché in fondo “l’amore è importante, ma anche l’economia” dice Papaleo lo è!
thumb-2Questa maschera di cinismo che a tratti lui indossa, decade solo quando confesserà che “il suono che preferisco è la risata di mio figlio”.
Nel presentare la band fa dei ritratti di ognuno di loro un po’ impietosi, mixando verosimiglianza a fantasia unito però sempre a un grande sarcasmo; cogliendo ogni pretesto per enfatizzare anche le “solite” abitudini del sud, come nel caso di due membri della band, guarda caso fratelli: un esempio di nepotismo applicato tipicamente sudista. Sarà poi vero? Lui ironizza dicendo di sì, perché aggiunge, i meridionali – in ogni contesto – tendono a infilare i parenti. Si gioca molto con le situazioni, e lui non teme di guardare in faccia certe realtà, dando a esse un nome, ma è divertentissimo, con una facilità alla battuta sferzante, ironica e sempre divertentissima che ti sorprende e il pubblico ne è estasiato.
Ribalta i luoghi comuni, interagisce con la gente, fa cantare le persone, le chiama a recitare improvvisando, a ballare, le fa suonare, “perché tutti dovremmo saper suonare almeno uno strumento” perché “nella musica come nella vita è importante l’armonia”. Uno spettacolo questo molto coinvolgente e animatissimo, non si è avuto la percezione che il tempo stesse passando così rapidamente.
Concluderà poi dicendo: “volevamo chiedervi un bis, veramente ci siete piaciuti tanto” -ancora applausi fragorosi – “siamo molto soddisfatti di voi!”. Alle 22,50 sembrerebbe che tutto stesse avviandosi alla conclusione e invece no: a sorpresa invita Gianni Morandi sul palco con lui; così ricordando Lucio Dalla, omaggiano il pubblico con le note di “Caruso”: finale con sorpresa!
Inutile poi aggiungere come i presenti se ne siano andati soddisfatti, dell’andamento di tutta la serata.

Due domande al volo a Rocco Papaleo, il tempo oggi è molto più ridotto rispetto a quello che di solito mi riservano altri artisti in tale contesto; nonostante sia così tardi poiché i giornalisti qui in fila erano diversi, lo stesso riesco ad ottenere le risposte ad almeno alcune delle domande che avevo preparato. Accontentiamoci, dunque!

D.F.: Il Titolo dello spettacolo “Una piccola impresa meridionale” reca lo stesso della pellicola, pur essendo due storie completamente diverse. Come mai questa scelta?
R.P.: Mah, insomma un titolo a volte no? Si presta per progetti anche diversi, siccome “la piccola impresa meridionale” cinematografica era proprio una storia in cui delle persone facevano una piccola impresa, erano meridionali e… questo specifico alla “piccola impresa meridionale”, siamo noi proprio, siamo noi band, una piccola impresa dell’entertainment e il nostro percorso è di musicisti un po’ di strada, in qualche maniera cerchiamo di riproporlo anche scenograficamente, è come se noi arrivassimo alla fine di questa festa di paese e impregnati di questa paesanità raccontiamo un po’ le nostre storie. Lo spunto è biografico ovviamente con qualche piccolo risvolto romanzato, però in fondo insomma è uno spettacolo di intrattenimento che vuole proprio… come dire?… portare un’energia, un calore alla platea e – scusami la retorica – è come volessimo accarezzare un po’ le anime degli spettatori…

D.F.: E’ un po’ una coccola, insomma… e come siete arrivati a questo?
R.P.: Questo è un percorso ventennale, diciamo di teatro-canzoni, che faccio io…diciamo che io ancor prima di fare l’attore suonavo ero un cantautore, insomma… poi ho studiato recitazione, però la componente musicale sì…è marciata in parallelo. Così che dopo una decina d’anni di “attorismo”, ho cominciato a fare i miei spettacoli di teatro-canzone e in vent’anni spero, diciamo… che le cose si siano evolute, o involute è interessante fino a un certo punto… però comunque sono cambiate si sono adattate, modellate, i musicisti sono cambiati nel corso degli anni, finché ho trovato questa formazione che penso abbia raggiunto un po’ un apice nel mio percorso, siamo… non siamo nemmeno si può dire come attori con dei musicisti, siamo proprio come una band come se fossimo i Pooh, stiamo molto bene insieme.

D.F.: Che cosa si deve aspettare il pubblico, come deve cogliere lo spettacolo, cosa deve non perdere di vista?
R.P.: Mah… secondo me il pubblico se si spalanca trova qualcosa di bello, perché si deve aspettare una serata in cui si esce dallo spettacolo un po’ cambiati. Cambiati non radicalmente, però assisteranno a qualcosa che sarà un po’ come una ginnastica sentimentale.

Daniela Ferro

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