MILANO – Inaugurata Hokusai, Hiroshige, Utamaro al Palazzo Reale. Proviamo qui a descrivervi le emozioni, e soprattutto a consigliarvi il percorso espositivo di una mostra che attraversa tutta la storia dell’arte giapponese. Organizzata sempre per celebrare il 150°Anniversario delle relazioni tra Giappone e Italia.
Prendetevi un giorno ed andate a Milano, dirigetevi a Palazzo Reale e trascorreteci un giorno intero, non ve ne pentirete. Sarà un pellegrinaggio più che una visita ad una mostra, ma il punto è che questa non è semplicemente “una mostra” ma è “la mostra” della storia dell’arte giapponese.
Se siete appassionati di arte moderna, sapete che tutte le avanguardie ed i più grandi artisti, da Toulouse Lautrec e Van Gogh in poi sono stati molto più che semplicemente “influenzati” dal giapponismo. Se siete appassionati di arte contemporanea, di grafica o di pubblicità, sapete il valore dell’influenza dell’Arte giapponese.
Se si parla di fumetto o cartone animato e di qualsiasi altra arte non potete non conoscere i manga. Se siete succubi come me della poesia e letteratura giapponese, e gli scaffali delle vostre librerie sono popolati dalle poesie T’Ang a Yukio Mishima fino a Banana Yoshimoto qui troverete la genesi della poesia orientale.
Non cito la musica contemporanea perché uscirei fuori tema ma ogni cosa, a mio avviso, si riconduce al Giappone. Poi se siete appassionati del pensiero zen, sia che siate buddisti o altro, qui troverete tante risposte. Infine, se siete dei cultori della moda come me, sapete quanto il Sol Levante sia fonte d’ispirazione.
Il design dell’estremo oriente sono le nostre origini ed il nostro futuro, sono l’arte della costruzione della moda fino all’arte del tessuto, del colore, della grazia e della forma perfetta. Ed infatti non è stata casuale la scelta della data d’inaugurazione della Mostra sull’arte giapponese ed i suoi maestri, la stessa dell’opening della fashion week milanese: 21 settembre 2016 il grande via a Hokusai, Hiroshige, Utamaro al Palazzo Reale e contemporaneamente allo start di Milano Moda Donna.
Così la curatrice, Rossella Menegazzo, ha raccontato luoghi e volti del Giappone che hanno conquistato l’Occidente, introducendo la mostra.
Katsushika Hokusai, Utagawa Hiroshige, Kitagawa Utamaro sono i tre nomi più rappresentativi dell’ukiyoe meglio noto come genere di immagini del Mondo Fluttuante. Ma perché le loro immagini ebbero tanto successo in epoca Edo (1615-1868) tra i loro contemporanei? E perché continuano a essere attualissime ancora oggi, duecento anni dopo, non solo in Giappone ma a livello internazionale?
“È innegabile che siano da annoverare tra le massime fonti d’ispirazione estetica per l’Occidente già dalla seconda metà dell’Ottocento, quando ammaliarono l’accademia francese ed europea, impressionisti, post‐impressionisti e fotografi alla ricerca dell’esotico, ma il loro fascino si protrae fino a oggi, essendo riconosciute quali icone da spendere in campo artistico, grafico, pubblicitario, nella moda, nel design e nella cultura pop in generale. Il fenomeno a cui si assiste negli ultimi anni è una sorta di revival dell’ukiyoe, confermato dalle mostre tenute nelle istituzioni più importanti di ogni paese. Occorre innanzitutto cogliere l’internazionalità di queste immagini che, è chiaro, hanno la capacità di trasmettere e facilitare la condivisione di determinati canoni estetici, appartenenti a un paese e a un’epoca specifici, superando le barriere culturali e temporali grazie all’immediatezza, alla sinteticità e all’effetto illusionistico delle loro composizioni. Le oltre duecento immagini selezionate in questa Mostra non sono naturalmente esaustive rispetto alla varietà dei temi e dei protagonisti che segnarono la corrente artistica dell’ukiyoe, ma ne rispecchiano pienamente il carattere, mostrando i volti e i luoghi che hanno segnato il profondo cambiamento del Giappone dal Seicento e fino alla metà dell’Ottocento”.
Il termine ukiyo 浮世 (lett. “mondo”, 世 yo; “fluttuante”, 浮 uki) prima di allora era scritto con caratteri cinesi differenti ma omofoni e aveva una connotazione negativa, legata al pensiero buddhista che insegnava il distacco dalle cose terrene in quanto transitorie, illusorie e d’impedimento al raggiungimento dell’illuminazione. Fu con lo sviluppo urbano e della vita cittadina a partire dal Seicento che l’interpretazione del termine cambiò, esprimendo la riscoperta in quegli stessi attaccamenti dei piaceri da ricercare e da godere proprio in quanto fuggevoli, impermanenti. Il testo “Racconti del mondo fluttuante” di Asai Ryōi scritto nel 1660, segnò il punto di svolta in questo senso e nel giro di pochi anni il termine ukiyo andò a indicare tutto ciò che era di moda o tsū, con una leggera connotazione anche erotica: “Vivere momento per momento, volgersi interamente alla luna, alla neve, ai fiori di ciliegio e alle foglie rosse degli aceri, cantare canzoni, bere sake, consolarsi dimenticando la realtà, non preoccuparsi della miseria che ci sta di fronte, non farsi scoraggiare, essere come una zucca vuota che galleggia sulla corrente dell’acqua: questo, io chiamo ukiyo”.
Le immagini del Mondo Fluttuante non sono altro che la trasposizione visiva di questa nuova sensibilità. Rappresentano i volti delle beltà femminili più agognate (cortigiane, geisha, donne dei quartieri di piacere e delle case da tè più rinomate, giovani donne espressione di bellezza ed eleganza), ma ritraggono anche gli attori di teatro kabuki più famosi, come divi sul palcoscenico e dietro le quinte, colti di sorpresa durante i preparativi. Esprimono le mode del momento, mostrano i costumi, i tessuti, i motivi decorativi, le acconciature e il make‐up, gli accessori, i modi di muoversi e di atteggiarsi considerati iki, i divertimenti e i passatempi, le festività e le ricorrenze più importanti, i luoghi e le località più frequentate, ma trasmettono anche le leggende, i racconti, le paure e i fantasmi di un popolo i cui valori stavano cambiando profondamente rispetto ai secoli precedenti.
Il 1603 segnò la fine di un’epoca di guerre intestine e l’inizio di quella che fu definita la Pax Tokugawa, che garantì oltre duecentocinquant’anni di pace ininterrotta, denominata, da un punto di vista artistico, Periodo Edo. I circa duecento feudi che fino ad allora erano stati il fulcro della cultura provinciale e locale, furono sottomessi al potere militare e amministrativo, il “governo della tenda”, con capitale Edo (l’attuale Tokyo), mentre rimaneva a Kyoto la corte imperiale. Edo, all’inizio un piccolo villaggio di pescatori, crebbe raggiungendo nel giro di un secolo il milione di abitanti diventando la città più popolosa a livello internazionale.
Anche qui fu la lungimiranza politica a contribuire definitivamente all’affermazione di Edo quale capitale culturale creando un nuovo equilibrio di forze tra Kyoto e l’area di Kamigata, culla della cultura classica, e la zona di Edo e del Kantō espressione dei gusti nuovi e moderni.
Se prima del Seicento i patroni dell’arte giapponese e della cultura erano la corte imperiale, lo shogunato e i daimyō locali oltre ai templi, che commissionavano opere di dimensioni imponenti con profusione d’oro e colore per riempire castelli e residenze, con la nascita delle città e la distruzione delle cittadine fortificate ordinata dai Tokugawa, furono i mercanti arricchiti a dettare nuove regole e nuovi valori. E lo fecero attraverso una nuova forma d’arte, o meglio una produzione d’immagini più simili ai rotocalchi di oggi, di medie e piccole dimensioni, facilmente utilizzabili. Si trattava di dipinti su paraventi, nel caso di opere importanti, su rotoli verticali da appendere oppure orizzontali da svolgere e osservare tenendoli tra le mani, ma quel che fece la differenza fu l’introduzione della tecnica di stampa da matrice in legno che aprì il vero mercato dell’immagine ukiyoe. In fogli sciolti o in serie, rilegate nel formato dell’album o del libro illustrato, su ventagli pieghevoli e rotondi, le silografie, replicabili in centinaia di copie fino a che la matrice non era consunta, facilmente trasportabili e distribuibili, divennero ben presto insieme ai diari e alle guide di viaggio uno dei mercati più fiorenti dell’epoca che accompagnò lo sviluppo delle prime forme di turismo nell’arcipelago. Le città, Edo per prima, ma anche Kyoto e Osaka erano certamente il fulcro della cultura contemporanea, tuttavia il continuo andirivieni di genti lungo le due arterie principali che collegavano Edo a Kyoto, il Tōkaidō, la via più ampia e quindi più frequentata lungo la costa orientale, e il Kisokaidō, la via più tortuosa che si snodava tra le montagne, favorirono lo scambio tra centro e periferie, con i signori feudali che recavano in omaggio allo shōgun oggetti d’arte e artigianato, ceramiche e lacche, tipiche della propria regione, mentre al ritorno portavano presso le loro residenze come souvenir immagini della vita cittadina, delle novità e delle tendenze, dei luoghi più frequentati dentro e fuori la città.
Fu questo moltiplicarsi di scambi che permise la diffusione capillare e la conoscenza dei luoghi e degli usi e costumi caratteristici di questa o quella provincia, e fu la circolazione delle immagini dei luoghi più simbolici dell’arcipelago che stimolò per la prima volta il senso di un’identità nazionale. La raffigurazione dei luoghi celebri si affermò come uno dei filoni più importanti dell’ukiyoe, a cui sia Hokusai sia Hiroshige si dedicarono diventandone i massimi esponenti dell’arte giapponese.
Alla fine del XVI secolo avevano cominciato ad apparire nel formato del doppio paravento vedute dentro e fuori la capitale imperiale di Kyoto che mettevano in risalto con una prospettiva aerea a volo d’uccello i luoghi più famosi della città (tra cui la residenza imperiale, i templi e teatri, scene di vita e attività quotidian). Successivamente, le stesse rappresentazioni si allargarono ad altre città: Edo, Nara, Nagasaki, sempre con la prerogativa di un paesaggio che si fondesse, tra nuvole dorate che lasciavano spazio all’immaginazione in termini di distanze e posizioni nello spazio, con la presenza umana. Una caratteristica che trovò massima espressione nelle immagini del Mondo Fluttuante, nate prima intorno ai quartieri dei teatri e di piacere per poi allargarsi alle scene di genere e di paesaggio.
Hokusai, attivo tra la fine del Settecento e la metà dell’Ottocento, personaggio eccentrico e geniale, mise al centro della sua opera l’uomo, la sua quotidianità e la sua vulnerabilità, facendo della natura circostante una cassa di risonanza del sentimento umano; si pensi alla drammaticità della composizione della famosa Grande Onda, parte delle Trentasei vedute del monte Fuji, con in primissimo piano le imbarcazioni e l’equipaggio in balia di un’onda gigante che li avvolge come un artiglio mentre sullo sfondo di staglia placida la forma conica del vulcano sacro, il Fuji.
Hiroshige dal canto suo, pur trattando gli stessi temi, evoca spesso una natura incontaminata, silente, con visioni ampie in cui l’uomo risulta essere solo una piccola presenza richiamando un sentimento che riporta alla religione primigenia autoctona, lo shintō. Hiroshige è considerato il maestro della pioggia, tale la sua abilità nella resa di ogni minima variante di questo elemento e se si guarda alle stampe di “fiori e uccelli” si comprende ancora meglio la diversità dei due: “Hokusai disegna fiori e insetti come se si trattasse di un ritratto umano a mezzo busto, li mette sotto la lente e li fa vibrare di vita; Hiroshige mantiene invece una certa lievità e un’armonia tra gli elementi, che risultano più minuti e facili da recepire. Contemporanei, (ma Hokusai più anziano di trentasette anni), si trovarono a lavorare continuamente su serie tematiche simili commissionate dagli editori più affermati. Un mercato, quello dell’editoria dell’immagine, che rispondeva a una domanda crescente che si autoalimentava vendendo alla gente fondamentalmente sogni”.
Protgonista era anche il lusso, il culto del piacere, diffuso capillarmente dalla classe borghese ma non ben visto dallo shogunato, che più volte emanò editti restrittivi per contenerlo e possibilmente per controllare i gusti ormai condivisi da gran parte della gente e incontrollabili.
Utamaro, il maestro della pittura di beltà, ne fu vittima diretta: venne imprigionato per aver pubblicato alcune illustrazioni di un volume proibito ma più verosimilmente perché frequentatore, insieme al suo editore e amico Tsutaya, del quartiere di piacere di Yoshiwara a Edo, da cui trasse ispirazione sin dalla giovinezza, sembra addirittura abitando di fronte ai cancelli.
A Edo era Yoshiwara, a Osaka Shinmachi, a Kyoto Shimabara, a Nagasaki Maruyama: di certo non erano luoghi splendenti come le immagini del Mondo Fluttuante mostrano, similmente a riviste di moda patinate che pubblicizzano un mondo sempre sotto i riflettori, tuttavia non si limitavano a essere semplici quartieri a luci rosse, ma erano frequentati anche come punti d’incontro da artisti, pittori, poeti. Tanto più che le cortigiane di alto rango e le geisha che intrattenevano i clienti più abbienti nelle case da tè erano donne colte, preparate nelle arti, nella poesia e nella calligrafia, nella danza e nella musica oltre che rappresentare per tutti il modello di eleganza assoluto, spesso raggiungibile solo proprio attraverso i ritratti acquistabili dell’ukiyoe. Il legame del mondo artistico con quello letterario era strettissimo e connota gran parte della produzione ukiyoe.
Quei luoghi divenuti famosi e diffusi attraverso le stampe erano prima di tutto topos letterari, citati nelle opere classiche letterarie e poetiche a partire dal X secolo e successivamente trasposti visivamente su paraventi, rotoli e stampe. Erano, e sono ancora, luoghi parte dell’immaginario di ogni giapponese, che gli artisti sapevano abilmente evocare attraverso pochi elementi chiave della natura codificati tanto in poesia quanto nell’arte e legati alla stagionalità, alle festività, a significati benaugurali.
La silografia policroma incentivò la creazione di questo genere d’immagini e allargò la sfera dei luoghi celebri classici aggiungendovi le vedute della capitale orientale Edo come i ponti, i teatri, le case da tè, i negozi, i templi e i santuari, i quartieri e le loro attività principali, le feste e il passaggio delle stagioni come anche le vedute di località frequentate per la bellezza della natura tra cascate e paesaggi nelle varie province del Giappone.
Hokusai e Hiroshige in questo contesto sbaragliarono la concorrenza dando vita a delle raffinate serie policrome che segnarono l’apice di un’epoca. La serie delle Trentasei vedute del monte Fuji di Hokusai messa in commercio negli anni 18301832 combinava in formato orizzontale il tema delle vedute di località celebri con il simbolo per antonomasia del paesaggio, il Fuji appunto, visibile in lontananza come elemento costante. Il successo incredibile che ebbe la serie, tanto da richiedere un’aggiunta di dieci stampe in coda al progetto iniziale, spinse anche Hiroshige a lavorare sullo stesso tema negli anni cinquanta, ma l’opera uscì postuma e anche l’immagine centrale della Grande Onda non ebbe né la potenza compositiva né la resa coloristica di quella di Hokusai. Hiroshige si distinse invece, superando anche Hokusai, con la sua serie delle Cinquantatré stazioni di posta del Tōkaidō prodotta nel 1833‐1834 quasi contemporaneamente alle vedute del Fuji di Hokusai.
“Non si può che prendere atto del fatto che l’ukiyoe sta rivivendo un crescendo d’interesse a livello internazionale, tornando a rappresentare un fenomeno che risponde e s’inserisce nella più ampia affermazione della cultura pop. Da una parte il colorismo, la vivacità e l’immediatezza delle immagini del Mondo Fluttuante richiamano l’attenzione del vasto pubblico, declinate nelle forme contemporanee”.
Infatti dai manga, (qui presenti nell’ultima sala del percorso espositivo) alle videoinstallazioni si riscontra una corrente parallela che ricerca un Giappone che s’identifica invece con la semplificazione, la rarefazione, la policromia, associabili secondo il sapere comune al pensiero zen e sfruttate soprattutto in ambito architettonico e del design.
Sono le due anime del Giappone: la luce e l’ombra, l’Occidente e l’Oriente, la parola e il silenzio, il pieno e il vuoto, la cultura dei chōnin e dei samurai che ancora sopravvivono in un equilibrio variabile e forse sempre più caotico.
Perdetevi nella visione di questa mostra sull’arte giapponese e se potete tornateci, ogni immagine necessita di così tanto tempo per poter esser letta nel dettaglio e goduta per intero.
L’allestimento è splendido. La visione si apre su un corridoio dove tutte le stampe sono appese sopra di voi e, attraversandolo, avrete l’impressione di entrare lentamente nel mondo Edo.
Poi le sale vi accolgono con le pareti fitte delle immagini dei vari percorsi citati (Trentasei vedute del monte Fuji; le Cinquantatré stazioni di posta ecc.), e nell’attraversare i paesaggi, tra fiori e geisha, leggendo i versi che li hanno cantati e i colori che li hanno esaltati, vi perderete in una poesia senza tempo.
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