Bologna, 25 gennaio – SetUp. Fra tutte le tantissime opere esposte, una in particolare e, indipendentemente dal risultato brillante ottenuto (vincitrice del Premio SetUp 2015, N.d.R.), è sicuramente “Preghiera” presentata dalla Galleria Zak Project Space e realizzata da Maurizio Viceré detto “Il Vice”.
Si tratta di un lavoro su lastra trasparente; inizialmente ho creduto fosse vetro, dove minuscole particelle dorate ben differenziate per forma o dimensione, pur restando tutte minime, assumono l’aspetto di un cielo stellato. Un lavoro calamitante di per sé che mi fa venire alla mente tantissime altre cose, una sorta di “Big Bang” osservato da un cannocchiale posto al contrario.
L’opera sarà pure aperta, lasciando poi al fruitore il compito o la libertà di completarla secondo la propria interpretazione, magari essa stessa lo porta anche a notare cose che l’artefice neppure pensava, forse, al momento della creazione; ma uno dei vantaggi indiscutibili nell’arte contemporanea, consiste proprio, nella possibilità di avere un dialogo diretto con il suo creatore, cosa impensabile se volgiamo lo sguardo agli artisti del passato. Purtroppo non ho avuto la possibilità di un confronto vis-à-vis col Vice, ho però avuto l’opportunità di parlare con la gallerista e sua curatrice Gaia Pasi che mi ha rivelato tantissimo riguardo all’opera, conoscendo poi l’artista da lunga data.
D.F.: Le chiederei di raccontarmi qualcosa riguardo Viceré – dal suo punto di vista -poiché lo conosce sicuramente bene, soprattutto in riferimento alla genesi di quest’opera.
G.P.: Questo lavoro ha vinto l’edizione SetUp 2015 ed è un lavoro un po’ personale (…) praticamente sono le fedi del nonno al quale lui era molto legato che sono state frantumate, rese polvere e soffiate sopra a quattro lastre di vetro a un livello diverso di montaggio della lastra all’interno della cornice, tanto che questa polvere d’oro risulta come galleggiare. Risulta come sospesa all’interno del quadro e quella che poteva sembrare un’operazione un po’ dissacrante, forse da un certo punto di vista anche macabra, in realtà è un lavoro di grande poesia secondo me.
D.F.: Mah non credo: lui ha utilizzato oggetti doppiamente preziosi e in questo modo li ha consegnati all’immortalità…
G.P.: Infatti, è questo il significato dell’opera. Perché viene data alla vera immortalità una possibilità di più, percorrendo la via dell’arte o, meglio, attraverso un canale preferenziale come quello dell’arte.
D.F.: C’è questo aspetto così stellare … ho visto solo dopo il titolo “Preghiera”
G.P.: Esatto! E nel titolo c’è in sintesi tutto il senso del lavoro. Perché è infatti una preghiera (…) lui era legato da un affetto profondissimo ai nonni. Rappresenta la preghiera che in questa vita in qualche modo può continuare a perorarsi… Inoltre il pensiero che questo quadro possa andare in casa di un collezionista gli assicura vita eterna…
D.F.: Ovvio che se fossero rimaste in un cassetto, dopo alcune generazioni (se non prima) ci sarebbe stato poi il rischio che finissero in fonderia, cioè nel crogiolo di un orafo…
G.P.: O di un compro-oro. Assolutamente! Ed è bello, bellissimo che sia stata capita in un luogo di commercio se vogliamo, in una fiera, più di una mostra, più di un altro luogo dove si trova l’arte abitualmente; però è stato bello che sia stata capita da un gruppo di giovani curatori, di collezionisti che l’abbiano selezionata secondo un messaggio forte, un messaggio diverso, un messaggio assoluto che bene o male unisce – come l’arte riesce a fare – la vita, la morte e il miracolo dell’arte stessa.
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