Michelangelo Antonioni raccontato da Enrica Antonioni

Michelangelo Antonioni raccontato da Enrica Antonioni

MONDO – Un grande artista non muore mai. Rimangono le sue opere e il ricordo dei suoi estimatori e dei suoi cari. Avrebbe svoltato il secolo il 29 settembre ed eravamo convinti che ci sarebbe arrivato. Lo si considerava quasi invincibile… dal tempo e della sua malattia. Una notte ha deciso che voleva riposare definitivamente e ci ha lasciati con lievità.

Michelangelo Antonioni ha segnato come pochi altri la storia del cinema italiano e a livello internazionale è considerato un maestro assoluto. Speriamo che anche il nostro paese lo sappia celebrare adeguatamente e sia orgoglioso di aver dato i natali a questo “cittadino del mondo” che ci ha raccontato la vita di relazione, ha testimoniato la rivoluzione sia della swingin’ London di “Blow up” che della lontana, ma così vicina, California di “Zabriskie Point” e della Cina del 1972 raccontata in “Chung Kuo”. Ma Michelangelo Antonioni è stato anche un grande innovatore delle tecniche di ripresa con l’uso della telecamera a giroscopio per la sequenza finale di “Professione Reporter” e con il “Mistero di Oberwald”, un film interamente girato in elettronica nel 1980. Sempre curioso e assetato di novità ha realizzato il primo videoclip in Italia con Gianna Nannini. Ho citato solo alcuni meriti specifici e alcune straordinarie opere d’arte a cui, personalmente, aggiungerei una struggente piccola grande opera “Lo sguardo di Michelangelo” che analizza nel profondo il Mosè di Michelangelo Buonarroti, realizzata solo qualche anno fa.

Di seguito una bella e sincera conversazione con la moglie Enrica Antonioni, un’intervista parigina con il regista e alcune immagini dei suoi quadri che hanno riempito di luce i suoi ultimi anni.

È un modo per dirti: buon compleanno Maestro.

Gilberto Mora

In homepage foto: Michelangelo Antonioni fotografato da Piero Marsili Libelli

CONVERSAZIONE CON ENRICA ANTONIONI SU MICHELANGELO ANTONIONI

“Vedere per noi registi è una necessità. Anche per un pittore il problema è vedere. Ma mentre per un pittore si tratta di scoprire una realtà statica, o anche un ritmo, ma un ritmo che si è fermato nel segno, per il regista il problema è cogliere la realtà che si matura e si consuma, è proporre questo movimento, questo arrivare e proseguire, come una nuova percezione”

Michelangelo Antonioni 1963

Enrica Antonioni fotografata da Pietro De Filippi

Incontro Enrica Antonioni nella sua bella casa sulla collina Fleming a Roma. La casa nella quale tante volte l’ho incontrata con Michelangelo. La trovo molto serena e con una leggera abbronzatura da un recente viaggio nel Salento. La casa è piena di Michelangelo. I suoi quadri spuntano un po’ da tutte le parti, nella sua camera da letto, sotto le grandi finestre, riempiono il soppalco. Sono qui con Raimonda Bongiovanni, la curatrice della mostra che si farà a Bologna incentrata sui piccoli quadri del maestro che ora, come straordinari schizzi di luce, sono sparsi sui tappeti e sui divani. Che meraviglia!

La nostra amica Stella, cuoca per l’occasione, ci ha appena preparato delle alici in agrodolce con una grande misticanza. Assaggiamo un paio di cioccolatini e una grappa che si spruzza in bocca come se fosse uno spray. Cominciamo la nostra intervista…

Dopo 36 anni di vita con Michelangelo quali sono gli aspetti della vostra vita comune che ti hanno profondamente cambiato e che adesso ti danno forza e fanno parte di te?

Sono tantissime le cose che mi hanno fatto cambiare. Ti dirò di più. Addirittura mi hanno snaturato e ne sono contenta.

Michelangelo mi ha fatto cambiare quel carattere ligure molto chiuso. Michelangelo me l’ha fatto addirittura buttare via. Molti liguri quando incontrano un uomo famoso fanno finta di non conoscerlo. Io, ormai, gli vado incontro e lo omaggio. E anche gli eventi della vita non li sfuggo ma gli vado incontro. Certo anche Michelangelo era all’inizio molto restio come lo possono essere i ferraresi ma il grande lavoro di crescita di una coppia è proprio quello di smussare le spigolosità dovute probabilmente a eccessi di signorilità e ad un certo aristocratico distacco che ci connotava.

Anche in questa sua pazzesca esperienza di malattia con il grande handicap di non potersi esprimere a parole è riuscito a capire l’importanza di cogliere l’occasione di aprirsi e confrontarsi con l’altro.

Togliere spigolosità sia di carattere che di atteggiamento e aprirsi al mondo?

Certo. Anche perché in Michelangelo c’era un grande snobismo dovuto ad una fortissima educazione borghese e provinciale dalla quale col tempo si è completamente sfilato. Il fatto di vivere così tanto tempo gli ha dato possibilità di essere al di sopra di tutto questo.

“totem” 100×150 acrilico su tela

 

Mi sembra di capire che esista un certa dicotomia tra il Michelangelo Antonioni celebrato e qualche volta imbalsamato dai critici come l’uomo che racconta l’incomunicabilità e l’uomo che stava facendo un percorso di conoscenza…

Se ne fregava totalmente delle celebrazioni, gli davano molto fastidio soprattutto perché lo facevamo sentire anziano mentre lui si sentiva giovanissimo. Andava in bicicletta e giocava a ping ping con i miei amici giovani e vinceva sempre lui. È stato un uomo giovane fino a 94 anni!

Ricordo quando gli hanno dato il Leone alla carriera a Venezia che mi diceva “ma come, me lo danno così presto”. Non voleva ancora parlare di carriera anche se aveva già più di settant’anni.

Gli piaceva molto invece poter vedere l’ammirazione del suo pubblico verso la sua opera. Era un momento felice in cui lui stesso si riscopriva e si apprezzava.

Tu come ti sei confrontata con gli aspetti più eclatanti del lavoro di Michelangelo, il linguaggio cinematografico e quello pittorico?

Io ero terrorizzata dal cinema. L’ho sempre rifiutato perché il cinema è un’arte molto violenta. Devi usare una tale energia e una tale carattere per dirigere un film, e Michelangelo ne aveva uno molto forte. Devi urlare, lottare e mandare a quel paese un sacco di gente per ottenere quello che vuoi. Mi ha trattato malissimo come suo aiuto e collaboratrice perché non poteva perdere tempo a spiegare le cose. Dovevo fare esattamente quello che lui voleva e basta.

Il cinema è un’arte che tu non puoi fare da solo.

Giorgio Morandi diceva che l’artista è colui che sa stare da solo in una stanza.

Io vengo da Brera e l’arte, pittura e scultura, sono la mia materia. Quella che poi mi ha fatto tener testa a Michelangelo. Quando l’ho incontrato ero forte di quell’esperienza, ero salda nelle mie convinzioni.

Ecco perché in tutte le occasioni in cui Michelangelo si è accostato alla pittura io gli sono stata vicina.

Del cinema invece ho sempre avuto paura anche se mi ha insegnato tutto. Mi ha insegnato cos’è il demonio nella vita.

“festival del cinema” 90×120 acrilico su tela

Nella pittura quindi tu e Michelangelo vi siete “riuniti” nella sensazione di compiere un’opera insieme..

Senz’altro ma anche nel cinema. Siamo stati molto uniti perché in questa lotta  Michelangelo aveva bisogno di complici.

Ma per quanto riguarda il linguaggio pittorico?

Totalmente. Io lo lego anche alle nostre case, la casa in Sardegna, quella in Umbria ma anche qui a Roma dove c’è una luce perfetta. L’ho invitato sempre a dipingere perché lui era felice quando lo faceva. Soprattutto le ultime opere che sono astratte sono totalmente libere, forma e colore. Che sono il suo elemento, la luce. Michelangelo si è espresso con la luce. Era totalmente felice e non aveva bisogno di nessuno salvo un’assistente che gli stendeva il colore perché lui non ce la faceva per il problema alla mano destra. Le idee gli venivano liberamente e le poteva realizzare subito senza aspettare un anno o più come capitava per il cinema. Penso per eccesso all’idea dell’ultima sequenza di “Professione Reporter” che Michelangelo aveva avuto almeno cinque anni prima di poterla realizzare.

Per tornare ai tuoi anni con Michelangelo volevo farti ricordare alcune foto che ho riguardato qualche giorno fa. Una in Uzbekistan, forse nel ’74, dove ci sei tu giovanissima insieme a Michelangelo, Tonino Guerra e Carlo Di Carlo. Che sensazioni ti fa venire i mente?

L’assoluta magia. Eravamo lì per preparare un film tratto dall’Aquilone di Tonino. Erano paesi magici, incontravi un vecchio vestito con questi cappotti a righe verdi, d’oro, d’argento, viola, col colbacco di pelo e con centodieci nipoti. Uno di questi cappotti è ancora di là nell’armadio.

Michelangelo e Tonino cercavano la fantasia più folle per fare una favola.

Il rapporto tra i due era fantastico perché erano all’opposto,  erano come due gemelli. Uno era la poesia e l’altro la visione.

“con Michelangelo” 100×72 acrilico su cartoncino

La seconda foto per accendere alcuni ricordi è la serata di gala per “Eros” al Festival del Cinema di Venezia con te accucciata vicino a Michelangelo. Tu radiosa e Michelangelo felice che guardava te e il pubblico che stava riempiendo la Sala Grande.  

Stare con Michelangelo, soprattutto negli ultimi tempi, era sempre una festa. Soprattutto perché tutti gli offrivano il meglio. Ma tutta la sua vita con me è stata straordinaria, piena, convulsa, stratificata. Nel bene e nel male. Michelangelo era il miglior uomo padre, perché ho scelto un maestro che mi potesse condurre. Averlo di fronte agli occhi così bello, così elegante e così giovane fino alla fine è stato per me fantastico. Così come mi è piaciuto Michelangelo non mi è mai piaciuto nessuno. Neanche il più grande attore.

Inoltre era totalmente inafferrabile…e totalmente imprevedibile, fuori da ogni schema.

Io sono così perché sono stata con lui per quasi 40 anni.

michelangelo antonioni
“emme” 80×100 acrilico su tela

Ringraziamo I.Quality, rivista sulla quale Enrica ha voluto dedicare al marito Michelangelo Antonioni una pubblicazione in esclusiva, per averci permesso di ripubblicare l’articolo di Gilberto Mora e poter così fare al Maestro i nostri personali auguri.

La Redazione di MyWhere

Redazione

One Response to "Michelangelo Antonioni raccontato da Enrica Antonioni"

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