Milano è la capitale della Moda, è risaputo, e il Made in Italy non rappresenta solo uno dei settori più importanti, ma è il brand grazie al quale l’Italia intera è riconosciuta e ammirata nel mondo, questo concetto, tanto caro a Elio Fiorucci, il visionario imprenditore che Milano ha recentemente perduto, è celebrato in questi giorni alla Triennale di Milano. Il linguaggio della moda, in costante evoluzione, è raccontato in maniera inedita grazie alla nuova mostra che ha inaugurato martedì 24 novembre e che sarà possibile visitare fino al prossimo 6 marzo.
Il Nuovo Vocabolario della Moda Italiana, curata da Paola Bertola e Vittorio Linfante, è una mostra dedicata a designer e piccole e medie realtà della moda che, dal 1998 – quando il web ha avuto una diffusione capillare sul territorio nazionale – ad oggi, hanno saputo recuperare la tradizione rielaborandola in maniera personale e contemporanea e che hanno fatto del DNA, know how e dell’innovazione le loro carte vincenti. Con il web anche la moda e il modo di comunicarla sono mutati. Come sostiene la Calefato nel suo libro “La moda oltre la moda” le nuove tecnologie svolgono un ruolo centrale nel definire un rapporto stretto tra l’identità corporea e la rete di connessioni in cui il corpo è inserito, locale e globale si intrecciano. “Questa mostra è frutto di un lungo percorso di ricerca iniziato al Politecnico di Milano – racconta in conferenza stampa la curatrice Paola Bertola – questa mostra voleva verificare che cosa fosse successo nell’ambito della moda negli ultimi anni, e avendo ricostruito un quadro estremamente ricco è nata la voglia di farne un’iniziativa di divulgazione culturale, i designer selezionati sono poco noti, ma il loro lavoro è di grande valore. La volontà è di celebrare il Made in Italy con uno sguardo non al passato ma verso il futuro”.
Da una mappatura iniziale di oltre trecento realtà, sono più di cento quelle accuratamente selezionate da un Comitato Scientifico di esperti del settore presieduto da Eleonora Fiorani. Dal prêt-à-porter allo streetwear, dalle calzature agli occhiali, dai bijoux ai cappelli: l’allestimento estremamente contemporaneo e funzionale è pensato come un vocabolario di stile e produttività all’interno del quale gli oggetti e le istallazioni dialogano con lemmi famigliari quali Materia, Archetipo, Costruzione, Ornamento, Dettaglio, Superficie Uniforme, Laboratorio. Banditi finalmente, ex professo, i termini giovane ed emergente, inflazionati e “troppo rigidi” a detta della stessa Bertola. Poiché se sei emergente non sei affermato e poi nella moda si è giovani fino a quando? Nessuno l’ha mai veramente capito.
Tra i brand in mostra i bijoux di Cristina Zangrando, Emanuele Bicocchi, Voodoo Jewels, Giuliana Mancinelli Bonafaccia, Vernissage; gli abiti dalle texture unexpected di Caterina Gatta, Lucio Vanotti, Fausto Puglisi, CO|TE, “COMEFORBREAKFAST”, Gentuccia Bini, Stella Jean, Gianluca Capannolo, LEITMOTIV, Ilaria Nistri, MSGM, Peuterey, Marcelo Burlon – Country of Milan e gli splendidi cappelli firmati Superduper Hats.
“Questa mostra è importante perché segna un punto di svolta, senza cadere nei soliti richiami, rappresenta la differenza tra la vecchia moda e il contesto della nuova creatività” così afferma Patrizia Calefato, membro del Comitato Scientifico.
Attraverso le tre macrosezioni Vocabolario, Narrazioni, Biografie la mostra è il tentativo di definire un periodo storico controverso, quello attuale. Senza la presunzione di essere onnicomprensiva, questa selezione cerca di illustrare le caratteristiche fondanti del Made in Italy e, per dirla con il curatore Vittorio Linfante “offre uno spaccato di moda italiana contemporanea e mette in mostra molte realtà che, per i mezzi a loro disposizione, difficilmente potrebbero avere una visibilità così importante”. La nuova moda descrive e riscrive la società moderna e ne è specchio; la parola, in costante evoluzione, è il mezzo tramite il quale, assumendo nuovi significati, il cambiamento si traduce e si diffonde. “Il vestito riguarda tutta la persona, tutto il corpo, tutti i rapporti dell’uomo col suo corpo, così come i rapporti del corpo con la società; questo spiega perché i grandi scrittori si sono spesso preoccupati dell’abbigliamento nelle loro opere” così sosteneva Roland Barthes.
Fotografie: Agostino Osio
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