FERRARA – A 15 anni dalla scomparsa di Michelangelo Antonioni (avvenuta il 30 luglio 2007 a Roma) Enrica Fico – moglie del regista e tra gli ideatori dello Spazio Antonioni che sorgerà a Ferrara e accoglierà una selezione dell’Archivio del cineasta – lo ricorda con i due elementi che più hanno contraddistinto il suo percorso, umano e artistico. La nebbia in cui perdersi, un deserto per ritrovarsi.
La moglie Enrica Fico lo ricorda: Il deserto per Michelangelo era come la nebbia della “sua” Ferrara, un luogo in cui perdersi per ritrovarsi
Qui il nostro articolo dedicato dieci anni fa nella data del suo compleanno, 29 settembre 1912.
Sullo Spazio Antonioni che sorgerà a Ferrara:
“Mi piacerebbe fosse proprio come un deserto da riempire di incontri e progetti, unendo tutte le arti con personalità provenienti da tutto il mondo”
L’altra sera, nella casa in Umbria sulle colline di Trevi, Enrica Fico ha rivisto Professione: reporter (del 1975) con la nipote Silvana (che sta studiando per diventare regista). Si sono poi confrontate su cosa rappresentasse il deserto nell’universo di Antonioni. “È stato il suo elemento, perché nel deserto si può scomparire. Ci si perde, ma lui ci ha insegnato che in quel ‘nulla’ ci si può anche ritrovare” racconta Enrica Fico, che continua: “È un po’ come la sua Ferrara. Da giovane aveva la nebbia per scomparire da se stesso. E se l’è portata dietro: quando faceva un film voleva annullarsi come uomo, non dare più ascolto ai problemi del quotidiano per dare invece spazio a una voce più profonda. Ma ecco che quando scopre il deserto tutto cambia”. Come le ha fatto notare la nipote, “nella nebbia non vedi niente, nel deserto vedi tutto”.
“Nella sua vita quando finalmente ha potuto smettere di raccontare la nebbia – e non vedere niente – è andato a cercare il deserto per vedersi, per riconoscersi” riprende Fico, ricordando Il deserto rosso (1964), i colori di Zabriskie Point (1970). Enrica Fico lo incontra proprio ai tempi del film realizzato nel deserto californiano. “Aveva perfino l’energia di un capo indiano, con quella pelle scura e quella secchezza nel viso, nelle mani – ricorda così il compagno -. In quel deserto si è visto, ha visto anche la sua vera natura, e ha cambiato il suo modo di fare cinema”.
Enrica Fico si ricollega anche al nuovo progetto, che coinvolge direttamente Ferrara: “Mi piacerebbe che lo Spazio Antonioni fosse proprio un deserto da riempire di incontri, progetti, iniziative, collaborazioni”. Vi sarà esposta anche una selezione dell’Archivio Michelangelo Antonioni: il fondo consta di oltre 47mila unità (tra libri, dischi, pellicole, lettere, fotografie, premi opere pittoriche, sceneggiature…) che il Comune di Ferrara ha acquisito dal regista e dalla moglie.
“Luogo vivo della memoria di uno straordinario artista”, come ha affermato di recente Vittorio Sgarbi, presidente della Fondazione Ferrara Arte, lo Spazio – realizzato nell’attuale Padiglione d’arte contemporanea – “sarà diviso in aree che assolveranno a funzioni differenti, rivolgendosi a un pubblico diversificato e a tipi di eventi eterogenei” come ha detto il curatore Dominique Paini, già direttore della Cinémathèque française e curatore della mostra Antonioni e le arti, ospitata a palazzo dei Diamanti nel 2013 e poi a Parigi, Bruxelles e Amsterdam.
Al ricordo si è unito l’assessore alla Cultura, Marco Gulinelli: “Antonioni con il suo cinema non ha mai abbandonato le immagini della sua terra: dalle città allineate lungo la Via Emilia fino a Ferrara e poi i Polesini fino al Delta. Ha saputo cogliere, come Giorgio Bassani, il canto di una provincia che circonda Ferrara, la pianura nel cui nulla invisibile della nebbia è diventato il moltissimo visibile, in cui si sogna vivendo quell’orizzonte. Ci manca, ma la speranza è che attraverso l’apertura dello Spazio Antonioni a lui dedicato al termine del 2023 si possa attraverso la sua matrice linguistica ritrovare quel tocco personale e inconfondibile, la sua visione personale del mondo che fatalmente diventa la nostra”.
“Ne ho parlato proprio con Dominique Paini: dobbiamo creare un comitato con i grandi artisti, tra cui quelli che hanno lavorato con Michelangelo, da Scorsese a Wim Wenders. Sarà a Ferrara, ma deve coinvolgere personalità da tutto il mondo, unire le varie arti, come avrebbe voluto Antonioni”. Il suo sogno, racconta, era creare una scuola di cinema per i ragazzi, dove i docenti dovevano essere i massimi esponenti non solo del cinema, ma anche della pittura, del disegno, dell’architettura, della musica. “Secondo lui doveva comprendere anche filosofi e cuochi”, aggiunge Enrica Fico.
C’è un ricordo curioso che lega Antonioni a Ferrara. “Michelangelo si sentiva prigioniero della sua terra madre, la amava, ma ne soffriva. Non voleva fare l’episodio ferrarese in Al di là delle nuvole, lo faceva ‘ritornare’ alla nebbia, alle sue origini. È stato Wim Wenders a convincerlo, le riprese sono state difficilissime: non riuscivamo a venir via da Comacchio. Alla fine, come sempre, il risultato gli piacque molto. Provava piacere nel guardare i suoi film, una volta terminati, come se a farli fosse stato un altro”.
Il Servizio Musei d’Arte del Comune di Ferrara e la Fondazione Ferrara Arte hanno di recente omaggiato il celebre regista con la mostra La città del silenzio, a cura di Andrea Forlani, Tiziana Giuberti, Stefano Tassi e Paolo Volta. Aperta dal 10 giugno al 10 luglio al Padiglione d’Arte Contemporanea, ha coinvolto 62 artisti nel segno di Antonioni.
Foto in home page Al di là delle nuvole. Antonioni sul set. Foto di Wim Wenders. Archivio Michelangelo Antonioni
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