A tu per tu, una settimana prima de La Merda

A tu per tu, una settimana prima de La Merda

In previsione dello spettacolo di Mercoledì  17 Febbraio al Teatro Duse di Bologna, abbiamo intervistato Silvia Gallerano protagonista de La Merda.

Ho la fortuna di poter fare alcune domande all’attrice Silvia Gallerano, unica protagonista del monologo scritto per lei, da Cristian Ceresoli dal titolo “La Merda”- Decalogo del disgusto # 1;  opera prima dell’Autore, il testo verrà presentato al Teatro Duse di Bologna, Mercoledì  17 Febbraio.

Il monologo “La Merda” ha ottenuto un numero di premi ragguardevoli, presentato al celebre “Fringe Festival” di Edimburgo nel 2012. Dopo essere stato snobbato dagli spazi teatrali nostrani   e  dopo “aver fatto le valige”, esser stata tradotta per il pubblico inglese, ha poi fatto  incetta di riconoscimenti sia per sé, che  per la coraggiosa attrice  che se ne fa portavoce, aggiudicandosi così numerosi   premi, tra i quali:  il Fringe First Award 2012 for Writing Excellence;   The Stage Award 2012 for Acting Excellence; l’Arches Brick Award 2012 for Emerging Art;  il Total Theatre Award 2012  (Nomination) for Innovation; Premio della Critica 2012  quale Best Show; il Journalists’ Jury Award Giovani Realtà del Teatro; l’Audience Award Giovani Realtà del Teatro;  l’Edinburgh Fringe Sell Out Show 2012 and 2013.

Il testo si presta a vari livelli di lettura e interpretazione, è un testo stratificato nel suo strutturarsi che    facilmente può dare luogo al fraintendimento  nonché a una sommaria visione, ci  mostra invece uno spaccato della realtà che risulta  ben più scandalosa o indecente del titolo stesso dell’opera;  poiché con sguardo lucido e impietoso, l’Autore ha saputo guardare vari aspetti della realtà farne una fotografia nitida, mettendo in primo piano i lati più deteriori, ma rendendo il tutto un prodotto d’arte senza usare  filtri ingannatori,  né inventando per essa una “bellezza” posticcia che dato il soggetto, nei fatti non ha.

L’attrice, solo personaggio sul palcoscenico, monologa per la durata dello spettacolo vestita solo del colore rosso accesso    sulle labbra, di un’abilità sua non comune e con un microfono in mano, con il quale riverserà sul pubblico tutta la sua rabbia, appare quindi senza null’altro.

Che cosa si può chiedere di intelligente ad una donna che senza veli e senza peli sulla lingua, armata solo di questo rossetto  acceso e di un microfono  riesce a buttare fuori, molto più di uno stream of consciousness, che  può essere letto in vari modi; io tutto questo scandalo al sole, non lo percepisco, quanto invece vedo uno specchio furente, furioso, impietoso e purtroppo senza speranza, della realtà. Tu che te lo sei cucita addosso,  l’unico abito che l’autore ti ha dato, che cosa altro aggiungeresti?

Mah, hai detto molte cose, ti dirò che neanch’io ci vedo niente di scandaloso e purtroppo questa definizione è qualcosa contro cui lottiamo parecchio, purtroppo solo in Italia, nel senso che se tu leggi le critiche italiane, sono tutte basate sullo scandalo, la provocazione, la  questione della nudità, il titolo; ci si ferma molto a  questa apparenza preoccupante e non si va alla sostanza. Magari più per stupidità che per  ignavia o per desiderio di cancellare, noi siamo abbastanza infastiditi da questa cosa, io quello che cerco  di ripetere sempre e come Cristian, del resto, è che non c’è nessuna provocazione, c’è uno spaccato  della realtà che  ciò che ci circonda. Io quello che faccio è interpretare una ragazza di questi tempi.

Io ho il testo sotto mano, vedo  fra le citazioni  quella di Pasolini e quella di Garibaldi  “Codardi prezzolati, prostituti: sempre pronti a inginocchiarvi davanti a tutte le tirannidi” che con altri termini, esprime  un’idea non troppo distante da  quella di Pasolini, ma alla fine del testo e cantando l’inno nazionale –   tu  ti rivesti del drappo. Normalmente questo è un tributo che si concede ai caduti in guerra, in sostanza quello che mi fa tremare è questo: è così circolare tutta la situazione? Inizio e ritorno al punto di  partenza? E’ così senza speranza? Alla fine tutto ciò che viene buttato fuori, torna dentro.

Sì c’è un’accettazione, lei per essere quello che vuole essere accetta, annulla la sua  umanità,  accetta di rimangiare  tutto: non ci spostiamo.

La domanda più tecnica che ti volevo fare riguarda la tua voce.  Hai fatto un lavoro particolare, la tua timbrica è molto diversa,  da quella che risulta nell’opera; anche la mimica facciale, il volto che  deformi a quel modo, è molto espressivo, nel testo non ho trovato indicazioni, è un lavoro che hai concertato con l’autore o come ci sei arrivata   a fare un lavoro così personale?

Cristian Ceresoli aveva scritto questo testo per me e in particolare per quella maschera vocale. Quella voce preesisteva e diciamo che  era una voce che io mi portavo dietro da tempo, la collaborazione è  nata proprio, per dare voce a quella voce, Cristian ha avuto l’idea di dare a questa  voce che è così fragile, che sembra quasi che stia per mettersi a piangere, che fa immediatamente  simpatia, di metterle in bocca delle parole che andassero in senso  completamente opposto, per farlo diventare un personaggio odioso, orribile, feroce. Da lì è partito e poi io mi sono divertita a dare voce alle altre voci del testo; perché poi la scrittura di Cristian è estremamente musicale, è quasi una partitura quella che lui scrive, è già musica,  quindi io, quello che ho fatto,  è stato fare da canale a quelle parole,  alle modulazioni che servivano alle parole, che dovevo pronunciare.

Interessante che l’autore abbia scritto il testo, pensando già a te. Credo che  la parte tu te la sia cucita addosso molto bene, ti ho vista lo scorso anno sempre al Duse sembra  proprio che sia stata  tu a scriverti il testo, o questo è quello che ho percepito e non credo di essere la sola.

C’è stato un grande scambio fra me e Cristian, ci conosciamo molto bene e tutto ciò che viene fuori è molto suo e molto mio,  il ruolo me l’ha cucito addosso, conosce la mia storia, sa da dove vengo, funziona molto su di me perché è stata fatta su misura. E’ un grande regalo  che mi ha fatto: non succede sempre di avere un autore che ti scrive qualcosa, soprattutto sulla tua storia!

E’ successo anche in passato,  stavo pensando a  “Salomè” scritta per Sarah Bernard da Oscar Wilde,   ma è un’altra storia.  Senti riguardo alla pettinatura, questo personaggio un  po’ infantile, a tratti un po’ bimba che   pare   non voglia crescere, con questi due codini attorcigliati,  a chi è venuta in mente?

Prima erano appunto dei codini e mi sembra sia venuta a Cristian – come idea – e poi sono diventati questi  due piccoli chignon che ci ricordavano   un po’ animale  da circo. Nascevano  però da un tratto infantile.

Ho letto male, in rete,  e ho capito peggio o il testo era stato presentato in italiano al Fringe?

No, il testo è stato tradotto in inglese, al Fringe un testo così lungo sottotitolato non reggerebbe. Noi  abbiamo iniziato a scrivere questo testo nel 2010 abbiamo avuto parecchie porte sbattute in faccia e qualche amico che ci ha aiutato. Quindi è stato chiaro sin da subito che non volevamo che quest’opera morisse, immediatamente, l’unica possibilità era di cercare altrove, quindi abbiamo cercato un pubblico diverso, usando la rete e andando in luoghi non esattamente teatrali e da lì abbiamo iniziato a lavorare sulla traduzione e  il lavoro – per andare al Fringe – è iniziato nell’anno precedente, appena fatto il debutto in italiano, abbiamo chiuso il capitolo Italia, perché tanto non ne tiravamo fuori niente e siamo partiti per il Fringe, io ho lavorato attraverso l’inglese.

Amarissimo quello che mi stai dicendo, perché adesso sembra che siate gli eroi dei due mondi, ritornate con la  fanfara, ma sostanzialmente – se ci pensi bene – “La Merda” è un testo doppiamente speculare alla situazione, a questo punto ritorna ancora il  “Diamo linea alla pubblicità”, la pubblicità è arrivata e i teatri vi hanno accolto.

Continuiamo a subire un po’ di ostracismo , se tu calcoli che dal 2012 a oggi siamo andati una sola volta, in un teatro stabile, siamo considerati troppo OFF da un teatro stabile e  siamo “troppo commerciali”, dagli ambienti di ricerca; andiamo in spazi ibridi dove si occupano di musica o di comici, luoghi molto grandi o molto spaziosi, oppure a Roma siamo stati ospiti del Teatro Valle Occupato… e la Stampa  continua a non scrivere il titolo, a non ospitarci  alla Televisione e alla Radio. Queste cose qua, continuano ad esserci, solo che non si può continuare a far finta di non vedere, perché poi per fortuna, nonostante “la merda”, dei luoghi e delle persone ci sono!

Mi dicevi che vi ospitano anche in teatri impropri, perché un teatro che va bene per la musica, è poi inadatto e un massacro per le corde vocali dell’attore, soprattutto per te che sei da sola, è così?

Alterniamo, per fortuna! Io non mi aspettavo mai di fare questo spettacolo davanti a quasi 700 persone, così com’era successo al   Valle  quando l’abbiamo riempito tutto.  Succede come dici tu che da un lato “la cosa è senza speranza”, ma  a me invece, dà speranza che  ci siano molte persone che vogliono venire a vivere questa esperienza. Nonostante tutto riusciamo a incontrare delle persone che non riescono a essere messe da parte da un sistema teatrale che fa delle scelte purtroppo meno rischiose.

E’ molto italiano, questo, come sistema  e non soltanto per via della crisi.

No, no, ma è molto italiano anche resistere, poi!

Daniela Ferro

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