ROMA – Fino al 2 dicembre potrete partecipare ad uno dei numerosi eventi in programma per Romaeuropa Festival; giunto alla sua trentaduesima edizione, con il titolo “What are we now?” , vuole offrire al pubblico il meglio della creazione artistica contemporanea.
Come ogni anno, l’offerta culturale di Romaeuropa festival è ampia a spazia tra cultura “alta” e “di massa”, abbattendone le barriere all’insegna dello scambio e della fusione tra culture e codici espressivi. Ogni anno il festival porta a Roma per oltre tre mesi, danza, teatro, musica, cinema, incontri con gli artisti, arti visive e sfide tecnologiche.
Il teatro, la danza, la musica e le arti visive sono ormai delle categorie in cui le pratiche artistiche contemporanee faticano a riconoscersi; la contaminazione tra generi è tipica ormai di opere d’arte in grado di sorprenderci proprio in virtù di questo sconfinamento indisciplinato. Questo accade anche nel nostro presente: “Where are we now?” vuole esprimere proprio questo; dove ci troviamo? In un’era di progresso scientifico o in quella di cambiamenti politici e geografici? In un momento di libera produzione e circolazione delle idee o di post-verità? Gli artisti e gli spettacoli del #REf17 cercano di dare risposte a queste domande.
PUEBLO di Ascanio Celestini
Per Romaeuropa, dopo Laika nel 2015, Ascanio Celestini porta al Teatro Vittoria, Pueblo, uno spettacolo concepito come secondo capitolo di una trilogia.
La scena è scarna, essenziale: l’interno di una stanza dietro una tenda socchiusa ed una finestra. Non servono scenografie quando tutto il potere evocativo viene affidato alle parole; parole che scorrono veloci e si fondono con la musica (originale e composta da Gianluca Casadei con piano e fisarmonica): tramite esse incontriamo con la mente le persone che Celestini delinea con grande abilità. Inizia un viaggio nella loro vita, un tentativo di guardare il mondo dal loro punto di vista.
L’Ascanio Celestini-narratore nel suo dialogo-monologo con il coinquilino Pietro, è forse un matto che osserva il mondo o un sano che osserva un mondo impazzito? Nei novanta minuti che velocemente si rincorrono, tesse le trame delle storie di un gruppo di persone. Parola dopo parola, eccole lì, si materializzano davanti ai nostri occhi: cuce su delle sagome movimenti ed espressioni, addirittura pensieri.
Il suo racconto si muove all’interno della periferia; ad essa appartiene anche lui e si vede, perchè ne racconta in modo così preciso le dinamiche. Ma il luogo in questo caso non conta; siamo a Roma, ma potremmo essere ovunque. Sceglie di calare le loro vite in non-luoghi, un supermercato, un bar, un magazzino; sono esattamente lì ma potrebbero essere in qualsiasi parte del mondo.
Un’opera teatrale, come qualsiasi opera d’arte, non può imporre il suo significato a chi la osserva. Ogni spettatore trova e coglie al suo interno una sfumatura, un senso che cambia da individuo a individuo; se la guardassimo a distanza di tempo probabilmente scorgeremo in essa elementi nuovi, perchè cogliamo ciò di cui più abbiamo bisogno in quel momento. Un significato dato, oggettivo non può esistere. Nel momento in cui suscita una riflessione, ci spinge a pensare, a guardare dentro e intorno a noi, ha raggiunto il suo obiettivo.
Accade questo con Pueblo: i suoi personaggi ci fanno riflettere. Una cassiera, una barbona, un africano; sono queste le categorie all’interno delle quali abitualmente collocheremo queste persone.
Hanno un nome, uno qualunque, come il nostro; hanno una storia, potrebbe essere la più triste o la più allegra, fatta di gioie e dolori, come la nostra. Loro potrebbero essere noi, noi possiamo essere loro, perchè siamo accomunati dalla condizione più profonda che esiste: l’essere umani. Sul palco c’è l’umanità tutta, fatta di sofferenza, piccole gioie, persone che lottano, sbagliano e si pentono.
La storia della cassiera Valentina forse è una di quelle più “vicine” al nostro vivere; questa ragazza si trascina in una vita che le sta stretta, fatta di un lavoro forse monotono da cui non può fuggire per necessità, una casa piccola da condividere con la madre. Alla morte del padre entrambe hanno perso un pezzo di loro stesse ma tengono la tv accesa per non accorgersene.
Che si fa quando si è migliori di quello che ci capita?
Si costruisce qualcosa con quello che si ha; si scava a mani nude nella miseria, per trovare anche solo una briciola di “bellezza” per cui deve valer la pena sorridere: una bici nuova, un affetto sincero, un mondo fantastico da immaginare, con dolcezza e dignità.
Ed ecco che Valentina entra nel supermercato dove lavora, abbandona quello che le circostanze l’hanno portata ad essere e veste i panni della regina, seduta sulla poltrona-trono, che sorride ai sudditi (i clienti) mentre riceve i pregiati doni (ciò che loro acquistano) e augura loro una buona giornata. In quel mondo vive bene perché lo ha creato lei.
All’uscita dal teatro sembra di aver imparato qualcosa in più riguardo alla storia di quelle persone che sicuramente incontreremo domani.
Lo spettacolo si inserisce bene all’interno del festival dal titolo “Dove siamo ora?”; una simile domanda è rappresentativa non solo del momento storico che stiamo vivendo, nella cui quotidianità diciamo e ascoltiamo tutto e il contrario di tutto, in un rumore senza distinzione che sembra appiattire ogni cosa e giustificare il bello e il brutto, il falso e il vero. Tale domanda è riassuntiva anche dell’atteggiamento che nutriamo verso gli “altri”, verso coloro che pensiamo di conoscere: in fondo non sappiamo niente di “loro”, ma siamo pronti a raccontare di tutto, con la presunzione di fermarci alle apparenze e alle categorie entro cui classifichiamo quello con cui entriamo a contatto.
DIGITALIFE
Romaeuropa Festival non è solo teatro. In occasione dell’inaugurazione di Mangasia: Wonderlands of Asian Comics, a Palazzo delle Esposizioni, abbiamo avuto modo di esplorare anche Digitalife, rassegna di REf17 sulle nuove tecnologie e l’arte digitale.
All’interno dell’evento “Where are we now?”, Digitalife si sofferma sulla necessità di analizzare lo stato dell’espressione artistica dell’uomo e fornire un’idea degli esempi più significativi all’interno dell’arte e della tecnologia, intesi come sistemi che possono interagire tra di loro: sviluppi tecnologici e fattori culturali come leve dell’evoluzione umana.
Per la prima volta in questa sede, 7 stanze ospitano 6 maxi installazioni e film e docufilm della scena contemporanea.
L’obiettivo è quello di applicare la tecnologia al lavoro artistico e piegarla, attraverso la sensibilità dell’artista, verso la voglia di progresso e la paura del futuro, tipicamente umane.
Tra le opere troviamo Phosphor di Robert Henke, installazione site-specific. Uno strato di polvere di fosforo è collocato sul pavimento della sala; su di esso, utilizzando luce ultravioletta, vengono realizzati dei paesaggi temporanei in cui ogni traccia di luce lascerà un segno: l’installazione cambierà la sua morfologia durante l’intera durata della mostra poichè è pensata sui concetti di “erosione” e continuo “mutamento”.
Potete trovare l’intero calendario di Romaeuropa Festival 2017 con tutti gli eventi, qui.
ROMAEUROPA FESTIVAL
20/09/2017 – 02/12/2017
DIGITALIFE – PALAZZO DELLE ESPOSIZIONI
07/10/2017 – 07/01/2018 – Sito
- Arte al cinema si sposta al Prado di Madrid – 13 Aprile 2019
- Ritmi Sotterranei e Slate, scambio culturale a passi di danza – 3 Aprile 2019
- Ninfeo di Orte: di nuovo in vita grazie a Memorie d’Acqua – 2 Aprile 2019