Steven Seagal: le sue leggende metropolitane

Steven Seagal: le sue leggende metropolitane

ACCADDE OGGI – L’artista marziale oggi, 10 aprile, compie 70 anni. Non lo definisco attore perché trovo che Steven Seagal non abbia niente in comune con Mastroianni.

La sua vita piena d’incontri e avvenimenti lascia molti dubbi a chi scava nella sua biografia. Steven Seagal racconta molti fatti che risultano improbabili come tutte le scene che ha girato. Un fisico robusto, gonfio, troppo in carne per un uomo che dichiara di vivere seguendo i dettami delle arti marziali. È stato libero di girare una sessantina di film basati sulle solite quattro righe di sceneggiatura e noi siamo liberi di criticarlo. Il personaggio delle vendette, delle donne inermi salvate a colpi di calci in faccia, dei bambini che ne osservano la stazza sotto a strane vestaglie orientali. Non riusciamo a liberarci di lui, servirebbe una quarta dose di vaccino anche contro Steven Seagal.

I PRIMI ANNI IN GIAPPONE

Una prima leggenda metropolitana riguarda il suo periodo vissuto in Giappone. Ha costellato ogni racconto di situazioni romanzate, ha caricato ogni accadimento di scene mai vissute in realtà. Nel 1971 dopo il diploma lascia la California in compagnia della fidanzata Miyako Fujitani che più tardi sposerà. Lui racconta di aver vissuto in una piccola foresta fuori dalla città di Osaka, in una capanna dove si allenava e contemplava la sua forza. In realtà era ospite dei suoceri che avevano un dojo di Aikido. Questo genera l’immediato crollo del fascino da tenebroso. La verità tracima in tristi zuppe cucinate dalla suocera e riso scotto guardando le piante dei piedi scalzi dei vecchi suoceri.

Ha raccontato che il suocero fosse un giocatore d’azzardo patologico e che, a causa della ludopatia, fosse minacciato dalla potente famiglia mafiosa Yakuza. Seagal racconta di aver combattuto questi criminali senza paura e di aver salvato il dojo. In realtà, dopo il divorzio, Miyako Fujitani ha dichiarato che fosse solo una gran balla. Suo padre non aveva vizi e nemmeno nemici. Dice che il gesto più eroico che ha fatto il suo ex marito è stato gridare a due ubriachi seduti sugli scalini del dojo.

Steven Seagal

STEVEN SEAGAL: GUARDIA DEL CORPO

Tornato dal Giappone, inizia a raccontare in giro d’essere un Dio vivente del kung fu, del judo, di kendo e dell’aikido. A sentire lui era cintura nera in qualunque disciplina marziale esistente sul nostro pianeta. Un uomo letale, una macchina da morte, un algoritmo di pugni e dei calci. In realtà Seagal è sempre stato solo un promotore eccezionale di sé stesso. L’immortalità di cui si è sempre vantato però suonava bene e qualcuno c’è cascato. Il Seagal diventa una Luna nera, un nome che fa risacca e qualche personaggio famoso s’incuriosisce, vuole vedere di persona questo bodyguard dal sangue freddo.

Diviene guardia del corpo di vip di Hollywood, un’ombra minacciosa che con le sole mani nude incute terrore nei passanti. Una delle sue clienti sarà la bellissima Kelly LeBrock che qualche tempo dopo lo sposerà introducendolo nel mondo del cinema. Seagal dunque arriva alla Warner Bros grazie al sex symbol della Signora in Rosso. Lui esibisce qualche mossa imparata dall’ex suocero giapponese, racconta un paio di storie ed ottiene la prima parte nel cinema d’azione marziale.

Steven Seagal
Steven Seagal e Kelly LeBrock

LA TORTUGA

Nonostante io non sia un suo ammiratore è indubbio che Seagal sia molto popolare in ogni angolo del globo terraqueo. Ha ingannato molti ragazzini con il suo fare orientale, con quelle ciabattine ai piedi e gli inchini. In Sud America ad esempio è quasi un’istituzione. I suoi film vengono proposti molto spesso dalle televisioni latinoamericane. È stato più volte in quei paesi per mostrarsi reale davanti ai suoi giovani fans. In quelle occasioni è nata una seconda leggenda metropolitana.

Un giornalista argentino gli ha chiesto come potesse definire il suo stile di combattimento. Seagal ha risposto in spagnolo attribuendosi da solo un soprannome che ancora lo identifica in America latina. “Il mio stile lento è unico al mondo. Potete chiamarmi El Tortuga”. Tortuga significa “la tartaruga”. In realtà il suo modo di combattere così lento non è una scelta, è un obbligo visto le sue dimensioni ed il suo peso molto importante. Da quando è diventato famoso il suo vero avversario è stata la forchetta. Alcuni veri maestri di arti marziali, interpellati sullo stile di Seagal, si sono limitati ad un sorriso ribadendo la differenza fra un combattimento reale ed un set cinematografico.

STEVEN SEAGAL: MA LO PENSA DAVVERO?

Se Seagal fosse cosciente di aver girato una serie interminabile di film per dodicenni forse non sarei così cattivo. Non può non capire d’essere solo quello che molti bambini emulano davanti allo specchio in cameretta. Il problema è che lui crede d’essere Al Pacino, ed è qui che non riesco a reprimere i miei pensieri in un congelatore. Ha avuto il coraggio di dire: “Nico era un film politicamente impegnato. Sfida tra i ghiacci era un film ecologista; voglio continuare a fare film come questi: pieni di intrattenimento ma che portano la gente a riflettere”.

Seagal sta al verbo riflettere come Cicciolina sta a Madre Teresa. La domanda essenziale è: “Ma Seagal si prende davvero sul serio?” Come può un uomo maturo non capire che la recitazione è un’altra cosa? Non dico che debba avere dei sensi di colpa perché non ha ucciso nessuno, ma dovrebbe svegliarsi dal personaggio e riprendere la vera vita in mano. Mi scuso se scrivo questo articolo senza aver visto tutta la sua filmografia, ma dubito che mi sia scappato un film meritevole. Al suo confronto, in termini di recitazione, Chuck Norris sembra Toni Servillo.

Diciamo che Bruce Lee è stato perdonato perché è stato un innovatore, un atleta, un uomo che ha pagato i suoi vizi e le sue debolezze. Non era un attore, ma effettivamente portò in scena per primo un genere che ha avuto il suo nutrito pubblico. Quello che è arrivato dopo di lui è stata una lenta discesa verso il basso: Sonny Chiba, Jean-Claude Van Damme, Sammo Hung, Jackie Chan ed il nostro Steven Seagal. Gli auguriamo comunque altri 70 anni a raccontare leggende metropolitane: nel sapersi vendere è davvero bravissimo!

Francesco Danti

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