I am slightly inhuman..
all I ever wanted to do
was to paint sunlight
on the side of a house.
(E. Hopper)
Edward Hopper è l’artista americano che più di altri ha inciso un solco profondo nella storia dell’arte del suo Paese, non per niente tale era la sua notorietà che il Time gli dedicò la copertina il 24 dicembre 1956 e tanti sono gli artisti che alla sua arte si sono ispirati. Nato a Nyack il 22 luglio 1882 e venuto a mancare a New York dove aveva quasi sempre vissuto nel 1967, nei due estremi di tempo Edward Hopper, noto come il “pittore del silenzio”, aveva vissuto e soprattutto aveva lavorato tanto, acquisendo una straordinaria abilità frutto di uno studio evidente, come si evince dalle sue opere che fanno di lui il massimo esponente del Realismo Americano del XX secolo. Ospitata nella splendida cornice di Palazzo Fava a Bologna, dal 25 marzo al 24 luglio 2016, organizzata da Arthemisia Group in collaborazione con Genius Bononiae e la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, la mostra celebra alcune fasi nella vita dell’artista, attraverso poco meno di una sessantina di opere provenienti dal Whitney Museum di New York che dell’autore conserva il ragguardevole patrimonio di oltre 3000 opere lasciate in eredità dalla moglie Josephine, l’unica modella del pittore.La mostra ripercorre una vita partendo dagli esordi, forse non così eclatanti ad arbitrario parere di chi scrive. Il percorso apre anche una parentesi espositiva sulla fase parigina di Hopper, allorché l’artista, emulo degli impressionisti un po’ come ogni classico “Americano a Parigi”, scelse su impronta dei Maestri francesi di dipingere en plein air ogni paesaggio o situazione d’esterno, con l’occhio però attento dell’artista che si dilunga sulla cose e non fa nulla per caso. Dégas fra i Maestri sarà il pittore al quale Hopper farà riferimento più che ad altri, ma artista a tutto tondo e aperto verso le influenze quali lui era, Hopper dirigerà la propria attenzione anche verso la poesia simbolista, di cui la sua arte al di là dell’impronta concretamente realistica è comunque così ricca. La poesia è infatti un elemento di cui le sue tematiche sono pregne, tanto risentono di quelle atmosfere letterarie che si avvicendavano nella scena culturale nord americana in quegli anni.
Se il pittore del silenzio si esprime ritraendo “la normalità” dove gli oggetti più comuni impongono alla ribalta il suo sentire, questi oggetti dal canto loro, mostrano chiaramente al fruitore come Hopper attraverso di essi riveli una percezione artistica comune anche a poeti quali William Carlos William e ai migliori esponenti della poesia imagista di quel periodo, artisti questi in grado di posare lo sguardo sul consueto e desueto insieme, riuscendo a dare nel contempo un messaggio nuovo. Hopper ci riporta alla mente anche scrittori quali William Faulkner con il quale avrebbe potuto condividere il motto «Don’t be a writer. Be writing!» divenendo nello specifico «Don’t be a painter. Be painting!» vista l’escalation che lo portò dai primi lavori, fino poi a giungere a quell’impareggiabile cifra stilistica che ritroviamo nelle opere maggiori esposte nei più importanti musei degli Stati Uniti o nei suoi tanti capolavori fra i quali alcuni presenti qui in mostra, come ad esempio Second Story Sunlight del 1960.
Edward Hopper
Non è sempre facile poter ammirare le opere di Hopper al di fuori dei contesti museali americani. Il perché ce lo spiega Jole Siena durante la conferenza stampa: la ragione principale è che “le opere di Hopper stanno un po’ come la Gioconda al Louvre” e tanto è di rilievo l’artista nel suo Paese che le sue tele non sono così facilmente cedibili neppure per la durata relativamente breve di un’esposizione. Da quei “ritratti” di paesaggi desolati, in cui lo spazio è il protagonista e dove la geografia del luogo è speculare a quella dell’anima, alle sue scene che sembrano “rubate” negli interni, durante la conferenza stampa si menziona spesso l’espressione “voyeurismo” al riguardo. “Le sue storie notoriamente ambigue” scrive Carter M. Foster nel testo “Edward Hopper: dal disegno alla tela” contenuto nel catalogo, ” sono più interessanti per lo stato d’animo creato che per i dettagli di quel che raffigurano”. Storie quindi, scorci di paesaggi, fino alla ripetizione di alcuni elementi più presenti di altri quali ponti, fari spesso posti a distanza, assieme a quel senso di geometria limpida e pulita dove quella luce straordinaria che caratterizza le sue opere ne stabilisce la cifra stilistica sin dal primo acchito.
Secondo le parole di Luca Beatrice, che in Hopperiana, posta all’interno del catalogo, sottolinea le distanze di Hopper dalle avanguardie che hanno attraversato il secolo negli USA, il pittore “sceglie di esprimersi fuor di metafora, osservando ciò che vede e riportandolo sulla tela, avverte una solitudine culturale, quasi fosse l’ultimo sopravvissuto alle tempeste sollevate dell’arte come linguaggio”. Beatrice rincara poi aggiungendo che “nella stessa epoca storica in cui sono altre le forme che si dedicano a riflettere sulla realtà, ovvero le arti figurative per eccellenza del XX secolo, la fotografia, e il cinema” ciò non di meno “il suo modo di guardare alla realtà è metafisico”, “minimalista”, “freddo ed essenziale, immediato e privo di giudizio” o “tradizionale” ma non di certo “tradizionalista”.
Hopper in definitiva, scegliendo di andare controcorrente e collocandosi al di fuori di tutti quei filoni e quelle schiere avanguardistiche così trasversali negli USA nel secolo passato, paradossalmente ne ha creato forse uno suo. Inoltre, benché la sua arte fosse dissimile ma non per questo meno incisiva di quella di altri artisti, ha saputo coniugare un grande apprezzamento da parte della critica con un grandissimo interesse da parte del pubblico: una ragione in più per recarsi ad ammirare da vicino i disegni e la pittura di questo grande artista che come sostiene il poeta Mark Strand in Hopper“the paintings are each a self-enclosed universe in which its mysteriousness remains intact”.
EDWARD HOPPER
INFO: BOLOGNA –Palazzo Fava, Palazzo delle Esposizioni
via Manzoni 2
dal 25 marzo al 24 luglio 2016
dal lunedì alla domenica dalle 10 alle 20 (la biglietteria chiude un’ora prima)
Mostra prodotta e organizzata da Arthemisia Group, Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Genus Bononiae. Musei nella Città – Catalogo Skira
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