TRADIMENTI

TRADIMENTI

E’ andata in scena ieri sera, al Teatro Duse di Bologna, con la regia di Michele Placido,  “Tradimenti” (“Betrayal” nella versione originale) forse il capolavoro di Harold Pinter acclamato autore britannico e insignito del Premio Nobel nel 2005. Il teatro era visibilmente colmo sia per la fama del testo che per la composizione del cast formato sì da tre bravi attori fra i quali,  Ambra Angiolini, tuttora faro di attrazione per i tanti affezionati fans che sono cresciuti con lei sin da quando, giovanissima, nel 1992 polarizzava l’attenzione dei coetanei, nel programma televisivo di “Non è la RAI”.

Scritta nel 1978, “Tradimenti” è un’opera particolare essendo costruita secondo un cadenzato insieme di flashback o più propriamente definita cronologia inversa (reverse chronology) tecnica questa impiegata in tal contesto con grandissima originalità ma presa in prestito dal cinema, dove viene utilizzata con più frequenza. Una narrazione sostanzialmente “à rebours” e pertanto destinata ad un innegabile “happy end” nel caso “happy beginning” di circostanza: ogni storia sentimentale vede incominciare il rapporto amoroso quasi sempre sotto l’effetto ipnotico dell’esaltazione! La pièce ispirata – parrebbe – a un autobiografico affair extra-coniugale dell’autore stesso, si dipana nella lunghezza di dieci anni circa, dal 1977 al 1968 e al suo interno affronta il “tradimento” non solo nell’accezione di relazione extra-coniugale, valutandone invece anche altre forme, estendendosi così  ad  altri campi.

La scenografia prende pretesto da un apparente austero minimalismo, sia per numero di attori sulla scena, simbolicamente tre gli attori principali anche a significare il triangolo amoroso delle parti coinvolte (moglie-l’altro-marito) che per la scenografia, rimanendo questa sostanzialmente identica dall’inizio alla fine, pur con sagge modifiche tra un quadro e l’altro, effettuate sia dagli attori stessi o dal personale del teatro, con massima celerità e solo con la complicità del buio nella frazione di tempo necessari, con varianti minime, abbiamo presto l’impressione di trovarci in un ambiente differente: ci si sposta così da Londra a Venezia e viceversa,   nelle case dei protagonisti, nei locali dove questi si recano sia un bar o un ristorante, un  espediente di massima efficacia ed economia insieme, nell’arco dell’ora e mezza, durata dello spettacolo, senza alcun intervallo. Una sala pressoché la stessa, una porta contornata da una spessa cornice, tre grandi schermi utilizzati come finestre o talvolta come specchi  riflettenti ironicamente come la situazione sia quasi a circuito chiuso, un video camuffato e posto al centro dei tre schermi scandisce sia il tempo – con chiari riferimenti all’anno – che al luogo in cui avviene la scena. Siamo nel 1977, Emma (Ambra Angiolini) una gallerista d’arte contemporanea, incontra Jerry (Francesco Sciamma) in un bar, apprendiamo dai loro discorsi che hanno figli e consorti, all’insaputa dei quali sono stati amanti, certi della totale buona fede dei rispettivi coniugi ignari –  secondo loro –  della clandestinità della loro relazione durata sette anni e terminata due anni prima.

Procedendo in direzione contraria, attraverso la loro conversazione, sul filo della memoria – essa pure traditrice a tratti – una sorta di “Ricerca del tempo perduto”, non casualmente menzionata durante i discorsi, ha inizio il dramma. Emma dichiara a Jerry che la sera prima il marito le ha confessato di esserle stato più volte infedele e che per tanto lei sia decisa a lasciarlo. In un rapido incastrarsi di scatole cinesi, capiremo come in realtà lo stesso Robert, marito (Francesco Biscione) di Emma, sapesse di loro ma già da diversi anni, per di più lasciando quindi esterrefatto Jerry vecchio amico nonché testimone di nozze di Robert. La millantata confessione di lui era già avvenuta  anni addietro, non certo la sera precedente l’incontro dei due ex amanti, in questo modo il tradimento è da parte della donna, nei confronti anche di Jerry. Capiamo poi come Emma al momento attuale sia invece l’amante di Casey, uno scrittore senza troppi meriti letterari, per ammissione esplicita di tutti e tre, i cui testi sono inoltre svogliatamente pubblicati dallo stesso Robert che fa l’editore, a cui però riconosce il solo merito di vendere molto bene libri che ripetendo un ormai consolidato cliché –  frutto, compatibilmente,  del  vissuto dello stesso Casey – ma che incontrano  il favore dei lettori visto che Casey  “Sta scrivendo un romanzo su un uomo che lascia la moglie e i tre bambini e che va a vivere da solo dall’altra parte di Londra per scrivere un romanzo su un uomo che lascia la moglie e i tre bambini…”, i tre allora finiranno quindi col comprendere anche Casey all’interno di questo loro circolo di “traditori”, se la disonestà intellettuale dello scrittore verso il pubblico, la cui arte imita così bene la vita, viene a sua volta criticata dai tre, paradossalmente.

Dipanandosi quindi fra memoria e ricordo, passato e presente, menzogna verità, semi-verità, dove anche l’auto inganno non è assente, l’opera giunge a presentare – come anticipato – la situazione di partenza ribaltata qui nel finale, dove non a caso sarà svelato l’incipit della loro relazione:  Jerry ospite durante una festa a casa dell’amico Robert, si ubriacherà e dichiarerà sotto l’effetto liberatore dell’alcool –elemento per altro molto presente dall’inizio alla fine del dramma! – di essere innamorato di Emma.

Una possibile chiave di lettura potrebbe forse suggerirci che il tutto sia frutto di un incubo, qualcosa da cui liberarci? Allo spettatore l’eventuale ricerca della soluzione andando quindi a ritroso con la memoria, seguendo così un tracciato narrativo proposto dell’autore!

Applausi sostenuti e una leggera pioggia di garofani rossi a congedo degli ottimi interpreti.

Informazioni e prenotazioni

Da venerdì 15 a domenica 17 gennaio

Ufficio di biglietteria

Via Cartoleria, 42 Bologna

051 231836 – biglietteria@teatrodusebologna.it

Daniela Ferro

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